Le vittime

Non per pietismo dunque, ma per un bisogno schierato, sento l’esigenza di parlare delle vittime: di quelle persone sui cui occhi si devono essere posati, a uno a uno, quelli di chi attuò la loro sorte. Gli occhi di Ernst Lossa parlano per tutti loro e chiedono a noi di guardarli fissi, a lungo, senza preoccuparsi se un irrefrenabile bisogno di piangere dovesse improvvisamente farsi strada.

Ernst ha degli occhi bellissimi, il suo viso è bellissimo e triste. Rubava mele per altri dal viso piú brutto e occhi piú spaesati, che avremmo guardato probabilmente meno volentieri. Era diventato normale uccidere anche ragazzi come lui, piú simili ai teppistelli di strada dei romanzi dell’Ottocento, perché giorno dopo giorno era diventato normale eliminare tutto ciò che non corrispondeva alle attese. Come nei romanzi di formazione, i ragazzi difficili, nei momenti difficili, si rivolgono alla mamma. Nei documenti di Norimberga troviamo la lettera di uno di loro, ma non è un romanzo. La storia di T4 non ha testimoni perché i protagonisti spesso non sapevano parlare. I cattivi ragazzi però sapevano scrivere.

Cara mamma! Se ne sono andati e mi hanno lasciato rinchiuso. Cara mamma, io non resisto otto giorni qui con questa gente: io me ne vado, qui non ci resto. Vieni a prendermi. Anche la mia valigia è rotta, è caduta. Cara mamma, fa’ qualcosa affinché la mia richiesta sia esaudita.

Questo foglio oltrepassò la fine di chi lo scrisse e venne letto il 24 gennaio 1947 dinanzi al tribunale dalla signora Maria, una madre che forse aveva accompagnato il proprio figlio in quel luogo per curarlo, perché le avevano detto che era giusto cosí.

Ernst Lossa non sarebbe mai rientrato nei parametri decisi all’inizio per l’eliminazione dei bambini deformi, perché non aveva pezzi evidentemente guasti, non c’erano «manifesti segni» di qualcosa che il senso comune prima ancora della scienza avrebbe «chiaramente» etichettato.

Apparteneva piuttosto alla categoria dei «difficili», quelli che nessuno vuole davvero, quelli per cui sono oggi disponibili e richiesti dei sistemi di correzione, contenzione, annullamento mediante farmaci che spesso vengono somministrati con l’alibi dell’etichetta «al bisogno».

Bisogno di chi? L’aumento esponenziale di diagnosi di disturbi del comportamento a cui oggi si assiste è parallelo all’aumento di farmaci antipsicotici somministrati anche ai bambini, spesso in un regime di carenza se non di rinuncia all’azione educativa che sa di ignoranza prima ancora che di impotenza. Ernst viene ucciso perché i suoi educatori dichiarano che è impossibile lavorare con lui, che tutti i loro sforzi sono un fallimento, che è tutto inutile. L’uccisione era diventato uno degli strumenti a disposizione, anche se non troviamo alcun supporto a sostegno del fatto che la sua vita fosse quella di un «povero infelice» che si trascina attraverso «una vita non degna di essere vissuta». Non vi è piú neppure l’ipocrisia menzognera che caratterizzava la compilazione dei moduli per designare chi viveva e chi moriva. Ernst viene ucciso perché dà fastidio a chi ha davanti. Senza alcun alibi possibile, la sua storia dimostra come l’intolleranza, l’abuso e l’abominio spesso coabitano. L’assassinio di Ernst fissa un punto che ci permette di rileggere all’indietro tutta la vicenda e di accorgerci che non è possibile trovare il punto di inizio se non accettando di riflettere che stiamo parlando di noi, e non di pochi altri cattivi. Noi e loro, dentro e fuori. Troppo facile.

Si comincia dai bambini. Perché era ritenuto piú «facile»? Forse, ma perché? Quanto difficile è trovare una risposta dicibile a fronte di altre che probabilmente vengono alla mente suggerite da luoghi comuni, agghiaccianti nella loro indicibilità. Per cominciare serve l’inganno, l’inganno delle parole che accompagnerà tutta la vicenda nazista; l’uso pervicace di una scienza della comunicazione fondato–su, e fondante–di, modelli che, non dovremmo dimenticarcene, sono tra i principali inquinanti del pensiero che ancora calpestiamo ogni giorno, che creano consenso su ogni prodotto, che hanno fatto diventare la politica un prodotto e l’etica del civismo un prodotto scaduto. Le vittime sono i bambini uccisi e sono i loro padri e madri che affidano i propri figli a persone e luoghi che offrono fiducia, comprano fiducia e si fanno pagare. Madri e padri che pensano impauriti: ma sarà la scelta giusta? E poi pagano perché i propri figli mal riusciti vengano accolti nei «reparti per l’assistenza esperta dei bambini», Kinderfachabteilung, presso ospedali e cliniche statali. Reparti per l’assistenza esperta, per quelli che verranno definiti «bambini del Comitato del Reich». Si dice «trattare», Behandlung, per non dire «uccidere». Con quanta leggerezza usiamo la parola trattamento.

La vicenda dello sterminio dei disabili e dei malati di mente è una storia senza testimoni, frettolosamente seppellita da chi aveva interesse a farlo dopo la fine della guerra e dolorosamente seppellita da chi di questa storia era vittima: come quel papà tirolese che il 10 gennaio 1945 scrisse questa lettera al medico responsabile dell’istituto che gli aveva ammazzato il figlioletto disabile sottoponendolo ad atroci esperimenti sulla tubercolosi:

Alla Direzione della casa di cura di Kaufbeuren

Nel ringraziarVi per le amorevoli cure e l’assistenza prestate al nostro povero figliolo, per le sollecite informazioni e per aver accolto la nostra ultima richiesta, a un mese dalla scomparsa del nostro caro Walter, Vi chiediamo di comunicarci l’entità del nostro debito. Nonostante il nostro atteggiamento disinteressato, vogliate accettare in segno della nostra profonda gratitudine l’offerta che provvederemo a inviarvi.

Con profondo ossequio Heil Hitler!

Josef e Mena P.20

Quel papà è ignaro di tutto; ringrazia il medico per quel che aveva fatto per il suo bambino e offre pure dei soldi in memoria del piccolo a favore dell’istituto. Quel papà non sapeva, e io mi auguro non seppe mai, che firmando la consegna del proprio figlio all’istituto aveva firmato la sua condanna a morte.

Noi invece dobbiamo sapere e far sapere a chi utilizza quelle ricerche, anche se ne ha tratto il bene per altri, che si tratta degli appunti di un assassino.