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Daria Del Colle affrettò il passo, mentre percorreva lo stretto vicolo Casanova, pavimentato in lastre di pietra irregolari. Era la strada che separava la piazzola di sbarco dell’ascensore comunale dal centro del paese. Per gli utenti del parcheggio seminterrato era la via più veloce per arrivare in piazza del Popolo. Si maledisse per aver scelto un abbigliamento troppo elegante: una gonna corta con calze velate, stivaletti col tacco e una maglia a collo alto. Infine, il cappottino di Liu Jo del quale era innamorata e che le era costato buona parte dell’ultimo stipendio. Tutto rigorosamente nero. Stringeva al corpo la sua borsa più bella, in ecopelle, con la catena dorata, e reggeva con la destra una malandata ventiquattr’ore gonfia di materiale sugli scavi archeologici di Ghizzano.

Affrettò il passo, in ritardo, ripercorse a mente la telefonata della sera precedente. La direttrice della Fondazione Peccioli l’aveva interrotta mentre dava da mangiare ai suoi due gatti. Di quale sarebbe stata la sua cena, invece, non aveva la più pallida idea.

«Daria? Sono Agnese, buonasera. Scusa l’ora ma ho un’emergenza.»

«Agnese… Dimmi.»

«Hai saputo cosa è successo in paese, vero?»

«Sì, sì. Stamattina era sui giornali e in tv. Anche su Facebook, non si parlava d’altro. Sono rimasta a bocca aperta. Ho pensato, Roberta? Come è possibile? Era una ragazza normale, tranquilla.»

«Sì, immagina come siamo rimaste noi. Ma scusami, ti chiamo perché in paese c’è il capitano dei Carabinieri che conduce le indagini per conto della procura di Pisa e vorrebbe informazioni su Isadora.»

«Isadora?»

«Sui reperti conservati al museo, sugli scavi, la storia. Ecco, abbiamo pensato a te per questa consulenza. Non sei di Peccioli, hai un contratto di collaborazione, non avevi alcun tipo di legame con Roberta, se non la conoscenza occasionale.»

«Ma… una consulenza? Non capisco che c’entra Isadora con la morte di Roberta.»

«Non posso anticiparti niente, a parte che sarebbe un incarico retribuito e che, se accetti, ne parlerai direttamente con il capitano Mauro Rambaldi dei Carabinieri. Lui ti spiegherà tutto. L’unica cosa che ti chiedo è di darmi subito una risposta, non posso aspettare. Ti confesso che noi, anche il sindaco, saremmo più tranquilli se ci fossi tu.»

Benché i contorni della proposta le fossero tutt’altro che chiari, Daria accettò di slancio. La Fondazione è un committente importante e poi, l’emozione di un’indagine…

«Va bene Agnese, potete contare su di me.»

«Grazie. Vediamoci domattina, ti aspetto nel mio ufficio, alle nove. Porta tutto il materiale che hai su Ghizzano e Isadora. Mi raccomando, Daria… siamo nelle tue mani.»

Dopo aver evitato tre volte e per un soffio una storta alla caviglia, Daria arrivò in piazza del Popolo inseguita dall’eco dei suoi tacchi e dagli sguardi degli avventori del bar sotto il portico e dell’altro, quello di fronte al campanile.

Una delle ragazze della Fondazione l’accolse con cordialità ma Daria respirò subito un’atmosfera diversa dal solito, carica di tensione. La direttrice l’aspettava nel suo ufficio, seduta alla scrivania. Di fronte a lei un tipo fra i trenta e i quaranta, con un’espressione indolente sul viso, probabilmente era contrariato per i suoi dieci minuti di ritardo. Daria lo inquadrò subito. Era uno di quegli uomini che sanno di essere belli e sfruttano questa consapevolezza come arma, consentendosi delle licenze nell’abbigliamento e nei modi.

Nonostante fosse l’ufficiale dei Carabinieri a capo dell’indagine, portava jeans strappati e un giubbotto di pelle. Un orologio dall’aria costosa e capelli da divo del cinema. Doveva ammettere che l’aveva spiazzata – si aspettava una specie di Maresciallo Rocca – ispirandole un’immediata antipatia di pancia, di quelle che la mettevano in guardia nei confronti di chi la colpiva al primo sguardo.

