Capitolo 31

“La verità di un uomo è innanzitutto ciò che nasconde.”

- André Malraux

Cletus

Fu una bellissima cerimonia.

Jethro, cosa che non sorprese, non era nervoso. Il mio fratello più grande non era un tipo nervoso. Ma si commosse quando Sienna arrivò all’altare. Diamine, ci commuovemmo tutti.

Fece la sua apparizione sul limitare del campo di fiori selvatici, tutta in ghingheri in una nuvola di vestito bianco, con l’aspetto di un angelo. Sienna era bellissima e il modo in cui guardava mio fratello la rendeva ancora più bella.

Fece tre passi verso l’altare e i miei occhi volarono su Jenn.

La mia Jenn.

La mia Jenn non mi stava guardando. Guardava Sienna con un enorme sorriso felice in volto, per cui non mi vide mentre la fissavo e immaginavo il giorno delle nostre nozze. Immaginai il momento in cui sarebbe apparsa, tutta in ghingheri in una nuvola di vestito bianco, con l’aspetto di un angelo. O forse saremmo scappati per sposarci, solo io e lei. Magari in Alaska, dove avremmo tenuto la cerimonia ristretta sotto un cielo sorprendente. Sinceramente, non mi importava.

Forza d’animo virtuosa, mi ricordai. Pazienza. I due promemoria mi resero scontroso, per cui mi concentrai sulla magnifica cerimonia e sulla felicità di mio fratello.

Una volta pronunciati i Sì, lo voglio, iniziarono i festeggiamenti. Andai in cerca di Jennifer non appena il gruppetto delle damigelle e dei testimoni arrivò dove si sarebbe tenuto il ricevimento.

Una grande tenda era stata eretta sul retro della proprietà, con un’enorme pista da ballo che copriva un’ampia area sia sotto che fuori dalla struttura temporanea. Piatti tradizionali messicani e piatti casalinghi tradizionali del Tennessee erano fianco a fianco sul buffet, assieme a dei piatti vegani per quei lunatici che non mangiavano carne.

La buona notizia fu che trovai Jenn quasi immediatamente. La cattiva fu che stava parlando con Jackson James.

Tornai a sentirmi scontroso e anche peggio. Iniziai a calcolare una traiettoria per intercettarla, ma fui fermato da una mano sul mio gomito. Irritato, mi girai, pronto a liberarmi dalle dita dell’usurpatore.

Ma era Claire. Per cui non lo feci. Ricambiai invece il suo sorriso.

«Claire McClure, ci incontriamo di nuovo.»

Il suo sorriso si allargò e lei si mise a ridere, stringendomi in un abbraccio. «Ciao, Cletus. Come stai?»

«Oh, la mia condizione è perfettamente adeguata.» Mi tirai indietro e le afferrai la mano, portandomela nell’incavo del gomito. «Non andartene, balla con me.»

«Solo se canti una canzone con me.»

Scossi la testa. «Allora immagino che non balleremo.»

La sua bocca si strinse in una linea frustrata. «Andiamo, canta con me. Ti meritavi quel contratto con la casa discografica tanto quanto me e invece ti sei ostinato a voler rimanere dietro le quinte.»

«Questo perché chi resta dietro le quinte si becca tutte le Regine della torta alla banana.»

«Bene.» Clarie annuì con ardore. «Avevo in mente di tormentarti tutta la giornata riguardo a lei, ma sono contenta che finalmente tu sia rinsavito. Voi due siete perfetti l’uno per l’altra.»

«Lo siamo, non è vero?» I miei occhi cercarono automaticamente Jennifer e mi accigliai. Jackson James aveva detto qualcosa che l’aveva fatta ridere.

Mutandone pruriginoso.

Ma poi mi sorpresi a sorridere quando la mia attenzione venne catturata dalla bocca di Jennifer. Ogni suo sorriso era il benvenuto, sotto qualsiasi forma, persino se era stato Jackson a portarlo sul suo bel volto.

«Per cui non c’è modo di convincerti a cantare con me?» insistette Claire.

«No.» Presi un respiro profondo, girandomi verso di lei e spostando la sua mano dal mio braccio, ma tenni ancora intrecciate le nostre dita. «Aspiro ad altri raggiungimenti, non al successo mondiale e anche tu, lo so. Ma Claire, sono contento che tu sia finalmente rinsavita e abbia firmato quel contratto. Sei una stella troppo brillante per restare nascosta sotto gli occhi di tutti.»

