Sedici
Al direttore dell’istituto di partenza resta ancora una cosa da fare: una lettera ai parenti. Dopo un po’ si abituano anche loro e usano dei fac–simile come questo.
La informo che Suo figlio, in base al disegno di pianificazione economica e alle misure di sgombro, è stato trasferito in altro ricovero. Non sappiamo in quale. L’ordine di trasferimento è partito da uffici superiori secondo la direttiva del Commissario di difesa del Reich.
Il nostro ospedale non ha nessuna possibilità di influire sulla decisione di trasferire o meno i pazienti.
Lei sarà informata in tempo debito dal nuovo ospizio sullo stato di salute di suo figlio10.
Ammassati fino a quaranta–cinquanta per ogni torpedone, viaggiavano al buio perché i vetri erano oscurati. Viaggiavano senza pause per pisciare, per mangiare. Alcuni urlavano senza pausa, altri tacevano, alcuni sapevano dove andavano, altri tremavano e basta, altri sfuriavano, spesso chiusi in una camicia di forza o legati al letto. C’era da diventare matti di paura in quella gabbia di matti ambulante, tra lacrime, vomito, saliva, feci e urine. Quando arrivavano, divisi maschi e femmine, ricevevano una visita da un dottore che li faceva spogliare, davanti al dottore ci si spoglia senza vergogna. Li spogliavano, gli guardavano in bocca in cerca di eventuali denti d’oro e marchiavano sia i vestiti per la restituzione ai parenti che le schiene di quelli col dente prezioso col nastro adesivo piú resistente all’acqua che c’era, poi tutti a fare la doccia. La procedura prevedeva che fosse il medico a uccidere ma alcuni si rifiutavano: «Non ho studiato Medicina per aprire il rubinetto del gas». Allora lo faceva qualcun altro. Dopo aprivano e davano aria, e toccava ai fuochisti, arrivavano i fuochisti e li mettevano nei forni, a morire impiegavano poco, a bruciare molto di piú.
Uccidendoli, se possibile quasi subito, si riducevano i costi della gestione drasticamente.
Con gli adulti facevano un carico, con i bambini piccoli non si poteva, serviva un approccio del tutto diverso.
C’erano due progetti in corso, distinti, ma come testimonia l’infermiera Pauline Kneißler, succedeva che dai manicomi venissero prelevati anche bambini di sei anni, all’interno del programma di eutanasia per gli adulti. Le distinzioni all’inizio erano chiare, le iniezioni ai bambini, la camera a gas solo agli adulti, ma in pratica non si poteva escludere che un po’ di confusione si facesse. Ma mentre per chi si trovava già in un ospedale psichiatrico in fondo era solo una questione di nomi in elenco, piú difficile era farsi affidare i bambini. Spesso erano in famiglia o ricoverati in ospedale civile vicino a casa.
Le linee guida avevano previsto anche questo. L’approccio spettava al medico di famiglia che doveva segnalare la possibilità di un ricovero in un centro specializzato. Se fosse venuto un uomo in divisa a chiedere la consegna di un figlio disabile allo stato, la famiglia si sarebbe difesa con il fucile e con i cani. Ma se invece a parlare è uno di casa, di fiducia come il medico, o il pediatra dell’ospedale; se con parole accorate ti dice che la medicina ha fatto passi avanti e c’è una possibilità di guarire; se offre una speranza a chi speranza non aveva, è difficile non aprire uno spiraglio.
I medici di famiglia sono stati un cavallo di Troia formidabile per lo sterminio dei bambini della nazione.
Cinquecento di essi erano diretti destinatari della circolare segreta di Leonardo Conti, i piú fidati e convinti, gli altri si sono lasciati convincere o si sono rassegnati o abituati. Pochi si sono opposti, ma bisogna sforzarsi un po’ per immaginare cosa significava opporsi al «progresso della medicina» essendo un medico.
