Capitolo 9

Il modo per amare qualcosa è capire di poterla perdere.

- G.K. Chesterton

Jethro

Dire che mi era piaciuto baciare Sarah sarebbe stato dire un eufemismo di proporzioni galattiche.

Era maledettamente brava a baciare, forse la migliore che avessi mai avuto l’immenso piacere di baciare. Il fatto che le sue labbra fossero come cuscini e avesse un sapore dolce aiutava. Non sapeva di fragole o pesche. Sapeva di sole e dolcezza, una sua miscela personale. Inoltre c’era una certa disperazione in quel bacio, una passione intrinseca ma selvaggia che non ricordavo di aver mai sperimentato prima.

O forse, ero io. Forse ero stato io quello appassionato e disperato. Non importava. In ogni caso, mi aveva rubato il fiato, mi aveva rapinato di pensiero e ragione. Era una ladra provetta e io l’amavo per questo.

Durante il bacio, avevo tenuto le mani sulle sue braccia per non farle scivolare sotto la sua gonna, perché volevo farlo. Dio onnipotente, quanto volevo farlo.

Ma non lo feci. Perché era troppo presto per quella roba. Davvero troppo presto… però avrei voluto farlo.

L’intensità della mia risposta non era propriamente inaspettata, ma mi costrinse effettivamente a ponderare le mie mosse successive.

Era il momento giusto per dirle della mia castità auto-imposta? Se sì, avrei dovuto anche dirle di come, a causa del mio passato, avevo giurato di aspettare fino al matrimonio? O forse era troppo presto farlo al primo appuntamento?

Ero bravo a bluffare e flirtare, ma ora mi accorsi che non sapevo davvero come tutta questa faccenda funzionasse, come si faceva a uscire insieme e mantenere una relazione a lungo termine. Quando sarebbe stato troppo presto per discutere di questa roba? Quando troppo tardi?

Guidammo fino al Front Porch, intrattenendoci con una discussione sorprendentemente facile, vista la questione su cui mi arrovellavo internamente. Ma se mi chiedeste di cosa avessimo parlato, certo come la morte non saprei rispondervi; saprei solo dire che quando lei rise per qualcosa che avevo detto, mi sentii un gigante. E quando lei allungò il braccio e passò la mano lungo il mio braccio, avrei voluto accostare e passare il resto della notte a lato della strada a baciarla.

L’annebbiamento mentale sparì non appena arrivammo al parcheggio del ristorante. Alla fine, avevo deciso di parlare del mio passato e delle decisioni maturate a causa di esso quando il momento mi sarebbe sembrato giusto. Non c’era bisogno di correre.

Lei parlava di qualcosa, in tono eccitato, e mi costrinsi a tirare fuori la testa dalle nuvole. Non volevo perdermelo.

«Fumetti» disse. «Allora, li leggi?»

Realizzai che era la seconda volta che mi poneva la domanda. Ero stato troppo distratto per rispondere a modo la prima volta.

«Sì. Da bambino, li portavo dentro casa di nascosto e li leggevo la notte. La mia mamma era una bibliotecaria. Per lei solo i classici e poco altro erano letture accettabili».

«Beh, oggi mi ha chiamata la mia manager, perché mi hanno chiesto di scrivere la sceneggiatura per Smash-Girl, il film. Ah!»

«È fantastico». Dicevo sul serio. «Conosco Smash-Girl, ha iniziato a piacermi dopo che avevo finito di leggere tutti gli Smash-Boy su cui ero riuscito a mettere le mani. Sai, molti la considerano solo un bel faccino e nient’altro. Ma si sbagliano». Estrassi le chiavi dall’accensione e presi il cellulare dal cruscotto.

«Esatto. Penso lo stesso. Adoro che i suoi poteri siano simili, ma diversi da quelli di Smash-Boy. Che quando si arrabbia, conservi la capacità di ragionare. È davvero una fantastica allegoria di come sono davvero gli uomini e le donne nella vita reale».

«Non saprei». Mi grattai il collo, non avevo mai pensato molto alle implicazioni allegoriche di Smash-Girl. «Ma posso dire questo: quando si parla di supereroi, lei è tra i migliori».

«Già». Il sorriso di Sarah era enorme. Cercai di non perdermi nelle sue fossette e ci riuscii, più o meno. Quando riportai lo sguardo nel suo, vidi che lei stava cercando di non perdersi nel mio sorriso.

Riconobbi che correvamo entrambi il pericolo di perderci l’uno nell’altra, e la cosa mi stava bene. Era ancora presto, troppo, troppo presto per iniziare a pensare a lungo termine, ma mi immaginai come potesse essere tornare a casa e trovarla lì ogni giorno. Le sue dolci curve, le sue fossette profonde, gli occhi scuri, la sua sensualità spiccata e la sua sincerità seducente.

