Capitolo 15

“Ci ostiniamo a mostrare soltanto la rosa sontuosa, evitando accuratamente di far vedere lo stelo spinoso che ci ferisce e ci fa sanguinare.

- Paulo Coelho, Adulterio

Jennifer

Cletus e io passammo venti lunghi minuti in totale silenzio.

Lasciammo l’officina con la mia macchina, ma guidava lui. Viaggiammo sulla Parkway per circa quindici minuti. I colori autunnali sfrecciavano in un turbinio di gialli, arancioni e verdi ostinati contro un cielo azzurro e limpido. Più raramente scorgevo un acero rosso, con le foglie che sembravano viola. Non erano viola, erano bordeaux. Ma pochi si prendevano la briga di osservare veramente, per cui si diceva che le foglie erano violette e fine della questione.

Alla fine, imboccò una strada senza segnaletica e passarono altri cinque minuti. Inizialmente ero rimasta in silenzio perché lui stava in silenzio, e gli eventi del tardo pomeriggio meritavano una riflessione. Ma dopo aver riflettuto e aver scoperto che tutte le mie conclusioni mi portavano a punti morti senza senso, ruppi il silenzio.

«Dove andiamo?» chiesi.

I suoi occhi passarono veloci nei miei, poi tornarono sulla strada. Aggiustò la presa sul volante. «C’è un posto, quassù, che voglio esaminare.»

«Oh. Che genere di posto?»

«Un ruscello. Me ne ha parlato Jethro. Bisogna camminare un poco, ma visto che hai le scarpe da tennis, ho pensato di andare a vederlo.»

«Mi sembra una buona idea.» Nonostante mi sentissi eccitata alla prospettiva, sul volto mi dipinsi una maschera di educato interesse. Io e mio fratello andavamo sempre a fare escursioni da ragazzi, ma erano anni che non lo facevo più.

«Dopo ti porto a casa» specificò, anche se le sue parole sembravano più rivolte a se stesso.

«E tu come torni a casa?» La stretta stradina asfaltata terminò e iniziò la ghiaia.

«Non ti preoccupare per me» rispose.

Se il secondo nome di Cletus non era “Evasivo”, avrebbe dovuto esserlo.

Dopo un altro centinaio di metri, Cletus si fermò al lato della strada, e parcheggiò.

«Hai spazio per uscire da quel lato? Riesci a scavalcare da questo?» Scrutò la vegetazione premuta contro il mio finestrino.

«Sì, posso scavalcare dal lato del guidatore.» Mi attivai in fretta, ringraziando di indossare jeans e scarpe da tennis e quindi di non correre il rischio di mostrargli inavvertitamente la biancheria intima.

Quando entrambi fummo usciti dalla macchina, Cletus la chiuse e indicò l’inizio di un sentiero a una decina di metri da noi. «È proprio lì. Vado avanti io. Jethro ha detto che il suolo in alcuni punti è irregolare.»

«Capisco. Va bene.»

Mi incamminai al suo fianco, poi mi girai una volta per guardare la mia macchina e le nostre mani si toccarono. Istintivamente io tirai via la mia, guadagnandomi un’occhiata di traverso da parte di un accigliato Cletus.

«Sei sicura di voler venire? Posso tornare più tardi da solo.»

«No, no, voglio venire. Mi piace fare escursioni.»

«Davvero? Lo fai spesso? Non era nella tua lista.»

«Non ci vado da un po’ di tempo, ma Isaac e io lo facevamo sempre, una volta.» Mi raccolsi varie ciocche di capelli dietro l’orecchio: era tutto il giorno che la coda mi si era allentata, ma ero stata troppo occupata per togliere l’elastico e raccogliere di nuovo i capelli.

«Sembra un bel ricordo.»

«Lo è. Per qualche anno, siamo andati a fare un’escursione ogni fine settimana. Facevamo geocaching, sai, dove usi il GPS e scrivi il tuo nome su una lista o scambi un giocattolo con qualcun altro.» Annuii distrattamente, una malinconia improvvisa mi stringeva il petto. Isaac era tornato, ma non era tornato da me.

«Quando avete smesso? Quando si è arruolato?»

«No. Molto prima. I miei scarponi da trekking si fecero troppo piccoli per i miei piedi e mia mamma non me ne comprò mai un paio nuovo.»

Cletus annuì ma non disse nulla, corrugò la fronte con aria assente.

Dovrei comprare degli scarponi.

