“O forse c’è un’anima nascosta in ogni cosa, che può sempre comunicare con un’altra, senza emettere suoni.”
-Frances Hodgson Burnett, La piccola principessa
La mia donna era straordinaria.
Era anche intenta ad aprire la zip del mio giubbotto, le sue mani avide scivolavano sul mio petto e stomaco. Io mi tesi sotto la punta delle sue dita e ripresi a stilare la lista di cose non sexy che avevo iniziato in macchina, prima che Jessica ci piombasse addosso con la sua torcia. Stavo compilando un elenco dettagliato di tutti i vecchietti con cui avevo giocato a shuffleboard, con quali avevo vinto e quali avevo lasciato vincere. Gli uomini anziani e orgogliosi facevano le scenate peggiori e pensare ai loro musi insoddisfatti mi avrebbe auspicabilmente aiutato a preservare la mia sanità mentale.
La maggior parte del mio venerdì non era andata come avevo pianificato, ma la situazione stava decisamente migliorando.
Avevo iniziato la mia giornata con un ottimo piano per conquistare il cuore di Jennifer. Non avremmo bruciato le tappe, tutto l’opposto. La prima fase del mio piano prevedeva incrociarla per caso al Piggly Wiggly. Avrei finto che si trattasse di una felice coincidenza. Poi avrei attaccato bottone, come fanno tutte le persone, e durante la conversazione l’avrei invitata a cena.
Sapevo che Jennifer passava al negozio ogni venerdì e ogni domenica per prendere una cassa di banane. Lo sapevano tutti. Per cui arrivai in anticipo, prima che aprissero, e aspettai. Alle quattro del pomeriggio ero preoccupato. Alle otto di sera ero sull’orlo dell’infarto. Avevo chiesto a Billy di passare davanti alla pasticceria con la macchina mentre tornava a casa e lui mi aveva confermato che l’auto di Jennifer era ancora là.
Aspettai. Guardai i Wraiths entrare nel negozio alle nove e quaranta, senza farci troppo caso. Jenn finalmente parcheggiò fuori dal negozio dieci minuti dopo ed entrò di corsa, chiaramente di fretta. Io la seguii. E fu allora che il piano andò dritto all’inferno.
Il piano originale prevedeva diverse fasi, ognuna delle quali si atteneva ai rituali di corteggiamento umano comunemente accettati. Intendevo tenere per me la profondità dei miei sentimenti per tutto il tempo che le serviva per arrivare a provare lo stesso, e a quel punto avrebbe detto lei per prima le due paroline, io avrei convenuto, ci saremmo fidanzati, avremmo comprato un pezzo di terra, Jethro ci avrebbe costruito una casa come regalo di nozze e io avrei insistito che Jennifer avesse degli orti rialzati per le sue attività in salopette.
Al momento, la prima fase del piano era sostanzialmente irrilevante, visto come le sue mani si stavano muovendo sul mio corpo neanche fossi qualcosa di mai visto prima.
Il che mi riportava alla mia donna straordinaria.
Non mi aspettavo un ritmo così accelerato nell’evoluzione degli aspetti emotivi o fisici della nostra relazione. Potevo adattarmi e mi sarei adattato, ma questa fulmineità richiedeva una quantità di liste non sexy.
Il mio giubbotto cadde sul pavimento e la sua bocca si spostò alla mia spalla e alla clavicola, per poi farsi strada a morsi fino al mio petto. I suoi movimenti erano quasi febbrili e io intuii che Jennifer si era completamente persa nel momento. Dovevo mantenere la testa a posto per entrambi, per cui mi concentrai sulla mia lista.
Mi chinai e la baciai appena sotto l’orecchio, soffiando un respiro bollente lungo il suo collo e la sua spalla, concedendomi di godermi la reazione del suo corpo, il modo in cui lei si irrigidì e inarcò. Si premette contro di me e io sentii tutta la sua smania.
Quel che aveva vissuto nella corsia delle verdure in scatola del Piggly Wiggly era stato un trauma, non solo per le parole che suo fratello le aveva detto, ma anche per le mie azioni, poiché avevo preso a pugni quella merdina.
Che fosse chiaro: non me ne pentivo, e l’avrei rifatto. Volentieri.