Mauro Rambaldi la vide entrare e dovette sforzarsi per immaginarla come un’esperta di Storia dell’arte. Sembrava più una modella, magra, alta, con un caschetto di capelli neri. Dove l’aveva già vista? Era identica a Valentina, il personaggio dei fumetti di Guido Crepax. Per qualche motivo si aspettava una cinquantenne sciatta e con gli occhiali, anche se era raro che cadesse nella trappola del pregiudizio, soprattutto quando si trovava nel mezzo di una indagine complessa come quella.

Daria apprezzò il gesto dell’uomo che si alzò in piedi e le diede la mano accennando un inchino, dopodiché le spostò la sedia per farla accomodare e si risedette.

Se non altro conosce le buone maniere, pensò. Sarà l’educazione militare.

Agnese Sinibaldi era sulle spine, anche lei. Daria si chiese se il motivo fosse anche in quel caso la cronica mancanza di puntualità da cui era affetta.

«Mi scuso per il ritardo, ho avuto un inconveniente con la macchina e…»

«Va bene Daria, il capitano è appena arrivato» tagliò corto la direttrice. «Se lei è d’accordo, dottor Rambaldi, vi lascerei. Potete restare nel mio ufficio tutto il tempo necessario.»

«Se la dottoressa Del Colle non ha nulla in contrario, vorrei farle le mie domande direttamente sul posto.»

Daria annuì, ansiosa di scoprire cosa si aspettavano, esattamente, da lei.

«Quindi lei si occupa di scavi archeologici…» esordì Rambaldi mentre si recavano a piedi al museo. Si era offerto di portare la ventiquattr’ore e Daria aveva accettato per recuperare l’equilibrio necessario a tenere il passo dell’ufficiale, rammaricandosi ancora una volta di aver indossato quegli stupidi stivaletti col tacco.

«Sì, anche» rispose la giovane «Nel 2014 ero nel gruppo Tectiana, quando scoprimmo i resti di Isadora. La mia attività principale è la catalogazione dei reperti e la supervisione degli studi per la datazione. Oltre all’allestimento di spazi museali e mostre.»

«Nel 2014 doveva essere molto giovane.»

«Già laureata da sei anni, specializzata in conservazione e gestione di beni archeologici» rispose secca Daria. Quella considerazione era un complimento o stava solo mettendo in dubbio la sua competenza?

«Eccoci» disse Rambaldi indicando il cancello del museo. Era aperto, il maresciallo Santamaria li aspettava all’interno e il carabiniere Varricchio, un giovane alto e allampanato, con occhiali da vista, piantonava l’ingresso.

«Comandi signor capitano» disse l’agente richiamando l’attenzione di Rambaldi.

«Dimmi.»

«Ecco, io… volevo sapere se… Vorrei parlarle un minuto quando ha tempo.»

«Qualcosa che ha a che fare con l’indagine?»

«No, no… è una questione personale, volevo chiederle un consiglio.»

Mauro guardò Daria che lo aspettava sulla soglia. «Senti Surr… no, sei Varricchio, giusto?»

«Sissignore signor capitano.»

«Scusami… al momento sono un po’ incasinato, rimandiamo a dopo, magari in caserma, che dici?»

«Certo signor capitano, non è nulla di urgente, non si preoccupi. Glielo ricordo io in un momento di calma.»

«Sì, ok, facciamo così.»

Dopo le presentazioni di rito tra Daria e il sottufficiale, Mauro Rambaldi puntò dritto a destra, nella sala trapezoidale dedicata a Isadora. «Ho bisogno di sapere qualcosa di più preciso su questi resti» disse indicando la teca sotto alla rientranza del muro. «Qualcosa che possa metterli in relazione con l’omicidio scoperto qui, nel museo.»

«Perché deve esserci un nesso?» chiese Daria.

La domanda le uscì spontanea ma ebbe l’effetto di sciogliere qualsiasi riserva di Rambaldi, che rivolse un cenno d’assenso a Santamaria per autorizzarlo a parlare.

«Il cadavere» disse il maresciallo «è stato ritrovato nella teca. Aveva addosso la riproduzione della cintura, sistemata con cura.»

