Capitolo 8

Niente al mondo può compensare la perdita di chi ti ha amato.

- Selma Lagerlöf

Sienna

Non ebbi occasione di parlare con Jethro durante il tragitto verso la casa di Hank, non con Cletus dietro di noi che mi trafiggeva la nuca con il suo sguardo tagliente. Non gli piacevo e non gliene facevo una colpa, non quando era chiaro che avevo mentito a suo fratello riguardo la mia identità.

Ma nonostante quanto fosse stato magico, esaltante e assuefacente essere semplicemente una ragazza qualsiasi che flirtava con un ragazzo qualsiasi, ero determinata a spiegare tutto a Jethro la mattina dopo. Sfortunatamente, Cletus era nel pick-up quando Jethro mi passò a prendere alle cinque di mattina.

Jethro tenne aperta la portiera per me, rivolgendomi un largo sorriso e porgendomi la mano. «Hai dimenticato di nuovo la tazza nel pick-up ieri sera, allora mi sono preso la libertà di riempirla di caffè. Attenta al gradino».

Dopo avermi aiutata a salire, lasciò la mano indugiare nella mia, intrecciando le dita per il più breve dei secondi e provocandomi un’ondata di calore che mi risalì il braccio insieme a un luccichio negli occhi, prima che lui si staccasse. Compiansi la perdita di quel contatto non appena chiuse la portiera e osservai la sua camminata rilassata mentre passava davanti al pick-up.

Ma la voce dura di Cletus che diceva: «Sienna» a mo’ di saluto, mi strappò alle mie felici riflessioni sul ranger Jethro.

«Cletus» risposi, accigliandomi.

«Gliel’hai detto?»

«Quando avrei potuto farlo?» La mia risposta era agitata, perché Jethro era quasi arrivato alla portiera.

«Devi dirglielo».

«Lo farò».

«Quando?»

«Non appena siamo da soli in un posto tranquillo e riservato. Dove possiamo parlarne».

«Allora fai in modo che succeda» sussurrò in fretta e con veemenza proprio mentre suo fratello apriva la portiera.

Jethro si arrampicò al suo posto e mi rivolse un sorriso amichevole. «Com’è il caffè?»

«Non l’ha ancora bevuto» rispose Cletus al posto mio; poi aggiunse: «Ma vuole che tu le chieda di uscire insieme stasera, che andiate in un posto senza troppa gente. Un posto tranquillo, dove si può parlare con calma».

Gli occhi di Jethro si spalancarono e fissò il riflesso del fratello nello specchietto retrovisore abbaiando: «Cletus!»

«Non fare l’oltraggiato come una vecchia signora, fratellone. Guarda lei, santa sagra della salsiccia. Ha i bollori per il tuo brutto muso, che Dio l’aiuti. E so che ultimamente tu pensi a lei, a giudicare da quanto tempo hai passato in bagno stamattina».

Serrai la bocca con la mano proprio mentre una risata sbigottita esplodeva dalle mie labbra.

«Dannazione, Cletus» ringhiò Jethro, accendendo il motore e lanciando al fratello uno sguardo rovente. «Sei proprio pessimo. Resta zitto e basta. Per sempre. Non parlare mai più». Lo sguardo di Jethro saltò su di me e poi si allontanò mentre sospirava, con aria contrita. «Mi dispiace tantissimo».

Misi una mano sulla coscia di Jethro – per vostra informazione aveva una coscia davvero piacevole da toccare – per rassicurarlo e perché lo volevo toccare. «No, no. Ti prego, non scusarti. Ha ragione e ha torto. Mi piace il tuo muso, ma non è brutto, per niente».

Sentendomi, Cletus rise di scherno e borbottò: «Bello non è».

Jethro strinse le labbra e riuscivo a vedere l’accenno di un sorriso in mezzo alla sua frustrazione. «Sono contento che ti piaccia il mio muso».

«Chiedile di uscire e facciamola finita» ordinò Cletus. «Stasera lei non ha niente da fare. Voi due uscirete insieme, stasera».

Jethro rivolse al fratello un altro sguardo omicida, ma io colsi l’opportunità per intromettermi. «Ha ragione. Stasera non ho niente da fare».

