Quindici
Prima che inventassero gli aghi indolori, le punture facevano male. Le siringhe finivano in un tubetto tagliato storto, era sottile, ma rispetto a quelli di adesso era un cannone. Le punture spaventano i bambini ma bisognava farle, era normale che in un ospedale si facessero punture.
Da piccolo tenevo gli occhi chiusi e piangevo sempre e allora per consolarmi il dottore mi diceva: «Non muori mica!» e mi dava una caramella mou. Ho provato a inventare tutte le scuse del mondo per non fare una puntura ma non sono mai riuscito a schivarla. I dottori dei bambini spendevano molto in caramelle.
I dottori hanno sempre avuto fiducia nelle punture. Nel suo reparto per bambini a Brandenburg–Görden il dottor Heinze ha mostrato come siano affidabili le punture. Non c’è motivo di pensare che non possano funzionare anche con gli adulti. Alcuni però dentro la direzione di T4 sono piú orientati verso l’uso del gas, e allora organizzano un confronto fra le due tecniche. È una dimostrazione per tutto lo stato maggiore di T4. Si svolge nella vecchia prigione di Brandenburg. Le cavie sono un gruppo di pazienti prelevati da un manicomio. A fare le punture si mettono personalmente i dottori Leonardo Conti e Karl Brandt. Infilato il camice bianco, preparano le siringhe e zac con mano sicura. Cosí i capi dimostrano a tutti che non si tirano indietro. Però i risultati non sono soddisfacenti, le iniezioni agiscono troppo lentamente. Allora fanno spogliare otto cavie e provano con il gas. Nella vecchia prigione è stata costruita una piccola camera a gas con uno spioncino per l’osservazione, dopotutto è solo una dimostrazione.
Anche in quel caso ad aprire il gas sono stati gli stessi dirigenti, hanno anche sbagliato facendolo uscire troppo in fretta e gli psichiatri hanno avuto un sussulto vedendo la paura che agitava i pazienti mentre morivano. «Cosí non è umano», hanno detto. Allora hanno deciso di far uscire il gas dolcemente dai tanti forellini delle docce. «Meglio, – hanno detto, – le camere a gas dovranno essere grandi locali per docce collettive», e questa è diventata una linea guida. In ogni centro di uccisione sarà costruita una camera a gas con porte dotate di spioncino, sistema di aerazione rapida dei locali dopo il trattamento, spogliatoi ubicati al piano superiore del locale e forno crematorio adiacente con capacità sufficiente al bisogno.
Le linee guida, le procedure diventeranno standard, riguarderanno sia l’ingresso che l’uscita, l’approvvigionamento e lo smaltimento e, con particolare cura, le relazioni esterne con la famiglia, perché anche quegli animali hanno famiglia.
A ben guardare i centri di uccisione sono organizzati come macelli, travestiti da cliniche ma macelli. Soltanto la necessità di intrattenere rapporti con le famiglie, di giustificare i decessi, li distingue da una macelleria.
Quando si ammazza un vitello non serve comunicarlo alla giumenta.
I dipendenti dei sei centri di uccisione sono consegnati all’interno degli istituti come un esercito in terra straniera, fanno vita separata dal mondo, sono medici, infermieri, fuochisti, autisti, sorveglianti e segretarie. Gli unici ad avere la possibilità di uscire sono gli autisti e gli accompagnatori che si occupano dei trasporti. Sono molto invidiati dal resto del personale per questa loro libertà di movimento.
Una volta che la macchina si è avviata, i centri ricevono indicazioni da Berlino su dove prelevare i pazienti da avviare al trattamento.
Incomincia il centro di Grafeneck, dove è stata mandata l’infermiera Pauline Kneißler.
Camera a gas e crematorio sono pronti. Il primo pullman va vicino a Monaco e preleva i primi venticinque pazienti da trattare, nel gennaio del 1940. Li ha messi a disposizione il dottor Pfannmüller, che ha spedito a Berlino un elenco lunghissimo con schede di pazienti del suo ospedale per l’Aktion T4. Vuole sfoltire, ridurre i costi di gestione, è sinceramente convinto che sia meglio sopprimere i deboli. Riesce a battere tutti sul tempo.
Dopo un poco, però, a Berlino inizia il superlavoro per razionalizzare la macchina.
Il centro di Brandenburg resta in attività pochi mesi, poi viene sostituito da quello vicino di Bernburg. Entrano in attività poco dopo gli austriaci di Hartheim. Seguiti di poche settimane da quelli di Sonnenstein, nella valle dell’Elba. L’ultimo centro a essere aperto è nel bacino del Reno, a Hadamar.
I viaggi di trasferimento sono lunghi, i pullman ogni giorno consegnano un nuovo carico. Le camere a gas agiscono in fretta, i forni crematori faticano invece a tenere il ritmo. A volte non basta tenerli accesi giorno e notte, pure la burocrazia deve fare i conti con dei limiti di mezzi e di risorse umane. Anche se rispetto ai numeri mostruosi della soluzione finale questi sembrano piccoli.
Aktion T4 si impegna in uno sforzo enorme e richiede lo stesso sforzo a tutti quelli coinvolti.