Daria fu inondata da una sensazione di turbamento, un misto di curiosità e orrore.

«Ovviamente si tratta di informazioni riservate» specificò l’ufficiale «che lei non dovrà rivelare a nessuno, per nessun motivo. Almeno fino a quando non dovessimo autorizzarla noi.»

Daria annuì portandosi una mano al collo.

«La ascolto,» la esortò Rambaldi «mi parli di Isadora.»

«Gli scavi iniziarono a Ghizzano nel 2004. Avanzavano con esiti alterni, tanto che le pietre della cisterna romana furono scoperte quasi per caso, quando ormai si era deciso di abbandonare il sito. A quel punto il progetto visse un nuovo slancio… Furono individuate tre fasi insediative. Una romana, una seconda longobarda e una terza medievale.»

«E Isadora a quale fase apparteneva?»

«A quella medievale, naturalmente. Intorno alla prima metà del Trecento. La sepoltura era situata lungo uno dei muri perimetrali della chiesa. La posizione, le condizioni del corpo ma, soprattutto, il ricco corredo funerario, costituito da un copricapo, un anello e una preziosa cintura, fecero pensare a una sposa morta prematuramente. Provammo a ipotizzare una storia sulla base dei reperti rinvenuti.»

«Sì, ho letto,» la interruppe Rambaldi «ho visto il video che avete realizzato con quell’attrice che la impersona. Può darmi maggiori dettagli sulla posizione in cui fu trovato lo scheletro?»

«Certo, posso darle indicazioni molto precise, visto che ero presente. Il corpo era in posizione supina, con la testa lievemente inclinata sul lato sinistro, le braccia conserte sul ventre e le gambe distese, anche se in realtà una delle due gambe era stata parzialmente spostata da una radice che era cresciuta sulla sepoltura. Ai lati del cranio erano state posizionate due pietre. Era uso comune, per evitare la dislocazione della mandibola e delle vertebre cervicali.»

Rambaldi e Santamaria si scambiarono un rapido sguardo. Quella descritta da Daria era l’esatta posizione in cui era stato ritrovato il cadavere di Roberta Savio.

«Quante persone sono al corrente di questi particolari?» chiese Rambaldi.

«La Fondazione diede grande risalto alla scoperta e nel 2016 fu allestita questa nuova sala del museo completamente dedicata ai reperti provenienti dallo scavo di Ghizzano. Tutte le fasi del ritrovamento sono state citate in varie pubblicazioni, opuscoli, articoli su riviste specializzate. Sono particolari di dominio pubblico.»

Rambaldi scosse il capo carezzandosi la nuca, un gesto che gli serviva per raccogliere le idee. «Avrei bisogno della lista di tutte le persone che hanno avuto a che fare con gli scavi, con l’allestimento delle ossa di Isadora. E vorrei che facesse mente locale su ciascuno di loro. In particolare se ha memoria di qualcuno che abbia, in qualsiasi modo, manifestato un’attenzione particolare per questo ritrovamento. Qualcuno che può averne subito danni morali, professionali o economici, che può aver serbato del rancore nei confronti del museo o della Fondazione.»

«Oddio… no, non credo proprio. Non penso che…»

«Non le chiedo di farlo qui, su due piedi. Ci rifletta con calma ma non ne faccia parola con nessuno, nemmeno in Fondazione. Ora lei è a tutti gli effetti consulente in questa indagine, anche se non ufficialmente incaricata dalla procura, ed è legalmente tenuta a mantenere il massimo riserbo su quanto le verrà rivelato e chiesto.»

«Certo, potete contare sulla mia riservatezza. Mi faccia raccogliere le idee, può darsi che qualcosa mi torni in mente.»

«Si prenda il suo tempo.» Mauro Rambaldi le porse un biglietto da visita. «Se le viene in mente qualcosa mi chiami a qualsiasi ora. E adesso può fermarsi nell’ufficio del maresciallo Santamaria per iniziare a buttare giù quella lista, che ne dice?»

Daria annuì. Nonostante i modi cordiali, quel tipo continuava a ispirarle una genuina antipatia. Ma ritrovarsi coinvolta in un’indagine per omicidio la faceva sentire viva ed elettrica come non le accadeva da tanto, troppo tempo.