XVIII
La nave solcava rapida lo spazio sorvolando un pianeta immerso nelle tenebre. Lora divenne un alone luminoso all'orizzonte sino a che si perse del tutto alla vista. Langley dubitava che l'avrebbe rivista ancora quella città che gli aveva dato nuova esperienza in quelle poche settimane.
Adesso era come se non fosse mai esistita, coi suoi numerosi milioni di esseri umani. Quella sensazione gli dava la possibilità di comprendere la filosofia del vecchio Valti, la sua accettazione supina della mutabilità degli eventi, della fatalità, come parte dello schema della vita stessa.
Il volto di Brannoch era debolmente illuminato dal riflesso delle lampade sul quadro dei comandi. – Lo sa perché la società ha deciso di aiutarci? – chiese a Valti.
– No. Lo ignoro, mio signore.
– Deve trattarsi di denaro. Molto denaro deve stare alla base di questa faccenda. A meno che non sia un tradimento... – Per un momento l'uomo rimase pensieroso, poi scoppiò a ridere. – No. Perché avreste dovuto venire da me per tradirmi? Io credo che sia proprio come ha detto.
– Certo, mio signore. La lega non sarà ingrata dopo tutto quel che ho fatto?
– Oh sì, sì. Avrà la sua brava ricompensa, non dubiti. Mi rifarò sulla Terra. Lo sa che questo significa la guerra? Nulla potrà evitarla, ormai. Ma se conosco quelle pance piene di grasso dei ministri terrestri, terranno la loro flotta in questo sistema per proteggere i loro nascondigli... Prima di agire, attenderanno tanto a lungo che avremo il tempo di costruire l'annientatore. Basteranno un paio di attacchi decisi per farli tremare di paura. – Brannoch tacque un istante per fissare il vuoto dinanzi a sé. – Mi chiedo perché quei Thrimkas abbiano voluto rimanere sulla Terra. Quale sarà mai il loro gioco? Un giorno, spero, potrò sistemare anche loro, ragni maledetti.
L'aereo dirigeva verso una piccola foresta. Quando atterrò, Valti ne scese e invitò gli altri a seguirlo. – L'astronave ci attende qui, signori. Se volete seguirmi...
Un disintegratore ruppe la serratura della gabbia e Saris ne uscì agilmente. Gli altri si incamminarono già fra gli alberi.
– Sono tutti armati di armi elettroniche, qui, tranne quell'uomo alto che vedi – mormorò Saris, in inglese. – Potrai disarmarlo?
– Sarà bene che riesca – brontolò Langley, a denti stretti.
L'astronave appariva anche più grande nella notte. – Dove sono gli altri suoi uomini? – chiese Brannoch a Valti, mentre saliva la scaletta verso la camera di decompressione.
– Saranno a riposare – rispose Valti. La sua voce suonava forte nella quiete della notte, rotta solo dal canto stridulo dei grilli.
Langley pensò che quella, forse, era l'ultima volta che udiva i grilli.
Avrebbero dovuto lottare contro venti uomini.
L'astronave era stata progettata per le velocità e non per le comodità.
Una sola immensa sala era provvista di poltrone per i passeggeri ed era in comunicazione con la cabina di pilotaggio. Valti si tolse la armatura e andò a sistemare il grosso corpo sulla sedia del pilota, muovendo le mani con agilità sorprendente sul quadro dei comandi. La nave vibrò, ruggì e si lanciò verso il cielo.
L'atmosfera ben presto rimase indietro. La Terra ruotava, grande e pur bella, fra una coltre di stelle incandescenti. Langley la fissò con l'animo di chi dice addio al mondo cui appartiene: Addio terra mia. Addio, verdi colli e foreste, montagne eccelse, pianure battute dal vento, oceani sotto la luna.
Addio, Peggy.
Un calcolatore ronzava come se parlasse fra sé. Luci si accendevano e spegnevano sul quadro di controllo. Valti inserì una leva, sospirò e si volse indietro. – Finalmente – esclamò. – Siamo in guida automatica, in accelerazione rapida. Entro mezz'ora avremo raggiunto la nostra nave.
