V

In casa del ministro Yulien vi era un trattenimento al quale era convenuto il fior fiore della buona società terrestre. Yulien era commissario della metallurgia e da lui Chanthawar aveva portato i tre viaggiatori spaziali.

Langley accompagnò l'agente per passaggi colonnati, illuminati debolmente. Gli affreschi sulle pareti formavano una trama di luci ed ombre nella sala dove erano entrati. Dietro di loro, ora, sedevano sei guardie del corpo, tutte gigantesche, identiche. Chanthawar gli aveva spiegato che quegli uomini erano suoi schiavi personali ed erano stati ottenuti mediante la duplicazione di cromosomi in una cisterna di exogenesi. In essi si poteva scorgere qualche cosa di non umano.

Lo spaziale incominciava a sentirsi meno a disagio, anche se non aveva una grande opinione di se stesso, con le gambe pelose che scaturivano dalla tunica. Lui, Blaustein e Matsumoto erano a malapena usciti dal loro appartamento a palazzo nel primo giorno del loro rilascio; avevano continuato a rimanere sdraiati, parlando poco, imprecando ogni tanto in un sussurro fatto di pena e di tristezza. Era ancora troppo nuovo, era accaduto troppo all'improvviso. Avevano accettato l'invito di Chanthawar senza molto entusiasmo. Che potevano fare mai tre spettri ad una festa?

L'appartamento era abbastanza lussuoso: mobili che svanivano nelle pareti per emergerne quando uno ne aveva necessità, una scatola che massaggiava, lavava, radeva e finiva per spruzzare profumi esotici sui capelli, dopo averli pettinati. Lusso, comodità e in un ambiente di tinte smorzate. A Langley venne in mente una tovaglia di tela cerata, un barattolo di birra e le notti dello Wyoming fuori dall'uscio e Peggy accanto a lui.

– Chanthawar, – chiese all'improvviso. – Avete ancora cavalli? – C'era una parola che li designava nella lingua che gli avevano insegnato. Forse...

– Ma... non lo so. – L'agente appariva sorpreso. – Mai visto uno, che mi ricordi, tranne in effigie nei testi di storia. Credo che ne abbiano alcuni...

sì, su Thor, per divertimento. Lord Brannoch ha annoiato più volte i suoi ospiti parlando loro di cavalli e di cani.

Langley sospirò.

– Se non ve ne sono nel sistema solare, ne può avere uno prodotto per sintesi, – suggerì Chanthawar. – Possono fare degli ottimi animali, su ordinazione. Le andrebbe di cacciare un drago, un qualche giorno?

– Non importa – rispose Langley.

– Ci saranno molte personalità qui, questa notte – disse Chanthawar. – Se lei riuscirà ad interessare qualcuno convenientemente, la sua fortuna è assicurata. Stia lontano da lady Halin; suo marito è geloso e, lei finirebbe schiavo, privato della memoria, a meno che io non trovassi un rimedio.

Non si faccia vedere troppo impressionato da quel che vede. Molti intellettuali, specie i giovani, trovano uno strano piacere nel deridere la società moderna, ciò che si ritiene pericoloso. Tranne questo, si dia da fare e pensi a divertirsi.

La prima impressione che Langley ebbe fu quella dell'enormità: la stanza poteva essere di circa ottocento metri di diametro ed era tutta un rutilare di luci e di colori, animata da qualche migliaio di invitati.

Sembrava senza tetto, protetta solo da un cielo sereno e fitto di stelle, ma decise che doveva esservi una cupola invisibile che la chiudeva. Da quell'altezza, la città appariva come un'immensa distesa abbagliante.

Un profumo lieve olezzava nell'aria, la musica veniva da una sorgente invisibile, cercò di ascoltare, ma le voci erano troppe.

Chanthawar li stava presentando ai loro ospiti. Yulien era incredibilmente grasso e rosso, ma nel suo sguardo si scorgeva una certa volontà. Langley rammentò la formula giusta con la quale un cliente di un ministro doveva salutare.

– Un uomo dal passato, eh? – Yulien si schiarì la gola. – Interessante.

Molto interessante. Dovremo discuterne a lungo, qualche giorno. Uhm...

Le piace qui?

– È sbalorditivo, signore – rispose Matsumoto con volto impenetrabile.

– Uhm, eh. Sì. Progresso! Mutamenti!

