Capitolo 31

Abbiamo fede che esista uno scopo più elevato.

Speriamo in qualcosa che non possiamo vedere. Crediamo che ci sia un

insegnamento nella perdita, che ci sia potere nell’amore e che dentro di noi ci sia il potenziale di una bellezza tanto magnifica che i nostri corpi non possono contenerla.

- Amy Harmon, Sei il mio sole anche di notte

Jethro

Tutto stava andando secondo i miei piani, solo, nell’ordine sbagliato.

Ma andava bene così. Io ero arrivato con degli scopi precisi. Ora potevo cancellare il secondo punto dalla mia lista.

Eravamo sul suo letto, sopra le lenzuola, l’uno di fronte all’altra, a baciarci, a palparci e a eccitarci nuovamente. Io ero nudo, ma lei indossava ancora la canottiera attorno ai fianchi. Volevo sfilargliela per poter vedere e toccare tutto il suo magnifico corpo.

Iniziai ad alzarle la canottiera e lei stoppò i miei movimenti, lo sguardo nei suoi occhi catturò la mia attenzione. Sembrava preoccupata.

«Puoi fare una battuta, se vuoi» le concessi, con voce roca perché parlare ragionevolmente non era facile, non dopo quanto avevamo appena fatto. Non con quello che stavamo ancora facendo.

Le sue sopracciglia scattarono all’insù. «Perché dovrei farlo?»

«Perché è quello che fai quando qualcosa ti preoccupa». Le coprii il seno con la mano, adorando che strabordasse da tutti i lati, nonostante io avessi le mani grandi. Davvero grandi.

Anche se la sua pelle conservava ancora un po’ di rossore dalla nostra sessione amorosa di poco fa, il rosa si intensificò e lei abbassò la testa.

«Ti infastidisce?»

Le alzai il mento, obbligandola a guardarmi negli occhi. «No. Lo amo». Sfiorai con un bacio le sue labbra voluttuose e sussurrai: «Amo tutto di te».

Lei sospirò, e mi sembrò ferita, triste.

Mi scostai per poterla guardare e notai le lacrime nei suoi occhi. Spinsi le dita tra i suoi capelli e le tenni il volto perché non potesse nasconderlo di nuovo.

«Sienna, tesoro, cosa c’è che non va?»

«Mi importa di quello che pensi tu».

Alzai sorpreso un sopracciglio. «E questo ti fa piangere?»

Lei annuì e avvolse la gamba attorno alle mie, come per assicurare insieme i nostri corpi.

Io rivolsi a lei e al suo bellissimo viso un ampio sorriso e dissi: «Mi importa quello che pensi».

Lei tirò su col naso. «Ti prego, non rimpiangere una sola cosa di quanto è successo. È stato così bello. Penso che dovrei ucciderti se tu ti pentissi per aver fatto l’amore più eccitante della storia».

Scuotendo la testa, mi si abbassarono le palpebre mentre tutte le parti del mio corpo ricordavano ogni squisito momento. Ogni suo respiro mozzato, ogni movimento istintivo. Forse niente avrebbe mai battuto il momento in cui aveva ammesso il suo amore, ma la sensazione del suo corpo flessuoso, del suo calore, della sua eccitazione arrendevole e avida quasi sfiorava il primo posto. Non era sul gradino più alto del podio solo per un soffio. Probabilmente avrei dovuto prenderla di nuovo, presto, solo per assicurarmene. Cercai di confortarla. «Non mi pentirò mai di un solo secondo passato con te. Il mio posto è al tuo fianco».

I suoi respiri erano più accelerati del solito, era palese che fosse ancora agitata.

«Cosa posso dire per calmare le tue paure?» Sussurrai, baciandole il naso.

«Non lo so» rispose e aveva un’aria seria, mentre i suoi occhi passavano veloci tra i miei.