Ma non ci saremmo abbandonati alla passione stanotte. Io non l’avrei permesso. Non volevo aggravare questa prova per lei, superando un limite di cui poi si sarebbe pentita. Ero preoccupato per lei persino mentre sollevavo la maglietta di cotone che indossava e facevo scivolare le mani lungo i lati del suo corpo, la sua pelle calda e liscia come la seta sotto i miei polpastrelli erodeva i confini della padronanza di me stesso.
Mi aggrappai a lei e al mio autocontrollo, me li tenni stretti entrambi. Lei possedeva il mio cuore. Io desideravo il suo, lo volevo da impazzire. E volevo il suo cuore a lungo termine. Avrei fatto qualunque cosa fosse stata necessaria per dimostrarle la profondità del mio rispetto per lei. Volevo che a lei piacesse. Ma non avrei perso il controllo. Perdere il controllo avrebbe significato perdere lei.
«Cletus, toccami.» Il suo respiro era spezzato, i suoi occhi stupendi si spostavano tra i miei. «Ti prego.»
«Ti sto toccando.» La mia voce era arrochita e sforzata. Mi schiarii la gola.
Un cipiglio improvviso segnò i tratti del suo volto, la frustrazione squarciò la nebbia di desiderio nel suo sguardo. «Dove sei? Dov’è la tua testa in questo istante?»
Io sbattei le palpebre, di fronte a lei e alla sua accusa. «La mia testa è con te.» Feci per baciarla di nuovo e piegai le dita sulla sua pelle.
Lei sfuggì alla mia bocca. «Sei distratto, me ne accorgo. Eri distratto nella macchina e lo sei anche adesso.»
Questa donna astuta è… sempre molto astuta.
«Cosa te lo fa pensare?» azzardai cauto.
«Perché so com’è quando non lo sei. Quando mi hai baciata per fare pratica...»
«Non era pratica.» Improvvisamente, mi sembrava di vitale importanza che lei sapesse la verità su quella sera. «Ti ho baciata perché non sono riuscito a farne a meno.»
«Oh.» Gli occhi le si spalancarono, come se si trattasse di una novità per lei. «Aspetta. Cosa? Non sei riuscito a farne a meno? Pensavo fosse solo per fare pratica.»
«No, Jenn. Non era pratica. Ero io che ti desideravo.»
I suoi occhi si velarono appena e un piccolo sorriso le si cristallizzò sul volto, ma poi quasi immediatamente lei sbatté le palpebre, come per schiarirsi le idee e disse: «Beh, la prima volta è stato diverso. Perché è stato diverso?»
Gli occhi con cui mi studiò avevano ora una tonalità violetta profonda e intensa. Quasi indaco. Ma io notai a malapena il colore perché ero troppo occupato a farmi incantare da quella donna. Una sensazione di rimescolamento nel mio petto, un’improvvisa brama mi spinse ad accorciare il guinzaglio al mio autocontrollo.
Era così bella, la mia Jennifer. E non per i suoi occhi, per il suo viso o qualunque altro dei suoi attributi esteriori. La persona che lei era mi ammaliava. Come avevo potuto non considerarla? Come avevo potuto guardarla con qualcosa che non fosse meraviglia e rispetto e desiderio?
«Non sarebbe prudente per la nostra futura longevità fare qualsiasi cosa tu non sia pronta a fare.» Dovetti deglutire, la mia voce era di nuovo rauca e tremante.
Il suo cipiglio si fece più marcato, la posa del suo corpo si irrigidì. «Ti stai trattenendo perché la mia mancanza di esperienza ti preoccupa.»
Jennifer si allontanò di qualche centimetro e io la fermai, riportando il suo corpo contro il mio. «No. Non esattamente. Stasera hai affrontato una dura prova e io ti ho appena confessato qualcosa che non sono sicuro tu fossi pronta a sentire.»
«E… allora?» Il suo tono racchiudeva una nota di irritazione e disperazione. «Mi dici che mi ami e poi vuoi fare cosa? Stringermi la mano?»
«No. Non voglio stringerti la mano.» Non riuscii a bloccare il mio sorrisetto in tempo, il suo suggerimento prosaico mi aveva colpito, era sia buffo che triste. Le racchiusi le guance tra le mani e premetti un bacio lento sulla sua bocca, la assaporai, poi staccandomi per sussurrare: «Come ho detto, dei palpeggiamenti seri».