Cletus abbassò una mano sulla spalla di Jethro. «Va bene. Allora è deciso. E prego. Ora, se non vi dispiace, me ne resterò qua dietro a dormire finché non arriviamo al Cove. Per cui, se voi due piccioncini potreste tubare a basso volume, lo apprezzerei molto».

Mi imbattei in Tom nella tenda dello staff a colazione.

No, aspettate. Meglio spiegare.

L’assistente amministrativa di Tom, Elon, mi scovò nella tenda dello staff e pretese che la seguissi immediatamente per andare a fare colazione con Tom nella sua roulotte. Quando rifiutai con tatto e fermezza, lei se ne andò. E, cinque minuti dopo, Tom si precipitò nella tenda dello staff.

Era una cosa che non si vedeva tutti i giorni. A Tom non piaceva mescolarsi con lo staff della produzione. Sinceramente, non gliene ne facevo una colpa. Non appena entrò, donne competenti si trasformarono in ragazzine ridacchianti. Anche qualche uomo si comportava come un idiota abbagliato da una stella. Lo staff della produzione e gli attori secondari non si comportavano mai così attorno a me. Non mi piaceva avere colleghi che perdevano la capacità di parlare ogni volta che arrivavo sul set, il che tende ad accadere quando i nomi sul cartellone cominciano a isolarsi dalle persone che fanno davvero il film. Io avevo preso l’abitudine di rendermi disponibile sin dal primo giorno e mi sforzavo di ingraziarmi chiunque, dall’assistente di produzione al cameraman (o camerawoman).

Ma non ero Tom Low. Non potevo vantare quindici anni di impressionante status di celebrità sulle spalle. Inoltre, Tom era un figo. Ero rimasta più che incantata da lui la prima volta che ci eravamo incontrati, ridotta anch’io a una ragazzina tutta risatine, accecata dal suo aspetto e dalla sua importanza.

«Sienna» disse, rivolgendo un’espressione torva a Janice Kenner, seduta di fianco a me sulla panca. Era la principale attrice co-protagonista ed eravamo conoscenti con un rapporto piuttosto amichevole.

«Perché quell’espressione costipata, Tom?» Janice alzò lo sguardo dalla sua insalata. «Dovresti mangiare più fibre».

«Ne mangio più che a sufficienza». Tom tirò su con il naso, roteando le spalle e gettando uno sguardo attorno a sé nella tenda. «Vorrei parlare un attimo con Sienna».

«Siediti pure». Janice indicò la sedia vuota davanti a lei.

Tom rivolse un’occhiataccia prima a lei e poi a me. Lei sembrava completamente impassibile all’esterno, ma sapevo che si stava godendo il suo disagio. Janice era gentile con me e aveva talento da vendere, ma amava causare scenate. Mentre invece io preferivo mantenere la pace.

«Ehi, Janice». Le diedi un colpetto con il gomito. «Torno subito, mi tieni il posto?»

Lei alzò le spalle senza proferire parola e alzò gli occhi al cielo. Scattai in piedi prima che decidesse di commentare il gonfiore del volto di Tom, camuffando il commento in una genuina preoccupazione, come tendeva a fare. Afferrando il gomito di Tom, lo condussi oltre gli altri tavoli fino a un angolo tranquillo appena fuori dalla tenda. Sentendo i suoi occhi trapanare un lato del mio volto, gli lanciai un’occhiata e lo scoprii intento a proiettare addosso a me ogni grammo della sua straordinaria mascolina figaggine. Sarebbe stato sufficiente a mozzarmi il respiro, se non avessi saputo che non era in grado di lavare la propria biancheria.

«Che c’è?»

«Vieni nella mia roulotte» disse, usando il suo tono sexy. «Parliamo. Non ho avuto occasione di parlare con te ieri».

«Sì, invece. Abbiamo parlato della tua dieta purificante al limone e dei tuoi cashmere». Cercai di avere un tono innocentemente perplesso, ma la verità era che l’avevo evitato per il resto della giornata, dopo averlo trovato nella mia roulotte. Non era stato facile. Ero stata costretta a nascondermi nell’attico di una delle vecchie case che stavamo usando perché lui continuava a cercarmi in tutti gli altri posti.

