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«Signora, le faccio le mie più sincere condoglianze. Non vorrei disturbarvi ma abbiamo ancora qualche domanda.»
Il maresciallo Augusto Santamaria e il carabiniere Vito Surricchio erano appena arrivati a casa dei genitori di Roberta Savio. Il soggiorno nel quale erano stati accolti era arredato con mobili vecchi ma di buona fattura. Un ambiente pulito, decoroso, che la penombra e l’odore di chiuso rendevano triste.
La madre della ragazza, una donna sulla settantina con i capelli bianchi raccolti sulla nuca e un anonimo vestito nero, piangeva in silenzio, tamponandosi gli occhi con un fazzoletto. Era seduta su un divano a fiori e il marito, accanto a lei, le cingeva le spalle con un braccio. Era un uomo anziano, sugli ottanta, giudicò Santamaria, un aspetto dimesso e gli occhi spenti dal dolore.
«Accomodatevi» disse al carabiniere indicandogli una poltrona rivestita con la stessa fantasia floreale del divano.
Il maresciallo si sedette mentre Surricchio restò in piedi, alle sue spalle.
«Posso offrirvi un caffè, oppure…»
«No, non si disturbi. Vogliamo rubarvi meno tempo possibile, so che ieri avete già parlato col maresciallo Marino di Pontedera. Innanzitutto vi informo che le indagini sono dirette dal procuratore Gaspare Brogi e coordinate dal capitano Mauro Rambaldi, uno dei migliori investigatori dell’Arma. Sono sicuro che con lui al comando daremo presto un nome al colpevole. E vi prometto che passerà il resto della sua vita in galera.»
«Questo non ci restituirà nostra figlia» sussurrò la donna scuotendo la testa.
«È vero. Ma le renderà giustizia. Vi chiedo di farvi forza perché i primi giorni in questo tipo di indagini sono quelli più importanti.»
«Quando potremo celebrare il funerale? Quando ce la ridaranno?»
«Presto, signora, presto. Le assicuro che il medico legale si prenderà cura di lei nel migliore dei modi e ve la restituirà prima possibile.»
«Ci faccia queste domande» disse il padre della vittima, con voce rassegnata.
Santamaria si mosse sulla poltrona che scricchiolò, mettendolo più a disagio di quanto non lo fosse già.
«Sì, grazie. Roberta era laureata in Lettere antiche con indirizzo Archeologia, giusto?»
«Sì» rispose la madre. «Centodieci e lode. Era bravissima in tutto. Quando l’abbiamo avuta io avevo già superato i quarant’anni e suo padre i cinquanta. Non ci sembrò vero di aver ricevuto un simile dono dal cielo. E ora…»
«Il lavoro di vostra figlia, alla Fondazione, non era a tempo pieno. Ci chiedevamo se c’erano altri motivi dietro alla scelta di Roberta di andare a vivere a Peccioli. In fondo Pontedera è vicina, avrebbe potuto spostarsi ogni giorno.»
La donna abbassò gli occhi e scosse il capo. Il maresciallo notò che il marito le strinse più forte la spalla, come per vincere la sua esitazione.
«Chi lavora nell’ambito dei beni culturali non ha vita facile» disse infine la donna. «Per un posto come quello di Roberta ci sono fior di laureati che farebbero follie. Per lei, comunque, il trasferimento era stato una scelta volontaria. Voleva vivere da sola lontano da… tutto e tutti.»
C’era la possibilità che dietro l’esitazione di quella affermazione potesse nascondersi un’altra verità, rifletté Santamaria. Che Roberta Savio si fosse trasferita per allontanarsi da quei due genitori anziani.
«C’è un motivo che l’aveva spinta a farlo? Un trauma? Un’esperienza negativa? Un…»
«Una delusione d’amore» lo interruppe la madre. «Un ragazzo, collega di università, l’aveva illusa e poi… Roberta ha sofferto e…»
«E?» chiese Santamaria sporgendosi in avanti dalla poltrona.
Il marito tolse la mano dalla spalla della donna e gliela mise in grembo, afferrando la sua, rassicurante.
«Ha tentato di togliersi la vita. Due volte.»
«Mi dispiace, signora.»
«Non s’è mai ripresa» intervenne il padre. «Maledetto.»
«Questo ex… questo ragazzo. Sapete se erano ancora in contatto?»
«No, dopo la storia con nostra figlia si è arruolato. Mi pare in Polizia, ma non ricordo bene. All’università aveva fallito, non era riuscito a laurearsi. Non so dove sia adesso, Roberta mi aveva detto che sta da qualche parte in Lombardia, e che ha una fidanzata, ma era difficile parlare con lei di questo argomento, si chiudeva a riccio.»
«Ho bisogno di sapere il suo nome.» Poi fece cenno a Surricchio che dalla divisa estrasse un taccuino e una penna.
«Non lo sappiamo» rispose la donna. «Roberta non ha mai voluto dircelo.»
«Possibile?»
«Era una ragazza riservata, non riusciva a entrare in confidenza con noi su certe questioni. Abbiamo saputo di questa storia d’amore solo dopo, quando era già finita. E lui, comunque, quel ragazzo, nemmeno si ricorderà di nostra figlia, anche se lei lo ha amato tantissimo. La realtà è che le cose non vanno come in quei romanzi che consumava come l’aria. Un sentimento che per lei contava più di ogni altra cosa, per lui sarà stato poco più di un fastidio.»
«Avete già risposto a questa domanda… Provo a rifarvela. Vi risulta che Roberta vedesse qualcuno? Anche per una semplice amicizia?»
«Tornava qui quasi tutte le settimane» rispose il padre, riprendendo la mano dal grembo della moglie. «Tranne quando aveva lavoro a Peccioli. Quand’era qui non usciva, se ne stava in camera a leggere, a guardare i telefilm. E a scrivere con quel coso, il tablet.»
«Roberta aveva un tablet?»
«Sì» rispose la madre. «Da qualche mese. E ci passava parecchio tempo.»
«Lo avete qui?»
«No. Lo teneva sempre addosso. Era gelosa. Quando mi avvicinavo incuriosita da quel marchingegno, lei lo spegneva.»
«Quanto era grande, signora?»
«Così, poco più di un cellulare.»
Una ruga si aggiunse a quelle sulla fronte: «Ma perché, non lo aveva con sé quando l’avete trovata?».
«No. Ma lo troveremo, vedrà.»
«Avete cercato a casa sua? Di certo lo teneva lì quando era al lavoro.»
«Abbiamo perquisito l’appartamento, signora. Ma non si sa mai, può esserci sfuggito. Cercheremo meglio.»
Santamaria si alzò per congedarsi, i due anziani lo imitarono, muovendosi a fatica. Il dolore della loro perdita aveva influito sui gesti quotidiani più di qualsiasi acciacco dovuto all’età.
«Signori, vi rinnovo le mie condoglianze e quelle del capitano Rambaldi. Vi terremo informati.»
I genitori di Roberta annuirono stanchi, poco convinti. A quel punto, almeno quella fu l’impressione del maresciallo, l’esito dell’indagine non avrebbe fatto alcuna differenza per Alberto e Maria Savio. La figlia era tutto ciò che avevano e di colpo si ritrovavano ad affrontare gli ultimi anni senza uno scopo, una prospettiva. Qualcuno, nell’alto dei cieli o nello sprofondo della terra, aveva stabilito che l’inverno della loro esistenza sarebbe stato segnato da quel dramma inatteso e perenne.