– Più quanto ci circonda cambia, signore, – si azzardò Langley – più rimane uguale.

Una donna di aspetto gradevole, ma con gli occhi lievemente sporgenti lo afferrò per un braccio e gli disse che era eccitante vedere un uomo che apparteneva al passato e lei era sicura che era stata un'epoca tanto interessante la loro, quando gli uomini erano tanto virili. Langley si sentì sollevato quando la faccia burbera di un vecchio lo chiamò a sé, scusatosi, se ne andò. Appariva chiaramente che le donne avevano una posizione soggetta alla volontà degli uomini nella civiltà del Technon benché Chanthawar avesse menzionato qualche caso di donne che erano state investite di importanti responsabilità di comando.

Contegnoso, si diresse al bar dove si servì a dovere di pietanze squisite e con maggior liberalità ancora, di vini. Quanto sarebbe durata ancora quella farsa? Avrebbe preferito rimanere solo. Invece una persona flaccida che aveva ecceduto nel bere gli mise un braccio attorno al collo, e dopo avergli dato il benvenuto, incominciò ad interrogarlo sulla tecnica usata a letto nel suo periodo. Sarebbe stato un vero sollievo sapere...

Langley. si tolse il braccio molesto di dosso.

– Desidera qualche fanciulla? Il ministro Yulien è molto ospitale. Venga con me, di qua. Si diverta un poco, prima che i centauriani ci riducano in polvere.

– È vero – confermò un giovanotto. – È per questo che dobbiamo toglierci la benda dagli occhi. Gente come voi! Eravate in grado di combattere ai vostri tempi, capitano Langley?

– In modo passabile, quando eravamo costretti.

– Proprio come la pensavo. Gente in grado di sopravvivere. Voi avete conquistato le stelle perché non temevate di calpestare il vostro prossimo.

Noi vegetiamo! Siamo diventati molli, nel sistema solare. Da mille anni non combattiamo una grande guerra, ed ora che una si profila all'orizzonte, non sappiamo come fare.

– È nell'esercito, lei? – chiese Langley.

– Io?! – Il giovanotto parve sorpreso. – Le forze armate del Sistema Solare sono composte da schiavi, allevati e allenati per la bisogna e sono di proprietà pubblica. I più alti ufficiali sono i ministri, ma...

– Bene, sarebbe disposto a rinunciare al suo rango per arruolarsi?

– Non sarebbe di alcun utile. Nessuno di noi è adatto; non in una classe di schiavi specialisti. I centauriani, tuttavia, chiamano alle armi i loro nati liberi ed amano combattere. Se potessimo imparare a fare altrettanto...

– Figliolo, – esclamò Langley sbadatamente – ha mai visto uomini col cranio sfracellato, con gli intestini che fuoruscivano, le costole che sfondavano il torace? Ha mai dovuto fronteggiare un uomo che volesse ucciderla?

– No... no. Certo che no, ma...

Langley si strinse nelle spalle. Era un tipo che aveva incontrato altre volte, anche nel suo tempo. Alcuni di quelli scrivevano anche libri.

Mormorando una scusa se ne andò. Blaustein lo raggiunse e si misero a parlare in inglese. – Dov'è Bob? – chiese Langley.

– L'ultima volta che l'ho visto stava uscendo da questa gabbia con una delle donne che intrattengono gli ospiti. Era anche una ragazza graziosa.

Forse è l'idea migliore.

– Per lui – rispose Langley.

– Io non posso; almeno non ora. – Blaustein appariva nauseato. – Comprendi, avevo pensato che, forse, anche se tutto quel che conoscevamo è scomparso per sempre, la razza umana aveva avuto mezzo di apprendere qualche cosa di sensato. Ero un pacifista, lo sai. Un intellettuale pacifista, semplicemente perché potevo vedere come fosse tutta una farsa nella quale nessuno ci guadagnava, tranne qualche tipo veramente in gamba. – Blaustein era un po' brillo. – E la soluzione è tanto semplice, ti balza agli occhi: un governo universale che mostri i denti. È tutto. Non più guerre. Non più uomini che si fanno ammazzare, non più bimbetti arsi vivi. Avevo pensato che, in cinquemila anni, anche questa razza semideficiente alla quale apparteniamo avrebbe potuto cacciarsi in testa la lezione. Ricorda che su Holat non hanno mai avuto una guerra.

Possibile che siamo tanto più stupidi di loro?