La studiai, chiedendomi se quello fosse il momento giusto per chiederle di sposarmi. Ma stava accadendo tutto alla rovescia. Avevo previsto che lei fosse vestita al mio arrivo. Noi avremmo dovuto parlare, risolvere i nostri problemi. Io avrei dovuto farle la mia proposta.

Poi, dopo averle infilato l’anello al dito, avremmo dovuto fare l’amore.

«Ho pensato alla tua proposta» iniziai, guardingo. Lei era irrequieta e io non volevo finire di terrorizzarla.

«Cosa? Quale proposta?»

«Quella di vederci di nascosto per un po’ di tempo».

Deglutì e la sua gamba si strinse attorno alle mie. «Oh?»

«Dovresti sposarmi» dissi all’improvviso, strappandomi il proverbiale cerotto e annuendo per la saggezza delle mie parole. «Dovremmo sposarci».

Le sue labbra si spalancarono e io fui contento di vedere che la maggior parte dell’ansia che affliggeva il suo volto era scomparsa. Anche se, a dire il vero, l’ansia era stata sostituita dalla sorpresa. Lei sbatté le palpebre, mentre la sua bocca si muoveva senza che ne uscisse alcun suono.

«Ascoltami». Passai la mano dal suo collo ai fianchi, avvicinando il suo corpo a me di un centimetro, stringendo la presa. «Se pensi che dovremmo avere una relazione segreta...»

«Io non penso...»

«Ascoltami e basta. Io odio l’idea. Davvero. La odio. Ora, una parte di me odia l’idea perché non voglio mentire alle persone. Ma l’altra parte è egoista. Io ti amo, e l’idea di nascondere la nostra storia mi fa venire voglia di spaccare qualcosa». O di tagliare tutti gli alberi sulla montagna.

Il suo sguardo si fece dolce e commosso, il suo florido corpo si rilassò contro il mio, rendendomi difficile pensare.

«Io non ho mai...»

«Lasciami finire» ringhiai, e le parole mi uscirono più burbere di quanto volessi perché ora il cuore mi batteva all’impazzata.

E la desideravo di nuovo. Volevo sentirla gridare il mio nome e perdere la testa. Volevo che mi supplicasse di farle cose sconce, sentire i suoi dolci gemiti e guardare il suo corpo rimbalzare e ondeggiare e cedere sotto il mio.

Quindi, sì.

Ero burbero.

«Allora ti propongo questo: all’inizio, teniamo tutto segreto. Continuiamo con calma, e io nel frattempo lavoro con qualcuno per aiutarci a controllare i danni quando ci scopriranno».

Fece una smorfia. «Tipo un consulente d’immagine?»

«Certo. Perché no. Qualcuno che mi aiuti a smussare gli angoli del mio passato per renderlo accettabile al pubblico, in modo che tu non debba pagare per le mie passate malefatte. E pagherei tutto di tasca mia». Avevo un sacco di soldi da parte. Mamma era ricca di famiglia: oltre alla casa e alla terra, avevo ereditato due milioni di dollari il mese scorso, quando avevo compiuto trentuno anni. Non li avevo ancora toccati. Erano in una banca a Knoxville a prendere polvere.

«Jethro...»

«E firmerò un accordo prematrimoniale o quello che vuoi. Non mi importa dei tuoi soldi».

«Lo so».

«Ma dobbiamo sposarci adesso, prima della fine delle riprese».

«Aspetta...»

«So che per te potrebbe non avere senso. E so che è un po’ affrettato, ma io ne sono sicuro».

«Ascoltami solo un...»

«Potrei accettare di tenere tutto nascosto per un breve periodo, se fossimo fidanzati ufficialmente» terminai, accigliandomi in modo che sapesse che facevo tremendamente sul serio e avevo ben riflettuto sulla questione.

Non riuscivo a vederla, non per davvero, perché il cuore mi batteva in gola ed ero nervoso da morire. Mi ci volle un minuto intero prima di riuscire a metterla a fuoco, prima di smetterla di tormentarmi quanto bastava per vedere il suo dolce, meraviglioso sorriso.