La sua bocca si sollevò da un lato, i suoi epici occhi azzurri si mossero sulle mie fattezze con potente tenerezza. «Voglio sapere cosa succede nella tua vita. Parlami della tua prossima sceneggiatura».

Cercai di non guardarlo immediatamente con aria torva. Avevo aiutato Tom a ottenere il ruolo in questo film. I suoi ultimi film, dopo l’ultimo in cui avevamo recitato insieme, si erano rivelati un disastro al botteghino. Persino Marta, la sua fan numero uno, aveva ammesso che la sua carriera era in crisi.

Alzai le spalle, gettando un’occhiata all’orologio. «Uhm, io non...»

Per fortuna non dovetti terminare la mia scusa, perché il mio cellulare squillò. Marta. Alzai un dito verso Tom dicendo: «Scusa, ne parliamo dopo. Devo rispondere». Poi mi allontanai in fretta dalla tenda.

«Sienna, la mia adorabile, bella, magnifica sorella. Non sai, voglio dire, nessuno ti ha detto niente?»

Sorrisi al tono allegro della voce di Marta, cercando un angolo tranquillo dove parlare, in cui Tom non mi avrebbe più ritrovata, dopo. «Riguardo cosa?»

Ignorando la mia domanda, chiese: «Come stai stamattina?»

«Alla grande. Tu come stai?»

Fece un sospiro, chiaramente di sollievo. «Alla grande anche io. Sai perché sono una grande?»

«Vuoi che elenchi ogni singola ragione? Perché sarebbe una lista bella lunga».

«Sei gentile». Ridacchiò, sembrando soddisfatta di sé. «Ti dico cos’è successo. Sono una grande perché ho sentito Jenny stamattina. Indovina chi vorrebbero per il ruolo di Smash-Girl? Indovina?»

«Non ne ho idea. Chi?»

«Te».

Sbattei le palpebre. Mi accigliai. «Cosa?»

Smash-Girl? Stavo dormendo? Era tutto un magnifico sogno?

«Vogliono darti il ruolo di Smash-Girl! Lo studio è stato davvero insistente. E vogliono che sia tu a scrivere la sceneggiatura».

«Vogliono che scriva la sceneggiatura?»

Se è tutto un sogno, NON VOGLIO MAI PIÙ SVEGLIARMI.

«Beh, come coautrice».

«Non capisco. Sarà un film di supereroi o una commedia?»

«Entrambi. Dopo il successo di Smash-Boy, si dice che la Dimension Comics si stia precipitando a capitalizzare la richiesta del pubblico di film d’azione sovversivi e divertenti e tu sei la prima a cui hanno pensato».

«Quindi…» Avevo lo sguardo perso nel vuoto, e il mio cervello non riusciva ad accettare o afferrare la parte più elementare della conversazione. «Non dovrei essere, sai, pompata di muscoli? Smash-Girl non è tipo super forte?»

«No, no, no. Intendono usare uno schermo verde con cattura del movimento in computer grafica, come hanno fatto per i film della Dimension con Bryce Boomer. Quando è in forma normale, tu le darai il volto. Il personaggio è una donna ordinaria, super gentile, di buona indole, piacevole. E poi, quando perde la testa, useranno la computer grafica».

Le idee iniziarono a invadermi il cervello come una valanga: modi divertenti in cui Smash-Girl avrebbe potuto perdere la calma.

«Magari, prima di essere in grado di controllare il suo potere, ci vede rosso dal ginecologo quando lo speculum è freddo o quando ha finito il vino rosso. O quando le persone continuano a rubarle il posto in fila alla Motorizzazione».

«Sì». Marta mi incoraggiò, la sua sedia cigolò piano, facendomi capire che ci stava saltellando sopra.

«Potrebbe essere una cosa fantastica». Poteva essere davvero, davvero fantastico.

«Sì! Sarà fantastico. E non solo per te, ma per tutte le donne. Pensa a come potrebbe cambiare l’industria e la percezione delle persone. Per anni le donne sono state ignorate, non si pensava potessero essere fan dei supereroi o di film d’azione. Pensa a come questo aprirebbe le porte ad altri ruoli, altre parti per donne forti. Una generazione di bambini che cresce ammirandoti. E se lo scrivi tu, puoi impedire che loro lo sviliscano, che si pieghino ai gusti già esistenti. Sienna, sarà una cosa davvero, davvero fantastica».

