“L’amore porta alla luce le qualità elevate e nascoste dell’amante, ciò che vi è in lui di raro ed eccezionale. Così trae in inganno su ciò che rappresenta la norma”
- Friedrich Nietzsche
Un piano rettificato iniziò a prendere forma. E, come da consiglio di Ashley, prevedeva un ricatto.
Dopo una breve sosta a casa di Claire – e una chiamata ancora più breve alla donna vera e propria – Jethro fu tanto gentile da accompagnarmi alla pasticceria Donner per poter recuperare un oggettino dal contenitore della farina senza glutine. Poi ci ricondusse alla casa dei Winston.
Non ero nervosa. Ero impaziente.
Che diamine. Ero anche nervosa. Ma ero determinata.
Jethro insistette per portarmi in braccio in casa e io sapevo di avere un aspetto disastroso, ma non avevo l’energia per pensarci. Questioni molto più importanti richiedevano la mia attenzione.
Lui aprì la porta d’ingresso e trovammo Cletus che faceva avanti e indietro davanti al caminetto. Alzò gli occhi. Quel giorno non erano blu. Erano di un grigio-verde e apparivano stanchi. Soffriva. Quando il suo sguardo si scontrò con il mio, sentii quella connessione in fondo alla gola e tra le costole. Lo desideravo tanto da star male. L’istinto mi spingeva a rassicurarlo, a dirgli che gli perdonavo tutto, a tenerlo stretto a me e a scacciare il suo dolore a forza di baci. Ma la ragione mi diceva di tirare le maledette redini. Primo, dovevamo parlare di varie cose.
Poi ci saremmo baciati.
Poi ci saremmo baciati ancora.
«Ciao Cletus» salutò Jethro, assolutamente come se nulla fosse. «Come stai?»
Cletus guardò il fratello stringendo le palpebre, poi attraversò la stanza mettendosi davanti a noi.
Ignorando il sorrisetto del fratello, il che era un’impresa notevole, visto quanto erano straordinari i sorrisetti di Jethro, Cletus si rivolse a me. «Jennifer, posso portarti di sopra per parlare di quanto è successo?»
Esitai. Non sapevo se fosse una buona idea restare da sola con lui, almeno per il momento. Ma poi i suoi occhi si mossero sul mio volto, inquieti e tormentati e adoranti. Dissi: «Sì, grazie».
L’ansia che gli segnava il volto sparì un poco, indugiava solo nel suo sguardo ancora tormentato, ma per lo più adorante. Il mio cuore palpitava dalla trepidazione. Nonostante stessi ancora tirando le redini, bramavo comunque il tocco del mio uomo. Bramavo la sensazione di lui, il suo calore, le sue mani e la sua bocca. Bramavo tutto di lui. Bramavo lui.
Per cui, quando Jethro mi passò a lui non potei fare a meno di accoccolarmi contro Cletus, infilando la fronte nell’incavo del suo collo e inspirandolo. Quest’uomo apparteneva a me. Era mio. E mi godetti ogni minuto del nostro tragitto fino al piano di sopra, soprattutto perché quello che sarebbe venuto dopo, quello che avevo pianificato, avrebbe potuto avere come risultato meno contatto. Temevo le conseguenze, ma dovevo essere forte. Meglio approfittare del contatto con lui subito, mentre ne avevo l’occasione.
In cima alle scale, invece di girare verso la stanza di Ashley, si mosse nella direzione opposta, portandomi agilmente verso un’altra porta e poi varcandola. La stanza di Cletus. Prima che potessi dare voce alla mia obiezione, eravamo all’interno e io ero distratta dal trovarmi nel suo spazio. Ogni cosa era ordinata e al suo posto, ma le tracce di lui erano ovunque.
La mia attenzione fu attirata da una scacchiera vicino all’armadio, sembrava essere stata abbandonata a metà partita.
«Non sapevo giocassi a scacchi.» Notai due serie di mosse che il nero avrebbe potuto iniziare e che avrebbero dato scacco matto al bianco.