Possiamo rilassarci.
– È più facile dirlo che farlo – rispose Brannoch.
Tutto divenne silenzio nella grande carlinga.
Langley guardò Saris e l'Holatan gli fece un cenno appena percettibile.
Anche Marin vide il segno d'intesa e accennò di sì a sua volta. Era l'ora.
Langley si mise con le spalle contro il quadro dei comandi e puntò il disintegratore. – Nessuno si muova – ordinò.
Qualcuno imprecò. Un disintegratore venne puntato con rapidità sbalorditiva, ma fece cilecca.
– Saris tiene sotto controllo tutte le armi della nave, tranne la mia e quella di Marin. Meglio che sediate tranquilli e mi ascoltiate... No! Tu non lo farai – esclamò a un tratto, facendo fuoco sull'uomo alto che era armato di un fucile a percussione. Il mercante cadde in silenzio, dilaniato dalla scarica.
– Dolente di aver dovuto farlo – mormorò Langley lentamente. – Non voglio far male a nessuno, ma troppo grave è il rischio perché possa esitare se mi costringerete. Volete darmi la possibilità di spiegare?
– Capitano... – Valti cercò di avvicinarsi, ma Marin lo ricacciò indietro con un gesto feroce. Saris si ritirò nella parte poppiera della carlinga, il corpo che tremava sotto lo sforzo.
– Ascoltatemi. Voglio narrarvi solo alcuni fatti. Siete tutti, tutti quanti, i pupazzi del più gigantesco imbroglio che la storia ricordi. Pensate di lavorare per il vostro stesso bene... Valti, Brannoch... Ma io vi mostrerò che non è così. Avete mezz'ora da attendere. Potete benissimo ascoltarmi.
– Continui – esclamò Brannoch.
L'americano sospirò e incominciò a raccontare. Narrò del sovvertimento avvenuto in seno alla lega, alla società e al Technon ad opera di una potenza ostile che faceva di tutto per raggiungere i propri scopi. Diede a Valti la bobina del microfilm che aveva con sé e il mercante la inserì in un proiettore, studiandola con decisione improvvisa. Un orologio scandiva lento i minuti, la Terra si allontanava sempre più. All'interno, l'afa era opprimente, il silenzio completo. Valti levò lo sguardo dal proiettore. – Che farà se non collaboro con lei?
– Le farò la pelle.
La testa rossa ebbe un movimento di diniego. Nell'aspetto di quel volto flaccido vi era una strana dignità. – No. Mi rincresce, capitano, ma lei non sa come manovrare una nave moderna. Non saprebbe come fare e la mia vecchia carcassa non vale tanto perché lei debba perdere la vita nel cambio.
Brannoch rimase in silenzio, gli occhi fissi e lo sguardo terribile.
– Possibile che lei non comprenda? – gridò Langley. – Non è capace di pensare, di riflettere?
– Le sue prove sono poco convincenti, capitano. I fatti sono suscettibili di altre interpretazioni.
– Quando due ipotesi sono contrastanti, bisogna scegliere la più semplice – disse Marin, inaspettatamente.
Valti si prese il mento nella palma di una mano e rimase immobile. Il mercante appariva stranamente invecchiato.
– Potrebbe aver ragione – mormorò Brannoch. – Altre volte ho nutrito sospetti sul conto di quelle frittate. Ma faremo i conti coi Thrimkas dopo, quando Thor sarà in condizione di dettare legge.
– No – urlò Langley. – Pazzo, cieco! Ma non capisce? Questa guerra che lei vuol scatenare, sono stati i Thrimkas a prepararla, a volerla. Quelli devono considerare gli esseri umani come vermi pericolosi. Non possono combatterci direttamente, ma sono in grado di spingerci l'uno contro l'altro sino alla nostra rovina. Dopo, sarà facile per loro assumere il comando di tutto l'universo conosciuto.
Un campanello trillò e Langley si volse. Si riprese in tempo all'urlo di Marin: Brannoch gli era quasi addosso.