Sarebbe stato come vincere alla lotteria della vita.

Ma stavo mettendo il carro davanti ai buoi.

Il nostro appuntamento non era ancora iniziato e io già pensavo al nostro futuro. Lei viveva altrove e, per quanto ne sapevo, non era interessata a restare una volta finite le riprese. Gli ultimi cinque anni mi avevano confuso la mente.

O forse ti hanno preparato, ti hanno reso degno di lei…

Ritornando in me, liberai i nostri sguardi e feci per uscire dall’auto. Ma lei mi fermò toccandomi delicatamente la gamba. «Devo dirti una cosa».

«Ok». Annuii con un cenno. «Spara».

Vidi che era nervosa, impegnata in un dibattito interiore. Doveva essere molto acceso, perché Sarah fece un bel respiro profondo e strinse a pugno le mani.

Poi, con fervore improvviso, disse: «Non mi chiamo Sarah».

Alzai un sopracciglio, guardandola stupito. «Ah no?»

«No. Quando me l’hai chiesto, il primo giorno, avevo le mani davanti alla faccia e la risposta è uscita confusa. Tu hai sentito Sarah, ma io ho detto...» Sembrava essere senza fiato. La guardai fare un altro profondo respiro e costringersi a soffiarlo fuori lentamente, dicendo: «Sienna».

Continuai a guardarla, aspettando che continuasse. Quando non lo fece, chiesi: «Tutto qui?»

«Sì. È il mio nome. Mi chiamo Sienna».

Rivolsi un ampio sorriso a lei e al suo nuovo nome, decidendo che le si addiceva a meraviglia. «Piacere di conoscerti di nuovo, Sienna».

I suoi occhi si spalancarono per quella che pensai fosse meraviglia mentre si spostavano tra miei, e la sua bocca si incurvava verso l’alto da un lato. Poi si fece di nuovo cupa, scuotendo la testa come per schiarirsi i pensieri.

«Ho altro da dirti».

«Oh?» Chiesi, senza preoccuparmi.

«Sì. Mi hai chiesto, una volta, se fossi un’attrice e io ho risposto: “Sono una scrittrice”. È vero, sono una scrittrice. Ma sono anche un’attrice». Lo sguardo che mi rivolse era di attesa per la mia reazione, mentre aggiungeva: «Volevo solo chiarirlo».

Annuii di nuovo. Aspettai ancora che continuasse. E di nuovo dovetti chiedere: «Tutto qui?»

«Sì. Mi chiamo Sienna e sono una scrittrice e un’attrice. Tutto qui».

«Ok». Ci guardammo a vicenda. Capii che si aspettava altro da me e aggiunsi: «Mi sta bene».

Sentendomi, Sienna fece un profondo sospiro di ovvio sollievo. «Grazie. Grazie. Avevo tanta paura...» Si fermò da sola, premendo insieme le labbra e scuotendo la testa. «Solo, grazie di non esserti arrabbiato».

«Arrabbiarmi?» Sbuffai dal naso, guardandola accigliato come se fosse matta. «Perché mi sarei dovuto arrabbiare? Sei tu che dovresti essere irritata con me: ti chiamo con il nome sbagliato da una settimana». Senza aspettare la sua risposta, uscii dall’abitacolo del pick-up e andai dal suo lato. Aprii la portiera, alzando la mano per aiutarla a scendere, ma lei si stava cambiando le scarpe. I miei occhi saltarono alle sue gambe, contenti di avere un motivo per fissare le caviglie affusolate mentre si metteva le sue scarpe nere col tacco.

«Belle scarpe» dissi, il complimento mi scappò dalla bocca. Sperai che arrivasse un momento in cui lei avrebbe indossato per me solo quelle scarpe, e nient’altro. In effetti, archiviai quel pensiero nella mia lista di “cose da fare”.

«Grazie». Ridacchiò, mostrandomi le sue fossette mentre finiva. «Se vuoi, te le presto».

Questo mi fece ridacchiare e le offrii ancora la mano, prendendo la sua mentre scendeva dal pick-up. Ma questa volta non la lasciai andare; invece, intrecciai le nostre dita insieme mentre chiudevo la portiera. Per quanto Cletus mi avesse irritato a morte stamattina, decisi che l’avrei perdonato. Il suo ficcanasare mi aveva portato a questo momento.

Feci appena due passi prima che Sienna mi tirasse il braccio fino a farmi fermare. «Allora, uhmm, questo posto in cui stiamo andando...»

«Il Front Porch».

«Sì. È molto affollato?»

Scossi la testa. «Non dovrebbe. In mezzo alla settimana di solito non hanno molti clienti. Anche se penso che l’associazione genitori-insegnanti si riunisca qui il martedì».