«Come sei poetico, Cletus. Mi sa che te la ruberò per una canzone.»

«Fai pure. Per come la uso io, non ci farò mai soldi.»

Gli occhi di Claire passarono sul mio volto, come se le fossi caro. E immagino che lo fossi, in un certo senso, e che tutti noi lo fossimo, persino Billy. Come se mi avesse letto nel pensiero, il suo sorriso si affievolì e il suo sguardo scese dal mio volto al mio papillon. Liberò le sue dita dalle mie e mi aggiustò il papillon, mi passò le mani giù lungo i baveri della giacca e si alzò in punta di piedi per baciarmi la guancia.

«Grazie di aver creduto in me, Cletus. Uno di questi giorni mi sdebiterò.»

Annuii, ponderandola, studiandola, poi decisi di correre il rischio e suggerii gentilmente: «Se vuoi sdebitarti, vai a chiedere a Billy di cantare con te.»

Un lampo di dolore bruciò vivido dietro i suoi occhi e il suo sorriso svanì, e si tramutò in un cipiglio ansioso. Scosse la testa, dicendo piano: «Lui non vuole cantare con me.»

Questa negazione mi fece sbuffare in una risata. «Oh, Claire. Lui vuole cantare solo con te. E con nessun’altra. Mai con nessun’altra. Solo con te.»

Le mie parole non riuscirono in alcun modo a placare l’ansia nella sua espressione. Anzi, sembrarono acutizzarla. I suoi occhi schizzarono via, in cerca di qualcosa, e si dipinse in volto un sorriso forzato.

«Credo che Jennifer ti stia cercando.» Claire indicò alla mia destra e io seguii il suo sguardo.

E infatti Jennifer ci stava guardando, sorridendo. Salutò felice Claire con un gesto della mano, poi i suoi occhi magnifici si spostarono su di me. Il suo sorriso crebbe ancora di più.

«Salutala da parte mia.»

Sentii Claire stringermi il braccio, ma quando mi girai verso la mia amica vidi solo la sua schiena che si allontanava. La guardai contrariato, lei e la sua ostinazione a commettere sempre lo stesso errore. Non la capivo.

Testarda di una donna.

Era chiaramente innamorata di mio fratello.

Ma non potevo farci niente. O almeno, non potevo farci ancora niente. Forse più avanti.

Riportai la mia attenzione su Jenn e Jackson e ripresi la mia traiettoria originale girovagando, ma dritto verso la mia donna.

«Jackson» salutai non appena arrivai accanto a loro, assicurandomi di mantenere un tono piatto quanto le gomme della sua auto.

Ancora non erano a terra, ma lo sarebbero state.

Lui voltò i suoi occhi marroni e sorridenti su di me, e gli si spensero quando passai il braccio attorno ai fianchi di Jenn e le premetti un bacio sul collo.

«Ehi» dissi, ignorandolo.

Jenn mi sorrise, e mi passo anche lei il braccio attorno ai fianchi. «Ehi.»

«Come stai?»

Il suo sorriso si ampliò e i suoi occhi si abbassarono sulle mie labbra. «Mi sei mancato.»

Le sono mancato. La vita è bella.

Imitai il suo sorriso, e proprio quando stavo per suggerirle di imbucarci da qualche parte, Jackson si schiarì la gola.

«Ciao, Cletus» disse, attirando di nuovo la nostra attenzione sulla sua faccia irritante. Lo avevo ignorato talmente bene da dimenticarmi che fosse ancora lì.

«È stata una bella cerimonia» concesse per gentilezza.

«Lo è stata» ammisi, con tono ancora piatto.

Si grattò il collo. Seguii il movimento con lo sguardo mentre Jennifer mi dava una stretta decisa.

La mia irritazione andò alle stelle perché sapevo cosa significava quella stretta. Lei voleva che parlassi a Jackson James, ecco cosa significava quella stretta.

Oh buon Dio.

«Vado a prendere qualcosa da bere, così voi due potete parlare» sottolineò eloquentemente Jennifer, liberandosi dalla mia stretta e lanciandomi un gran sorriso incoraggiante al tempo stesso. «Vuoi qualcosa?»

Con le labbra le mimai “tu” e lei socchiuse le palpebre, scuotendo impercettibilmente la testa e lanciando occhiate a Jackson. Di nuovo, occhiate eloquenti.

«Prendo una birra a entrambi» disse. «Aspettatemi qui.»

