Undici

Sono tutti raccomandati, tutti iscritti al partito. Di partito ne è rimasto uno solo, ma dentro si odiano e si disprezzano reciprocamente tra gerarchi.

Non c’è scrivania che conti che non scateni una guerra interna, non c’è incarico che non smuova gelosie e sospetti.

Sono giovani, quasi tutti fra i trenta e i quarant’anni, i gerarchi che fanno carriera; quasi nessuno viene dall’apparato statale, dalla burocrazia.

C’è stata pulizia nella pubblica amministrazione: via gli ebrei e i non simpatizzanti, dentro i camerati che si sono fatti onore. È incredibile la carriera che si può fare trovandosi nel partito giusto al momento giusto. Ma non basta arrivare in alto; bisogna restarci, bisogna dimostrare risultati, avere occasioni di mettersi in mostra, avere iniziativa e buone coperture alle spalle.

Non dev’essere vita facile; chi sbaglia o è troppo lento salta, se il santo protettore cade in disgrazia tutti i suoi perdono il posto. Il dittatore è umorale, non è semplice capire cosa vuole, non è scontato fare di ogni desiderio un ordine.

Come si fa ad avviare questa macchina?

Il direttore sanitario del Reich, dottor Conti, emana la circolare segreta, poi riappare solo in qualche occasione ufficiale, non comanda le operazioni. L’hanno tagliato fuori. Il Dittatore preferisce affidare il lavoro a quelli della sua cancelleria personale che al ministero dell’Interno.

Esige riservatezza, è preoccupato dell’opinione pubblica nonostante le campagne, i film e il consenso del mondo scientifico, c’è il problema che i tedeschi sono un popolo religioso.

Tocca a Viktor Brack, l’uomo che ricevette la lettera degli Knauer, cominciare a preparare il terreno. Evidentemente è stata una buona strategia quella di scavalcare il suo superiore.

Con uno dei suoi funzionari incontra in segreto il dottor Linden del ministero dell’Interno, che pur lavorando alle dipendenze di Leonardo Conti si mette a disposizione delle richieste della cancelleria privata del Dittatore.

Da queste riunioni prende forma un piano che include alcuni medici. Oltre al dottor Brandt, il medico di Hitler, e al dottor Catel, che si era occupato del bambino a Lipsia, coinvolgono altri tre medici, i dottori Heinze, Wentzler e Unger. L’ultimo dei tre è anche uno scrittore, dal suo romanzo Sendung und Gewissen (Missione e coscienza) è stato ricavato un film, quel film visto da venti milioni di tedeschi: Ich klage an. Gli altri due sono raccomandati.

A tutti viene chiesta la massima segretezza.

Il gruppo prende il nome di Comitato per la registrazione scientifica di gravi disturbi ereditari.

È un comitato fantasma.

L’indirizzo è una casella postale.

Usano nomi in codice e ben presto trovano un indirizzo dove poter lavorare con discrezione, fuori dalla cancelleria.

Cominciano le registrazioni di neonati affetti da patologie. Comprendono casi di:

1. idiotismo e mongolismo con particolare attenzione ai casi che presentano sordità e cecità;

2. microcefalia;

3. idrocefalia grave o progressiva;

4. ogni deformità o mancanza di arti;

5. paralisi.

Altre circolari seguono la prima segreta, serve avere un quadro con informazioni piú precise prima di operare.

Il ministero dell’Interno e la direzione sanitaria smistano solo la posta verso la cancelleria personale di Hitler, dove Brack e un suo collaboratore decidono di quali casi interessare il comitato fantasma dei cinque medici che, avendo una loro attività clinica in città diverse, ricevono per posta i moduli con le registrazioni dei neonati. Presto si estenderà il procedimento a bambini fino a tre anni, poi durante la guerra il limite di età salirà fino ad ammettere al trattamento anche adolescenti.

Ognuno dei cinque medici esprime una valutazione sul modulo di registrazione. Non sono previste visite mediche. Con il segno + di una matita rossa si esprime giudizio favorevole al trattamento, con matita blu e segno - si esclude dal trattamento. Non essendo disponibile una fotocopiatrice, e forse per motivi di segretezza, non si fanno copie dei moduli; ogni perito, a parte il primo, riceve il foglio su cui gli altri hanno già espresso la loro valutazione scrivendo + o -.

Forse la prassi non è molto corretta perché potrebbe influenzare il giudizio, ma evidentemente non è una preoccupazione dato che tutto è molto, molto riservato.

Il dottor Heinze è il piú sollecito del comitato fantasma a mettere a disposizione il suo ospedale per la creazione del primo «reparto per l’assistenza esperta dei bambini con malattie ereditarie».

È ovviamente un nome d’arte anche questo. Non serve molta assistenza, si tratta di aiutarli a morire presto.

Nel suo istituto di Brandenburg–Görden, vicino a Berlino, saranno uccisi con iniezioni i primi bambini.

Brandenburg–Görden è stato predisposto in un lampo. Servirà piú tempo per convincere altri direttori sanitari, ma alla fine saranno ventuno i reparti per l’assistenza esperta che praticheranno eutanasia infantile.

Come la praticano? In teoria in modo del tutto indolore, ma ogni medico ha le proprie idee in merito.

Lo racconta un testimone al secondo processo di Norimberga. Descrive la sua visita da studente in Medicina a uno dei ventuno reparti. Quello del dottor Hermann Pfannmüller, direttore dell’ospedale di stato di Eglfing–Haar, vicino a Monaco. Un medico affermato, un medico potente.

In circa quindici–venticinque lettini giacevano altrettanti bimbi, che potevano avere da uno a cinque anni. In questo reparto Pfannmüller spiegò in maniera particolarmente esauriente le sue idee. Ricordo assai bene le frasi seguenti (che abbrevierò un po’), perché lasciavano sbigottiti per il loro cinismo o per la loro balordaggine: «Queste creature (cioè i bambini) ai miei occhi di nazionalsocialista rappresentano soltanto un peso per il corpo del nostro popolo. Noi non uccidiamo (o forse disse: non sbrighiamo la faccenda) con veleno, iniezioni eccetera perché in tal caso non faremmo che offrire alla stampa straniera e a certi signori in Svizzera (allusione evidente alla Croce Rossa) nuovo materiale per aizzare contro di noi. No, il nostro metodo è molto piú semplice e naturale, come potete vedere».

E cosí dicendo, aiutato da un’infermiera che aveva l’aria di saper far bene il lavoro in quel reparto, tolse un bimbo da un lettino. Mentre lo mostrava intorno come una lepre morta, con sguardo da intenditore e grinta cinica disse qualcosa come: «Questo qui, per esempio, durerà ancora due o tre giorni». Non dimenticherò mai la faccia di quell’uomo grasso, che ghignava tenendo nella mano flaccida quel mucchietto d’ossa piagnucolante, circondato dagli altri bambini affamati. Poi l’assassino spiegò che il metodo consisteva non nel sospendere di colpo la nutrizione, ma nel ridurre gradatamente le razioni5.

Quando questa e altre testimonianze furono contestate a piede libero al dottor Pfannmüller, egli in modo sprezzante negò non la sostanza ma il ritratto che di lui facevano i testimoni. Non ricordava quanti bambini fossero morti in quel modo, negò solo con forza di aver mai avuto mani flaccide o grosse.