L'americano lo ricacciò indietro e Brannoch obbedì sorridendo impudentemente.
Langley permise a Valti di controllare gli strumenti.
Calmo, il mercante si volse ed annunziò: – Qualcuno ha fatto a tempo a scaricarci addosso un raggio rivelatore. Siamo inseguiti.
– Chi? A quale velocità? Quanto distano? – gridò Brannoch, furioso come un lupo inseguito dai cani.
– Non lo so. Potrebbero essere i suoi amici Thrimkas, come potrebbe trattarsi di Chanthawar. – Valti continuò a maneggiare i suoi strumenti. – Una nave più grande della nostra, ma arriverà dieci minuti dopo di noi alla nostra nave in attesa nello spazio. Solo che ci vuole del tempo per riscaldare i generatori per un viaggio interplanetario. Dovremo combattere nel frattempo. – I suoi occhi si fissarono, gelidi, su Langley. – Se il nostro buon capitano lo vorrà permettere.
L'americano sospirò. – No. Lascerò che ci distruggano tutti quanti, piuttosto.
Valti sorrise. – Lo sa, capitano, in qualche modo, io credo sia a lei che alle sue ipotesi fantastiche.
– Dovrà provarlo – rispose Langley.
– Lo farò. Uomini, gettate tutte le armi che avete, qui. Il capitano ci terrà d'occhio, a meno che non lo trovi un lavoro troppo noioso.
– Aspetti un minuto – esclamò uno dei nomadi, alzandosi. – Lei sta andando contro l'ordine dei nostri capi?
– Sì... per il bene della nostra società.
– Io non lo farò.
La risposta di Valti suonò come uno sparo. – Lei lo farà, signore. O io stesso le romperò la spina dorsale sulle mie ginocchia. Sono il comandante in questo viaggio. Dovrei rammentarle gli articoli delle nostre leggi che precisano l'obbedienza dovuta al comandante?
– Io... Sta bene, signore. Ma reclamerò a...
– Lo faccia pure – acconsentì Valti, contento. – Ci sarò anch'io nell'ufficio, con lei, per presentare il mio rapporto.
I disintegratori caddero ai piedi di Langley. Saris si rilassò, sfinito per lo sforzo.
– Legate Brannoch – ordinò l'americano.
– Certo... Lei perdona la libertà, mio signore? La lasceremo in questa nave. Potrà liberarsi e andarsene.
Brannoch era furioso, ma obbedì.
– Soddisfatto, capitano? – chiese Valti.
– Forse. Perché adesso mi crede?
– In parte le prove che ha fornite, in parte la sincerità che credo di notare in lei. Rispetto la sua intelligenza.
Langley abbassò il disintegratore. – Va bene!
Si sarebbe detta un'imprudenza quella, ma Valti annuì e tornò a sedere al posto di pilotaggio. – Siamo quasi arrivati – disse. – Abbiamo giusto il tempo di decelerare e uguagliare le nostre velocità.
La nave spaziale in attesa era enorme. S'intese uno sfregare lieve di metallo contro metallo; le due navi erano affiancate, i portelli dell'una in corrispondenza di quelli dell'altra.
– Ai posti di combattimento! – urlò Valti. – Lei può venire con me, capitano.
Langley si fermò accanto a Brannoch che gli lanciò un'occhiata carica d'odio. – Buon lavoro! – brontolò il thoriano.
– Senta, quando si sarà liberato, si tolga dai piedi, ma non troppo in fretta. Ascolti tutti i messaggi radio che verranno trasmessi e ripensi a quanto le ho detto. Dopo, se ha giudizio, si metterà in contatto con Chanthawar.
– Io... forse.
– Che Dio l'aiuti se non lo farà. Addio, Brannoch.
Langley oltrepassò la camera di decompressione. La porta si richiuse dietro di lui. Rumor di macchine spinte al massimo rombava nella nuova nave. Gli uomini si preparavano a combattere.
