Quattordici

Da quando hanno cominciato a parlarne a quando cominciano a uccidere non passa molto tempo.

Gli uomini di Brack hanno trovato nuovi collaboratori, tutti raccomandati, tutti motivati. In sei mesi attrezzano quattro dei sei centri, gli altri verranno dopo.

In sei mesi decidono di usare il gas, ma prima hanno fatto le prove, hanno discusso, hanno escluso altre grottesche possibilità come provocare una catena di incidenti ferroviari o misti, con treni e pullman pieni di matti che si scontrano fra loro, hanno scartato i fucili, poi hanno cercato tra i veleni, i sonniferi, i barbiturici e poi sono andati dalla polizia criminale a chiedere: se doveste ammazzarne un sacco voi come fareste? La polizia invece di arrestare chi faceva questa domanda ha chiesto seriamente: uomini o animali?

Mentre gli altri tacciono, Viktor Brack dice quello che forse anche altri pensavano: «Si tratta di animali in forma di uomini». Allora la polizia li ha portati nel suo laboratorio. Hanno trovato un chimico disposto a fare le prove. Hanno deciso: useranno il monossido di carbonio. Hanno trovato i fornitori: chi forniva le bombole e chi ci metteva il gas. Sono tuttora aziende leader nei loro settori, sono rimasti attivi anche dopo la guerra questi fornitori, gente affidabile e discreta.

Gli stessi laboratori della polizia scientifica emettevano fattura per il gas, poi la merce veniva dirottata. I laboratori della polizia sono ovviamente affidati a un’élite: non basta essere nazisti, bisogna far parte delle SS.

Polizia e medici dipendono entrambi dal ministero dell’Interno; in teoria si lavora tutti dalla stessa parte, in pratica meglio non fidarsi di nessuno. Non basta far parte delle SS, bisogna trovare chi è raccomandato da un amico fidato.

Ma gli uomini del secondo ufficio della cancelleria sono bravi.

Nella polizia trovano le persone giuste, Brack fa assegnare al suo progetto tutti quelli che gli possono servire, li fa distaccare al suo servizio e li premia con soldi e medaglie.

Poi reclutano il personale per ogni funzione, ma sono troppi per farli assumere tutti dal suo ufficio che diventa stretto. Nella palazzina di Tiergartenstraße numero 4 c’è però solo la cabina di regia. Il resto del lavoro si svolge nelle filiali.

L’attività viene gestita da rami d’azienda diversificati tra loro; nome sociale, recapito e forma societaria sono diversi. È una piccola galassia che risponde a criteri di esternalizzazione dei servizi, che cosí non sono direttamente riconducibili alla macchina statale. È vero, sono strutture di copertura, ma tra loro si comportano come un distretto che attua sinergie per ottimizzare costi e benefici.

Si tratta di fare bene, in silenzio, di obbedire a un desiderio del Dittatore, certo, ma anche, per molti, si tratta di fare finalmente quello di cui da tempo si parla, si parla, si parla.

Vogliono dimostrare che si può fare, lo sapranno fare.

Queste sono le nuove sigle fantasma del secondo ufficio della cancelleria:

– c’è una fondazione di pubblica utilità per la cura in istituto (Gsa), che ha l’affidamento degli edifici, ne cura la ristrutturazione e la gestione sanitaria e amministrativa, l’assunzione del personale e i contratti. Una specie di immobiliare;

– c’è una specie di Onlus, comunità o cooperativa di lavoro per gli ospedali e le case di cura (Rag) che si occupa dei questionari, dei rapporti con gli ospedali e con i periti psichiatrici, della corrispondenza con le famiglie dei pazienti, di pubbliche relazioni insomma;

– c’è una società di pubblica utilità per i trasporti (Gekrat).

Del quarto ramo di questa piccola «holding» non si parla quasi mai, ma la sua definizione suona cosí: ufficio centrale dell’economato per gli ospedali statali e le case di cura, incaricata della riscossione dei pagamenti dei pazienti già uccisi (Zhp).

Cosa significa? Non sono sicuro di aver capito bene.