Jenn se ne andò, attirando i miei occhi sulla sua figura che si allontanava. Seguii i suoi movimenti finché non sparì tra la folla.

E poi riportai la mia attenzione su Jackson e lo guardai torvo. Ma lui non mi stava guardando. Scrutava tra la folla, i suoi occhi cercavano tra i volti degli invitati.

«Non conosco la maggior parte delle persone, ma credo di riconoscerne qualcuna» osservò, dal nulla, come se fossimo in termini di scambiare chiacchiere amichevoli.

Il mio cipiglio si fece più severo ed ero sul punto di respingere la sua confidenza, ma poi pensai a Jennifer e a come mi avesse chiesto di dare una possibilità alla pace fra noi. Dannazione.

Raddrizzando la schiena, incrociai le braccia sul petto e iniziai anch’io a scrutare tra la folla. «Perché molti invitati sono stelle del cinema, amici di Sienna e simili.»

Lui annuì distrattamente, la sua attenzione era stata catturata da una bruna alta. «Non vorrei indicare, ma credo che quella sia Raquel Ezra.»

Aveva ragione. La bruna alta era Raquel Ezra, l’ultima bomba sexy di Hollywood. Distolsi lo sguardo, d’istinto mi ritrovai a cercare di nuovo Jenn. La trovai in attesa al bar, che mi fissava decisa, con le mani sui fianchi. Il suo messaggio era chiaro. Alzai gli occhi al cielo.

Rassegnato, mi girai verso Jackson. «Le cose stanno così, Jack.»

I suoi occhi tornarono di scatto nei miei e vidi che o il mio tono, o le mie parole, l’avevano lasciato sorpreso.

Pronto a farla finita con quella farsa, mi lanciai nel mio reclamo: «Non mi piace quando mi fermi in macchina senza motivo, facendomi perdere tempo. E non mi piace neanche quando fermi i miei fratelli. E non mi piace il modo in cui hai trattato mia sorella al liceo, ma immagino che ormai non si possa più fare niente al riguardo. Pertanto, d’ora in avanti, vorrei che la smettessi di abusare del tuo potere e iniziassi a seguire l’esempio di tuo padre.»

Mi scrutò, inclinando leggermente il capo da un lato. «L’esempio di mio padre?»

«Sì. L’esempio dello sceriffo. Sai. Come un tosto ufficiale di eccezionale soggezione e rettitudine.» Annuii con un cenno, riflettendo sulla descrizione, e poi aggiunsi: «E di umiltà. È bravo anche in questo.»

Inaspettatamente un lato della bocca di Jackson si sollevò e i suoi occhi, invece di spegnersi e imbronciarsi, come mi ero aspettato, si scaldarono di rispetto.

«Va bene. Smetterò di fermarti e di farti perdere tempo.»

Lo guardai sospettoso, questo Jackson James che non si comportava come io avevo previsto. «Davvero?»

«Sì.»

«Vale lo stesso per i miei fratelli?»

«Duane parte con Jess questa settimana, per cui non credo che avrò più occasione di fermarlo.» Alzò le spalle. «Ma vorrei sostenere che fosse una mia prerogativa dargli noia a mio piacimento, dal momento che esce con mia sorella.»

Riflettei sulla sua logica, ma prima di poter decidere se fossi o meno d’accordo, lui proseguì.

«Dal momento, però, che Duane ora parte, non ho più motivo per fermare Beau» aggiunse pensieroso, mentre la sua attenzione si spostava nuovamente verso la star del cinema Raquel Ezra. Alzò il mento verso di lei. «Pensi abbia qualche possibilità?»

Io lo fissai, questo suo consenso dato senza problemi mi rendeva sospettoso. Poi fissai la signorina Ezra, valutando automaticamente la situazione.

«Non lo so» risposi sinceramente. Avevo sentito per caso Sienna dire a Jessica che la signorina Ezra era estremamente aperta di mente riguardo la sua sessualità ed era nota per le sue inclinazioni che prevedevano manette e sexy toy. Decisi di non condividere quell’informazione con Jackson. «Non sembra che sia accompagnata, questo è un bel vantaggio.»

Lui fissò la donna e poi, di nuovo dal nulla, disse: «Sei un uomo molto fortunato, Cletus. Jennifer è una donna bellissima.»

Concordai annuendo, ma gli dissi: «Hai ragione e ti sbagli.»

Gli occhi di Jackson scrutarono i miei. «Perché?»