– Credo che una guerra interstellare sia piuttosto dura a combattersi – esclamò Langley. – Ci sono anni di viaggio, solo per giungere sin qui.

– Uhm! C'è anche la ragione economica. Se un pianeta si presta per la colonizzazione, in un certo senso, è in grado di diventare autosufficiente.

Queste sono le due ragioni per cui non ci sono state più guerre generali da quando le colonie si sono ribellate.

Blaustein si sporse in avanti, traballando un poco sulle gambe malferme.

– Ma ora si sta preparando un altro conflitto e potremmo anche assistervi, noi. Hanno scoperto grandi risorse di minerali su un pianeta di Sirio, e il governo di qui è debole, e quello di Alfa Centauri è forte. E tutti e due vogliono quei pianeti e nessuno dei due può permettere che l'altro si impossessi di tante ricchezze. Ne parlavo proprio con un ufficiale che mi disse queste testuali parole, aggiungendo che i centauriani sono degli sporchi barbari.

– Ma io vorrei ancora sapere come farai a combattere contro quattro e più anni-luce – esclamò Langley.

– Mandi una flotta enorme, completa di trasporti carichi di provviste, incontri la flotta nemica e la distruggi nello spazio, poi, dal cielo, bombardi i pianeti del nemico. Lo sai che possono disintegrare tutto quanto, non importa di che materiale sia formato? Da nove a dieci volte un ventesimo di erg per grammo. E ci sono cose come virus sintetici e pulviscolo radioattivo. Distruggi la civiltà, su quei pianeti, atterri e fai quello che vuoi, semplicemente. La sola cosa di cui ti devi preoccupare, è che la flotta nemica non distrugga la tua perché, in questo caso, il tuo sistema sarebbe aperto al nemico. Il sistema solare e quello del centauro hanno cospirato da decenni ormai. Appena uno dei due contendenti si crederà in vantaggio... Bhaammmm! Fuoco! – E Blaustein ingollò il suo vino e se ne versò ancora.

– Certo – disse lugubremente. – Anche se batti il nemico, c'è sempre la possibilità che buona parte della sua flotta sfugga alla distruzione e vada a distruggere il tuo sistema, annientando i pianeti senza difesa. Allora ci saranno due sistemi che torneranno all'età della pietra, ma dimmi quando mai questo pensiero ha fermato un uomo politico, o un amministratore psicotecnico, come credo li chiamino ora. Lasciami solo. Voglio sborniarmi.

Chanthawar trovò Langley qualche minuto dopo e lo prese per un braccio. – Venga – disse. – Sua Fedeltà, il capo dei servi del Technon desidera conoscerla. Sua Fedeltà è un uomo molto influente... Eccellenza Sulon, posso presentarle il capitano Edward Langley?

Sulon era un uomo alto e gracile, vestito di una tunica semplice di colore blu. Il volto brillava di un'espressione intelligente, ma nel suo sguardo vi era un che di tetro e fanatico. – È molto interessante – rispose. – Ho saputo che lei ha viaggiato tanto nello spazio, capitano.

– Sì, signore.

– I documenti che le appartenevano sono già stati sottoposti all'esame del Technon. Ogni informazione, per quanto possa sembrare priva d'importanza, è utile. Solo attraverso la conoscenza dei fatti esatti la macchina può prendere decisioni benefiche. Sarebbe sorpreso se sapesse quanti agenti vi sono, incaricati solo di raccogliere dati. Lo Stato la ringrazia per il grande servizio che lei ha reso, capitano.

– È ben poca cosa, mio signore, – rispose Langley con la dovuta deferenza.

– Potrebbe essere tanto. Il Technon è il fondamento primo della nostra civiltà. Senza di esso, saremmo perduti. La stessa posizione in cui è nascosto è un segreto per tutti, tranne per i più alti ufficiali del mio ordine, che sono i suoi servi. Per questo siamo nati e con questo scopo siamo stati allevati, per questo rinunciamo al bene della famiglia e ai legami che ad essa sono connessi, alle gioie del mondo. Siamo condizionati in modo che, se tentassero di carpirci il segreto di cui siamo depositari e non potessimo resistere, morremmo automaticamente. Le dico questo per darle un'idea di cosa significhi per noi il Technon.

Langley non riuscì a pensare a una risposta. Sulon stava a provare che il sistema solare non aveva ancora perso ogni vitalità, ma in quell'uomo c'era qualche cosa di disumano.

