Di tutte le cose che ho perso, la testa è quella che mi manca di più.
- Mark Twain
Claire non aveva bisogno di essere salvata.
Io sì, però.
Dalla festa a sorpresa per il mio compleanno.
Non appena le luci del Jeanie’s si accesero, sentii urlarmi: «Buon compleanno, Jethro!» Da ogni direzione. Un centinaio di flash, o così mi parve, lampeggiarono, e per poco non ci rimasi secco per lo spavento.
Sentii anche gridare per lo più dai miei fratelli e da alcuni dei miei compagni di pesca: «Buon compleanno, stronzo!»
Il cuore quasi mi schizzò via dal petto, per cui ero certo che le foto del mio ingresso sarebbero state davvero divertenti. Avevo il sospetto che avrei trovato foto della mia espressione scioccata in strani posti per i mesi a venire. Sapevamo che Cletus aveva l’abitudine di vendere alcune delle nostre foto più imbarazzanti a siti di foto di repertorio. Roscoe, il mio fratello più piccolo, le raccoglieva invece in calendari che regalava a Natale.
A difesa della mia reazione di completa sorpresa, durante l’intero tragitto verso il bar e mentre entravo, ero ancora assorto in pensieri riguardanti una certa moretta che avevo aiutato poco prima. L’ultima cosa che mi aspettavo era trovare metà città che mi sorrideva come se avessi appena sterminato tutti i procioni idrofobi della montagna.
Ormai non potevo più fare nulla riguardo la mia espressione da coniglio spaventato, per cui decisi di scrollare le spalle e farmi una risata.
Cletus e Claire uscirono dalla folla composta da almeno cinquanta o più persone sorridenti. Lei aveva un sorriso enorme. Lui, un sorriso soddisfatto. Teneva stretta la sua macchina fotografica.
Claire mi strinse in un grande abbraccio e mi premette un bacio veloce sulla guancia, ripulendo poi il suo rossetto con il pollice mentre faceva un passo indietro.
«Buon compleanno, Jet». Mi chiamò con il mio soprannome, con gli occhi azzurri sorridenti. Era bello vederla felice.
«Sei nei guai». La indicai e scossi la testa. «Questa non te la faccio passare liscia».
«Oh, e ancora non hai visto niente» disse, sorridendo sinistramente.
Ma prima che potessi farle un’altra domanda, Cletus mi batté una mano sulla spalla. «Vedo che sei rimasto sorpreso».
Avrei dovuto capire che Cletus stava tramando qualcosa quando l’avevo beccato a pulirsi le unghie qualche ora fa. Cletus, assieme ai nostri fratelli gemelli Beau e Duane, era proprietario dell’Officina Fratelli Winston. Se uno di loro aveva le mani pulite, allora probabilmente stava tramando qualcosa.
«Mi avete proprio sorpreso, considerando che il mio compleanno è stato il mese scorso» ammisi, mentre due colleghi di lavoro si facevano avanti per farmi gli auguri.
Cletus aspettò che i miei amici si allontanassero prima di rispondere al mio ultimo commento. «Il mese scorso c’erano i compleanni di Naomi Winters e Carter McClure. Sai che non mi piace mangiare torte più di due volte al mese».
«Jethro, nascere ad aprile è stato proprio da maleducati». Claire trattenne un sorriso e mi diede una gomitata sul braccio.
Cletus le rivolse uno sguardo confuso. «Non è colpa sua se è stato concepito a luglio, anche se non ha alcun senso. Non hanno installato l’aria condizionata nelle macchine o nella casa fino al ‘97, per cui non dev’essere stata una bella esperienza».
Billy, il secondo dei miei fratelli, si aggirava appena fuori il nostro terzetto, sorseggiando una birra con un’espressione scontrosa. Billy aveva sempre un’espressione irritata quando ero nei paraggi, ma altri, le donne in particolare, mi avevano detto che era il più bello dei fratelli Winston. Obiettivamente, sapevo che era la verità.
Ascoltava e osservava la nostra conversazione, senza proferire parola. Quando sentì il commento di Cletus, alzò i suoi occhi azzurri al cielo e borbottò qualcosa tra i denti.
«Qualcosa da aggiungere, Billy?» Chiese Cletus, alzando un sopracciglio in direzione di nostro fratello.
Billy indossava, come al solito, giacca e cravatta, il che significava che era appena tornato dal lavoro. A dire il vero, ero sorpreso di vederlo. Per prima cosa, lavorava più di ottanta ore alla settimana alla segheria ed era determinato a fare carriera nell’azienda. E, secondo, mi odiava a morte.