«Ecco, hai ragione. Jennifer è una bellissima donna. Ma ti sbagli perché non è per questo che sono fortunato.»

Le sue sopracciglia schizzarono in alto, chiaramente per la sorpresa alla mia risposta e io gli battei la mano sulla spalla e lo scrollai un poco.

«Grazie della chiacchierata, Jack.»

«Jackson» mi corresse, allontanandosi dalla mia presa ma rivolgendomi un sorriso divertito.

«Vedremo» dissi, poi mi girai e puntai dritto su Raquel Ezra, mentre riconsideravo dentro di me gli eventi sconcertanti degli ultimi minuti.

Non mi fidavo particolarmente di Jackson, ma mi era parso sincero. E se era sincero, allora Jenn aveva avuto ragione. E se Jenn aveva avuto ragione… beh, allora questo provava quanto straordinaria fosse.

«Mi scusi» dissi, picchiettando con un dito il braccio della signorina Ezra.

La donna si portò i lunghi capelli bruni sopra la spalla. Il suo sguardo ispezionò accuratamente il mio corpo e le mie fattezze, e infine lei lo alzò nel mio.

«Sì?» disse, con un sorriso che le incurvava le labbra tinte di rossetto; si avvicinò di un passo.

Ricambiai il suo sorriso. «Mi chiamo Cletus Winston, sono il fratello di Jethro. Sienna ci ha parlato meravigliosamente di lei.»

«Sienna è il massimo» disse Raquel, sentita.

Mi girai, indicando Jackson James. «Il mio amico laggiù è un agente di polizia, lavora nelle forze dell’ordine locali.»

La sua attenzione si spostò su Jackson e io vidi gli occhi di lui spalancarsi, e saltare tra la signorina Ezra e me. Lei condusse lo stesso rapido esame con Jackson, proprio come aveva fatto con me. «Oh? Davvero?»

«Davvero. E ha con sé le sue manette.» Le rivolsi un sorriso tranquillo. «Tanto per dire.»

Le sue labbra si sollevarono da un angolo e i suoi occhi marroni danzarono in una risata. «Grazie dell’informazione.»

«Nessun problema. Le auguro una buona serata.» Le rivolsi un accenno di inchino e mi girai verso il tavolo a cui avevo visto Jennifer l’ultima volta.

Ero determinato a baciarla. Non ci baciavamo come si deve dalla notte precedente. Forse poi avremmo ballato. E forse, poi l’avrei rapita e le avrei detto che aveva avuto ragione. Pensai che non mi sarei mai stancato di dirle che aveva ragione.

«Pensa ai tuoi piedi.»

«Non c’è niente che non vada coi miei piedi. Mettimi giù.» Rise e la sua risata era come il paradiso. La bramavo.

Due ore fa, Sienna e Jethro erano stati dichiarati moglie e marito. Jennifer aveva preparato la torta, che non era alla banana, visto che Jethro odiava le banane, e i festeggiamenti stavano continuando all’esterno.

Ma noi eravamo all’interno, avevamo bevuto entrambi tre bicchieri di champagne e in questo preciso istante eravamo diretti verso la mia camera da letto. E lei continuava a ridere. Per quanto mi piacesse la sua risata, mi piacevano anche gli altri suoni che emetteva. Pertanto, non appena entrammo nella mia stanza da letto, mi prodigai per sentire quegli altri suoni.

La baciai non appena superammo la soglia e lei rise contro la mia bocca. «Stai cercando di distrarmi? Perché sta funzionando.»

«Niente affatto.» Chiusi la porta con un calcio e la feci scivolare giù dalla mia presa, posandola con i piedi sul pavimento con un movimento fluido. «Sono solo molto preoccupato per la salute delle dita dei tuoi piedi.»

«E perché mai?» Jennifer puntò il suo sguardo acceso e brillante su di me mentre si lisciava il vestito. Era viola scuro e le aderiva al corpo, facendomi desiderare di scollarglielo di dosso. Volevo scartarla.

«Perché penso mi piacerebbe succhiarle.»

Lei si raddrizzò appena, alzando un sopracciglio verso di me. «Cosa?»

«Vorrei succhiarti le dita dei piedi.»

«Sembra sgradevole. Per tutti e due.»

Ghignai ma non troppo, spingendola a indietreggiare finché le sue gambe non toccarono il bordo del letto. «Proviamo e vediamo, che ne dici?»

«Sei serio?» Si fermò giusto prima di cadere all’indietro, i suoi occhi tradivano la sua incredulità. «Stai scherzando. È uno scherzo.»