– Mi hanno riferito che, con lei e i suoi compagni, vi era anche un essere appartenente ad una razza sconosciuta, e che esso è fuggito – continuò il vecchio Sulon. – Devo prendere questo fatto nella massima considerazione. Quell'essere è un fattore imprevedibile. Sul suo conto, nemmeno il suo giornale di bordo rivela un gran che.

– Sono sicuro che è innocuo, signore – rispose Langley.

– Rimane a vedersi. Lo stesso Technon ordina che esso sia trovato o distrutto senza indugio. Ha lei, poiché lo conosce, qualche idea sul modo di raggiungere questo scopo?

Saris Hronna tornava alla ribalta e Langley si sentiva imbarazzato.

Possibile che dovessero temerlo tanto? E un uomo spaventato può diventare pericoloso.

– Le normali ricerche non hanno dato esito positivo – disse Chanthawar.

– Le dirò di più, benché sia un segreto: Ha ucciso tre dei miei uomini ed è fuggito col loro aereo. Dove sarà andato?

– Dovrei... dovrei riflettere – balbettò Langley. – È molto spiacevole quanto è accaduto, signore. Mi creda, farò il possibile per essere di aiuto.

Langley venne preso in disparte da una mano pelosa unita al torace possente di uomo vestito in abiti dalla foggia strana. La testa era massiccia, ornata da una proboscide elefantina, capelli rossi arruffati. L'accento di quella voce forte non era terrestre. – Salute – disse lo sconosciuto. – Desideravo tanto incontrarla. Il mio nome è Goltam Valti.

– Ah! Veramente lieto, signore – rispose Langley.

– No, no. Niente signore a me. Il povero, vecchio, bisunto Goltam Valti non è nato per essere signore. Sono della società commerciale che non annovera signori nel suo seno. Non possiamo permettercelo. È tanto difficile tirare avanti onestamente la vita, di questi tempi! E i compratori e i venditori che ci spogliano di tanti profitti lasciandocene tanto pochi che non bastano a farci vivere, e la dolce casa che dista anni luce da qui. Bene!

Circa dieci anni, nel mio caso. Io vengo da Tau Ceti. Un dolce pianeta quello, con birra dorata e una dolce fanciulla che ti serve, ah, sì!

Langley provò qualche interesse, anche perché aveva inteso qualche cosa sul conto della società commerciale; ma era poco. Valti lo condusse a un divano e tutti e due sedettero, fischiando poi ad uno che passava con vivande e rinfreschi.

– Io sono un pilastro della società del nostro sistema – continuò Valti. – Dovrebbe venire a visitare la sede della società, qualche volta. Abbiamo una collezione di oggetti di un centinaio di pianeti. Sono certo che la interesserà. Certo che cinquemila anni di viaggi spaziali... penso che sia troppo, anche per un commerciante. Lei deve aver visto tante cose, capitano, tante cose. Ah, se fossi giovane ancora!

Langley, lasciati i convenevoli, fece alcune domande dirette. Ottenere informazioni da Valti era impresa che richiedeva pazienza e bisognava sopportare tutti i piagnistei e le autocommiserazioni del commerciante per ricavare qualche parola che potesse sfuggirgli, utile a chiarire i dubbi. La società era esistita per un migliaio d'anni, o più, e reclutava i suoi soci su tutti i pianeti, anche fra le razze non umane Nelle sue mani erano quasi tutti i traffici interstellari e trasportava merci provenienti da mondi sconosciuti della galassia. Per il personale della società, le navi erano la casa nella quale vivevano uomini, donne e fanciulli che avevano le loro leggi, i loro costumi e non si univano a gente che non appartenesse alla loro casta.

– E non avete una capitale, un governo?

– Adagio, amico mio. Son cose di cui avremo occasione di parlare.

Venga a trovarmi. Sono un uomo solitario, ma forse potrò offrirle di che distrarsi. È mai capitato, per caso, sul sistema di Tau Ceti? No? Ma è una vergogna. Sono certo che l'avrebbe interessato. Il sistema di Osiris, formato di due anelli e i nativi di Horus e le belle, bellissime valli di Ammon. Sì, sì! – I nomi dati al pianeta erano mutati, ma non tanto che Langley non comprendesse la loro origine mitologica. Valti continuava nelle reminiscenze sui mondi che aveva visitato. Langley trovava la conversazione interessante.

