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Mauro Rambaldi si lasciò alle spalle Peccioli e percorse, con la Jeep Renegade, la provinciale 41, fino a incrociare la strada comunale di Ghizzano. A quel punto voltò a destra, in direzione sud est, come da indicazioni di Santamaria.

Era un marzo anomalo. Nonostante le temperature virassero ormai su medie primaverili, sembrava che le giornate stentassero ancora ad allungarsi, perché il cielo era sempre coperto. Alle 18.30 era buio come in pieno inverno.

Rambaldi faticò a individuare la chiesa di San Giorgio e quando se la trovò davanti, dopo l’ultima doppia curva, fu costretto a improvvisare una seminversione di marcia per infilarsi nel minuscolo centro abitato di Cedri. Se gli spacciatori fossero stati in zona, voleva evitare di allarmarli. Parcheggiò lontano dalla chiesa e spense il motore. Rimase qualche minuto seduto controllando la situazione dagli specchietti retrovisori. Il piccolo borgo era deserto. Benché ci fosse qualche finestra accesa, nella piazza non si vedeva anima viva.

Mauro oscurò le luci dell’abitacolo e scese dall’auto senza fare rumore. Avanzò verso la chiesa, tenendosi radente al muro delle case che creavano un fronte unico sulla piazza stretta e lunga. Si fermò tra le ultime due abitazioni prima del sagrato, sperando che nessuno uscisse in quel momento. Avrebbe faticato a spiegare cosa ci faceva nascosto lì, al buio. C’era un grosso cespuglio di oleandro dietro cui si andò a sistemare.

All’improvviso, il basso ruggito di un motore monocilindrico, poi il cono di luce, sempre più intenso. Lo scooter imboccò la strada che costeggiava un lato della chiesa di San Giorgio. C’erano due ragazzi in sella. Era il tratto di via Cedri che Galassi aveva riconosciuto nel video come probabile luogo di spaccio. Mauro prese il tempo e attese. Dopo due minuti scarsi, lo scooter riapparve e ridiscese lungo la via dalla quale era arrivato. Trascorsero altri due minuti ed ecco due fari di un’automobile che proseguì dritta. Una Fiat Punto rossa. Nei successivi venti minuti di appostamento, contò altri due scooter e tre macchine delle quali annotò mentalmente modello e colore. Troppo traffico per un tratto di strada che si addentrava nel nulla della campagna pecciolese. Qualcuno, dietro alla chiesa, stava spacciando.

Doveva avvicinarsi ancora. Arrivato di fronte alla chiesa, evitò un mucchio di sabbia e un bancale di mattoni per affacciarsi sul lato destro. Sotto un’impalcatura di tubi innocenti, notò le sagome aggressive di due moto scure, parcheggiate in modo che fossero invisibili dalla piazza. Poi, la luce di un faro rischiarò il sagrato.

Una macchina stava salendo dalla doppia curva e lo avrebbe illuminato in pieno, davanti al muro bianco. Aveva pochi secondi per decidere e si andò a riparare dietro alle moto.

Accucciato, immobile, vide passare un suv scuro. L’auto si fermò poco più avanti, ma da quella posizione riusciva a scorgerne solo le ruote posteriori. Tese l’udito per carpire stralci di conversazione tra i venditori e l’acquirente, ma senza successo. Poco dopo il suv ripartì nella stessa direzione.

Protetto da una nuova oscurità, Rambaldi pensò che fosse giunto il momento di avvisare Santamaria. Un’operazione lampo per arrestare i bikers. Bloccare la strada da entrambi i lati avrebbe richiesto troppo tempo, ma lui poteva approfittarne per mettere fuori uso le moto degli spacciatori e impedirgli la fuga.

Digitò un messaggio per Santamaria: I NÓMADAS SONO QUI. RAGGIUNGETEMI SUBITO.

Ripose lo smartphone in tasca e iniziò ad armeggiare con il motore di uno dei bolidi a due ruote. Provò a staccare un cavo dalla batteria quando un rumore secco alle sue spalle gli suggerì che non sarebbe stato facile. Si gettò a terra in tempo per evitare la bastonata che centrò il sellino della moto.

L’aggressore era una sagoma scura che incombeva minacciosa. Si preparò a colpire di nuovo sollevando in aria un paletto con la punta acuminata. Mauro si coordinò puntando le mani al suolo, si diede lo slancio e lo colpì con un calcio allo sterno. L’uomo volò all’indietro e il paletto gli cadde dalle mani. Mentre si stava rialzando, Mauro fu travolto da un secondo aggressore che lo abbrancò gettandolo di nuovo a terra. Dibattendosi, Rambaldi agitò le braccia e, al terzo tentativo, lo centrò con una gomitata al volto, liberandosi dalla stretta. Un colpo secco, il rumore di un ramo spezzato. Il naso rotto. La conferma fu la bestemmia rabbiosa che echeggiò in quel luogo sacro.