Avrei voluto, ma le mie riserve liquide scarseggiavano dopo le mie ultime compere pazze. Esitavo a chiedere a mamma dei soldi. La situazione era tesa tra noi di recente e aveva preso a non rivolgermi la parola per la maggior parte del tempo.

Oppure potresti, sai, pretendere i soldi che ti deve per le tue ottanta ore di lavoro settimanali.

Il consiglio della mia amica di penna riguardo al regolarizzare la mia posizione nella pasticceria iniziava a sembrarmi sempre più sensato. Cominciavo davvero a mal sopportare di dover chiedere i soldi che tecnicamente mi ero guadagnata.

Quale altra ventiduenne chiede i soldi alla mamma? Nonostante lavori a tempo pieno…

All’imbocco del sentiero, Cletus andò per primo. Era troppo stretto per camminare uno a fianco all’altra. Jethro aveva ragione: il terreno era irregolare e il sentiero non era ben tracciato. Ma Cletus sembrava sapere come leggere la strada. Lo seguii, affidandomi ai tronchi degli alberi per mantenere l’equilibrio sul terreno mutevole.

Dopo una quindicina di metri, mi presi un momento per contemplare la bellezza attorno a me. La luce era diversa nella foresta, sotto il baldacchino delle chiome degli alberi. E il fogliame autunnale creava una luce diversa da quella della foresta d’estate. Era allo stesso tempo più fioca e più brillante, il che non aveva senso. Era più fioca per via dell’assenza di luce indiretta del sole, ma era più brillante perché i raggi del sole si riflettevano nei colori dorati dell’autunno. Forse soffusa era la parola giusta.

La luce della foresta attorno a noi era soffusa. Mi sembrava che l’aria stessa fosse viva e io ne disturbassi la vitalità muovendomi. Una varietà di suoni indistinti, sia vicini che lontani, non faceva che rafforzare quell’impressione: il crepitio delle foglie secche sotto le nostre scarpe, una conversazione tra due passeri, le percussioni di un picchio, il frusciare appena udibile del vento tra gli alberi e, infine, il dolce scorrere di una sorgente d’acqua che non era in vista.

«Sei uscita con Jackson?» Cletus chiese improvvisamente e la sua voce mi sembrò studiatamente allegra.

Io esaminai la sua schiena, le sue spalle larghe. I miei occhi seguirono la linea della sua figura da dietro. Era bello, visto da dietro.

«No. Io… sto temporeggiando. Non sono convinta.»

«Cosa ti trattiene? Cucinare con un partner ti continua a preoccupare?»

Un lato della mia bocca si alzò. «A essere sinceri, sì. È sicuramente una parte della motivazione ed è la parte che mi preoccupa. Tra l’altro, non mi hai mandato il contatto di Claire.»

«Ah, già. Tanto la vedrai sabato. Potrai parlarle allora.»

«Sabato?»

«Sì. Quando verrai al talent show e mi vedrai suonare il banjo.»

Mi sembrò di rilevare una punta di vulnerabilità nella sua voce, ma quando rimase poi in silenzio decisi che dovevo essermelo immaginata.

«Uhm, mi piacerebbe molto venire, ma non credo che mio padre me lo permetterebbe.» Cercai di dissimulare la mia tristezza con il pragmatismo. Non volevo ammettere che avevo considerato di sgattaiolare via dalla finestra per l’occasione.

...ma non dovrei essere costretta a sgattaiolare dalla finestra. Dovrei essere libera di andare ovunque voglia, quando voglio. Una fortezza di risentimento stava crescendo attorno al mio cuore, ogni giorno mi sentivo sempre meno preoccupata di quanto facesse felici i miei genitori.

Cletus rimase in silenzio per un po’, prima di chiedere: «E se venisse Billy? Se voi due aveste un altro finto appuntamento?»

«Allora mio padre non starebbe nella pelle» risposi senza emozione.

«Perché Billy piace tanto a tuo padre? Attenta a dove metti i piedi. Sembra che il sentiero si allarghi più avanti.» Cletus si girò e mi prese la mano, per aiutarmi a scendere un ripido dislivello, poi intrecciò le nostre dita. «Non fraintendermi. Penso che Billy sia il migliore degli uomini. Ma sono di parte, perché è mio fratello e perché è sempre stato una fonte affidabile di supporto. Mi piace comprendere l’ossessione di tuo padre per lui, però. Sai,» i suoi occhi scattarono nei miei e poi si allontanarono, «per poterti aiutare a trovare qualcuno come lui. Per la tua ricerca di un marito. Ecco perché.»