Annuii, cedendo all’eccitazione e non pensando a cosa questo significasse per la mia programmazione lavorativa.

Prima che potessi addentrarmi troppo in là nei miei viaggi mentali, Marta mi interruppe: «Oh. Prima che mi dimentichi, andrai alla prima di Kate a Londra? Credo tu debba andare e portarti dietro un cavaliere».

«Io, ecco, non ci ho proprio pensato in questi giorni». La mia mente stava ancora creando scenari in cui Smash-Girl perdeva la calma.

«Beh, devi andare. Ma devi stare attenta: ci saranno anche Tate e la sua nuova ragazza».

«E allora?»

«Allora voi due uscivate insieme. Sarà imbarazzante».

«No, non uscivamo insieme».

Sentii mia sorella sbuffare all’altro capo. «Sì, invece».

«No. Non sono mai uscita con Tate. Siamo andati una volta a bere un succo a un bar dopo la lezione di yoga. Una volta sola».

«Lui ti chiama ancora il suo amore perduto».

«Che scemenza. Ha parlato tutto il tempo della sua ossessione per il succo di rapa. Io ho detto a malapena una parola. Non uscirei mai con qualcuno che fa la pipì viola».

«Sienna».

«Marta».

Capii che cercava di essere seria, ma lo ero anche io. Quel tipo beveva talmente tanto succo di rapa che la sua pipì non era l’unica cosa che stava diventando viola.

Attenzione, spoiler: era la sua faccia.

«Beh, ci sarà anche Kev e in giro si dice che porterà la sorella. Dice che ancora non ti ha dimenticata».

«Oh mio Dio. Dici davvero?» Scossi la testa, disgustata. I nostri agenti ci avevano fatto incontrare per una cena pubblicitaria e lui la stava spremendo da ormai diciotto mesi, recitando la parte dell’innamorato respinto. Non ci eravamo neanche baciati. «Che scroto!»

«Dico solo per dire. Tra Kev, Tate e Tom, sarà una vera e propria riunione dei tuoi ex. Quindi devi andarci per forza con un cavaliere».

Mi venne voglia di urlare che nessuno di loro era stato il mio ragazzo, tranne forse Tom, e in ogni caso per appena un mese, ma cambiai idea.

Dissi, invece: «Va bene, va bene. Andrò e porterò un cavaliere». Se proprio me la fossi vista brutta, avrei chiesto a Dave, la mia guardia del corpo, di accompagnarmi.

«Bene. Prenoto i biglietti. Prenderai un volo charter da Knoxville, altrimenti saresti costretta a fare tre scali».

«Okay».

«Oh, un’ultima cosa, Sienna».

«Dimmi».

«Congratulazioni». La sua voce conteneva un orgoglio e un sorriso genuino. «Scriverai una sceneggiatura epica e sarai una fantastica Smash-Girl».

Ero stanca, ma potevo farcela. Ce l’avrei fatta. Era una cosa importante.

Nonostante la mia irritazione non del tutto sparita per la prima londinese, mi concessi un piccolo sorriso. «Grazie, Marta. Senza di te questo non sarebbe successo».

E poi, forse, dopo aver fatto questo, se Smash-Girl avesse avuto successo, se fossi riuscita a conquistare gli obiettivi che speravo, avrei potuto prendermi quella benedetta pausa.

Il resto della giornata fu una serie di lampi sfocati di attività. La notizia del film di Smash-Girl e del mio potenziale ruolo doveva essere trapelata, anche se non riuscivo a capire come si fosse diffusa tanto rapidamente. Entro quel pomeriggio, tutti mi sorridevano e mi offrivano le loro congratulazioni. Ma io avevo altri pensieri per la testa, vale a dire pensieri sul fantastico ranger Jethro.

Visto che si avvicinava l’ora del tramonto e avevo finito di girare le mie scene per la giornata, tornai di soppiatto nella mia roulotte. Dave, il capo della mia squadra di sicurezza, era in piedi fuori dalla porta. Mi salutò alzando il mento e aprì la porta.