Rambaldi si alzò, portando la mano alla fondina a scomparsa agganciata alla cinta. Era vuota.

«Eccola!» urlò da terra il tipo che gli era piombato addosso.

Era allungato a pancia in su e lo teneva sotto tiro con la sua Beretta AXP stretta nelle due mani. Il tenue riverbero di un lampione risaltava i contorni della faccia insanguinata con occhi spalancati di furore.

Quello che lo aveva aggredito col bastone si stava rialzando. Prima che Rambaldi tentasse il tutto per tutto, le luci accecanti di due torce mag-lite illuminarono a giorno la scena obbligandoli a distrarre lo sguardo. Anche l’uomo a terra si era voltato e Rambaldi ne approfittò per sferrare un calcio alla sua pistola che finì a qualche metro di distanza.

«Carabinieri! Non ti muovere, stronzo!»

Era la voce di Santamaria. Puntava un mitra PM12 sull’uomo a terra, mentre il brigadiere Corda, con una torcia nella mano e la pistola d’ordinanza nell’altra, teneva sotto tiro il suo complice. «Inginocchiati e mani sulla testa, subito!» gridò a sua volta.

Rambaldi si affrettò a raccogliere la sua pistola mentre l’appuntato Galassi ammanettava i due spacciatori con pochi rapidi gesti.

I tre carabinieri in abiti civili si muovevano con una sicurezza e una coordinazione che stupirono il capitano.

«Maresciallo, o a Peccioli avete il teletrasporto o lei ha disobbedito ai miei ordini.»

«Signor capitano, mi deve scusare. Abbiamo optato per una gita in campagna. Se intende punirmi non farò ricorso.»

«Stavolta lascerò correre».

Il PM Gaspare Brogi stava sistemando una cartella di appunti nella ventiquattr’ore. Li avrebbe riguardati dopo cena, nel suo studio, con il sottofondo sonoro di uno sceneggiato televisivo, proveniente dal soggiorno. Sua moglie, come ogni sera, gli avrebbe fatto compagnia a distanza, seduta sul divano davanti alla tv con l’immancabile tisana al limone e zenzero. Era il loro modo di passare le serate insieme, separati ma vicini, protetti dalla routine delle loro abitudini. Brogi aveva già indossato il loden verde, raccolto chiavi e cellulare dalla scrivania quando la segretaria gli passò la telefonata di Duccio Mascagni, il sindaco di Peccioli.

«Gaspare, scusa se ti chiamo a quest’ora. Non l’ho fatto prima per non disturbarti nel pieno del lavoro.»

«Non ti preoccupare, Duccio. Che succede?»

«In realtà speravo di avere notizie sulle indagini. Il capitano Rambaldi non si è più sentito, so che lui e i suoi hanno interrogato decine di persone in paese. Gli abbiamo procurato una consulente per la questione dei resti di Isadora, Daria Del Colle, una archeologa che ha seguito gli scavi. Mi chiedevo se ci fossero aggiornamenti.»

«Duccio, sono passati due giorni, un’indagine per omicidio è una faccenda complicata. Mi hai chiesto aiuto e io ti ho mandato il migliore sulla piazza ma ora devi avere pazienza.»

«Lo so Gaspare, e non voglio essere d’intralcio. Il fatto è che… sai, sono il sindaco di Peccioli e questo delitto lo vivo come un fatto personale. Riguarda l’intera comunità che rappresento. Vorrei sapere di più per potermi rendere utile.»

«Ascolta, facciamo così… Parlerò con Rambaldi e gli chiederò di passarti a trovare in Comune, d’accordo?»

«Va bene, Gaspare. E scusami se mi sono permesso, non volevo crearti nessuna difficoltà.»

«Stai tranquillo… è solo che preferisco fare le cose nel modo giusto per evitare che qualcuno possa equivocare i nostri rapporti. È meglio che parli direttamente con Rambaldi.»

«Certo, hai ragione. Allora grazie.»

Nella penombra del suo ufficio, Duccio Mascagni rimase per un po’ a fissare il telefono. Poi afferrò la cornetta e digitò un numero che sapeva a memoria.

«Pronto?» rispose una voce di donna.

«Sono io. Domani parlerò con l’investigatore che sta seguendo il caso per sapere se ci sono novità.»

«Credi che… pensi che possano scoprire qualcosa?»

«No, penso di no. Ma non sono tranquillo.»

«Nemmeno io. Ho paura. Questo delitto è come un incubo che si ripresenta all’improvviso a chiedere il conto.»

«Dobbiamo mantenere i nervi saldi. È impossibile che ci coinvolgano… ma voglio lo stesso essere aggiornato sulle indagini. Quando avrò parlato con Rambaldi ti farò sapere.»

«Va bene Duccio. Allora aspetto tue notizie.»

Agnese Sinibaldi chiuse la comunicazione.