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Potevano esservi apparati acustici di spia nella stanza e anche apparecchi ottici per lo stesso scopo. Valti aveva detto che i raggi-spia non potevano scorgere l'apparecchio che gli aveva dato, ma lui, andando a letto poco dopo il tramonto, indossò il pigiama per precauzione. Per un'ora rimase a rigirarsi nel letto, come se non potesse prendere sonno, poi comandò musica a tutto volume. Il suo frastuono avrebbe dovuto superare il mormorio di una conversazione a bassa voce.

Fingendo di grattarsi, premette il pulsante, poi accese una sigaretta e attese.

La voce debole era come una vibrazione dentro di lui e gli venne fatto di pensare a raggi sonici lanciati direttamente nel suo cervello per mezzo di una eterodina. Pensò che dovessero ancora essere messi a fuoco quei raggi perché la voce giungeva anormale, ma pur sempre riconoscibile per quella di Valti.

– Ah, capitano Langley! Lei mi fa un onore senza precedenti. È un vero piacere, anche se mi ha levato da un letto soffice per ascoltarla. Posso consigliarla di parlare con le labbra vicino all'apparecchio? La trasmissione sarà ugualmente chiara.

– Va bene! – Langley aveva una domanda che non poteva attendere. – Sono preparato a trattare con lei, ma ha trovato Blaustein e Matsumoto?

– Non li ho trovati, capitano. Vuol credere alla mia parola?

– Be'... credo di sì. Le dirò dove penso si trovi Saris Hronna. Ma badi bene: è solo una supposizione... E l'aiuterò anche a trovarlo, nei limiti del possibile. In cambio, voglio da lei tutto il possibile per rintracciare i miei amici, e in più il denaro, il trasporto e tutto come promesso, per me e per loro e anche per una schiava che ho qui con me.

Sarebbe stato difficile dire se Valti fosse stato lieto dell'occasione che gli si offriva, se si fosse dovuto giudicare dalla sua voce. – Molto bene, capitano. Le assicuro che non se ne pentirà. Ora, passando alle ragioni pratiche, lei deve essere prelevato senza lasciare traccia.

– Non so nemmeno io come si possa, Valti. Più o meno, sono agli arresti a domicilio.

– Tuttavia lei deve uscire di lì questa notte stessa. Mi lasci pensare... In due ore... Sì, fra due ore lei e la ragazza passeggerete sul balcone. Ma per l'amor del cielo, dovete apparire naturali! Rimanete lì, ben in vista dall'alto e non muovetevi, qualunque cosa accada.

– D'accordo. Fra due ore... Alle 23,47, col mio orologio, va bene?

Arrivederci.

Ora doveva solo attendere. Langley accese una sigaretta. Due ore. Sarò un rottame d'uomo incanutito per quel momento.

Il tempo pareva essersi fermato; un minuto sembrava eterno.

Bestemmiò, poi si alzò e andato nel soggiorno, chiese un libro: fisica moderna! Al ritmo con cui il tempo passava, in due ore avrebbe potuto assimilare tanta fisica da addottorarsi in quella scienza. Improvvisamente, si accorse di aver fissato la stessa pagina per un quarto d'ora. Anche se fingeva di leggere, non doveva farlo comprendere e frettolosamente ordinò la pagina seguente.

Finalmente guardò l'orologio: venti minuti prima di uscire sulla terrazza.

Doveva far uscire anche Marin; non poteva lasciarla in quell'inferno e doveva agire in modo da non destare sospetti in coloro che lo spiavano.

Rimase pensieroso per qualche minuto. La sola maniera non gli andava a genio: un lontano antenato del New England glielo inibiva. Ma...

Andò alla porta della stanza di Marin che si aperse dinanzi a lui che si fermò a guardare la fanciulla addormentata, il volto tranquillo contornato dai capelli sparsi sul cuscino. Sforzandosi di non pensare a Peggy, le toccò un braccio.

Marin si destò e sedette sul letto. – Oh... Edwy. Cosa accade?

– Mi rincresce di averti destata, ma mi sento malissimo e non posso dormire. Vorrei star alzato con te e parlare un poco. Vuoi?