«Mio padre parla di Billy sin da quando ero piccola.» Cercai con tutte le forze di assumere un tono di voce normale, perché Cletus continuava a tenere in possesso la mia mano, presumibilmente perché il suolo non era fatto più di solida terra adesso, ma di pietre instabili. «Insomma, era il quarterback migliore del liceo. Quando rifiutò la borsa di studio per il football all’Università del Texas e sparì per qualche mese, credo che scioccò tutti. Mio padre era molto deluso.»

«Aveva le sue buone ragioni.» Il tono di Cletus era sulla difensiva, ma anche distante, perso nei ricordi.

«Ne sono sicura. Negli ultimi tempi, mio padre è rimasto impressionato da come Billy, abbia iniziato dal basso alla segheria Payton Mills e abbia lavorato sodo fino a diventare Vicepresidente dell’area Sud-est.»

Cletus si accigliò. «È questo il suo ruolo?»

«Mio padre pensa di sì. Ed è convinto che Billy voglia candidarsi al senato. A entrambi i miei genitori piace l’idea di avere un genero in politica. Credo che sia per questo che Jackson a loro piace così tanto. So che ha in mente di candidarsi.»

«Jackson sarebbe un ottimo politico.»

«Pensavo non ti piacesse.»

«È così. Dire che qualcuno sarebbe un ottimo politico è come dire che qualcuno sarebbe un ottimo serial killer. Non è un complimento.»

Cercai di non scoppiare a ridere, ma una risatina secca mi sfuggì comunque. «E tuo nonno, invece? Tuo nonno Oliver era in politica, vero? Credo che mio nonno Donner e tuo nonno Oliver fossero amici.»

«Già.» Cletus si morse il labbro inferiore, con gli occhi puntati sul sentiero roccioso, ma anche distratti per qualche pensiero. «È questo che vuoi? Un marito in politica?»

Alzai le spalle. «Non mi importa cosa faccia, purché sia affettuoso con me e desideri una casa piena di bambini.»

«Perché ti piacciono tanto i bambini?» Cambiò la presa sulla mia mano, premette completamente i nostri palmi insieme mentre mi aiutava, senza che ne avessi bisogno, a superare una buca nel sentiero.

«Stai scherzando? I bambini sono la cosa più bella del mondo. Non hanno pregiudizi e vogliono divertirsi tutto il tempo. Vogliono giocare tutto il tempo. E sono come delle spugne, quando si tratta di conoscenza. Sono ansiosi di imparare. Quanti adulti conosci che sono ansiosi di imparare?»

«Non molti» ammise con un borbottio.

«E i neonati. Adoro i neonati. Adoro cullarli, tenerli in braccio e tutto il resto.»

«Anche a me piacciono i neonati.» Cletus mi rivolse un sorriso genuino e restammo in silenzio l’istante successivo, probabilmente pensando entrambi alla meraviglia che erano i neonati.

Decisi che non c’era niente di meglio di un neonato. Eccetto forse Cletus che teneva in braccio un neonato. Sorrisi a questo pensiero, l’immagine di Cletus con un bambino, mentre gli baciava il pancino e lo faceva ridacchiare, ma poi soppressi rapidamente quel sorriso. Cletus si era accigliato e ci aveva fatti fermare.

Due rughe di concentrazione gli apparvero tra le sopracciglia, lui mi lasciò le dita mentre la gola gli si tendeva per lo sforzo di deglutire. «Sei proprio convinta riguardo ai bambini?» La sua voce aveva un tono strano, burbero e dolce al tempo stesso. «E se invece avessi l’opportunità di studiare all’università? Di diventare, non so, una chimica?»

L’idea mi strappò un sorrisetto: me all’università, a ventidue anni, a lavorare in un laboratorio. Mi piazzai le mani sui fianchi. «No. Non credo mi piacerebbe. Lavorare in un laboratorio è come lavorare in una cucina sterile e questo già lo faccio. Non voglio diventare una chimica.»

«E cosa vorresti diventare?»