Lo studiai, desiderando le stesse cose che desideravo sempre quando guardavo Billy: di essere stato un fratello maggiore migliore quando eravamo piccoli, di aver protetto la mamma dagli abusi di nostro padre, che non fosse stato Billy quello che si prendeva le botte per tutti noi, che non fossi stato uno stronzo buono a nulla.
Ma in quel momento, visto che nessuno di quei desideri aveva una qualche chance di avverarsi, desideravo soprattutto una birra.
Mi girai per stringere la mano e salutare il suocero di Claire, il capo dei pompieri della zona, ma non mi persi lo sguardo irritato che Billy lanciò a Cletus.
«Non ho niente da aggiungere» disse Billy, con un’inflessione dura nella voce. I suoi occhi scattarono brevemente su Claire. Le rivolse un sorriso teso e imbarazzato, come se si fosse pentito delle sue parole. Poi chiese, con tono infinitamente più gentile: «Vuoi qualcosa da bere, Claire?»
Claire scosse la testa, guardando in direzione dei suoi occhi, ma senza incontrarli. «No, grazie».
Lui rispose con un cenno secco e il suo sguardo si trattenne sul suo profilo per un breve istante. Poi i suoi occhi scattarono ai miei, e si accigliò di fronte alla mia espressione accomodante. Il suo cipiglio mutò in una smorfia arrabbiata e si allontanò in malo modo.
«È davvero maleducato» disse Cletus, osservando nostro fratello sparire tra la folla. «E se avessi voluto io qualcosa da bere?».
«No, non lo è». Claire si osservò le mani accigliata: all’improvviso erano diventate davvero interessanti per lei. «Semplicemente, Jethro non gli sta troppo simpatico, ma prima o poi gli passerà».
«Il problema non è Jethro» la contraddisse Cletus, fissandola con interesse mentre io accettavo un abbraccio da Daisy Payton, la migliore amica di mia madre, e scambiavo qualche parola con lei. Era anche la proprietaria del Daisy’s Nut House, il negozio di ciambelle e tavola calda della zona.
«La tua mamma era così fiera di te, Jethro». Daisy mi strinse forte, poi fece un passo indietro, tenendomi il volto tra le mani. «Non scordarti mai quanto ti volesse bene quella donna».
Le rivolsi un cenno d’assenso, provando una fitta di sensi di colpa, come mi succedeva sempre quando qualcuno menzionava mia madre. Non ero stato un bravo figlio, non avevo messo la testa a posto se non negli ultimi tre anni della sua vita.
«Sì, signora. Grazie mille per essere venuta».
«Ora che non rubi più macchine, sei diventato così beneducato». Mi diede dei colpetti sulla guancia, elargendomi il suo sorriso più ampio.
Le risposi con il mio migliore sorrisino da: “Chi? Io?”
«Andiamo, signora Payton, non ho proprio idea di cosa stia parlando».
«Certo che no». Alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Sei troppo affascinante, sarà la tua rovina. Ora ho bisogno di un drink. È stata una lunga settimana. A dopo, ragazzi». Salutò con la mano Cletus e Claire prima di dirigersi verso il bar. La musica finalmente cominciò e io lanciai un’occhiata al piccolo palco. Alcuni tizi iniziavano a suonare le prime note di Hey, Good Lookin, di Hank Williams.
«Ora tocca a noi». Cletus alzò il mento verso il palco, offrendo il braccio a Claire. «Stasera sono di turno con il banjo e Claire canta. Per cui ti abbandoniamo, dovrai cavartela da solo».
«Penso che sopravvivrò».
«Forse...» Un sorrisetto malefico lampeggiò negli occhi di Cletus. «Solo per tua informazione, ho invitato le gemelle Tanner».
Mi paralizzai, fissando mio fratello con sgomento infinito, e gracchiai un: «Tu cosa?»
Fui felice di non aver preso una birra, perché l’avrei sputata ovunque per l’orrore.
«E Suzie Samuels. E Gretchen LaRoe» aggiunse Claire, senza neanche cercare di nascondere il divertimento che si stava godendo a mie spese.
Io feci una smorfia, un passo in avanti, e chiesi a denti stretti: «Avete invitato tutte le mie ex ragazze?»
Claire lanciò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, mentre Cletus rispondeva: «Cosa? Non sapevo che avessi mai avuto una ragazza. C’è mai stato qualcosa di serio con qualcuna di quelle belle signorine?»