Lui annuì distrattamente, posandomi gentilmente sul suo letto e sollevando il cuscino contro la testiera, per poi incoraggiarmi ad appoggiarmici. «Così va bene? Ti serve un altro cuscino? Hai sete? Vuoi dell’acqua? O qualcos’altro? Ti andrebbe un tè? So che ti piace il tè.» Voltò le spalle al letto e si diresse verso il suo armadio.
«Cletus, sono a posto. Ma credo che dovremmo...» Non finii la frase. Non ci riuscii. Perché ero troppo confusa.
Cletus aveva iniziato a tirare fuori dei regali dall’armadio. Un regalo dietro l’altro. Ognuno aveva una carta da regalo diversa ed era chiuso con dei fiocchi ricercati. Lo fissai a bocca aperta, lui e la pila infinita di regali. Quando ne ebbe posati almeno quindici sul letto e sul pavimento al mio fianco, finalmente tornai in me.
«Cosa significa tutto questo? Cosa stai facendo?»
«Sono i tuoi regali di compleanno.» Ne mise altri due sul mio grembo.
«Cosa?»
«I tuoi regali di compleanno. Mi sono perso il tuo compleanno, per cui ecco.»
«Cletus, di cosa stai parlando? L’anno scorso non volevi nemmeno conoscermi, perché avresti dovuto comprarmi un regalo?»
Lui si fermò a metà del tragitto dal letto all’armadio e si girò verso di me, le mani sui fianchi. Parlò con tono profondamente irritato. «Avrei dovuto. Avrei dovuto desiderare di conoscerti, e non solo l’anno scorso, ma per tutta la tua vita. Mi sono perso tutti i tuoi compleanni e mi dispiace. Avevo torto, non dovevo perdermi i tuoi compleanni per ventidue volte, per cui ecco i tuoi regali.»
Lo fissai. In effetti, lo fissai a bocca aperta, sbalordita. Il mio bellissimo uomo sembrava così tormentato, si capiva che aveva passato l’ultima mezza giornata ad auto-flagellarsi.
Quando mi aveva scritto per messaggio che aveva torto, diceva sul serio. Ci credeva veramente. E io credevo a lui.
Cletus si girò, andò all’armadio e recuperò altri tre pacchi regalo incartati, la sua espressione era tirata dal dolore e traboccante di auto-recriminazione.
Prima che si voltasse di nuovo, gli afferrai il braccio. «Aspetta. Aspetta un momento. Davvero, smettila. Smettila di portarmi dei regali, uomo dolce, terribile, esasperante, esilarante e intelligente.» Per quando terminai la mia frase stavo ridendo e fui deliziata di vedere che parte della sua infelicità era stata rimpiazzata da un debole sorrisetto.
«Mi dispiace» disse, guardandomi con i suoi occhi tristi e grigi, parlando con rochi sussurri. «Mi dispiace così tanto. Avevi ragione. Non mi sono fidato di te.»
Spostai la mia presa sulla sua mano e intrecciai le nostre dita. «Grazie. Grazie di esserti scusato.»
Cletus fece un sonoro sospiro e fece per sedersi di fianco a me, ma rimase bloccato dalla moltitudine di pacchi incartati. Li guardò accigliato. Usando la sua mano libera, li spazzò via dal letto. «Nessuno è fragile» borbottò, rivendicando il suo posto, e mi attirò in un abbraccio stretto.
Ci abbracciammo. Ed era la perfezione. Il suo corpo, il suo abbraccio era dove avrei voluto stare per sempre.
Sperai che in futuro, ogni volta che avremmo litigato, avremmo sempre messo fine alle nostre discussioni con un abbraccio.
Dopo un po’ di tempo, ma solo perché io stavo ancora tirando le mie dannate redini e i cavalli si stavano facendo impazienti, mi staccai da lui, solo per sentire immediatamente la mancanza delle sue forti braccia. «Dobbiamo discutere di alcune cose.»
«Concordo.» Si sistemò sul letto, così che anche lui fosse con la schiena contro il cuscino e mi accolse sotto il suo braccio. Mi baciò il collo, attardandosi come se non volesse staccarsi dalla mia pelle. «Ho molte cose da dirti.»