«Tom si è fatto vivo?» Chiesi, passando a Dave il caffè e la ciambella che avevo preso per lui durante il tragitto.

«Grazie». Accettò la mia offerta. «Non lo vedo da pranzo».

«Bene».

«Sienna?»

«Sì?»

«Sei sicura che non vuoi che ti portiamo qui noi la mattina e a casa la sera?» Dave si incupì in volto. Potevo vedere il mio riflesso nei suoi occhiali da sole scuri. «Abbiamo diviso la giornata in tre turni e sai che sono una persona mattiniera. Non sarebbe un problema portarti qui presto. Se Marta scoprisse che guidi da sola...»

Con un gesto della mano, misi fine al discorsetto che si era preparato: me lo ripeteva da una settimana, sin da quando gli avevo detto che sarei andata in macchina, da sola. Aveva detto più o meno le stesse cose la scorsa notte quando ero tornata alla casa sul lago dopo lui ed Henry.

«Ci penso io a Marta. Tu lavori per me, non per lei. Se voglio guidare la mia macchina o andare con qualcun altro, sono scelte mie. Okay? Tu sei con me in casa tutta la notte. Sei qui con me tutto il giorno». Lanciai uno sguardo a Henry, che mi seguiva come un’ombra, da sopra la spalla. «Voi ragazzi siete fantastici e vi sono grata. Ma ho bisogno di un po’ di spazio».

Lui annuì cupamente e poi addentò la sua ciambella. Entrai nella roulotte e chiusi la porta proprio mentre lo sentivo dire: «Cazzo, questa ciambella è squisita».

Feci un sorrisetto, perché tutti parlavano delle ciambelle. Io non ne avevo ancora mangiata una perché venivano dal posto di cui aveva parlato Jethro la mattina prima. Forse ero strana, ma volevo vivere quell’esperienza insieme a lui, da soli.

Chiudendo a chiave la porta alle mie spalle, controllai l’orologio e vidi che avevo un’ora circa prima che Jethro passasse a prendermi per il nostro appuntamento. Sapendo che non mi sarei potuta cambiare alla casa sul lago prima che mi passasse a prendere, avevo preso in prestito un vestito dalle costumiste.

Mi sentivo una vera bomba, con quel vestito addosso.

Un vestito nero, lungo fino al ginocchio, con inserti rossi ai fianchi e una scollatura a V profonda che metteva in evidenza il décolleté. Era stato cucito apposta per il film e apposta per me. L’avevo indossato solo un’altra volta, per una sessione di foto promozionali due mesi prima, ma lo adoravo.

Feci la doccia, mi strizzai nel vestito e usai il kit del trucco di Susie per truccarmi il viso, lasciando asciugare i capelli attorno alle mie spalle in onde selvagge. Per quanto riguardava le scarpe, potevo scegliere tra: ballerine rosse, tacchi neri o chanclas rosa shocking. Infradito, per chi non parlasse spagnolo.

Il posto in cui Jethro mi lasciava la mattina e mi passava a prendere la sera era vicino alle strutture temporanee principali, ma la strada era nascosta. Era un’area isolata e pochissime persone, se non nessuno, passavano di là. Ma era anche sterrata, il che significava camminare e aspettare in piedi nel fango il suo arrivo.

Avevo deciso di mettere i tacchi nella borsa e mettere le chanclas per uscire, per evitare che le scarpe nere mi rallentassero o mi facessero restare bloccata nell’erba. Bussai tre volte sulla porta e aspettai che Dave ripetesse la bussata, il nostro segnale di via libera. Se Tom o Elon fossero stati là, Dave, dietro mie rigide istruzioni, avrebbe dovuto spiegare che me ne ero già andata.

Aprii la porta e lui mi aiutò a scendere. Notai il suo sguardo torvo quando i miei piedi, con gli infradito inforcati, toccarono terra.

«Sienna, cos’hai addosso?»

«Un vestito. Tu cos’hai addosso?»

«Non guidi da sola, vero?» Mi rimproverò con lo sguardo. «Hai dei piani per stasera».

«Esatto». Mi sistemai la borsa in spalla, con dentro il portatile. Lo portavo sempre con me, ultimamente.