Alzai gli occhi al cielo. «Hai capito benissimo cosa volevo dire».
«No, no, no» ridacchiò Claire. «Diccelo. Dicci cosa volevi dire».
La guardai in cagnesco e lei contraccambiò, ma la sua risata incontenibile rovinò l’effetto minaccioso del suo sguardo.
Nel frattempo, Cletus rispose alla mia domanda come se ci avesse riflettuto sopra molto attentamente. «Jethro, mi sono limitato a invitare alcune delle ragazze più interessanti con cui hai avuto qualche avventura».
«Oh mio Dio». Chiusi gli occhi.
«Pensalo come a una rivisitazione di Canto di Natale. Tu sei Ebenezer Scrooge, e ricevi la visita delle imbarazzanti avventure degli anni passati».
«Sei veramente pessimo. Ma non te la farò passare liscia. Neanche a te». Aprii gli occhi per lanciare un’occhiataccia a mio fratello e a Claire, per dimostrar loro che non scherzavo.
«Non è facile farti irritare così tanto, per cui non vedo l’ora di vedere come intendi farmela pagare». Claire mi batté la mano sulla spalla mentre Cletus la conduceva via verso il palco, lasciandomi solo in mezzo a un mare di persone. Anzi, per meglio dire, lasciandomi solo in mezzo a un campo minato di persone.
Non riuscivo a costringermi ad alzare gli occhi e l’istinto mi diceva di correre, non camminare, verso l’uscita. Il problema era che la folla era composta dalle persone più disparate. Amici d’infanzia, amici di mia madre, i miei fratelli, famiglia, colleghi di lavoro…
E trombamiche di oltre mezza decade fa.
Sei anni fa, alla minima seccatura sarei saltato sulla mia motocicletta e avrei abbandonato tutto e tutti senza pensarci due volte. Ma ora non potevo andarmene. Non ero più quel genere di persona. Dovevo restare.
«Jethro Winston, sei in debito con me» una voce stridula mi accusò da dietro di me.
Mi irrigidii, preparandomi al peggio. Non avevo riconosciuto la voce, ma questo non voleva dire niente. Solo perché non riuscivo a capire a chi appartenesse non significava che non avessi conosciuto quella donna in un momento qualsiasi della mia vita. Dipingendomi un falso sorriso sul volto, mi girai: ero in ballo e dovevo ballare.
Poi feci un sospiro di sollievo, portandomi una mano sul cuore. «Non sei divertente, Ashley».
Ashley Winston, la mia unica sorella. Aveva lasciato Green Valley circa otto anni fa per andare a studiare fuori, principalmente perché vivere con sei ragazzi selvaggi l’aveva fatta impazzire. Si era stabilita a Chicago, dopo essere diventata un’infermiera. Lo scorso agosto era tornata a Green Valley per prendersi cura di nostra madre durante la sua degenza. Nelle sei settimane che era rimasta in città, Ashley si era innamorata del mio capo, Drew Runous.
Era tornata a marzo, in parte per via di Drew e, mi piaceva pensare, in parte per noi ragazzi. Questa volta era tornata per restare.
La mia unica sorella rise, rise di cuore, davanti alla mia angoscia con una scintilla che danzava nei suoi grandi occhi azzurri, poi mi strinse in un abbraccio e con la sua vera voce disse: «Ti ho proprio fregato».
Ashley e Billy sembravano due gemelli, anche se lui era il figlio numero due e lei la numero quattro nella nostra famiglia di sette fratelli e sorelle. Ashley era stata la reginetta di bellezza locale. Forse non ero obiettivo, visto che ero suo fratello, ma pensavo che la sua bellezza esteriore non fosse niente in confronto alla dolcezza del suo cuore.
Ma stasera non lo pensavo. Stasera si stava comportando da strega.
La abbracciai stretto, aggrappandomi a lei. Per quanto mi riguardava, era la mia ancora di salvezza. Dubitavo che uno qualsiasi dei miei errori del passato mi avrebbe messo all’angolo, come era successo più e più volte nel corso degli anni, finché fossi rimasto con mia sorella.
«Jethro?»
«Cosa?»
«Hai intenzione di lasciarmi, prima o poi?» Chiese quando l’abbraccio iniziò a durare troppo a lungo.
«No».
Lei mi strinse e appoggiò la testa sulla mia spalla e io riuscii a sentire la sua guancia incurvarsi in un sorriso. «Ti proteggerò io. Tu resta con me, fratellone».