Mi fermai, accigliandomi, perché il suo tono mi sembrò sinistro. «Aspetta, ci sono altre cose che non mi hai detto?»
Annuì, raddrizzandosi. «Non riguardo a tuo padre. L’ho ricattato, questo è vero. Ma non gli ho fatto niente altro. Conosci già il mio piano per attaccare la lebbra a Jackson James, che è in sospeso, come avevo promesso, ma ho ancora un po’ di carne al fuoco. Vediamo...»
«Aspetta. Fermati. Fermati immediatamente.»
«Come?»
Mi girai per poterlo guardare nei suoi occhi astuti. «Cletus, sei un adulto. Non devi confessarmi niente a meno che non sia qualcosa fatta per mio conto o a mio ipotetico vantaggio. Mi sono fidata di te e ancora mi fido. Non sono il tuo confessore. Non posso assolverti. Devi assumerti la responsabilità delle tue azioni e delle loro conseguenze proprio come faccio io. Come fanno tutti.»
Lui si accigliò, con aria stupefatta, ma alla fine annuì.
Senza perdere tempo, aggiunsi: «Ora, se vuoi parlare della tua giornata o dei tuoi piani per la lebbra, o di qualunque altra cosa, io sono qui per te. Proprio come spero tu ci sarai per me quando vorrò parlare della mia giornata».
«O dei tuoi piani per la lebbra.»
«Sì. O dei miei piani per la lebbra. Non c’è nemmeno bisogno di dirlo.»
Cletus mi rivolse il suo primo vero sorriso e mi baciò rapidamente, come se non potesse trattenersi. «Ti amo.»
Accarezzai col palmo la sua barba selvaggia, e gli avvolsi la mascella. «E io amo te.»
Il suo sorriso crebbe, si scaldò, si incendiò e le sue mani su di me strinsero la presa in un modo che mi sembrò sia istintivo che possessivo.
«È la prima volta che me lo dici.»
«Lo so.» Il mio sorriso rispecchiava il suo. «Perché tu continuavi a interrompermi.»
Gli occhi di Cletus scesero sulle mie labbra e disse, in un roco sussurro: «Ricordami di smetterla di interromperti».
Io mi sforzai di ignorare il desiderio struggente nel mio petto, l’anello di calore attorno al mio collo e mi impegnai a fondo per assumere un tono serio. «Per favore, smettila di interrompermi, perché ho una cosa importante da dirti.» Cercai di voltarmi verso di lui per stargli più vicina, ma era una posizione scomoda. Per cui sbuffai. «Potresti spostarti? Sì, così. Spostati lì così posso mettermi a cavalcioni in braccio a te. Non riesco a vederti in viso.»
«Tanto per la cronaca, non rifiuterò mai una tua richiesta di sederti a cavalcioni su di me.»
Scossi la testa a sentirlo, aspettai finché non si mise al centro del letto e poi salii sul suo grembo e avvolsi le braccia attorno al suo collo. «Così va meglio.»
«Davvero molto meglio.» Il suo tono era roco e mi fece correre un brivido lungo la schiena, che lui inseguì con le sue mani.
Gli afferrai le dita mentre scendevano verso il mio fondoschiena e le premetti contro i miei fianchi. «Come stavo dicendo, dobbiamo parlare di alcune cose. Ne sono successe molte.»
«Concordo.» Annuì con un cenno del capo.
«E la notte scorsa mi hai ferita profondamente.»
Un cipiglio desolato scacciò via la sua vivacità. «Lo so. Cosa posso fare?»
«Le tue scuse sono state d’aiuto. Grazie di esserti scusato.» Deglutii, cercando di sopprimere le farfalle nel mio stomaco. Stargli tanto vicino, in quella posizione, non era stata una buona idea. Gli ormoni volevano farmi abbandonare il mio piano. Volevano correre a briglia sciolta e scartare i miei regali, cominciando dal mio uomo.
Ma non potevo. Non ancora.
«Ecco come andranno le cose: me ne vado da casa dei miei genitori, mi trasferisco da Claire...».
«Concordo.» Fece per baciarmi.
