VI

Gli apparati ristoratori di Langley fecero scomparire in lui ogni traccia della passata sbornia il mattino seguente e il robot di servizio gli recò la colazione, sparecchiando la tavola quando ebbe terminato. Ma fatto quello, rimaneva una giornata da passarsi a far nulla tranne sedere e annoiarsi.

Sarebbe stato tanto facile unirsi a Chanthawar, cooperare con lui e seguire la corrente! E poi, come poteva decidere che non era giusto? Il Technon sembrava rappresentare l'ordine, la civiltà e la giustizia di quella società. Non poteva mettersi da solo contro venti bilioni di esseri umani e cinquemila anni di storia. Se Peggy fosse stata con lui, si sarebbe arreso perché la testa di sua moglie non era tale da rischiarsi per un principio nel quale credeva anche poco.

Ma Peggy era morta ed ora non gli rimanevano che alcuni princìpi pei quali vivere. Non era una cosa da nulla, ma veniva da una società che aveva messo su ogni singolo individuo la responsabilità di decidere con la propria testa.

Chanthawar venne a trovarli nel pomeriggio e ancora stava sbadigliando.

– Ma che ora è per destarsi – brontolò. – La vita non vale lo sforzo per viverla, prima del tramonto. Bene, vogliamo andare?

Mentre uscivano, una mezza dozzina di guardie li circondarono. – Ma a che servono, comunque? – chiese Langley. – A proteggerci dalla plebaglia, forse?

– Vorrei solo vedere che il popolo pensasse di provocare tumulti – rispose Chanthawar. – Posto che sia in grado di pensarlo, cosa di cui dubito. No. Questi compari mi servono contro i miei rivali. Brannoch per esempio, sarebbe lieto di farmi fuori, non fosse che per veder mettere un ministro incompetente al mio posto. Io ho annientato un buon numero di suoi agenti. E poi, ho i miei avversari anche nell'ambito del Technon.

Avendo scoperto che le furfanterie e gli imbrogli non mi corrompono, potrebbero tentare qualche cosa di diretto.

– Ma cosa possono sperar di guadagnare, assassinandola? – chiese Blaustein.

– Il potere, una posizione, e forse qualcuno dei miei domini. Oppure liberarsi semplicemente di un nemico. Ho dovuto farmi largo a gomitate per salire.

Emersero su una strada sospesa e si lasciarono portare da quella, ad una altezza vertiginosa sopra la città. Da quell'altezza, Langley poteva vedere che Lora era stata costruita come un'unità unica, integrale. Nessun edificio sorgeva isolato. Tutti erano uniti fra loro e una specie di tettoia si stendeva su tutti i livelli inferiori.

Chanthawar indicò una torre che sorgeva isolata nell'orizzonte brumoso.

– La stazione di controllo meteorologico – disse. – La maggior parte di quanto vedete appartiene alla città, ai parchi pubblici ministeriali, ma oltre quella strada vi è il confine di una tenuta che appartiene a Tarahoe. Lo coltiva a grano, poiché è un vecchio scemo innamorato della natura.

– E voi avete piccole fattorie? – chiese Langley.

– Cielo! No. – Chanthawar appariva sorpreso. – Ne hanno suoi pianeti del Centauro, ma ritengo sia difficile immaginare un sistema più inefficiente. Buona parte dei nostri cibi vengono prodotti per sintesi; il resto è coltivato su terreni ministeriali.

Pranzarono sulla terra di un ristorante dove alcune macchine servivano una clientela vestita sfarzosamente, dai modi raffinati. Chanthawar pagò il conto con una stretta di spalle. – Odio metter denaro nelle tasche del ministro Agaz... Mi vuol fare la pelle. Ma dovete ammettere che ha dei buoni cuochi.

Le guardie non mangiarono, essendo allenate a una dieta molto frugale e alla vigilanza ininterrotta.

– C'è molto da vedere, qui, nei livelli alti – spiegava Chanthawar, con un cenno del capo alla insegna discreta di una casa di divertimenti. – Ma poi è sempre la stessa musica. Andiamo nei livelli bassi, tanto per cambiare.

Un elevatore a gravità li portò più in basso di settecento metri. Ne emersero in un altro mondo.