I genitori dovevano essere informati dei rischi insiti in questi nuovi trattamenti, i rischi dovevano essere presentati ma minimizzati. Andavano invece esaltati i meriti della ricerca condotta sulle malattie ereditarie.
I genitori alla fine dovevano firmare per il consenso, nessuno poteva essere ucciso senza una lettera di consenso; di consenso a un trattamento terapeutico innovativo, certamente non di consenso all’eliminazione.
Ma l’importante era che una firma ci fosse.
Per gli adulti ricoverati firmavano i direttori degli istituti, per i bambini firmavano i genitori.
Per chi resisteva c’erano pressioni fino alla minaccia di togliere la patria potestà alla famiglia con conseguenze su tutti i figli della coppia.
Firmavano, piú o meno convinti, ma firmavano.
All’inizio i bambini venivano ricoverati in un reparto d’ospedale pediatrico dove i genitori potevano ancora visitarli, poi improvvisamente scattava il trasferimento in uno dei ventuno «reparti per l’assistenza esperta dei bambini con malattie ereditarie» e da quel momento diventava difficile avere notizie, impossibile avere un indirizzo per una visita.
Oggi ho ricevuto la Sua lettera proprio quando avevo finito di prepararmi per prendere il treno di mezzogiorno per venire a trovare la mia figliola all’ospedale. Ero paralizzata dallo spavento leggendo la lettera, una cosa del genere è terribile per una madre. Se avessi saputo che un nuovo trasferimento della mia ragazza sarebbe stato possibile avrei insistito per portarmela a casa.
Lei mi informa di non sapere dove essa sia stata trasferita. Ma sicuramente non può permettere un trasferimento senza essere a conoscenza di dove andrà, quindi io esigo di sapere dov’è mia figlia. All’inizio del ricovero io stavo male, perché molte persone mi facevano girare la testa con brutte parole.
Da quando ho iniziato a venire a trovare regolarmente la mia figlia Elisabetta, nel reparto per l’assistenza esperta dei bambini creato anche nel vostro ospedale, ho creduto che le mie preoccupazioni iniziali fossero ingiustificate, non è come diceva la gente, pensavo. Fino a oggi ho pensato che la ragazza fosse stata data in buone mani.
Le chiedo sotto la mia responsabilità di riprendere la ragazza nel Suo ospedale, io la verrò a trovare. È impossibile per me informare i miei famigliari di quanto è accaduto, mi salteranno addosso, mi diranno: non è possibile che tu, sua madre, non sai dov’è tua figlia. Io non posso fare niente, per prima cosa devo sapere dov’è la mia ragazza. Come già detto, mi sembra impossibile che potete trasferire una ragazza senza aver chiesto prima ai genitori.
Se succedesse qualcosa alla ragazza siamo in grado di pagare i funerali.
La lettera che segue è indirizzata a un’altra madre. Non abbiamo trovato quella che parlava di Elisabetta. Le lettere alle famiglie, però, erano tutte scritte sulla base dello stesso facsimile: possiamo quindi immaginare che per Elisabetta sia stata scritta una lettera come questa che pubblichiamo.
Gentilissima signora, siamo molto spiacenti di doverLe comunicare che Sua figlia, trasferita il giorno 19 novembre 1939 in questo Istituto per decisione del Commissario alla Salute del Reich, è deceduta improvvisamente il giorno 18 gennaio per un arresto cardiaco. Considerando la gravità della malattia da cui essa era affetta, la vita per la defunta non era che una sofferenza, per cui la sua morte deve essere considerata una liberazione. Essendovi in questo periodo pericolo di epidemie all’interno dell’Istituto, le autorità di polizia hanno ordinato l’immediata cremazione della salma. La preghiamo di comunicarci a quale cimitero inviare l’urna con le ceneri. Per qualsiasi informazione La preghiamo di scriverci, dato che le visite sono momentaneamente proibite dalla polizia per ragioni sanitarie.
Il Direttore dell’Istituto11