«Sì» sussurrò. Il suo sorriso brillava, rivolto verso di me. Sienna si spostò sul letto, inarcando la schiena e sollevandosi per potermi baciare.

Mi ci volle ancora qualche secondo per capire che aveva accettato. E quando accadde, finalmente liberai il fiato.

«Sì?» Non riuscivo a crederci.

Sostenni il suo sguardo sorridente mentre annuiva, con un largo sorriso stampato in volto.

«Cazzo, sì» imprecai, provando un sentimento più forte della gioia, della felicità, dell’euforia. Ero in egual misura euforico e stupefatto.

Avvolgendola tra le mie braccia, stringendo il suo corpo completamente a me, la baciai. E poi rifacemmo l’amore, e mi presi particolarmente cura della mia donna. Perché avevo appena vinto alla lotteria della vita. Sienna Diaz sarebbe diventata mia moglie. Il minimo che potevo fare era dimostrare alla mia promessa sposa quanto fosse amata.

Pescai fuori dalla tasca dei pantaloni l’anello, mentre lei dormiva, dopo avere fatto l’amore per la seconda volta e mentre sorgeva il sole. Lo infilai al suo dito, al posto a cui apparteneva. Lei iniziò a stiracchiarsi proprio mentre io lo sistemavo.

Sbatté le ciglia. Mi vide e fece per abbracciarmi. Io le afferrai la mano, premetti insieme i nostri palmi e mi portai il suo polso alle labbra. Lei mi rivolse un sorriso assonnato. Ma poi sbatté le palpebre, con gli occhi incollati al suo anulare, mentre il suo sguardo si faceva attento e la sua bocca si spalancava.

Io sorrisi, un ampio sorriso. Lei sembrava il personaggio di un cartone animato: occhi spalancati in modo esagerato, come la bocca, rughette di incredulità tra le sopracciglia. Adoravo quanto fosse espressiva.

«Porca miseria». Il suo sguardo ritornò nel mio e ripeté, senza fiato: «Porca miseria».

Il mio sorriso si allargò ancora di più. «È platino, due carati, un diamante taglio “Old Mine”. Viene tramandato nella famiglia Oliver da tre generazioni, da padre in figlio maggiore, che poi lo dà alla sua promessa sposa. Dopo la morte di mia nonna, la mia mamma, che era figlia unica, lo nascose in una cassetta di sicurezza di cui mio padre ignorava l’esistenza».

Prima di incontrare Sienna, avevo provato a dare l’anello a Drew, perché lo desse ad Ashley. Lui si era rifiutato, dicendo: «Tua mamma ha voluto che l’avessi tu, per la tua donna. Le piaceva parlare di te come padre, pensarti mentre crescevi i tuoi figli. Pensava che saresti stato un ottimo papà, un giorno».

Persino io apprezzavo la natura epica di quest’anello. Un cimelio di famiglia, impressionante, insostituibile, importante oltre ogni valore monetario. Era senza prezzo. Catturava e attraeva la luce. Scintillava come mille stelle. L’anello aveva un aspetto imponente. Ed era un bene, perché diceva a lei e al mondo come io la vedevo. Lei era importante, sbalorditiva e insostituibile per me.

«È il mio anello?» La sua domanda era senza fiato, la sua voce rotta.

Annuii, felice perché lei era felice. La sua felicità era la sola cosa di cui m’importasse. «È il tuo anello».

Le si riempirono gli occhi di lacrime e li spostò nei miei. «È il mio anello. E tu sarai mio marito».

Io risi, anche se la mia gola si era stretta con un’emozione che non riuscivo bene a identificare. Era più che semplice appagamento. Più che semplice sollievo. Più che semplice gioia. Era tutte queste emozioni e altro ancora.

Decisi che era amore, perché nient’altro mi aveva mai neanche lontanamente fatto sentire tanto bene.