– Ehi, là!

Valti balzò in piedi e s'inchinò umilmente. – Mio signore! Lei mi onora oltre ogni mio merito. È trascorso tanto tempo da quando ho avuto la gioia di incontrarla l'ultima volta.

– Due intere settimane – sorrise il gigante biondo, vestito di una giubba rossa, vistosa, su pantaloni blu, con in mano una caraffa di vino e con l'altra che stringeva la caviglia di una graziosa ballerina che gli sedeva sulla spalla e scoppiava dalle risa. – E l'ultima volta che ci siano incontrati, mi ha gabbato un migliaio di solari, coi dadi truccati.

– Molto eccellente signore, la fortuna, a volte, può arridere anche alla mia brutta figura, poiché segue la curva delle probabilità distruttive. – E

Valti faceva il gesto di chi si lava le mani. – Forse, signore, gradirebbe la rivincita, una di queste sere?

– Può darsi. Giù! – E il gigante fece scendere la fanciulla e la allontanò con un buffetto amichevole. – Va' a fare due passi, Thura, Kolin, qualunque sia il tuo nome. Ci rivedremo più tardi. – Poi il suo sguardo si posò su Langley.

– È questo l'uomo venuto col sole, di cui ho inteso tanto parlare?

– Sì, mio signore. Permette che le presenti il capitano Edward Langley?

Lord Brannoch dhu Crombar, ambasciatore centauriano.

Sicché quello era uno degli uomini temuti e odiati di Thor. Lui e Valti erano i due primi individui di razza caucasica che Langley avesse visto su quel mondo. Probabilmente, i loro antenati avevano abbandonato la Terra prima che le varie razze che la popolavano si mescolassero fra loro dando origine a una specie uniforme; forse l'ambiente nel quale erano andati a vivere aveva contribuito a fissare maggiormente i caratteri ereditari.

Brannoch sorrise gioviale e sedette, incominciando a narrare una storia piccante con voce che rimbombava. Langley narrò a sua volta la storia del cow-boy che aveva tre desideri. Brannoch rise tanto rumorosamente da far traballare i bicchieri sul tavolo accanto al loro.

– Sicché voi, in quel tempo lontano, usavate ancora cavalli?

– Sissignore. Nacqui in una terra in cui il cavallo era molto diffuso e usato. Io... stavo per metter su un allevamento.

Brannoch parve accorgersi del rimpianto nella voce del suo interlocutore e con tatto sorprendente incominciò a parlare delle sue scuderie, su Thor. – Credo le piacerebbe Thor, capitano. Da noi c'è ancora posto per respirare.

Come facciano qui, con venti bilioni di abitanti nel sistema solare, io non lo so immaginare. Perché non viene a trovarci, qualche volta?

– Mi piacerebbe, signore – rispose Langley che, forse, era sincero esprimendo quel desiderio.

Brannoch si distese a proprio agio, allungando le gambe sul pavimento lucido. – Anch'io ho girovagato un poco. Dovetti uscire dal mio sistema tempo addietro, quando la mia famiglia venne cacciata da un fondo. Ho passato cento anni di tempo esterno vagando in ogni dove, sino a quando mi si presentò l'occasione che mi permise di tornare. La planetografia è quasi la mia passione, ed è la sola ragione per la quale sono intervenuto a questa festa, Valti, vecchio imbroglione. Mi dica, capitano, è mai stato sul sistema di Procione?

Per mezz'ora la conversazione passò in rassegna soli e pianeti. Qualche cosa del peso da cui Langley si sentiva oppresso pareva svanito. La visione di mille stranezze in giro vorticoso nei bui siderali era tale da prendere tutta la sua attenzione.

– A proposito – interruppe Brannoch. – Ho inteso parlare di un essere straniero che ha portato sulla Terra e che poi è fuggito. Cosa c'è di vero in queste chiacchiere?

– Ah sì – intervenne Valti. – Anch'io mi sono meravigliato. Sì; sembra proprio che abbia un carattere piuttosto eccezionale. Perché poi doveva agire così da disperato?

Langley si irrigidì. Che aveva mai detto Chanthawar? Che la faccenda avrebbe dovuto rimanere segreta, almeno in parte? Certo Brannoch aveva le sue spie, né Valti sembrava da meno. L'americano aveva la sensazione di potenze formidabili in lotta sorda fra loro, di una macchina che nulla avrebbe potuto fermare, che l'aveva afferrato fra i suoi ingranaggi.