«Non mi sembra una cosa seria. Mi sembra prudente.»
Alzai un sopracciglio a queste parole. «Non vuoi una cosa prudente?»
Lei scosse la testa, la sua voce le si riempì di ancora più disperazione. «No. Non la voglio.»
La scrutai, serrando la mascella, seppellendo la passione che mi montava dentro. Schiacciandola. «Jenn, non voglio perderti per un rimpianto.»
Il suo sospiro leggero aleggiò sopra le mie labbra e il mio mento. Lei mi osservò in silenzio, ancora accigliata, i suoi occhi sfrecciavano tra i miei. Sembrava agitata.
Per cui aggiunsi: «Tu dimmi cosa vuoi e io te lo darò. Ma rifletti bene prima di chiedermelo».
Lei si leccò le labbra. «Qualunque cosa? Farai qualunque cosa voglia?» Nei suoi occhi qualcosa si accese, un’idea o un pensiero, e la sua mascella e il suo collo si rilassarono sotto le mie dita.
Io rimasi perfettamente immobile, perché la domanda sembrava il presagio di una trappola, cercai di carpire le sue intenzioni dalla sua mente, ma andai a sbattere contro un muro di mattoni. Allora lasciai ricadere le mani dal suo volto e le feci scivolare sulle sue spalle.
«Farò qualunque cosa, nei limiti del ragionevole.»
«Va bene.» Annuì con un cenno, incrociando le braccia e facendo un deciso passo indietro. «Togliti i vestiti.»
La guardai sbattendo le palpebre. Sbattei le palpebre davanti alla sua richiesta. Non era quello che mi aspettavo.
«Come, prego?»
«Togliti i vestiti.»
Mi portai le mani alla vita, mentre una punta di apprensione mi attraversava. «Non indosso la maglietta.»
Lei alzò il mento e mi ordinò: «Togliti i pantaloni».
Io la fissai, lottando contro una marea crescente di trepidazione fomentata da quanto ero arrapato. «Jenn...»
«Puoi tenerti le mutande. O i boxer. Qualunque cosa porti. Voglio solo...» prese un profondo respiro, come se raccogliesse coraggio nell’aria, «voglio solo vederti. So che hai ragione, che sono a pezzi e confusa per gli eventi della giornata, ma io so anche che, qualunque cosa succeda domani, non mi pentirò mai di aver passato il resto di questa notte a esplorare e toccare il tuo corpo.»
Terminò la sua affermazione mordendosi il labbro inferiore, con gli occhi spalancati per la confessione del suo desiderio segreto.
Io la fissai, incerto sul da farsi.
È una pessima idea.
Avevo iniziato ad ansimare, il cuore mi batteva come un tamburo, il riverbero di ogni sua pulsazione mi faceva tremare il petto e pulsare l’uccello.
È una pessima idea.
«Ti prego» chiese piano, avanzò strusciando i piedi e posò le mani sul mio stomaco. Io sobbalzai a quel contatto. «Ti prego, lasciami solo...»
Non finì la frase.
Le sue mani scivolarono invece giù lungo il mio corpo mentre lei teneva in trappola il mio sguardo, le sue dita afferrarono il bottone dei miei jeans. Lo slacciò, aprì la cerniera, infilò le dita nei pantaloni e li spinse giù dai miei fianchi.
Poi risollevò le dita e le chiuse attorno alle mie. Fece un passo indietro, continuando a tenermi in ostaggio del suo sguardo e stringendo la mia mano, come per guidarmi, e accennò al letto. «Stenditi.»
Io liberai un respiro spezzato, resistendo alla sua stretta che mi tirava. «È una pessima idea.»
«Lascia i pantaloni per terra e stenditi sul letto.» Il comando travestito da supplica mi sembrò assolutamente ragionevole; lei lo accompagnò a un piccolo sorriso, speranzoso e ipnotizzante.
Ero stato con parecchie donne prima, tutte cuoche selettive, di livello professionale, che erano interessate a un accordo senza alcun tipo di legame. Ma non ero mai stato ipnotizzato prima. Non avevo mai dovuto ricordare a me stesso di mantenere il controllo. Non ero mai andato nemmeno vicino a perdere il controllo.