«Ci conto» dissi, liberandola dall’abbraccio, ma intrecciando le nostre dita. «Stasera sei tu l’unica donna per me».
Lei si spostò i folti capelli sopra una spalla e mi rivolse un sorriso sbalorditivo. «Vuoi dire che stasera sarò la tua guardia del corpo».
Alzai le spalle, cercando tra la folla ed evitando ogni sguardo femminile. «Stessa cosa».
«E questa cos’è?»
Alzai un sopracciglio interrogativo. «E questa cos’è, cosa?»
A dire il vero, cercavo Hank Weller. Ora che la mia immediata sicurezza era garantita, il mio primo pensiero era Sarah.
Sì. Lo so.
Ero incorreggibile.
Potevo aver rinunciato solennemente alle donne, a causare dolore e a rubare macchine, ma quella Sarah non mi sembrava quel genere di donna. C’era qualcosa in lei che mi spingeva a pensare in cliché del tipo lei è diversa. Forse erano le sue fossette? La sua bizzarra, affascinante schiettezza? Il modo naturale e disinvolto con cui riusciva a passare dall’ispirare tenerezza all’essere seducente? Non mi interessava ricadere nelle vecchie abitudini, ovvero trattare le donne come usa e getta.
Quello non ero più io, né volevo esserlo.
La semplice verità era che, meno di un’ora dopo averla conosciuta, scoprire di più sul suo conto era una ossessione, non semplice curiosità.
«Cos’è quest’espressione che stai facendo?» Mi punzecchiò Ashley.
«È la mia faccia da buon compleanno».
«Sembra piuttosto la tua faccia da “spero non mi stiano per ammazzare”».
Le rivolsi un sorriso abbozzato e lei rise del mio disagio. Scorsi Hank all’estremità del bancone che chiacchierava con lo sceriffo e non lo persi di vista, mentre trascinavo Ashley per la stanza. Dovemmo fermarci parecchie volte per accettare gli auguri dalla folla.
«Dove stiamo andando?» Chiese Ashley quando riuscimmo a emergere dalla folla più nutrita dei convenuti.
«Devo parlare con Hank. Ha un’ospite a casa sua a Bandit Lake e devo sapere chi è» ammisi, confessando le mie intenzioni a mia sorella. I miei segreti erano al sicuro con lei. Non era tipa da usarli per influenzarmi o ricattarmi, come gli altri miei fratelli. O Claire.
«Okay, va bene. Ma prima o poi voglio un Margarita, per cui dopo aver parlato con Hank dovremo ordinare».
«Se resti al mio fianco tutta la notte, ti offro un viaggio in Messico».
«Accetto, purché il viaggio sia in Costa Rica».
Mi arrestai proprio di fronte ad Hank e allo sceriffo, pronto a interrogare il mio amico riguardo la sua ospite, ma mi fermai quando sentii cosa stava dicendo lo sceriffo.
«…ormai non è più un segreto, visto che molti di quei tizi del film arriveranno questa settimana e inizieranno le riprese quella successiva. Per cui, certo, non mi dispiace dirlo alla gente, se lo chiedono. Ho già parlato a Kip del motel. Lui lo sapeva da mesi, visto che la troupe alloggerà lì, sai, i tipi con le telecamere e gente così».
Hank annuì cortese finché il suo sguardo che vagava non scorse Ashley di fianco a me. A quel punto, il suo volto si illuminò in un sorriso malizioso. «Ehi, Ashley, non sapevo che saresti venuta stasera».
Fece come per abbracciarla, per cui avanzai di un passo e intercettai l’abbraccio. «Beh, grazie dell’abbraccio, Hank. Mi sei mancato anche tu».
Hank Weller poteva anche essere il mio socio d’affari e il migliore amico del mio fratellino Beau, ma questo non significava che volevo vederlo mettere le zampe su mia sorella. Lui mi spinse via, accigliandosi, sapendo che stavo interferendo con il suo tentativo di palpeggiamento. In realtà gli stavo facendo un favore. Io ero solo uno dei sei fratelli iperprotettivi di Ashley e, probabilmente, il più gentile. Il suo uomo era Drew Runous. E Drew era una spaventosa guardia forestale alta un metro e novantacinque.
«Hank. Da quanto tempo» strascicò Ashley e gli tese la mano per una stretta innocua, rivolgendogli l’alzata diffidente di un sopracciglio.
Lui le scoccò uno sguardo ferito, il che non la impressionò per niente, e lei rivolse la sua domanda allo sceriffo. «Sera, sceriffo. Di che stavate parlando?»