«Niente affatto. Sono serio come… come...»

Il suono e la sensazione di Jennifer che mi slacciava la cintura dei pantaloni mi fece accigliare. «Cosa stai facendo?»

Le sue dita lavorarono rapide sulla mia cerniera e in un niente i miei pantaloni e i boxer furono attorno alle mie caviglie. Senza dire nulla, lei ci scambiò di posizione e poi mi spinse a sedere sul letto. Inginocchiandosi tra le mie gambe, mi diede un bacio frenetico, afferrò le mie mani e le premette sui suoi seni da sopra il vestito. Jennifer interruppe il nostro bacio solo quanto bastava per dire cose essenziali come:

«Ti amo.»

E:

«Voglio che mi tocchi.»

E poi:

«Ma prima ti faccio un pompino.»

Ora, lo ammetto, ero distratto. Un uomo può rimanere concentrato solo fino a un certo punto. Quando gli venivano messi in mano due seni perfetti tutti gli altri pensieri necessariamente si troncavano all’improvviso e tutta l’attenzione veniva ridiretta nei palmi delle mani.

Mi ci vollero parecchi secondi per decifrare il significato del suo farneticare, ma quando lo feci era troppo tardi. Ero già dentro la sua bocca.

«Oh!» Cazzo.

Emisi un respiro sbigottito e il mio cervello si spense. Semplicemente… l’interruttore si abbassò. Il cervello appese il cartello “CHIUSO” e se ne andò. Ultimamente mi ero sbagliato su moltissime cose. Ma questo, aver respinto la richiesta di Jennifer di fare questo la scorsa settimana, era stata la più sbaglierrata di tutte.

Capite? Il cervello se ne era andato. Sbaglierrata non è una vera parola. Ma io non lo sapevo. Sapevo solo che non avrei mai voluto che finisse, ma che sarebbe finito. Sarebbe finito in un lasso di tempo breve a livello mortificante. E non c’era una sola cazzo di cosa che potessi fare al riguardo.

I suoi occhi si sollevarono nei miei, pieni di eccitazione e fiducia, e io grugnii.

Si fermò, prendendomi in mano e negandomi la sua bocca. «Va bene? Lo sto facendo bene?»

«Sei talmente perfetta che non ho parole per descrivere quanto tu sia perfetta» dissi tutto d’un fiato, ma poi la tenni per le spalle quando si mosse per tornare da me con la sua bocca. «Aspetta. Sto per venire e tu non vuoi...»

«No. No. Va bene. Ho letto qualcosa al riguardo. Va bene. Sono preparata. So cosa sto facendo.»

E detto quello, mi riprese nuovamente in bocca. Un verso involontario mi scappò dalla gola e poi un altro. Più tardi, avrei ringraziato Jethro per aver ingaggiato una band dal vivo, perché non ero certo silenzioso, ma non mi avrebbe sentito nessuno.

Stavo per morire. Stavo per morire da quanto era bello.

Ma non lo feci. Venni, col desiderio di infilarle le dita nei capelli e invece mi aggrappai al piumino ai lati delle mie cosce.

Lei concluse e io caddi all’indietro sul letto, allungando la mano per cercarla. Ma non la trovai. Con un occhio aperto la guardai piegarsi di lato, prendere un asciugamano che in precedenza era nascosto e tamponarsi la bocca. Poi prese una bottiglia nascosta di collutorio e si sciacquò la bocca, usando un altro asciugamano. Infine, prese una bottiglia d’acqua nascosta e bevve un sorso.

Allora e solo allora venne da me, e si stese stringendosi al mio fianco, con un sorriso compiaciuto sulle labbra. «Allora, sono stata perfetta?»

Esalai una risata incredula, godendomi la vista del suo momento trionfale, godendomi lei. «L’avevi pianificato.»

Il suo sorriso si allargò. «Sì.»

«Sei una furbona.»

Annuì. «Lo sono.»

Scossi la testa, pensando a lei, pensando a me.

«Ti amo» dissi, e respirai, e sentii, e seppi e ci credetti. Avevo fede in Jennifer. Avevo una fede immensa in lei.

E lei aveva fede in me quando rispose: «Io ti amo di più.»

Questa era la nostra vita. Questa donna era il mio futuro. Sarebbe diventata la madre dei miei figli.

Questo era il nostro inizio.

Non vedevo l’ora che arrivasse la metà.

E non avrei mai voluto che finisse.