Marin lo guardò con un'aria compassionevole, poi rispose: – Sì. Certo, Edwy. – Poi, gettatasi una veste da camera sulle spalle, lo seguì sul balcone.

Nel cielo rilucevano le stelle. Oltre il bagliore che veniva dalla città s'intravedeva la sagoma scura di una nave di pattuglia. Il vento gli scompigliò i capelli. Langley si chiese quale fosse l'esatta posizione di Lora: forse non distante dall'antica Winnipeg, se non errava.

Marin si appoggiava a lui e Langley la cinse alla vita con un braccio.

– Si sta bene qui fuori – disse banalmente.

– Sì... – Marin attendeva qualche cosa; e anche le spie di Chanthawar sapevano cosa attendesse la fanciulla. Dio, come desiderava andarsene da quel luogo! L'uomo si fermò e la baciò. Lei rispose, gentile, ma un po' fredda come sempre. Langley la guardò senza trovare parole.

– Mi rincresce – mormorò alla fine.

Quanto mancava alla partenza? Cinque minuti ancora? Dieci?

– Per cosa? – chiese Marin.

– Io... non ho il diritto...

– Tu hai ogni diritto. Io ti appartengo, lo sai. Sono nata per questo!

– Taci – mormorò Langley. – Io parlo di un diritto morale.

– Vieni – sussurrò Marin prendendogli una mano. – Vieni dentro.

– No... Non ancora – ribatté l'uomo.

Marin attese. E poiché non gli sembrava ci fosse altro da fare, tornò a baciarla.

Cinque minuti ancora? Tre? Due? Uno?, pensava lui.

– Vieni – tornò a mormorare Marin. – Vieni con me.

Langley si ritrasse. – No. Aspetta... Aspetta...

– Non hai paura di me. Cosa significa? C'è qualche cosa di strano...

– Taci.

Una fiammata scaturì sulle loro teste. Langley guardò in alto e vide una nave passare veloce facendo fuoco sulla nave di pattuglia. Lo spostamento d'aria giungeva sino a loro.

– Mettiti al riparo, Edwy! – Marin fece per dirigersi al sicuro nel salotto, ma Langley l'afferrò per i capelli e la tirò accanto a sé, poi rimase immobile, all'aperto, ben in vista. La nave attaccante era scomparsa in un baleno.

Allora qualche cosa afferrò Langley e lo sollevò, ruotandolo.

Raggi sollevatori, pensò. Un raggio di controllo della gravità. Poi qualche cosa di nero si aperse dinanzi a lui: un portello. Entrarono e l'apertura si richiuse immediatamente.

Mentre Langley si alzava, intese il rumore sordo di macchine potenti.

Marin si dimenava ai suoi piedi e lui l'aiutò a sollevarsi. Nelle sue braccia la fanciulla tremava.

– Tutto è andato bene. Non temere. Forse siamo riusciti a fuggire – mormorò Langley.

Un uomo vestito di una lunga tunica grigia entrò nella camera di decompressione. – Molto ben fatto, signore – si congratulò il nuovo venuto. – Credo che ci stiamo liberando dei nostri inseguitori. Vuole seguirmi?

– Che accade? – chiese Marin, spaventata, tremante. – Che accade, Edwy?

– Ho fatto un patto con la società – rispose Langley. – Ci porteranno fuori dal sistema solare. Saremo liberi, tutti e due.

Ma dentro di sé Langley dubitava. Scesero una stretta scala. La nave vibrava attorno a loro. Alla fine del corridoio arrivarono in una piccola saletta stipata in strumenti. Su uno schermo brillavano le stelle più grandi del firmamento.

Goltam Valti si levò dalla poltrona per dar manate sulle spalle a Langley, per stringergli la mano e gridargli il suo benvenuto. – Meraviglioso, capitano? Magnifico! Un lavoro perfetto, se lei perdona la mia immodestia.

Langley si sentiva annoiato. Sedette e si tirò Marin sulle ginocchia senza pensarci. – Cosa è accaduto, esattamente? – chiese.

– Io e pochi altri siamo usciti senza farci scorgere dalla torre ed abbiamo preso un aerotaxi che ci ha condotti... be', alla residenza di un ministro nostro simpatizzante presso il quale manteniamo uno dei nostri capisaldi.

