Ricevo email da tutto il mondo (India, Nigeria, Pakistan, Francia, Grecia, Australia, ecc.) in cui i lettori mi dicono quanto si identifichino con i miei personaggi femminili un po’ nerd, intelligenti, ambiziosi e in gamba. Quando chiedo con quale dei miei personaggi si identifichino di più, oltre il sessanta per cento dei miei lettori risponde Janie di Neanderthal Seeks Human e Neanderthal Marries Human.
Penso che sia dannatamente fantastico. Alla goffaggine non importa chi siano i tuoi genitori. L’intelligenza non guarda il tuo colore della pelle. Perché essere intelligenti, goffi, avere affinità per la cultura nerd e innamorarsi sono, in effetti, concetti universali.
L’anno scorso una lettrice mi ha fatto notare che finora tutti i miei personaggi sono di discendenza nord-europea. Mi ha chiesto: «Perché tutti i tuoi personaggi sono bianchi?»
E io ho risposto: «Perché è questo che conosco. Come posso scrivere e rendere giustizia a una persona di colore? Non sono mai stata una persona di colore».
Lei ha sorriso e mi ha detto: «Ma tu scrivi di uomini e sei una donna. Scrivi di meccanici maschi che vivono tra le colline del Tennessee e sei una scienziata che viene dalla California».
Aveva ragione. Per cui ho scritto un post sul mio blog chiedendo ai miei lettori di colore di scrivermi. Ho chiesto loro di condividere le loro esperienze su come sono cresciuti negli Stati Uniti. Avevo una richiesta: «Ditemi quello che non so».
Ho ricevuto oltre 500 risposte. E ho scoperto che non so (sapevo) poi molto.
Oltre a raccogliere dati e informazioni (ad esempio, svariate donne di origini africane mi hanno fatto notare che ad alcuni afroamericani/neri non piace tenere i capelli bagnati e pertanto non gli piace andare a nuotare; io non lo sapevo) i lettori hanno anche condiviso una serie di storie ed esperienze che mi hanno acceso l’immaginazione. Nuovi eccitanti modi di vedere il mondo, prospettive che non avrei mai scoperto se avessi continuato ad attingere al mio misero pozzo di esperienze.
Una donna (americana di terza generazione) mi ha scritto: «Ho molto più in comune con te, culturalmente, che con i miei cugini in India».
È vero. Ha ragione. Se posso scrivere di un uomo, o di un ex-agente della CIA o di un dottore, allora perché non posso scrivere di una persona che per caso non condivide con me le stesse o simili origini?
Sienna Diaz doveva essere inizialmente Sienna Foster. Ma mentre le cose (di cui sopra) accadevano, decisi che non c’era alcun motivo per cui non potesse essere una donna di colore. In effetti, renderla una latinoamericana (a mio avviso) ha aggiunto nuove sorprendenti profondità al personaggio. Ed erano tutte magnifiche.
Devo ringraziare delle persone. Questo libro, più di tutti gli altri che abbia mai scritto, è stato sicuramente uno sforzo collettivo.
Per prima cosa, voglio ringraziare Angela Houle. È lei la lettrice, nonché fantastica editor, che per prima mi ha chiesto perché nessuno dei miei personaggi fosse di colore. Grazie di avermi posto la domanda.
Secondo, devo ringraziare gli oltre cinquecento lettori che hanno risposto alla mia richiesta iniziale di informazioni. Intendo continuare a saccheggiare le loro esperienze a beneficio dei miei futuri libri (Sienna non è che la prima!).
Terzo, i miei lettori di prova, che mi hanno specificatamente aiutata con il personaggio di Sienna: Felicia Valadez, Michelle Linnborn, Elizabeth Lopez e Melissa Breit. Quando ho inviato a queste ragazze una prima versione del libro, ho chiesto loro: «Vi prego, aiutatemi a rendere Sienna autentica. Non uno stereotipo e non una bianca con la pelle più scura. Aiutatemi a renderla reale». Ognuna di queste ragazze mi ha risposto con suggerimenti, commenti e note riguardo le esperienze/punti di vista sviluppati crescendo negli Stati Uniti come prima o seconda generazione di messicani (o discendenti di messicani).
In effetti, una delle frasi che Sienna pronuncia del libro è ripresa parola per parola dalle note di Felicia Valadez alla versione di prova. Ha scritto: «Siamo cresciuti tutti sapendo chi fosse e sentendoci dire ubbidite o La Llorona vi troverà.
Non ho ancora capito se la morale sia che bisogna ascoltare i propri genitori altrimenti si finisce ammazzati da La Llorona, o che devi ascoltare la tua mamma messicana perché potrebbe impazzire e ucciderti. Oh, certo, poi passerebbe l’eternità a piangerti e a cercarti, ma comunque ti ucciderebbe». (capitolo 4)
Mi ha fatto ridere moltissimo, per cui l’ho usata (con il suo permesso).
Voglio anche ringraziare la mia squadra di lettrici di prova (Shannon, Tracy, April, Heather, Amber, Angie e Becky) oltre ai miei editor: Marion, Karen e Iveta. Ho perso tutte le mie modifiche (circa 18.000 parole) il giorno in cui avrei dovuto consegnare il libro all’editore per una seconda lettura. Marion e Karen mi hanno salvata. Senza il loro supporto e incoraggiamento, penso che avrei messo il libro nel cassetto per sempre. Invece, scrissi 23.000 parole in cinquantasei ore.
Ultimo, ma non per importanza, voglio ringraziare la mia famiglia. Ho scritto questo libro in circostanze estreme (un bambino che metteva i denti, comprare una nuova casa, vendere la vecchia, prepararsi per un trasloco dall’altra parte del paese) e non sarei riuscita a finirlo senza il sostegno e la comprensione della mia famiglia.
Vi auguro ogni bene,
Penny Reid