«E sono per lo più persone del posto? Gente che conosci?»

«Ogni tanto passa qualche turista, ma dovrebbe esserci solo gente di qui. Entriamo?» Chiesi, avvicinandomela al mio fianco.

Sienna mi rivolse un gran sorriso e annuì con un cenno. «Entriamo».

Entrammo nel ristorante, mano nella mano, e fu allora che le cose iniziarono ad andare platealmente a rotoli.

Ci guardavano.

Jackson James, il vice sceriffo, rimase a fissarci senza parole quando entrammo con calma dalla porta e Hannah Townsen, la direttrice di sala, ci fissò come un’allocca. La sua bocca si spalancò tanto che avrebbe potuto catturare qualche mosca. Un silenzio cadde sulla folla come un’onda che si ritira gradualmente dalla spiaggia.

Ora ci fissavano tutti.

All’inizio pensai che fosse a causa mia. Non mi avevano visto uscire con una donna in città per anni. La maggior parte delle persone pensava che io e Claire avremmo finito per sposarci. Per cui, pensai che questa brava gente fosse sorpresa di vedermi assieme a un’altra donna. Non avevo mai corretto le loro supposizioni perché non avevo mai pensato che la mia amicizia con Claire fosse affar loro.

Espressi con una smorfia torva il mio disappunto ai due volti stupefatti più vicini a me: quello di Kip Sylvester, il preside del liceo, e di Ben Huntsford, il proprietario del Big Ben, un negozio di dulcimer e strumenti musicali. Mi aspettavo di meglio da loro, di meglio che fissarmi inebetiti ed essere quindi scortesi con Sienna. Mi chinai, avvicinandomi al suo orecchio, pronto a chiederle scusa per il loro comportamento, quando uno strillo acuto mi interruppe.

«Oh mio Dio!».

Sia io che Sienna ci girammo, scorgendo Naomi Winters che si avvicinava a noi, con gli occhi spalancati. Ma fissava Sienna, non me.

«Oh mio Dio. Sei Sienna Diaz!» Naomi armeggiava ora con il suo telefono, cercandolo di accenderlo e affrettandosi a dire quanto doveva. «Semplicemente ti adoro. Adoro tutti i tuoi film. Sei una donna davvero di talento. Posso farti una foto? Oh, maledetto telefono».

Rivolsi un’espressione corrucciata a Naomi, che conoscevo da sempre, e tirai leggermente Sienna dietro di me.

«Naomi, ascolta...» Iniziai, ma Kip Sylvester arrivò di corsa e mi interruppe, assieme a metà dei genitori e degli insegnanti del liceo.

«È davvero un onore incontrarti». Kip strappò la mano di Sienna dalla mia e la strinse con entusiasmo. «Possiamo avere il tuo autografo?» Chiese, anche se non aspettò la sua risposta prima di metterle in mano un tovagliolo e una penna. «Puoi dedicarlo a Kip? K-I-P, come un “chi” più la “pi”». Sorrise della sua battuta, che purtroppo non aveva alcun senso.

«C-certo». Sienna scarabocchiò il suo nome sul tovagliolo, lo restituì a Kip e un altro le venne messo in mano.

Ne aveva firmati cinque prima che tornassi in me, ma fu sessanta secondi troppo tardi. Le persone che conoscevo ci circondavano, persone con cui ero cresciuto, che avevano preso parte al mio compleanno a sorpresa la scorsa settimana. Ma a vederli radunati così, in quel modo, esigenti e avidi della sua attenzione, mi sembravano degli estranei.

Inoltre, il fatto che tutti scattassero delle foto non aiutava. C’era un casino di grida per attirare la sua attenzione. I flash lampeggiavano da ogni direzione.

Ma che diavolo stava succedendo?

Le tirai via dalle mani il sesto tovagliolo e lo spinsi via, rivolgendo ai miei vicini un’occhiataccia severa e tirando Sienna tra le mie braccia e contro il mio petto.

Urlai per farmi sentire sopra la folla. «Ora statemi a sentire. Tornate tutti ai vostri posti e mostrate un po’ di educazione. Vogliamo solo cenare insieme e non sono neanche riuscito a lasciare il mio nome per un tavolo».

«Ti ho già segnato, Jethro» disse Hannah dal podio della reception. «Vi mettiamo nel retro, lontani da questi pazzi».

Alcuni dei suddetti pazzi protestarono e io alzai la mano per impedire a Kip e ai suoi insegnanti di avvicinarsi ancora. «Non te lo dirò una seconda volta, Kip. Fai un passo indietro. Sarah non è qui per firmare tovaglioli. È qui per cenare».

«Chi è Sarah?»