«Ti prego, dimmi che non esci con il signor Low» gemette, facendo una smorfia.

«Non è il signor Low». Risi, nascondendomi dietro l’enorme sagoma di Dave finché non mi fossi assicurata che nessuno potesse beccarmi mentre sgattaiolavo via.

«È Ken Hess?» Ken Hess era un altro attore protagonista del film.

Ken era un bravo ragazzo, io e lui andavamo magnificamente d’accordo, ma lui era proprio quel tipo molto adorabile di stella nascente. Ovvero, si godeva la sua nuova fama con un harem di fidanzate intercambiabili. Quel comportamento era tipico della maggior parte degli attori e celebrità maschi della mia età o all’inizio della carriera. La parabola di Ken avrebbe seguito un tragitto familiare: avrebbe illuso un’orda di donne finché la sua carriera non avrebbe iniziato a declinare. A quel punto, sarebbe stato costretto dal suo agente e dal suo manager a unirsi a un’altra celebrità per aumentare la sua rilevanza e il suo “fattore popolarità”.

«No, Doris. Non è Ken». A volte, quando Dave diventava troppo pettegolo, lo chiamavo Doris. Lo chiamavo Doris anche perché aveva l’abitudine di essere eccessivamente perspicace e pettegolo. So che non è giusto generalizzare quando si parla di uomini o donne, ma non avevo mai incontrato un ragazzo tanto intuitivo quanto Dave: aveva un sesto senso riguardo alle situazioni e alle persone. Contribuiva sicuramente al fatto che fosse un’ottima guardia del corpo.

«Grazie a Dio. Quel tipo si è già portato a letto metà delle assistenti di produzione».

«Non mi pare che se ne lamentino».

«È un cane arrapato, quello» brontolò Dave. «Rovina il nome del resto di noi».

«Il resto di noi chi?»

«Di noi uomini».

Feci un sorrisetto, ma non dissi nulla. Dave era un bravo ragazzo e un romantico incrollabile. Mi faceva sperare che esistessero altri bravi ragazzi romantici.

La deprimente verità era che il novantanove per cento degli attori, attrici, celebrità che uscivano insieme lo facevano solo perché costretti dai loro manager e agenti o perché pensavano avrebbe aiutato le loro carriere. E questo era un dato assodato.

Per questo motivo diffidavo degli attori maschi. Tuttavia, ciò detto, non intendevo assolutamente criticare quelle persone. Capivo perfettamente come funzionavano le cose nell’industria. Capivo come funzionava l’essere celebri. Attirare l’interesse del pubblico era una cosa, mantenerlo e continuare a mantenerlo era un’altra.

«Allora...» Dave strinse le palpebre. «Conosco il tipo?»

«No. Ora spostati un poco da questa parte così posso filarmela senza che nessuno mi veda».

Non collaborò. «Se non conosco il tipo, allora è un problema. Come possiamo tenerti al sicuro?»

«Non ti preoccupare».

Dave era irremovibile. «È ridicolo. Mi pagano per preoccuparmi. Chi è?»

«È un ranger della forestale qui al parco, okay?»

«Per niente».

Strinsi i denti. Se fossimo rimasti ancora a lungo a perdere tempo davanti alla roulotte, Tom o qualcuno della produzione avrebbe potuto intrappolarmi. E allora non sarei mai riuscita ad andarmene.

«Va bene. Puoi venire a vederlo. Ma non dire il mio nome e lascia parlare solo me».

«Dovrò controllare i suoi precedenti».

Ignorai l’ultima affermazione di Dave perché spostò il corpo, coprendomi e permettendomi di sgusciare via dalla mia roulotte senza essere vista. Un minuto dopo era al mio fianco, scortandomi dove Jethro mi sarebbe passato a prendere.

«Come hai conosciuto questo tipo? Sei sicura che sia innocuo? Come sai che non è un fan fuori di testa?»

«Non è un fan fuori di testa» brontolai.

«Questo non puoi saperlo». Rivolsi a Dave un’occhiata torva e poi l’abbassai verso l’erba sotto i miei piedi. Per quel motivo non volevo dire a Jethro chi ero. Per quel motivo stare con lui mentre ignorava la mia identità era così magnifico.