Lo sceriffo James si grattò il mento, esaminandoci apertamente. «Beh, immagino che dirvelo non sia un problema, visto che presto lo verranno a sapere tutti. Alcuni tizi di Hollywood girano un film a Cades Cove e nelle zone lì vicino, il permesso è arrivato direttamente tramite canali federali. Immagino che Drew sappia tutto della faccenda, e da mesi, credo».
Gli occhi di Ashley si spalancarono per lo stupore. «Non mi ha detto niente al riguardo».
«È bravo a tenere i segreti» disse Hank con tono cupo.
Guardai storto il mio socio e mi rivolsi ad Ash. «Sai com’è Drew, probabilmente se n’è dimenticato. O questo, oppure ha pensato che non valesse la pena menzionare che della gente di Hollywood avrebbe girato nel parco».
Il sorriso di mia sorella era gentile e caloroso e il suo sguardo si perse. Stava chiaramente pensando a Drew e alle sue peculiari maniere. «Mi sa che hai ragione. Passerebbe ore a descrivere dei cuccioli di orso appena nati che ha visto nella prateria, ma probabilmente non farebbe alcun caso alle riprese di un film di Hollywood neanche se lo girassero nel suo cortile».
«Affascinante, davvero» disse Hank con tono piatto, accigliandosi.
Anche se consideravo Drew un buon amico, non potevo irritarmi troppo con Hank. Metà degli uomini di Green Valley erano innamorati di mia sorella. Proprio come metà delle donne erano innamorate di mio fratello Billy. L’invidia di Hank era dannatamente divertente.
«In tre mesi sarà finito tutto, o così hanno comunicato al mio ufficio. Il prossimo venerdì terranno delle audizioni per le comparse» osservò lo sceriffo in maniera estemporanea, come se l’intera situazione lo lasciasse perplesso e stesse cercando di venirne a capo.
«C’è qualcuno di famoso? Qualcuno che conosciamo?» Fu Ashley a porre la domanda che la maggior parte delle persone avrebbe fatto, prima o poi.
«Non che io sappia». Lo sceriffo alzò le spalle. «Ma ultimamente non guardo molti film. Non sono più come quelli di una volta».
«Tom Low recita nel film». Hank fissò oltre di me, con lo sguardo nel vuoto, mentre declamava altri nomi. «Jon Will, Ken Hess, Janice Kenner e Sienna Diaz. Non ne ricordo altri».
«Accidenti». Gli occhi di Ashley si spalancarono, come la sua bocca. «Sienna Diaz? E Tom Low? Per tutte le torte di budino».
Hank rivolse ad Ashley un sorrisetto. «Per tutte le torte di budino?»
«Bacia il vento e vola piccolino». Ash proseguì la sua strana rima, sbalordita al punto da non riuscire a dire altro che parole senza senso.
«Dovremmo sapere chi sono queste persone?» Chiesi, spostando lo sguardo tra lo sceriffo James e Hank. Lo sceriffo non mi fu d’aiuto.
«Quest’anno Sienna Diaz ha vinto un Oscar, la prima donna latino-americana a vincere un Oscar come Migliore Attrice, e appena la quarta a essere nominata. E ha vinto con un ruolo comico, cosa mai vista prima. I suoi ultimi film sono stati dei successoni».
«E allora chi è Tom Low?» Chiesi, non avendo la più pallida idea di cosa stessimo parlando.
«L’ex ragazzo di Sienna e, da quando si sono lasciati, la sua carriera è un po’ in discesa».
Focalizzai l’attenzione su Ashley. «E tu come le sai queste cose?»
Lei alzò le spalle e storse il naso come se fossi io quello strano. «Tutti sanno queste cose, tranne i ranger dei parchi nazionali che non guardano la TV».
«Ha ragione» annuì Hank. «Io le sapevo già queste cose».
«Beh, io non ne so niente di queste cose». Lo sceriffo mi lanciò uno sguardo di solidarietà. «In ogni caso, queste persone inizieranno a invaderci la prossima settimana. Devo trovare Daisy e avvisarla, immagino che vorranno un po’ delle sue ciambelle e della sua torta».
Indicai dove si trovava Daisy Payton, all’estremità opposta del bar. «È laggiù, aveva detto che prendeva da bere».
«Grazie, figliolo».
Lo sceriffo James era un uomo di poche parole e ancor meno sentimentalismi, per cui ci rivolse un accenno di sorriso e poi se ne andò per parlare con Daisy.