«Una madre» dissi semplicemente, perché era la verità. Era quello che desideravo più di tutto. «E un’ottima moglie e partner. Una casalinga. Voglio avere una famiglia di cui prendermi cura, a cui pensare, da amare e riempire di attenzioni. Ecco quello che voglio. So che non è un desiderio progressista o un grande sogno, e so che per le persone questo genere di cose non ha più tanta importanza, proprio come non hanno più tanta importanza l’umiltà e la gentilezza, il perdono e la compassione. Ma per me sono valori importanti. So che le persone mi guarderanno dall’alto in basso perché sarò solo una mamma, ma io sono abituata a essere emarginata per la mia attività e per il mio aspetto. E penso che essere una brava madre sia il lavoro più difficile e importante al mondo. Per cui le persone possono prendere i loro stupidi giudizi e...» Deglutii e mi fermai. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto e la voce mi si era alzata notevolmente. Ero sorpresa sia dalla mia filippica improvvisata, sia dalla veemenza dei sentimenti che l’avevano alimentata.

Dopo aver smesso di strillare, rimasi sorpresa anche da quanto sembrasse silenziosa la foresta in confronto alla mia tirata. I passeri avevano smesso di conversare, probabilmente infastiditi dal baccano delle mie grida.

«Prendere i loro stupidi giudizi e…?» Mi incoraggiò Cletus, una curiosità divertita gli illuminava gli occhi, nonostante cercasse di nascondere il suo divertimento.

«Prendere i loro giudizi e servirsi una bella fetta di torta all’olio di ricino» borbottai, fissando il sentiero irregolare.

Questo lo fece ridere. Per cui risi anch’io, scuotendo la testa. Mi piaceva ridere con Cletus. «Ne sei proprio fermamente convinta, eh?»

«Sì, lo sono.» Alzai il mento.

Cletus scrutò pensieroso il mio viso sollevato in su per un momento, prima di chiedere: «Ti rendi conto di quanto talento hai? Ne hai la minima idea?»

«Grazie per averlo detto.» Strinsi le labbra, sfoderando la risposta che recitavo sempre quando qualcuno mi faceva un complimento.

«Non credo tu lo sappia.» Scosse la testa, con uno sguardo scrutatore. «Non si tratta solo del tuo talento per i dolci. Il modo in cui gestivi la cucina quando sono passato, tutte quelle persone che ti ponevano domande contemporaneamente. Eri la calma al centro della tempesta. Eri impressionante. Tu sei impressionante.»

Gli rivolsi un mezzo sorriso, deglutendo il groppo che avevo in gola e sforzandomi di contenere il rossore assurdo del mio viso. Non sapevo cosa dire. I complimenti in generale mi mettevano a disagio, ma i complimenti che non riguardavano la mia abilità in pasticceria mi facevano sentire come un topolino impaurito. Mio padre mi ricordava di frequente che l’orgoglio era un peccato. Contemporaneamente, mia madre mi diceva che la gente era invidiosa di me, del mio aspetto, della mia fama sui social media. Io non credevo a mia madre. Non pensavo che qualcuno potesse invidiarmi. Era semplicemente senza senso.

Gli occhi di Cletus si strinsero, il suo scrutinio ora si era fatto tagliente. «Tu non mi credi.»

«Non è questo. È che...» Faticai a trovare le parole. «Non vorrei diventare presuntuosa o superba.»

Cletus sbuffò, contrariato. «Tu sei il contrario dell’essere presuntuosi e la tua umiltà rasenta l’esasperante.»

«Cavolo, grazie mille.»

Alzai gli occhi al cielo.

«Ascolta, dico solo che se una persona è brava a fare una cosa, non dovrebbe far finta di non esserlo e non dovrebbe sminuire il suo duro lavoro. Non c’è niente di male nell’essere umili o modesti, Jenn. Però, per l’amor del cielo, prenditi il merito di essere una tipa tosta.»

Io strinsi insieme le labbra, ma stavolta fu per tentare di nascondere il mio sorriso. «Ok, grazie.»

«Accetti che sei una tipa tosta?»

«Va bene. Sì.»

«Allora dillo.»

«Cletus...»

«Di’: “Cletus, tu hai invariabilmente ragione su ogni cosa, e in particolare riguardo al fatto che sono una tipa tosta.»

«Non ci penso nemmeno» risi, scuotendo la testa.

«Uhm...» Lui però non stava sorridendo. In effetti, sembrava che fosse irritato. Di punto in bianco, chiese: «Se a tuo padre piace tanto Billy, perché non ci esce lui

Di nuovo facevo fatica a stare al passo con i suoi rapidi cambi di argomento, ma riuscii a riprendermi velocemente: «Credo lo farebbe se potesse, ma non può. È sposato. E mio padre crede profondamente nella monogamia». Mantenni un tono leggero, sperando di vedere un altro dei sorrisi di Cletus.