«Si, invece, Doris». Ero irritata dal fatto che Dave non si fidasse delle mie decisioni, il che era una madornale semplificazione ed esagerazione della situazione, ma era come mi sentivo.

«Vedremo...» Dave piegò la testa da un lato all’altro, facendosi scrocchiare il collo.

Deviammo attorno all’ultima delle tende e iniziammo a camminare per i campi aperti. Vidi immediatamente Jethro, mentre stavolta di Cletus non c’era neanche l’ombra. Solo, in piedi di fianco al pick-up verde più piccolo che guidava le prime due volte che ci eravamo visti, Jethro sorrideva e salutava con la mano. Come al solito, non riuscii a non rispondergli che con un sorriso.

Era vestito con dei jeans blu scuro, un maglione nero e stivali dello stesso colore. Aveva un aspetto… fantastico.

Avete presente certi uomini che, quando si mettono eleganti per qualche evento, rasandosi e dandosi una sistemata e tutto il resto, hanno l’aria di chi ha un ottimo odore? Beh, Jethro aveva l’aria di avere un odore paradisiaco. La sua barba era spuntata, corta, ordinata e rifinita sul collo, attorno alle labbra e sulle guance. La mia pelle prudeva al solo pensiero della sua consistenza che mi passava contro il collo, le labbra e le guance.

«Oh no» mormorò Dave, riportando la mia attenzione su di lui.

«Cosa? Che c’è?»

«Questo tizio, ti piace».

Lo fulminai con lo sguardo. «Non una parola».

Dave passò lo sguardo tra la figura di Jethro, bella in modo toccante, e me. «Non sa chi sei, vero?»

«Lascia parlare me e basta» sussurrai, anche se eravamo ancora lontani una quindicina di metri.

«Cavoli, lo aspetta proprio una bella sorpresa».

«Zitta, Doris».

«Poveretto».

Jethro passava lo sguardo tra la mia guardia del corpo e me; il suo sorriso era incuriosito, ma restava amichevole e aperto come sempre.

Concentrandosi prima su di me, fece un passo in avanti e premette un bacio veloce sulla mia guancia, dalla quale si irradiarono in tutto il mio corpo brividi di piacevole calore.

«Ehi, bellissima». Sentii il suo sussurro sotto la pelle e sentii il petto stringersi e dolermi di piacere…

Un confuso: «Ciao» fu la sola cosa che riuscii a dire, perché aveva davvero il profumo del paradiso. La consistenza della sua barba contro la mia guancia era esattamente come speravo che fosse. E anche meglio.

Jethro, possessivo, mise una mano sulla mia schiena e allungò l’altra a Dave, che la strinse.

«Ciao, sono Jethro».

La mia guardia del corpo non disse nulla, ma la vidi ricambiare il sorriso di Jethro. Anche se quello di Dave sembrava di compassione per lui, per quello che l’aspettava… che traditore.

«Lui è Dave». Indicai il capo della mia squadra di sicurezza con un cenno veloce della mano. «Lavoriamo insieme. Voleva incontrarti per assicurarsi che non fossi un fan fuori di testa».

Vero. Era tutto vero. Non avrei mentito, ma non avrei neanche sottolineato il fatto di avere una squadra di sicurezza.

Il sorriso di Jethro si allargò. «Sono felice di vedere che ci sono persone che si prendono cura di Sarah».

Dave si fece quasi completamente immobile quando Jethro disse «Sarah». Aveva ancora gli occhiali da sole, per cui Jethro non poteva vedere i suoi occhi e questo mi sollevò.

«Sì, già, e questa è fatta. Quindi, noi andiamo». Rivolsi l’ultima frase a Dave, guardandolo torva.

«È stato un piacere conoscerti» disse Jethro, avvicinandosi a me, la sua mano sulla mia schiena una pressione rassicurante. Era cortese, un gentiluomo e mille altre cose meravigliose.

Dave annuì, lanciando a Jethro un altro sorriso stretto e pieno di compassione, ma rivolse a me il suo commento. «Fai la brava».

«Faremo i bravi» dissi a denti stretti.