Digrignai i denti, stringendole il braccio attorno alle spalle con più forza. «Sienna. Volevo dire Sienna. Ora, voi tutti andate a sedervi, perché non firmerà nessun altro tovagliolo».

La folla iniziò a protestare, come se fossero stati privati di un loro diritto, ma poi Sienna alzò la sua dolce voce per farsi sentire sopra le loro lamentele. «Grazie per il vostro gentile benvenuto e la vostra esuberanza. Sono davvero onorata. Ma prima di fare altri autografi o foto, devo ammettere che sto morendo di fame».

«Di’ quella battuta del film» urlò qualcuno, interrompendola sgarbatamente e facendomi impennare la pressione sanguigna.

Abbassai lo sguardo su di lei, vidi che metteva in mostra le fossette, che si lavorava la folla. Realizzai con un certo fastidio che lo stesso sorriso che mi aveva fatto sentire un gigante poco fa veniva ora condiviso con quelle persone. Lei le stava affascinando, si lavorava la stanza, proprio come aveva incantato me ogni volta che eravamo insieme.

«Vi prometto che resterò e firmerò tutti i tovaglioli che volete» disse, lanciando un occhiolino a Kip e facendo arrossire quell’uomo adulto e vaccinato. «Ma adesso vorrei mangiare la bistecca di cui ho sentito tanto parlare».

Continuò a tenerli in suo potere mentre faceva promesse, il tutto mentre mi trascinava dietro di sé fino al podio delle prenotazioni poi nelle cucine dove ci avevano preparato un tavolo. Riconobbi il nostro cameriere, Devron Stokes. Eravamo andati al liceo insieme ed era un assiduo visitatore del Pink Pony. Spostò la sedia per lei prima che potessi farlo io, le offrì il tovagliolo e mise la mano sullo schienale della sedia mentre elencava i piatti del giorno.

O, per meglio dire, tenne la mano sullo schienale della sua sedia finché non catturò il mio sguardo e a quel punto tolse prontamente la mano. Probabilmente perché stavo comunicando silenziosamente il mio desiderio di tagliargliela, se avesse soltanto pensato di toccarla ancora.

Schiarendosi la voce nervosamente, Devron mi rivolse un sorriso rigido. «Non ti vedevo con una donna da anni, Jethro. L’ultima credo sia stata Kitty Carlisle, in quarta liceo».

Ignorando il suo commento da pettegolo, dissi a denti stretti: «Che ne dici di portarci la carta dei vini, Devron? E magari concederci un po’ di privacy».

«Uh, certo. Torno subito».

«Fai con calma». La mia mente era sommersa da mille pensieri confusi mentre fissavo la mia accompagnatrice.

Anche lei mi sembrava un’estranea.

La guardai deglutire e studiarmi, mordendosi l’interno della guancia. «Va tutto bene?» Chiese, come se fossi stato io quello assalito dalla folla dei miei vicini.

«Mi dispiace davvero tanto per quanto è successo». Indicai con un cenno la sala principale del ristorante. «Non mi sarei mai aspettato che...»

«Non ti preoccupare, sono abituata a essere assalita dalle folle. Mi capita sempre».

«Ti capita sempre?»

Sembrò rimpiangere le sue parole non appena le ripetei, perché la sua espressione crollò e deglutì ancora. «Beh, non sempre sempre. Solo quando esco in pubblico».

«Oh» dissi stupidamente, inorridito.

«Tranne quando sono con te. Tu non mi hai mai assalito». Sienna mi rivolse un sorriso dolce e speranzoso e allungò la mano sul tavolo, a palmo in su, invitandomi a prenderla.

Prima che potessi farlo, Devron era tornato con il pane, ma senza la carta dei vini.

«Mi ero promesso di essere professionale e non dire niente...»

«Allora dovresti mantenere la tua promessa» brontolai.

Lui mi ignorò e proseguì: «Ma devo dirti quanto mi piacciono i tuoi film. E che tu sei fantastica. E davvero molto più bella di persona».

Sienna allontanò la mano e io guardai una maschera scivolarle sopra il volto mentre si rivolgeva a Devron, con un sorriso caloroso ed educato, e lo ringraziava per le sue parole gentili.

Mentre lo ringraziava, riuscivo solo a pensare a come fare per restare da solo con lui per poter pestare a sangue lui e il suo culo presuntuoso e sgarbato. Digrignai i denti, conscio che la violenza dei miei pensieri era direttamente collegata a quanto inaspettati e disorientanti fossero stati gli eventi degli ultimi minuti.

Ero stato preso alla sprovvista.

E ora eravamo lì, desiderosi di goderci una cena tranquilla, come due persone normali. Dieci minuti prima facevo piani a lungo termine, pensando a tornare a casa da lei ogni sera.

E invece…

E invece ora avevo capito che non avevo idea di chi lei fosse.