Se Jenn avesse abbassato lo sguardo avrebbe visto la mia erezione evidente, che si protendeva dal mio inguine e sollevava una tenda nei boxer, dura e quasi dolorosa. Ma non lo fece. La sua concentrazione mi ammaliava. Il mio buon senso era stranamente silenzioso.
Liberai i piedi dai jeans e la lasciai guidarmi per i tre brevi passi fino al letto. Non aveva abbassato gli occhi sin da quando mi aveva fatto la sua iniziale richiesta. Non li spostava dai miei mentre posava piano le mani sulle mie spalle e mi conduceva verso il materasso, spingendomi finché non mi ritrovai steso sulla schiena.
Non riuscii a liberarmi da quello stato di trance finché lei non allungò la mano sul bottone dei suoi jeans.
«Cosa stai facendo?» chiesi brusco, preparandomi a sollevarmi.
Lei stese il palmo contro il mio petto e mi spinse giù. «I risvolti dei miei pantaloni sono infangati. Non voglio sporcare il letto.»
Jenn si sbottonò la cerniera in un attimo. I miei occhi caddero sulle sue gambe, che venivano rivelate un centimetro alla volta mentre lei si sfilava i pantaloni. Indossava ancora la mia maglietta e le ricadeva sulle cosce, appena sopra le ginocchia. Vederla così, ai piedi del letto, con addosso solo la mia maglietta mi costrinse a mandare giù il desiderio insieme a una preghiera di vedere più pelle. Invece, strinsi a pugno le mani lungo i fianchi.
È davvero una pessima idea.
Come se avesse percepito che stavo per muovermi, Jenn si sedette rapidamente e si sistemò a cavalcioni su di me, le sue mani scesero ai miei polsi. «Non osare alzarti.»
Ogni mio singolo muscolo si tese, la mia lucidità persisteva e mi ricordò che ero innamorato di quella donna. La amavo sia sul piano razionale che sul piano irrazionale. E la volevo con una ferocia che mi aveva tenuto sveglio la notte e torturato durante il giorno.
Mi ero già rialzato per metà quando la sua bocca scese sulla mia e lei mi baciò.
«Ti prego, Cletus» mi supplicò tra un bacio bollente e l’altro, la punta delle sue dita scivolò su per le mie costole. Poi, tutto a un tratto, lei si sfilò la maglietta.
Jennifer premette i suoi seni contro di me e mi avvolse le braccia attorno al collo, scivolando più su con il bacino lungo il mio corpo e fornendo così una frizione tormentosa. Senza rendersene conto fece a pezzi la mia moderazione. «Ti prego, voglio toccarti. Lascia che ti tocchi.»
Il suono della sua implorazione, il contatto bollente, bruciante della sua pelle, la sua bocca avida spezzarono le sottili briglie del mio controllo. Ribaltai Jenn sulla schiena senza sforzo, la spinsi via per poter far correre la mia mano giù lungo il suo corpo sensuale, per poter catturare il suo capezzolo nella mia bocca. Lei si incurvò poi si inarcò, tendendosi tutta sotto il mio tocco; le sue unghie affondarono nella mia schiena, ancorandoci insieme.
«Vuoi toccarmi?» ringhiai, afferrandole la mano, portandola sul davanti dei miei boxer e sotto l’elastico. Le premetti il palmo contro la mia erezione, le feci avvolgere le dita attorno a me, le mostrai come stringerla e accarezzarla. Il fiato mi sfuggì dai polmoni tutto in una volta, desideri frammentati e selvaggi chiusero il sipario su ogni riflessione razionale.
Ero perso in lei, in quel momento, nella passione. I miei pensieri frammentati iniziavano e finivano tutti con ho bisogno e ho voglia. Tutte le mie ossessioni si focalizzarono su come portarla più encomiabilmente al piacere, su come garantire al meglio che lei gridasse di estasi. Non riuscivo a strappare la mente dal pensiero della sua pelle nuda e dalla gratificazione indispensabile del suo pugno attorno al mio uccello.
