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Nembro, provincia di Bergamo. Ventitré anni prima

Aveva passato la giornata a pulire casa.

Il pavimento in marmo luccicava in ogni punto, sui mobili e sulla libreria del soggiorno non c’era traccia di polvere. I vetri erano splendenti e ogni cosa, ogni singolo oggetto, era esattamente al suo posto. Come piaceva a lui.

Il bagno era uno specchio. Se lui avesse voluto fare la doccia, avrebbe trovato il bagnoschiuma al sandalo e il sapone neutro nelle loro confezioni intonse, come voleva che fossero.

Alle diciassette aveva iniziato a preparare la cena. Quello che le aveva ordinato lui, sul foglio settimanale del menù. Arrosto con patate al forno e tiramisù, rigorosamente senza panna e con i Pavesini al posto dei savoiardi. La crema al mascarpone doveva avere la giusta consistenza e la esatta quantità di zucchero. Liquida, ma non troppo. Quanto bastava per rimanere attaccata ai biscotti che dovevano essere passati a uno a uno nel piatto fondo con tre parti di caffè e una di acqua.

Alle venti in punto sarebbe stato tutto pronto.

La loro stanza era perfetta. Il grande letto rifatto alla perfezione, senza una piega, il profumo leggero della candela agli agrumi, che andava spenta esattamente un’ora prima del suo arrivo.

I lacci di seta pendevano dalle sbarre in ottone della testiera. Gli altri, sul lato opposto, erano nascosti sotto al materasso. Lui li avrebbe tirati fuori al momento giusto. Anche il frustino, la corda di canapa e gli altri oggetti erano pronti sul comodino. Pronti per lei.

Che dormiva in un’altra stanza, sempre perfettamente ordinata e rassettata. Se lui avesse voluto controllarla avrebbe dovuto trovare tutto in ordine, altrimenti si sarebbe arrabbiato. E lei non voleva che lui si arrabbiasse. Voleva renderlo felice. Era l’unico scopo della sua vita.

E poi c’era l’ultima stanza, quella in cui lui non voleva mai entrare. In genere lei la chiudeva intorno alle 19.30 per poi riaprirla la mattina seguente, quando lui sarebbe andato via.

Si era vestita come gli piaceva. I lunghi capelli lisci, fermati dal cerchietto colorato. Niente trucco. Aveva indossato il reggiseno bianco, di pizzo, e la camicetta bianca chiusa fino all’ultimo bottone, con il cravattino nero. Sotto era nuda. Niente slip, niente gonna. Aveva le calze al polpaccio e le scarpette nere di vernice, con il tacco. È così che lui voleva vederla.

Sarebbe arrivato alle venti in punto, e l’avrebbe trovata in piedi, davanti alla porta con le mani giunte e il capo abbassato. Le avrebbe accarezzato il viso, lei si sarebbe inchinata a baciargli la mano. Poi avrebbero cenato, mentre il televisore trasmetteva il telegiornale. Lei non avrebbe aperto bocca, se non per rispondere ai suoi ordini. Mangiava sempre in silenzio per non disturbarlo mentre ascoltava le notizie. Cercava di capire, dall’espressione di lui, se tutto fosse di suo gradimento. Anche se più tardi lo avrebbe capito in ogni caso. Dal livello del dolore che le avrebbe inflitto. Ma era pronta a tutto per compiacerlo, pronta a superare anche il livello della umana sopportazione, pur di dargli piacere.

Dopo cena lo avrebbe accompagnato nello spogliatoio dove gli avrebbe tolto tutti i vestiti. Poi sarebbero andati in bagno dove lei lo avrebbe lavato come piaceva a lui. Infine, avrebbero passato la notte insieme.

Lei si preparava per lui ogni giorno. Doveva essere sempre pronta al suo arrivo, ogni sera. Anche se si faceva vivo di rado. Due o tre giorni al mese. L’impegno che lei metteva nei preparativi era però sempre il massimo. Gli ordini erano di aspettare davanti alla porta per almeno mezz’ora. Se trascorso quel tempo non si fosse fatto vivo, lei avrebbe cenato da sola, gettato gli avanzi e passato la serata a guardare la tv o a leggere uno dei libri che lui le portava. Desiderando, con tutta se stessa, che il giorno successivo fosse quello giusto, quello in cui lui si sarebbe presentato alla sua porta.

Quella sera i preparativi erano in perfetto orario. Aveva finito di apparecchiare la tavola e aveva appena tirato fuori l’arrosto dal forno per un’ultima spennellata d’olio con il rametto di rosmarino. Teneva la teglia di vetro con le mani protette dai guanti ignifughi, ma prima di reinserirla nel forno si bloccò, paralizzata. Qualcosa che dicevano in tv l’aveva rapita. Qualcosa nei titoli del tg, quelli che passavano cinque minuti prima delle venti.

«…ucciso il serial killer conosciuto come la Bestia della Val Seriana, colpevole di tredici omicidi in poco più di un anno. Era lo psichiatra Luigi Garrani di Alzano Lombardo. L’uomo è rimasto vittima in un’azione di Polizia nella quale ha perso la vita Serena Crespi di nove anni. La bambina era stata rapita tre giorni fa dalla casa del padre Angelo Crespi, meglio noto alle cronache come il Cacciatore di anime. Il super poliziotto era da mesi a capo delle indagini sul feroce assassino seriale. Dalle prime, frammentarie notizie su quanto accaduto nella fornace abbandonata alla periferia di Alzano Lombardo abbiamo appurato che…»

La teglia le cadde di mano e si polverizzò sul pavimento. Schizzi di olio bollente le morsero le gambe, una scheggia di vetro s’infilò sotto il ginocchio. Ma lei non sentiva più niente. Immobile, gli occhi spalancati. Inghiottita da una voragine che la attirava, nera e inesorabile.

Giù, verso il nulla.