Lui non sorrise. Al contrario, il suo cipiglio si fece ancora più marcato e severo di prima. Puntò gli occhi su qualcosa oltre la mia testa e annunciò, senza tante cerimonie: «Mio padre ha avuto tre famiglie».

Mi irrigidii e sentii gli occhi spalancarsi, ma riuscii a bloccare la bocca prima che si spalancasse. «Come, scusa?»

Il suo sguardo volò brevemente nel mio, poi si abbassarono sulle pietre ai nostri piedi. «Ha avuto tre famiglie, per quanto ne sia al corrente. Mia mamma era la sua unica moglie legittima. Darrell sposò la sorella di Drew mentre era ancora sposato con mia madre. Si chiamava Christine.» I suoi occhi balzarono di nuovo su di me prima che aggiungesse: «Non ebbero figli prima che lei morisse».

Passò un momento mentre assorbivo quell’informazione. Mi sentivo persa, in questa conversazione, non capivo perché né come fossimo arrivati a quest’argomento o perché ne parlasse con me.

Infine, gli offrii un poco originale: «Io… io non ne avevo idea».

«Non lo sanno in molti. In effetti,» mi scrutò per un lungo momento, la sua espressione si faceva sempre più assorta, «nessuno della famiglia sa dell’altra, della terza famiglia di Darrell.»

«Come hai fatto a scoprirlo?» Il vento si levò e mi soffiò la ciocca ribelle di capelli sugli occhi; io la spinsi indietro.

Cletus dondolò avanti e indietro la testa, come se riflettesse sul modo migliore per rispondere. «È complicato. Ma fondamentalmente ho scoperto di lui, il mio fratellastro, per caso quando ho fatto gli esami e sono stato schedato nel registro nazionale di donatori di midollo. Risultai compatibile con lui, ma c’era un errore.» Scosse la testa, con aria frustrata e deglutì per schiarirsi la gola. «Il figlio di Darrell viveva in Texas.»

«Texas?»

«Esatto, in Texas. Mamma ci diceva sempre che, molto alla lontana, nell’albero genealogico di mio padre c’erano i nativi americani. Siamo Yuchi, una piccola tribù di nativi originaria di queste terre.» Indicò con un ampio cenno l’area attorno a noi. «La maggior parte venne uccisa dai Cherokee in una disputa orchestrata da un bianco, un mercante di pellicce corrotto, e in pochissimi sopravvissero. Ma questa è una strana storia a sé, e merita di essere raccontata un’altra volta. In ogni caso, i sopravvissuti vennero assorbiti dalla tribù Cherokee confinante o venduti come schiavi nelle piantagioni. Una mia diretta antenata sposò un mercante francese ed eccoci qua.»

«Ma senti.» Avrei voluto ascoltare l’intera storia del mercante di pellicce corrotto, ma decisi che quella conversazione poteva aspettare, considerato l’enorme missile che lui mi aveva appena sganciato addosso.

«Comunque. L’altra donna di Darrell, quella che aveva sposato - non legalmente, ma comunque… - si chiama Susan. È per metà Cherokee, ed è coinvolta in qualche modo nel mondo dei loro casinò. È così che si conobbero. In un casinò. Non sapeva di noi. Non sapeva della nostra esistenza. Non aveva idea che Darrell fosse già sposato e avesse sette figli. Per cui quando andai da Susan a chiederle di suo figlio e delle sue origini, fu un bello shock.»

«È incredibile.»

«Pensavo, quando all’inizio avevo scoperto dell’esistenza del mio fratellastro, e della nostra compatibilità genetica, che fossimo imparentati tramite qualche lontano antenato Yuchi, visto che molti di sangue Yuchi fanno parte della tribù Nazione Cherokee.» Sbuffò una risata. «Ma che ironia, i nostri antenati erano molto più recenti.»

Io fissai Cletus per un momento, assorbendo l’informazione. «Perché non l’hai detto ai tuoi fratelli e ad Ashley? Non credi che vorrebbero saperlo?»

Gli occhi di Cletus scivolarono verso un punto sopra la mia spalla e si spensero, si fecero lontani. «È morto.»

Le mani mi volarono a coprirmi la bocca. «Oh mio Dio.»