Di questa parte della storia non si parla quasi mai. L’economato di T4 funzionava da agenzia delle entrate e da ufficio recupero crediti, e aveva la sua importanza nell’assicurare un flusso di entrate extra al progetto. L’economato provvedeva al trasferimento delle rette che le mutue, le assicurazioni e le famiglie versavano agli istituti per il ricovero dei pazienti. Via via che questi erano trasferiti veniva richiesto di indirizzare le rette all’ufficio di T4. Ovviamente i pazienti trasferiti venivano uccisi quasi subito, ma i certificati di morte erano spesso posdatati, si facevano figurare trasferimenti a ulteriori destinazioni dove però i pazienti non arrivavano mai, le comunicazioni erano fatte ad arte in ritardo. Anche molto tempo dopo il decesso l’economato continuava a reclamare le rette dovute per i soggiorni artificiosamente prolungati. Non si ingannavano solo i parenti, ma anche le mutue e le assicurazioni. Non era piú un’eccezione, era diventata la regola, non è difficile, basta abituarsi.

L’ufficio II A della cancelleria seleziona il personale. Ovviamente sono tutti raccomandati.

Nel 1939 ricevetti dal capo della polizia l’ordine di presentarmi il 4 gennaio 1940 al ministero dell’Interno, che aveva la sua sede nel Columbushaus. Lí un signore di nome Blankenburg parlò al nostro gruppo, che era costituito da ventidue o ventitre persone. Spiegò che era molto importante tenere segreto il programma di eutanasia, e disse che il Führer aveva stilato una legge sull’eutanasia che però non veniva pubblicata perché c’era la guerra. I presenti erano assolutamente liberi di accettare o rifiutare di collaborare. Nessuno obiettò nulla contro questo programma, e Blankenburg ci fece giurare. C’impegnammo a tacere e ubbidire, e Blankenburg ci disse che ogni violazione del giuramento sarebbe stata punita con la morte […].

Finita questa riunione, andammo in autobus al castello di Grafeneck, dove fummo accolti dal direttore di quest’istituto, il dottor Schumann. Il nostro lavoro a Grafeneck cominciò solo nel marzo del 1940, ma il personale maschile lavorava lí già da prima. Uno dei miei compiti era quello di andare nelle varie cliniche assieme al signor Schwenninger (che era membro della Gemeinnützige Stiftung für Anstaltspflege), prendere pazienti e portarli a Grafeneck. Il signor Schwenninger, che dirigeva le operazioni di trasporto, aveva le liste dei nomi dei pazienti da prelevare […]. I pazienti che noi trasferivamo non erano proprio casi gravi; erano certo malati di mente, ma molto spesso in buone condizioni fisiche. Ogni volta prendevamo circa settanta persone, e quasi ogni giorno facevamo di questi trasporti […]. Arrivati a Grafeneck, i pazienti erano ricoverati in baracche, dove venivano visitati superficialmente dal dottor Schumann e dal dottor Baumhardt, in base ai questionari. Toccava a questi due medici dire l’ultima parola, e cioè se un paziente doveva essere ucciso col gas o no. In pochi casi i pazienti erano risparmiati.

Di solito erano uccisi tutti entro ventiquattr’ore dall’arrivo a Grafeneck. Io restai a Grafeneck quasi un anno, e conosco pochi casi di persone che non furono gasate. Di solito prima di essere gasati i pazienti ricevevano un’iniezione di 2 cc di morfina e scopolamina. Queste iniezioni erano fatte dal medico. L’uccisione col gas era curata da uomini appositamente scelti. Il dottor Hennecke sezionava qualche vittima. Anche bambini idioti, tra i sei e i tredici anni di età, erano compresi in questo programma.

Dopo la chiusura di Grafeneck andai a Hadamar, e vi rimasi fino al 1943. A Hadamar si continuò lo stesso lavoro, con la differenza che si smise di usare la camera a gas e si uccidevano i pazienti con Veronal, Luminal e morfina–scopolamina. Ne venivano ammazzati circa 75 al giorno.

Da Hadamar fui poi trasferita a Irsee, presso Kaufbeuren, dove continuai il mio lavoro.

Direttore di questo istituto era il dottor Valentin Faltlhauser. Lí i pazienti venivano uccisi tanto con iniezioni quanto con pastiglie. Questa operazione seguitò fino al crollo della Germania7.

È la testimonianza giurata di Pauline Kneißler al secondo processo di Norimberga, la testimonianza di un’infermiera esperta e affidabile.

In fondo a Pauline Kneißler si chiede solo di continuare a fare quello che sa fare, anche le punture, di farle con l’assistenza del medico a quelli che si rifiutano di morire da soli e vanno aiutati a farlo.