– Mi piacerebbe aggiungere quell'essere alla mia collezione – diceva Brannoch. – Non intendo fargli del male, ma solo mi piacerebbe incontrarla questa creatura. Se è davvero un telepatico congenito, è forse l'unico che si conosca.

– Anche la società è interessata in questo affare – rispose Valti, diffidente. – Il pianeta potrebbe possedere ricchezze che valgono la pena di un viaggio tanto lungo. – Poi, dopo alcuni istanti di meditazione: – La società potrebbe pagare generosamente per ogni informazione, capitano.

Essa ha le sue piccole manie, e fra le altre, quella di conoscere sempre nuove razze. Sì, ci andrebbe di mezzo il denaro molto.

– Potrebbe darsi che anch'io avessi una piccola offerta da fare – ribatté Brannoch. – Un paio di milioni di solari e la mia protezione. Son tempi di grandi torbidi, capitano, e un protettore potente non è da disprezzare.

– La società – rimbeccò Valti – ha diritti di extraterritorialità e può garantire asilo e anche l'esodo dalla Terra che sta per diventare un luogo poco salubre. E naturalmente, un congruo premio in denaro: tre milioni di solari e un buon investimento in un nuovo campo del sapere.

– Questo non è certo il luogo migliore per parlare di affari – fece osservare Brannoch. – Ma come ho detto, Thor potrebbe piacerle. Oppure potremmo trasportarla dove meglio le aggrada. Tre milioni e mezzo.

Valti grugnì. – Mio signore, vuol ridurmi sul lastrico? Ho una famiglia da mantenere.

– Già! Una su ogni pianeta – motteggiò Brannoch.

Langley sedeva rigido. Credeva di sapere perché volevano Saris Hronna; ma che poteva fare lui?

La sagoma tozza di Chanthawar emerse a un tratto accanto a loro. – La ritrovo, capitano. – Poi, inchinandosi sbadatamente ai due altri: – Salute a voi, miei buoni signori.

– Grazie, Channy – rispose Brannoch. – Perché non siede con noi?

– Non posso, grazie. Un'altra persona desidera conoscere il nostro capitano. Vi prego di volerci scusare.

Quando furono fra la folla che gremiva la sala, Chanthawar prese Langley in disparte. – Le stavano chiedendo informazioni atte a catturare quell'essere sconosciuto? – chiese. E nel suo volto si notava un'espressione preoccupata.

– Sì – rispose stancamente Langley.

– Lo immaginavo. Il nostro sistema è appestato dai loro agenti. Bene, non li aiuti, capitano.

Un misto di collera e di stanchezza fece montare il sangue alla testa a Langley. – Mi ascolti, figliolo – disse, fissando duramente Chanthawar sino a che questo dovette volgere altrove lo sguardo. – Non vedo cosa debba mai io, oggi, a un partito o all'altro. Perché non la smettete di trattarmi come un fanciullo?

– Non ho voluto tenerla in segregazione – rispose Chanthawar. – E sì che mi sarebbe stato facile. Ma non ne vale la pena, perché cattureremo quella bestia prima che sia trascorso molto tempo. Volevo solo avvertirla che se cadesse in altre mani che non siano le nostre, allora me la prenderò con lei.

– Perché non mi fa rinchiudere e così la fa finita?

– Non lo farei mai, ma rifletta solo al caso in cui dovessi fallire nelle mie ricerche. E non lo vorrei, assolutamente. – Poi, con maggior durezza: – Sa perché gioco questa politica di guerra? Crede forse che brami il potere? Il potere fa gola agli stolti che vogliono comandare altri stolti. Ma è bello giocare alla politica. La vita diventa noiosa altrimenti. Cosa posso fare che non abbia già fatto cento volte? Ma giocare alla politica e magari alla guerra con Brannoch è divertente, e anche con quell'altro sudicio barbarossa. Vincere, perdere o pareggiare; ma io intendo vincere.

– Non ha mai pensato di raggiungere... un compromesso?

– Non si lasci ingannare da Brannoch. È uno dei cervelli più freddi e calcolatori della galassia. Un bravo individuo, a modo suo. Ne sarò dolente il giorno in cui sarò costretto ad ucciderlo, ma non ha importanza. – Chanthawar si volse: – Venga, accingiamoci alla necessità molto più seria di ubriacarci.