Laggiù non c'era sole, né cielo. Tutto era metallo e il suolo era soffice per putredine accumulata; la tristezza di una generale sporcizia colpì immediatamente Langley. L'aria era fresca abbastanza, ma vibrava di un gran fragore che non cessava mai, spinta e ricambiata da pompe, ventilatori che riempivano il luogo dei loro rumori come il battito del cuore immenso della metropoli. I corridoi, o strade, erano affollati da una folla strabocchevole, irrequieta, vivi di un via vai che non aveva fine.

Quelli erano i cosiddetti comuni, dunque. Langley rimase per qualche istante fermo sull'ingresso dell'elevatore a fissarli, e non sapeva cosa si fosse mai atteso di vedere; forse poveri scemi vestiti di stracci. Ma si era ingannato. La massa disordinata gli rammentava le folle delle città asiatiche che aveva visitate.

Le vesti erano una versione costosa delle vesti dei ministri: tuniche corte, per gli uomini, lunghe vesti per le donne; il tutto sembrava rispondere alle esigenze di una uniforme, con sempre gli stessi colori verde blu e rosso, e tutti frusti. Le teste degli uomini erano rasate, i volti riflettevano il miscuglio di razze che i terrestri erano diventati. Un numero incredibile di bimbi, nudi, giocavano sotto i piedi della folla. La segregazione dei due sessi, rigidamente rispettata nei livelli superiori, laggiù era sconosciuta.

Chanthawar offerse sigarette e se ne accese una, poi si incamminò dietro due guardie. La gente si faceva umilmente di lato e s'inchinava al suo passaggio, poi tornava alle proprie occupazioni. – Dovremo camminare – disse l'agente. – Non ci sono strade mobili, quaggiù.

– Cosa sono tutte quelle uniformi? – chiese Blaustein.

– Differenti mestieri. Lavoratori di metalli, produttori di generi alimentari e così via. Hanno un sistema corporativo molto ben organizzato e devono sottostare a diversi anni di apprendistato. Fra le diverse corporazioni vi sono molte rivalità, ma sino a tanto che fanno il loro lavoro e non danno fastidi, li lasciamo fare. La polizia, formata da schiavi che appartengono alla città, li fa rigar dritto. – E Chanthawar indicava un uomo grande e grosso, ricoperto da un mantello nero. – Quello che avviene quaggiù non ha molta importanza. Non hanno le armi, né l'allenamento per combattere. L'istruzione che ricevono esalta l'attitudine al dovere che ha ciascuno di inserirsi utilmente nella società.

– E quello cos'è – chiese Matsumoto, indicando un uomo vestito di scarlatto, col volto celato da una maschera, un coltello infilato nella cintola, al quale la gente faceva largo con apparente timore.

– Associazione degli assassini. Spesso vengono prezzolati per uccisioni e bastonature. Non possiedono armi da fuoco, il che è più sicuro. I comuni non sono robot, e noi incoraggiamo ogni genere di iniziativa. Ciò li distrae anche.

Dopo cena, che aveva avuto luogo in un locale gestito dai più ricchi mercanti, Chanthawar sorrise. – Mi sono quasi logorate le gambe, oggi, a furia di camminare – disse. – Ora che ne direste di darci al bel tempo? Una città la si conosce dai suoi vizi.

– Bene, d'accordo – rispose Langley, piuttosto alticcio per la birra pungente degli infimi livelli che ancora gli faceva ronzare la testa. Non desiderava donne, non col ricordo ancora doloroso che lo tormentava, ma si doveva poter giocare, e lui aveva le tasche piene di denaro. – Dove andiamo?

– Nella casa dei sogni – disse Chanthawar, incamminandosi. – È il luogo preferito di tutti i livelli.

L'ingresso era una stanzetta blu, fumosa, che si apriva su molte altre piccole stanze. Imboccarono in una, avendo cura di coprirsi il volto con le maschere vive, di carne sintetica che puzzava appena appena prima che le sue terminazioni nervose aderissero alla pelle divenendo un tutto unico con chi la portava. – Tutti sono uguali, qui, tutti sono anonimi – spiegò Chanthawar. – Da bere!

– Cosa desiderano i signori? – La voce pareva venisse dal nulla, fredda e in qualche modo inumana.

– Un giro completo – rispose Chanthawar. – Le cose solite. Qui, mettete ciascuno cento solari in questa macchina. È caro, ma ci si diverte.