Mi abbassai, schivando la sua bocca. «Da sola.»
Si accigliò con severità, le sue sopracciglia si abbassarono in una linea insoddisfatta. «Non concordo.»
Lo ignorai. «E ho parlato con mia mamma. Mi pagherà per il lavoro che svolgo alla pasticceria Donner. Preparerò anche dolci per Sienna mentre è incinta. Ho qualche idea fondata sulle tortine al limone che le piacciono che potrebbe aiutarla.»
«Torniamo alla parte abitativa del piano.»
Lo ignorai ancora una volta. «Intendo mantenermi da sola, preparando dolci o facendo qualunque altra cosa decida di fare. Perché è giusto e normale che una donna di ventidue anni si mantenga da sola.»
«Sì, ma...»
«Così come tu ti manterrai da solo. Perché è giusto e normale che un uomo della tua età si mantenga da solo.»
Il suo cipiglio si tramutò in uno sguardo sospettoso. «Cosa vuoi dire?»
«Dico che dobbiamo imparare a stare in piedi sulle nostre gambe da soli,» incapace di trattenermi gli baciai il naso, «per poter stare in piedi insieme, alla fine.»
Le sue labbra si appiattirono in un’altra linea insoddisfatta e il suo sguardo stretto si fece ancor più marcato mentre rimuginava sulla faccenda. «E se fossi contrario? Se volessi, tanto per dire, sposarmi e iniziare ad avere bambini adesso?»
Gli rivolsi un sorriso indulgente e scossi la testa. «La risposta è non ancora. Perché non siamo pronti. Io non sono pronta.»
«E se insistessi?» Le sue mani scesero più in basso, le sue dita accarezzarono il mio fondoschiena. «So essere molto persuasivo.»
Io sorrisi, perché era vero.
«Non ti scoraggerò dall’usare ogni singola arma di persuasione del tuo arsenale.» Lui si sporse in avanti per baciarmi e io schivai nuovamente la sua bocca, portando un dito alle sue labbra. «Ma devo avvertirti, al momento sono io in vantaggio.»
Il suo sopracciglio sinistro si alzò e un sorriso deliziosamente monello si impossessò delle sue labbra. «Davvero? Come mai?»
Presi dalla tasca posteriore l’ultima chiavetta USB e la tenni tra noi. Lui la guardò, poi guardò me, poi la chiavetta mentre il suo sorriso svaniva piano piano.
«Quella notte, quando te le ho restituite, non ero riuscita a trovare questa,» spiegai. «L’ho trovata la settimana dopo e intendevo riconsegnartela quando, o se, ti avrei rivisto.»
«È...»
«Sì.»
Una cascata di emozioni scorreva nel suo sguardo. Prima che potesse decidersi su un singolo sentimento, io staccai la sua mano dal mio corpo e misi la chiavetta sul suo palmo. La confusione si impadronì dei suoi lineamenti mentre con gli occhi seguiva i miei movimenti.
«Tieni.» Aspettai che tornasse a guardarmi. «Ora nessuno è in vantaggio sull’altro.»
Il cipiglio di Cletus persisteva mentre mi studiava, ma si tramutò in qualcosa di diverso. Meno confuso, più pensoso. Più determinato.
«Ti sbagli. Tu sei in vantaggio, perché la mia donna straordinaria è astuta e forte e gentile.» Si chinò lentamente in avanti, sostenendo il mio sguardo finché le nostre labbra non si toccarono. Il bacio che mi diede fu sia triste che dolce, rassegnato ed esultante e mi fece a pezzi, per poi ricomporre il mio corpo con migliaia di piccoli frammenti di desiderio struggente. Volevo premermi ancor più vicina a lui. Le mie cosce si tesero sul suo grembo. Volevo vivere quel bacio e toccare la sua pelle e crogiolarmi nel suo calore e nella sua forza per l’eternità.
Quando le nostre bocche si separarono, io inseguii la sua. Ma lui abbassò il mento al suo petto, finché le nostre fronti non si toccarono. «Tu sarai sempre in vantaggio su di me, Jenn. Perché senza di te, io sono perso.»