Valti era nella camera di controllo, assieme a Marin e Saris si teneva in disparte. La nave doveva esserecompleta mente automatica, vero e proprio robot enorme perché un solo uomo potesse maneggiarla così facilmente.
Un globo non dissimile dalle altre stelle si vedeva spostarsi nel cielo.
Valti puntò su di esso il telescopio e vide una sfera d'acciaio che avanzava a grande velocità sullo sfondo della Terra, disco che appariva ancora ampio.
– Una nave Thrimkas – esclamò Valti. – Riconoscerei quella sagoma fra mille. Sentiamo cos'hanno da dirci.
I Thrimkas! Dunque, dovevano essersi liberati quasi subito e dovevano essersi aperto il passo con le armi che dovevano avere nella cisterna.
Subito dopo, dovevano aver raggiunto una nave tenuta nascosta per lanciarla nello spazio a velocità quasi incredibile. L'orbita della nave di Valti dovevano averla appresa dal Technon. Langley rabbrividì. Marin gli si avvicinò.
– Salve, Thrimkas – esclamò Valti, alla radio, parlando quasi sbadatamente.
La voce dei mostri si fece udire immediatamente. – Siete stati seguiti. Se siete saggi, vi arrenderete immediatamente a noi. Le navi solari ci hanno rintracciato con un raggio rivelatore e sono subito dietro di noi. Piuttosto che vi catturino, vi distruggeremo senza pietà.
Le navi solari. Langley fischiò per la meraviglia. Chanthawar non aveva perso tempo. Certo, doveva essere stato messo in allarme dalla fuga dei mostri.
– Lo spazio incomincia ed essere troppo affollato – mormorò.
Valti premette un pulsante. Sul globo celeste apparvero piccole esplosioni, ma che nella realtà erano tali da poter distruggere intere città. – Le navi si combattono da sole – disse il mercante. – I nostri uomini non avranno altro da fare che rimanere seduti ad aspettare.
Le due navi manovravano nello spazio con la leggerezza di due piume portate dal vento. Missili nucleari saettavano nel vuoto per essere cacciati e distrutti da missili anti-missili. Raggi ad alta energia saettavano nel buio siderale. Tutto quel che Langley udiva, era il sibilo dei generatori, le scintille infuocate che guizzavano all'esterno e il ticchettio del cervello elettronico della nave.
Saris mormorò collerico: – Potessi essere là fuori! Mi sento inutile, stando qui.
– Anch'io mi sento impotente – mormorò Langley.
– Sei stato magnifico, Edwy – esclamò Marin.
Una scossa fece sussultare la nave. Una voce s'intese dall'interfonico: – Ci hanno quasi mancato, signore. Compartimento sette. Le lamiere esterne sono state forate. Nessuna perdita d'aria per il momento.
– Continuare – rispose Valti.
Persino una esplosione nucleare doveva avvenire vicinissima per provocare danni irreparabili nel vuoto. Ma sarebbe bastato un solo proiettile che l'avesse colpita prima di esplodere per ridurre in cenere radioattiva la nave.
– Ecco che arriva Chanthawar – mormorò Valti. – Ho l'idea che stia ascoltando alla radio. Allora... – Valti inserì il trasmettitore. – Pronto, Thrimkas. Pronto. I terrestri ci sono addosso. Mi sono anche meno simpatici di voi. Lasciamo in sospeso i nostri conti; li regoleremo più tardi.
Volete?
Nessuno rispose. I Thrimkas non parlavano inutilmente e ognuno avrebbe potuto accorgersi di quella bugia grossolana.
Ma due incrociatori solari si stavano avvicinando, ed avevano inteso. Il più vicino descrisse un arco perfetto che sarebbe stato impossibile senza il sistema di navigazione antigravitazionale, e aperse il fuoco sulla nave dei Thrimkas. Valti virò e lanciò la propria nave in fuga nello spazio. Una nave sola non aveva alcuna speranza di sostenere l'attacco di due navi nemiche.