Lo guardai allontanarsi e involontariamente i miei occhi trovarono quelli di una donna. In fretta e furia, riportai lo sguardo su Ashley e diedi le spalle alla donna.
«Oh, per l’amor del cielo, Jethro». Il sospiro di Ashley era al contempo divertito ed esasperato. «Non l’hai ancora capito? Cletus non ha invitato nessuna delle tue amichette a questa festicciola».
Fissai mia sorella a bocca spalancata. «Dici davvero?»
Hank cercò di nascondere la sua risata dietro la mano. «Sei proprio un credulone, Jethro. Cletus mi ha raccontato per filo e per segno come ti avrebbe fatto credere di aver invitato le gemelle Tanner. Ti stava solo prendendo in giro. Non sono qui».
Ashley allungò la mano e mi pizzicò la guancia. «Il mio fratellone, spaventato a morte dalle donne».
«Non da tutte le donne» chiarii. «Solo da quelle che ho respinto sdegnosamente».
«Hai respinto sdegnosamente qualche donna ultimamente?» Chiese Hank, chiaramente divertito dal mio disagio.
«No, non ho respinto nessuna negli ultimi cinque anni».
«Che tu sappia» disse Ash con una risata.
Rivolsi un’occhiataccia a mia sorella e al mio amico, con l’irritazione che mi saliva in petto. «Parlate come se fossi una canaglia. Non lo sono».
«Lo eri». Hank alzò le spalle. «Ma hai ragione. Non lo sei più, almeno non intezionalmente».
Prima che potessi protestare per il suo ultimo commento, Ashley disse piano: «Non puoi farci niente, carino come sei».
«Non sono carino. Sono solo amichevole. Non c’è niente di male nell’essere amichevole».
«Sei proprio un cascamorto, ecco cosa sei» disse Hank impassibile prima di bere un sorso di birra. «Tu e Beau avete ereditato il gene dal vostro papà. Quando voi due vi fate vedere in giro, noi altri non abbiamo speranze».
Una volta, sentirmi dire che avevo qualcosa in comune con mio padre mi avrebbe riempito di orgoglio. Ora mi faceva sentire un vuoto dentro. Avevo l’impressione che Hank facesse riferimento a una qualche vicissitudine personale recente che aveva avuto con Beau, perché lui di certo non si era dato alla castità.
Decisi di cambiare argomento piuttosto che continuare a girare il dito nella piaga. Volevo ancora sapere qualcosa di quella Sarah.
«Allora, Hank, oggi ho incrociato la tua ospite sul punto panoramico, quello in alto sulla Moth Run».
I suoi occhi si spalancarono e poi si strinsero. «La mia ospite?»
«Sì, Sarah».
«Sarah...» Il suo tono era evasivo.
«Ha detto che stava da te su al lago, che siete andati all’università insieme».
Mi accorsi che capì a chi mi riferivo, anche se il suo sguardo rimaneva sfuggente. «L’hai… incrociata così per caso?»
«Esatto. Si era persa e io l’ho accompagnata su fino a casa tua».
«Uhm». Bevve un altro sorso di birra, guardandomi di sottecchi.
Volevo chiedergli chi fosse la signorina, ma il modo in cui mi guardava mi fece pensare che più mi sarei mostrato interessato, più lui si sarebbe chiuso a riccio.
«Insomma, ecco, volevo farti sapere che le ho mostrato come arrivare a casa tua. Mentre venivo qui ho chiamato Duane e gli ho detto di portare la macchina a noleggio su a Bandit Lake».
Con mio grande fastidio, rispose solo con un: «Grazie», confermando il mio sospetto che non aveva intenzione di approfondire l’argomento.
Quella conclusione mi lasciò frustrato, anche se riuscii a nasconderlo con un sorriso amichevole e dissi: «Nessun problema». Girandomi verso Ash, le offrii il braccio: non avrei ottenuto altro da Hank. «Vuoi ancora quel Margarita, Ash?»
Lei fece scivolare le dita sul mio braccio e annuì. «Ma certo».
Con attenta cortesia, portai via mia sorella da Hank e la condussi verso il bar, salutando quelli che incrociavamo elargendo ringraziamenti e la mia migliore interpretazione di persona affabile. Ma i miei pensieri erano piuttosto confusi. Questa Sarah mi era sembrata interessata, o almeno così mi era parso. Forse avevo frainteso il suo naturale fascino per interesse. Era davvero ora che mi rimettessi in gioco.
In ogni caso, se Sarah era davvero territorio di Hank… Beh, allora forse era meglio così.