«È morto di cancro cinque anni fa. Nostro fratello era morto a ventiquattro anni. Non sono riuscito mai a conoscerlo. Sua mamma si era risposata dopo che Darrell l’aveva abbandonata senza una parola, venticinque anni fa o giù di lì. Ha avuto altri tre figli da un brav’uomo. Ma nessuno era un donatore compatibile.»

«Oh, Cletus.» Senza pensare mi slanciai verso di lui, mi avvolsi al suo corpo, lo strinsi in un forte abbraccio. «Mi dispiace tantissimo.»

Lui non rispose, le sue braccia rimasero inerti ai suoi fianchi. Ma non mi importava. A quell’uomo serviva un abbraccio. Ero fermamente convinta che quando a qualcuno serviva un abbraccio, allora bisognava darglielo. Mi era capitato moltissime volte di trovarmi in una situazione in cui mi sarebbe servito un abbraccio, e invece avevo dovuto accontentarmi di un bel pianto sul cuscino, a fine giornata.

E seppi di aver preso la decisione giusta quando lui ripeté, con un filo di voce: «Io ero un donatore compatibile».

Io seppellii il volto contro il suo petto, lo strinsi più forte che potevo finché Cletus alla fine non sollevò le braccia e le avvolse attorno alle mie spalle. Restammo là insieme, abbracciandoci, mentre i passeri levavano ancora una volta le loro voci. Il suono del torrente lì vicino riempiva le nostre orecchie. Cletus era caldo. La luce era soffusa. E, cosa assurda, il fluire dell’acqua mi fece pensare alle lacrime.

Non avevo dubbi, ma anche se ne avessi avuti, quella notizia li avrebbe dissipati definitivamente. Darrell Winston era un essere umano spregevole. Non potevo immaginare come si fosse sentito Cletus, quanto dovesse essere arrabbiato con suo padre. Né potevo comprendere come si fosse sentita Susan, a scoprire con due anni di ritardo che suo figlio aveva un donatore compatibile di midollo osseo e quel donatore era un fratellastro.

«La verità può essere proprio come le persone» disse Cletus, guardandomi con un sopracciglio alzato.

Io sbattei le palpebre, confusa. «In che senso?»

Eravamo seduti sul bordo del ruscello, l’acqua era tanto limpida da poterla bere. Ciottoli dai mille colori punteggiavano il letto poco profondo. Io mi ero tolta le scarpe e avevo immerso le dita dei piedi nell’acqua, mi piaceva davvero quel freddo. Cletus era appoggiato in un angolo, in piedi contro un albero.

«La verità può essere proprio come le persone» ripeté.

«Come?»

«A volte,» un lato della sua bocca si sollevò appena in un sorriso in cui non vi era alcuna gioia, «è davvero orribile.»

Sospirai, sapevo che aveva ragione. La verità sul suo fratellastro era orribile.

«Prendi tuo padre, per esempio.» Il tono di Cletus era scrupolosamente noncurante, ma io percepii un sottofondo risoluto e smanioso.

Raddrizzai la schiena e lo fissai stringendo gli occhi, sospettosa verso le sue intenzioni. Non ero ancora pronta a parlare di mio padre. «Che c’entra mio padre?»

«È davvero orribile.»

La bocca mi si spalancò. «Come, scusa?»

«Mi hai sentito. Quell’uomo è orribile» proclamò Cletus con un singolo cenno scontroso del capo. «E non parlo solo del suo aspetto esteriore.»

«Cletus Byron Winston, ti stai comportando da maleducato.» Forse io stessa non avevo un’opinione molto alta di mio padre, ma era pur sempre mio padre.

Lui aprì la bocca per rispondere, poi la chiuse di scatto e mi guardò, poi mi guardò di nuovo stavolta socchiudendo gli occhi. «Tanto per cominciare, come conosci il mio secondo nome?»

«Tua mamma lo usava sempre quando ti comportavi male, quando voi ragazzi la aiutavate a rimettere i libri sugli scaffali in biblioteca. “Cletus Byron! Smettila di infilarti Astrofisica Oggi nei pantaloni!”.»

Cletus fece un gran sorriso. Poi ridacchiò. I suoi occhi smarrirono un poco della loro concentrazione infervorata mentre si spingeva via dall’albero e si avvicinava a passo tranquillo verso di me. «Oh, sì. Ci chiamava così quando era arrabbiata, eh?»