I quattro si rilassarono su quella che sembrava una nube secca che li sollevava. Le guardie formavano un gruppetto impassibile a qualche passo di distanza. Usci si aprivano dinanzi a loro che stavano sotto un cielo profumato di stelle e luna surrealista e guardavano in basso un panorama deserto che non sembrava terreno.

– Parte illusione, parte realtà – spiegò Chanthawar. – Potete provare tutto quel che riuscite ad immaginare, qui, per il giusto prezzo. Guardate...

La nube attraversò un rovescio di pioggia blu e rossa e oro come una cascata di fuoco. Una musica divina scaturiva dal nulla. Langley osservò fanciulle di impossibile bellezza danzare sospese nel nulla.

Poi si trovarono sott'acqua, o così sembrava, con pesci tropicali che vagavano in un verde traslucente, con coralli di ogni colore e alghe ondeggianti. Poi in una caverna illuminata da una luce rossa, sicché pareva l'inferno e la musica risuonava stridente nel sangue. Colpirono una caraffa che scese accanto a loro perché si rinfrescassero con le bevande che conteneva. Poi si trovarono in compagnia di molte persone che ridevano, danzavano, si divertivano. Una giovane donna si afferrò al braccio di Langley che titubò, poi, con un gesto della mano esclamò: – Togliti dai piedi!

Vagarono sopra una cascata, scorazzarono in un'atmosfera tanto densa che ci si sarebbe potuto nuotare, visitarono grotte caverne illuminate da strane luci per trovarsi immersi in un nebbione che non consentiva di vederci a un metro distante; qui in una calma umida, infinita, si arrestarono.

La forma nebulosa di Chanthawar fece un gesto e nella sua voce c'era una nota strana. – Vi piacerebbe giocare al Creatore? Guardate... Una sfera di fuoco ruggente era nelle sue mani e da essa ne ricavava stelle che gettava nel vuoto circostante. – Soli, pianeti, lune, popoli, civiltà e storie. – Due stelle esplosero urtandosi. – Potete fare come meglio vi aggrada, potete veder nascere un mondo e svilupparsi se lo volete, con tutti i dettagli, non importa quanto minimi. Un milione di anni in un minuto o un istante in un milione di anni; potrete colpirlo col fulmine e vederne gli abitanti tremare e adorarvi. – Il sole nelle mani del ministro splendeva cupo attraverso la nebbia. Piccole particelle che erano i pianeti vagavano attorno a quello. – Svanisca la nebbia, sia fatta la luce.

Qualcosa si mosse nell'aria umida e fumosa. Langley vide un'ombra vagare fra le costellazioni di recente formazione, grande mille anni luce.

Una mano lo afferrò per un braccio e vagamente scorse il pseudo volto dietro di quella.

Si liberò con un urlo mentre l'altra mano gli correva alla gola. Un laccio d'acciaio sibilò nell'aria immobilizzandogli le caviglie. Ora erano due uomini ad assalirlo. Lottando furiosamente cadde riverso, la mano afferrata a un volto artificiale dal quale colava sangue pure artificiale.

– Chanthawar!

Un disintegratore tuonò illuminando la scena per un istante. Langley scagliò un sole rosso, gigantesco in volto al più vicino degli assalitori.

Liberatosi un braccio, afferrò un altro sconosciuto e un grido di dolore gli rispose.

– Luce – gridava Chanthawar – liberaci da questa nebbia.

La nebbia si sollevava quasi a malincuore, sostituita da una profonda oscurità chiara, come il buio dei vuoti spaziali, con le stelle che vagavano nel cielo nero. Poi la scena si illuminò completamente.

Un uomo cadde morto accanto a Chanthawar, lo stomaco dilaniato da un raggio di energia. Solo le guardie erano con loro in quel momento. La stanza era vuota, illuminata da una luce fredda.

Per un lungo momento Langley e Chanthawar si fissarono l'un l'altro.

Erano soli: Blaustein e Matsumoto erano scomparsi.

– Fa... parte... del divertimento... anche questo? – chiese Langley.

– No. – Un lampo passò nello sguardo di Chanthawar. – Un lavoro magnifico. Vorrei avere quegli uomini al mio servizio. I suoi amici sono stati tramortiti e rapiti proprio sotto i miei occhi. Andiamo.