Sollevai la bocca dal suo seno, abbandonai la sua mano nei miei boxer e infilai le dita al centro delle sue mutandine, pettinando tra i ricci, accarezzando i peli soffici finché non trovai quello che cercavo.
«Oh, oh, oh Dio!» Lei sussultò, le sue labbra si schiusero, i suoi occhi erano spalancati e velati dalla lussuria. Inclinò in avanti il bacino e indietro la testa.
Non avevo mai visto niente di così sensuale e dannatamente sexy. Lei era seduzione e peccato, eccesso e decadenza.
«È questo che vuoi?» domandai, strofinando il suo centro bagnato e facendo scivolare le dita nel suo calore lussurioso.
Lei non rispose, come mi aspettavo.
La compulsione di divorarla si impadronì di me, quella brama infuriava in me mentre accarezzavo il suo corpo flessuoso e lei imitava le mie mosse con movimenti goffi, stringendomi e accarezzandomi senza alcuna finezza. Anche quello mi sembrava indispensabile. Mi sembrava perfetto.
Sentii la prima pulsazione del suo orgasmo e rallentai il ritmo, strappando così un mugolio confuso dalle sue labbra.
«Cletus, oh, ti prego, non fermarti. Ti prego. È… È...»
«Non intendo fermarmi.»
Volevo prolungare il momento, abbandonarmi ad esso. Volevo immergermi nei miei pensieri più primitivi e possessivi. D’ora in avanti lei sarebbe stata mia: solo i miei occhi avrebbero visto la sua pelle, solo la mia bocca l’avrebbe adorata, solo le mie mani l’avrebbero toccata. Il suo corpo era stato fatto per il mio corpo e l’avrei reclamata come mia, come lei aveva fatto con me senza rendersene conto.
«Cletus!» gridò, tremando, contorcendosi sul letto, incapace di prendere fiato per il suo orgasmo.
Mi strizzò di riflesso e io mi pompai nella sua mano, venni assieme a lei con un ruggito basso di soddisfazione e transitorio appagamento. Catturai la sua bocca e le sue grida. Il suo cuore batteva insieme al mio cuore, le nostre pelli scivolavano insieme e lei si sforzò di premersi ancora più vicina, come se volesse entrarmi dentro e vivere nella mia pelle.
Lo sapevo perché io provavo la stessa cosa.
Claire aveva ragione. L’amore annullava l’esperienza. Completamente e totalmente. L’amore annullava così tante cose. Ero soddisfatto dalla mia donna, dal suo tocco inesperto, come non lo ero mai stato prima. Perché avevo fatto l’amore e la persona che mi aveva toccato era Jennifer.
La mia Jennifer.
Lei era ancora senza fiato, ma io la baciai comunque. Volevo la sua bocca calda, il suo sapore sulla mia lingua. La volevo nuda e sotto di me. La volevo in ginocchio. La volevo piegata e ansimante. La volevo sopra di me, mentre mi usava per il suo piacere.
La volevo…
Le mie facoltà mentali non tornarono tutte in un colpo, galleggiavano sotto la superficie, affioravano a mano a mano.
Il primo momento di lucidità arrivò quando Jennifer strappò la bocca dalla mia e disse: «Aspetta».
Io sbattei le palpebre guardandola, guardando il suo profilo. Aveva girato il viso, alla ricerca d’aria. Io mi piegai all’indietro di qualche centimetro, i miei occhi si mossero sulle sue guance, sulla sua mascella, sul collo e poi scesero. La mia mano era ancora nelle sue mutandine, ad accarezzarla. Lei gemeva e tremava, il fiato che cercava di riprendere le si mozzava in continuazione.
Deglutii, avvertendo in bocca non esattamente il sapore del rimorso, non esattamente il sapore dello sgomento ma una miscela dei due che mi indusse a riflettere.
Forse lei avvertì il mutamento del mio umore. O forse fu solo una coincidenza. In ogni caso, i suoi occhi cercarono i miei. Erano ancora velati e confusi.
Erano anche luminosi.
E felici.
E lei sorrideva.
«Mmm...» mormorò, accoccolandosi di più contro di me, infilando la fronte tra il mio collo e la mia spalla. Posò un bacio sul mio petto. «Quando possiamo rifarlo?»
La mia donna era straordinaria.