«Mi dispiaceva per Billy, però.» Gli feci posto mentre lui si sedeva. «Il suo nome confondeva sempre tutti, sembrava che tua mamma cercasse di evocare il fantasma di Shakespeare. “William Shakespeare, potresti far smettere Beauford di abbassarsi i pantaloni davanti alle ragazze?»

Cletus rise più forte, piegandosi all’indietro e tenendosi la pancia. «Me lo ricordo. Quanti anni aveva Beau?»

«Aveva dieci anni. Voleva mostrarci le sue nuove mutande di Tarzan. Non credo avesse cattive intenzioni.»

«Quelle mutande gli piacevano proprio.» Cletus annuì e si grattò la barba. «Dovrò scovargliene un paio di taglia adulto.»

«Per poi poterlo tormentare?»

Lui finse di essere scioccato dalle mie accuse. «Certamente no. Io non tormento i miei fratelli.»

«Sì, certo.» Gli rivolsi un’occhiataccia di traverso. «Dimentichi che a me piace osservare le persone. So che vendi le loro foto imbarazzanti su siti di foto commerciali. Jethro se ne lamentava dopo la messa durante l’estate. Se questo non è tormentarli, allora tu come lo definiresti?»

Alzò orgoglioso il mento. «Io offro loro inestimabili opportunità di rafforzare il carattere. Li aiuto a sviluppare il loro pieno potenziale attraverso la sofferenza.»

«Ma per favore.» Questo mi fece scoppiare una risatina nasale e gli diedi una spinta sulla spalla con la punta delle dita.

E rise anche lui, il che era divertente. Era piacevole ridere con qualcuno di persona invece che una volta al mese attraverso una lettera. Ed era più che piacevole ridere con Cletus.

Mi piaceva la qualità della sua risata, col suo suono rombante e genuino. Quando sorrideva o rideva sinceramente, le sue ciglia scure avevano l’effetto di fargli sembrare gli occhi più brillanti e il sorriso gli illuminava l’intero viso.

La prima volta che l’avevo sentito ridere stava aiutando sua mamma alla biblioteca. Io avevo quattordici anni allora e credo lui ne avesse una ventina all’epoca, forse di più. Sua mamma, che era sempre gentile con tutti, aveva detto qualcosa di divertente e il suono della sua risata in risposta mi aveva colta di sorpresa. Non me lo aspettavo da lui. Non l’avevo mai visto se non severo, arrabbiato o impassibile prima di quell’occasione.

Occhi vivaci che mi catturarono con la loro intelligenza, belle ciglia, una fila di denti dritti e bianchi incorniciata da una bocca incredibilmente attraente. Avevo iniziato a notarlo ovunque, dopo quella volta, e rimanevo in ascolto in attesa della sua risata; anche se, dopo averlo osservato per un po’, avevo deciso fosse meglio mantenermi a distanza.

Tuttavia, i suoi sorrisi, i suoi sorrisi veramente felici, erano rari. Prima di ricattarlo, potevo contare sulle dita di una mano le volte che avevo sentito la sua risata.

«A cosa stai pensando?» I capelli mi erano nuovamente scivolati sul viso. Lui me li sistemò dietro l’orecchio, le sue dita e i suoi occhi si attardarono sul mio collo.

«Solo che, uhm...» Cercai di pensare a una storia appropriata da raccontare, una verità alternativa a: Sai, Cletus, visto che lo chiedi, stavo pensando a quanto epicamente favoloso sia il tuo sorriso e a quanto sia bella la sensazione di avere le tue dita sulla mia pelle.

Incapace di incontrare il suo sguardo persistente, spostai l’attenzione sul ruscello e mi maledissi perché ero una pessima bugiarda. Anzi, lasciatemi chiarire: ero bravissima a mentire a me stessa. Ero davvero una frana a mentire agli altri.

La sua mano ricadde. Seguì un altro silenzio, questo era più pesante e non riuscivo a capirne il perché. Sapevo solo che riuscivo a sentire i suoi occhi su di me e avevo la sensazione che fossero pesanti.

Ma poi, dal nulla, Cletus esordì: «Immagino dovremo fare pratica».

«Come, scusa?»

«Pratica con i baci. Come hai fatto con Billy.»

Io scattai all’indietro mentre voltavo la testa di colpo di lato, e i nostri sguardi si scontrarono. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. «Tu pensi... vuoi che faccia pratica di baci con Billy?»

«No. No. Assolutamente no.» Di nuovo, lo sguardo di Cletus guizzò su di me. «Intendo io e te. Ti aiuterò a fare pratica.»