Scuotendo la testa, Dave ci lasciò, tornando indietro per la direzione da cui eravamo venuti. Io mi girai tra le braccia di Jethro, sentendomi immediatamente sciogliere di fronte all’interrogativo divertimento sul suo viso mentre abbassava lo sguardo su di me.

«Sembra simpatico» disse Jethro, conducendomi con una leggera pressione al lato del passeggero.

«Lo è. È simpatico». Dave era simpatico. Era il capo della mia sicurezza da ormai quasi quattro anni. Eravamo diventati amici. Ciononostante, l’idea di dover chiedere il permesso per uscire con qualcuno, o il fatto che Jethro potesse subire un controllo della fedina penale, mi irritava. Era uno dei motivi per cui ero uscita solo con persone del mondo dello spettacolo fino a quel momento; non c’era bisogno di controllare i loro precedenti penali o aspettare il via libera.

Jethro aprì la portiera, ma io non salii nell’abitacolo. Invece, mi girai per averlo di fronte ed esitai, mentre un crescente senso di urgenza mi riempiva il petto.

Tra pochi istanti, avrei detto a Jethro chi ero. Non avevo alcun controllo su quello che sarebbe successo in seguito, su come avrebbe reagito, se mi avrebbe guardata in modo differente, se mi avrebbe trattata in modo differente.

Forse ero egoista… Okay, sì. Ero egoista.

Ma volevo avere un altro momento della sua ignoranza, un altro momento in cui essere solo una donna che gli piaceva. Volevo la semplicità dell’essere una donna qualsiasi.

Misi una mano sul suo petto e alzai lo sguardo, sentendomi nervosa e, stranamente in modo nuovo. «So… so che questo di solito si fa a fine serata, ma possiamo…» Mi leccai le labbra nervosamente. Stavo facendo la strana con lui. Di nuovo.

Lui mi guardò con la sua semi permanente espressione amichevole, ma i suoi occhi scesero alle mie labbra e si scurirono, facendomi accelerare il cuore. Stava pensando a baciarmi, potevo vederlo dal modo in cui la sua bocca si era aperta e il suo sguardo si era fatto bollente e distratto. Invece di arrischiarmi a dire qualcosa che avrebbe potuto distoglierlo dalla sua intenzione, feci un passo in avanti, sollevai il mento, mi alzai in punta di piedi, chiusi gli occhi e lo baciai.

E che Dio benedica il ranger Jethro, perché non gli servì neanche un minuto per riprendersi dalla sorpresa.

Le sue grandi mani mi afferrarono le braccia e mi tirarono più vicina a lui, stretta contro il suo petto. Prendendo rapidamente il controllo, mi fece fare due passi indietro finché la mia schiena non trovò il pick-up. La sua bocca si mosse sulla mia. Le sue labbra erano calde, piene, più soffici di quanto avessi pensato; nel frattempo, la sua barba mi solleticava il mento e il naso con la migliore delle sensazioni. Lui lanciò fuori la lingua, passandola da sinistra a destra, assaggiandomi. Gemetti, aprendo la bocca mentre il calore si raccoglieva al centro del mio corpo. Mi premetti ancora di più contro di lui e la sua presa sulle mie braccia si fece più forte, mentre la sua esperta lingua stuzzicava e si accoppiava con la mia.

PER I CAPEZZOLI DI MOTHRA, BACIAVA DIVINAMENTE.

Avrei voluto che quel bacio non finisse mai. Ma finì, quando lui mi morse il labbro inferiore, assaporandolo un’altra volta con un guizzo della sua magnifica lingua, e scostandosi.

Mentre apriva gli occhi, fece un respiro profondo, in apparenza felice, e il suo sguardo caldo e compiaciuto mi fece nascere nuovi brividi e desideri in ogni parte del corpo.

Dave aveva ragione. Questo tizio mi piaceva. E non solo perché era premuroso e dolorosamente attraente, anche se questo non era un male; e non solo perché baciava divinamente, e pure questo male non faceva. Era affascinante, ma spontaneo. Diretto, ma complesso. Divertente e arguto, ma sincero invece di essere sarcastico o caustico.

E mi guardava come se fossi la cosa più bella al mondo.

La domanda era: mi avrebbe ancora guardata così alla fine della serata?