Gli schermi non poterono riflettere l'esplosione che avvenne nello spazio. Rimasero scuri sino a quando la nube della nave dei mostri incominciava a diradarsi in una nuvola di gas combusti che si spandeva nello spazio.
Le due navi solari ronzavano attorno al punto in cui era scomparsa la nave dei Thrimkas e spazzavano la zona con raggi e proiettili. Una sirena ululò nella nave di Valti che scoppiò a ridere. – La superguida è pronta.
Possiamo andarcene da qui, ora.
– Aspetti – esclamò Langley. – Prima li chiamo. Voglio parlare con loro.
– Ma potrebbero piombarci addosso mentre stiamo parlando, e...
– Maledizione, uomo. Anche la Terra deve sapere! Li chiami.
Ma prima che ne avessero il tempo, la voce di Chanthawar si fece udire.
– Ehi, della società! State pronti ad essere abbordati.
– Non tanta fretta, fanfarone – rispose Langley da sopra la spalla di Valti, afferrando il microfono. – Ci basta abbassare una leva per trovarci a dieci anni luce da qui. Ma ho qualche cosa da dirle.
– Oh, è lei! – Chanthawar sembrava divertito. – Ancora lei! Il mio rispetto per il nostro rilettante si è accresciuto assai questa notte. Vorrei averlo con me.
– Non avrà questa soddisfazione. Ed ora mi ascolti.
Langley narrò in fretta quanto sapeva. Seguì un breve silenzio, poi Chanthawar chiese: – Può provarlo?
– Non ha alcuna necessità che glielo dimostri io. Studi gli stessi documenti che ho studiato io. Interroghi tutte le spie dei Thrimkas sulle quali riuscirà a mettere le mani e prepari un bel rapporto da inserire nel Technon, chiedendo una rivalutazione delle decisioni prese in precedenza.
Non dovrebbe essere difficile trovare la risposta giusta.
– Potrebbe aver ragione.
– Può scommettere che ce l'ho. I Thrimkas non sanno che farsene di noi che siamo tanto mostruosi per loro come loro lo sono per noi. Ma devono aver compreso che siamo pericolosi dopo la sconfitta subìta ad opera dei centauriani e devono aver deciso di sterminare l'intera razza umana. Forse m'inganno, ma può correre questo rischio, con questo dubbio?
– No – rispose Chathawar. – Non credo si possa.
– E allora vada e catturi Brannoch. È in questi paraggi. Voi e lui, e anche la società, dovrete dimenticare le vostre piccole contese. Se non lo fate, sarà la fine per voi. Assieme, potrete far fronte a qualunque minaccia.
– Ci occorrerà quell'annientatore.
– No. Non ne avete alcun bisogno. Non potete conquistare un pianeta come Thrim, potete ricacciarvi i suoi abitanti e tenerceli relegati se unirete le vostre forze. Dopo, potrebbe essere salutare per voi sapere che c'è un pianeta di uomini liberi che possiedono un'arma che non siete in grado di fermare... Addio, Chanthawar. Buona fortuna.
Langley staccò il trasmettitore e si alzò, calmo come non mai prima. – Bene – esclamò. – Ora possiamo andare.
Valti lo guardò stranamente. Solo più tardi, ripensandoci, Langley comprese che era lo sguardo di un uomo che aveva riconosciuto in lui il proprio capo. – Meglio andare sulla 61 Cigni, prima, e informare la società, quella vera, di quanto accade.
– Sì – convenne Langley. – Dopo andremo su Holat per costruire le difese che abbiamo promesso a Saris. Saris, andrai a casa tua.
La grande testa di Saris venne a soffregarglisi contro le ginocchia.
– E dopo? – chiese Valti.
– Dopo – rispose ridendo contento – Marin ed io dovremo trovarci un mondo sul quale sentirci come a casa.
– Darei fastidio se ci venissi anch'io con voi? – chiese Valti.
Marin sorrise afferrando la mano di Langley. I due si guardarono, ignari di tutto e di tutti. Quando tornarono a guardarsi attorno, c'era un nuovo sole che splendeva nel cielo.
FINE