Il volteggio del mio cuore fece ritorno, ma questa volta era più deciso di prima. E aveva portato con sé degli amici: acrobazie dello stomaco, stretta alla gola, fitte nel petto. Ma. Che. Diavolo?

«Non so se sia una buona idea» risposi con voce gracchiante. Fui costretta a schiarirmi la gola, lo stupore mi faceva bruciare i polmoni.

«Perché?» Lui scrollò le spalle, come se non fosse niente di che.

Nel frattempo, le mie mani sudavano. Io sudavo ovunque. Persino i miei piedi nel ruscello freddo sudavano.

«Perché… perché… perché...» Lanciai un’occhiata al baldacchino di foglie sopra di noi, poi all’altra sponda del fiume, alla terra di fianco a me, al tronco d’albero alla mia sinistra. In pratica, guardai ovunque tranne che verso Cletus. «Perché ti sto ricattando e non mi sembra giusto. Cioè, costringerti a baciarmi.»

«Ma faresti pratica con Billy?»

«Sì. Lui lo farebbe per aiutarmi, non perché lo tengo in pugno.» Sentivo il bisogno urgente di mettere della distanza tra noi, per cui mi alzai e presi le mie scarpe. Mi appoggiai a una grossa roccia e mi infilai i calzini.

«E se ti promettessi che non lo sto facendo perché mi stai ricattando?» Cletus cercò di catturare il mio sguardo, per cui abbassai il mento contro il petto mentre lui aggiungeva: «Voglio aiutarti».

Scossi la testa, incapace di parlare. Non volevo baciare Cletus.

A volte Cletus era aperto con me. Ma a volte era distante. Io non sapevo di quale umore sarebbe stato da un momento all’altro, proprio come non sapevo di che colore sarebbero stati i suoi occhi. Non volevo baciarlo e poi continuare a passare il tempo con lui fingendo che niente fosse successo. Non volevo baciarlo e poi tornare invisibile per lui, una volta che il nostro accordo sarebbe giunto al termine. Perché io me ne sarei ricordata. Quello che provavo era già troppo. Per cui no, non volevo baciare Cletus. Non volevo baciarlo se per lui non significava niente. Perché per me avrebbe significato qualcosa. La fitta nel mio petto divenne un dolore bruciante, premetti le dita contro lo sterno e mi massaggiai.

«Questi sono i fatti.» Cletus fece una pausa, il suo tono era ragionevole e razionale. «Hai bisogno di fare pratica. Sì, inizialmente hai ottenuto la mia attenzione grazie al video. Lo ammetto senza problemi. Ma ora siamo diventati qualcos’altro. Siamo amici, no?»

«Lo spero» ammisi, staccandomi dalla roccia e mettendomi di fronte al sentiero, perché non avevo ancora abbastanza coraggio da incontrare il suo sguardo mentre discutevamo se mi avrebbe insegnato o no come baciare.

«Allora lascia che ti aiuti, come amico. Ti posso insegnare, posso farti sentire più sicura della tua tecnica. So quello che faccio. Si potrebbe dire che sono un professionista dei baci.»

«Non dubito che tu sappia quello che fai» dissi senza girarmi, e una piccola fitta di gelosia mi punse dietro gli occhi, facendomi surriscaldare il cervello. Quante donne ha baciato?

«Allora qual è il problema?»

«Io… Non lo so.» Chiusi gli occhi e mi massaggiai la fronte. Continuavo a sentire il suo sguardo su di me e questo non aiutava per niente a calmare la rivolta di emozioni e desiderio che mi aveva preso d’assalto il cuore, rendendomi difficile pensare e respirare.

«E se lo facessimo solo una volta? Non è niente di che. Se tu...»

«Cletus!» Mi girai di scatto per affrontarlo. Sembrava così pragmatico, così accademico riguardo l’intera faccenda. Come se baciarmi sarebbe stato insignificante quanto mangiare un panino al tonno. «Non voglio parlarne.»

«Va bene.» Alzò le mani come per arrendersi. «Non parlarne. Però pensaci, soltanto.»

Io esalai un sospiro agitato e mi voltai. «Va bene, ci penserò.»

Con la coda dell’occhio lo vidi annuire con un cenno, come se la faccenda fosse chiusa. Mi sentivo appena fuori di me. Perché la verità era che, vista l’intensità della mia reazione alla sua proposta, probabilmente non avrei pensato ad altro se non baciare Cletus Winston per un bel po’.