Ciascuno dei dodici periti che esaminano le cartelle apponendo il segno + o -, lavora con grande scrupolo a ogni caso esaminato. Lo dimostra questa corrispondenza tra il superperito dottor Heyde, nell’ufficio T4 di Berlino, e uno dei dodici periti, il dottor Pfannmüller, nel suo ospedale statale vicino a Monaco. Lo stesso che fa morire di fame i bambini piccoli nei reparti dell’ospedale. Lo stesso che ha fornito il primo carico a Grafeneck. È molto attivo, questo dottore.
REICHSARBEITSGEMEINSCHAFT
HEIL–UND PFLEGEANSTALTEN
IL DIRETTORE
Berlino, W 9, 25 novembre 1940
Al membro del Comitato dei Periti
Sig. Consigliere Dott. Pfannmüller
OGGETTO: Invio moduli n. 137 901 - 138 200
Qui acclusi Vi mando 300 moduli delle cliniche di Lüneburg, con preghiera di procedere alla perizia.
Accluso anche indirizzo affrancato incollabile per rispedirli.
Prof. Heyde8
Eglfing, 29 novembre 1940
Alla Reichsarbeitsgemeinschaft HEIL–UND Pflegeanstalten per il Prof. Dott. Heyde, Berlino, W 9 oggetto: 107° invio moduli, 300 copie, n. 137 901-138 200
Alla Vostra del 25.11.40
Illustrissimo Sig. Prof. Heyde, qui acclusi Vi rimando i 300 moduli, n. 137 901 - 138 200, spedizione 107. Perizia eseguita.
(Firma)9
Sarebbe irrispettoso ricordare che trecento moduli rappresentano un sostanzioso guadagno extra per il dottore? I periti lavorano a cottimo.
In tre giorni ha esaminato scrupolosamente trecento casi. Ha lavorato il martedí, il mercoledí e il giovedí, e al venerdí ha spedito il pacco a Heyde. Non ha nemmeno dovuto impegnare il fine settimana.
Ho provato a immaginare il lavoro di Pfannmüller, la sua scrivania, le scartoffie da direttore sanitario. Non è facile conciliare il lavoro di perito scrupoloso con quello di direttore di una clinica, ma ci riesce. Non mi riesce però di immaginare quanto tempo avrà dedicato alle letture delle perizie. Immagino solo la sua mano che scrive, sento un rumore di matita che scrive dei piú tutti diversi, tutti originali, tutti promossi. Si sente il rumore della matita e quello della caramella mou che tiene in bocca mentre scrive. Immagino che le mangiasse tutte lui perché i bambini erano a dieta nei reparti. Nella pausa ho immaginato anche il rumore del cervello di Pfannmüller: somigliava a quello del Doktor Pannwitz, ho immaginato la sua mano che scrive; la mano era flaccida.
La cooperativa delle pubbliche relazioni (Rag), dopo aver ottenuto le perizie dai suoi consulenti prepara gli elenchi dei prelievi da ogni istituto, e gli uomini dell’ufficio II A della cancelleria di Brack mettono a calendario i viaggi cercando di ottimizzare i flussi, di ridurre il tempo di permanenza nei sei centri, di far funzionare al meglio l’intera filiera.
Il centro di Hadamar si dimostrerà il piú organizzato e produttivo, i suoi forni crematori sempre accesi, troppo accesi, saranno tra le cause del repentino arresto del programma.
Hadamar, a differenza degli altri, non si trova in un luogo appartato. La camera a gas e il forno crematorio sono sí in un reparto isolato, ma all’interno dell’ospedale, che sta in un giardino pubblico, in mezzo alle case, nel centro della cittadina. Anche le foglie e i fiori dopo un po’ puzzano di carne bruciata, a Hadamar. C’è la cenere sui tetti di Hadamar, sulle lenzuola stese, e la gente ne parla.
I pullman della società di trasporto (Gekrat) sono di un allegro colore rosso, fanno lunghi viaggi quotidiani e il ministero delle Poste concede loro di usare le rimesse e le officine degli uffici postali per ogni necessità. Hanno la priorità, non possono fermarsi. Arrivano e caricano.
Gli istituti sono di solito preavvisati e collaborano. In fondo si tratta di trasferimenti e a volte dispiace separarsi da chi si conosce bene, ma siamo in guerra.
Alcuni dei matti vanno via contenti, altri no, sono come i tori quando sentono l’odore del macello. Sí, saremo animali ma non tutti pecore: combattono, bisogna legarli in camicie di forza. Però un po’ alla volta medici e infermieri capiscono.
Capiscono che quelli arrivati col pullman non sono paramedici, non sono abituati a trattare i pazienti. Vedono che hanno paura, per questo sono brutali, li sentono parlare, è gente ignorante di queste faccende, sono vaghi circa la destinazione, perfino sornioni. I pullman rossi diventano odiati, allora li dipingono di grigio anonimo ma si vedono lo stesso.
Viaggio dopo viaggio tutti i medici e gli infermieri capiscono cosa succede.
Non sono mica tutti come il dottor Pfannmüller.
E allora? Cosa succede?
Qualcosa succede, ma dentro di loro.
Succede che si abituano.