Richiedemmo due navi spaziali: una per creare una breve diversione, e questa per rapirvi durante la confusione che ne sarebbe seguita.

– E l'altra nave? Non la cattureranno?

– Tutto previsto. Un colpo fortunato l'abbatterà. Bombe innescate a bordo, robots invece di uomini... Lei sa come vanno queste cose. Tutte le possibilità di riconoscerla, di identificarne la provenienza e i proprietari distrutte, tranne quelle poche per farla passare centauriana agli occhi di Chanthawar. – Valti ebbe un brivido. – Peccato dover sacrificare una così bella nave. Costava mezzo milione di solari. E i guadagni sono difficili, questi giorni, mi creda, signore.

– Appena Chanthawar la chiamerà, saprà che lei è assente...

– Mio caro capitano! – Valti sembrava offeso. – Non sono proprio un dilettante! Il mio sosia è già pacificamente addormentato nel mio letto, nella mia stanza.

– Certo – riprese Valti dopo aver riflettuto qualche istante – se troveremo Saris, anch'io dovrò lasciare il sistema solare. In questo caso, spero che il mio successore riesca a tirare avanti il commercio con Venere. È un settore difficile che potrebbe passare al rosso con facilità.

– E va bene – esclamò Langley. – Ormai è fatta e io mi sono impegnato.

Cosa faremo, ora?

– Dipende dal luogo in cui si trova e dal modo migliore per mettersi in contatto con lui. Ma questo apparecchio è rapido, silenzioso e protetto contro le radiazioni. È armato, e vi sono trenta uomini a bordo. Crede che sia sufficiente?

– Io... credo di sì. Mi dia una mappa della zona di Mesko.

Valti fece un cenno alla strana creatura che sedeva in un angolo che uscì immediatamente.

– Una signora affascinante – esclamò Valti, indicando Marin. – Posso conoscere il suo nome?

– Marin – rispose la fanciulla, togliendosi dalle ginocchia di Langley e addossandosi alla parete.

– Non temere – la incoraggiò lo spaziale. – Va tutto bene.

– Io non ho paura – rispose Marin, cercando di sorridere. – Sono confusa.

Il thakt tornò, recando diverse carte. Langley si mise subito a studiarle, la fronte aggrottata per lo sforzo di riconoscere i luoghi attraverso una geografia tanto mutata. – È stato una volta su Holat – spiegò. – Saris ed io avevamo passato la giornata pescando e lui mi aveva mostrato, alcune caverne. Gli parlai delle grotte di Carlsbad, nel Nuovo Messico, e lui parve interessarsene molto. Più tardi, poco prima che partissimo per la Terra, ne parlò ancora e io promisi di portarlo a visitarle. Mentre stavamo studiando alcune carte geografiche, per dare alcune spiegazioni ad alcuni filosofi di Holat, gli indicai la zona in cui si trovano le grotte. Se ha potuto procurarsi mappe della regione, Carlsbad non è molto distante e lui sa che è una zona inesplorata. Almeno lo era, che ora potrebbe essere abitata anche, oppure distrutta per quel che ne so io.

Valti seguiva il dito di Langley che vagava sulla carta. – Sì, credo di aver sentito parlare di queste grotte. Credo le chiamino Corrad adesso. È questo il luogo?

Langley prese una mappa a grande scala. – Sì. Credo di sì.

– Ah! Ora capisco. Fa parte dello stato del ministro Ranull che mantiene buona parte del suo possedimento deserto, come un parco. A volte i suoi ospiti vengono condotti a visitare le caverne di Corrad, ma sono certo che nessuno vi si addentra molto. Devono essere deserte per la maggior parte del tempo. Un suggerimento davvero brillante, capitano! I miei complimenti.

– A meno che non mi sbagli perché in questo caso brancolo nel buio tanto quanto lei.

– Proveremo. Lei avrà sempre la sua ricompensa, qualunque sia il risultato. – Valti parlò all'interfonico, poi tornò a rivolgersi a Langley. – Andremo subito là. Vuole uno stimolante? Qua; la metterà in forma e le darà tanta energia per le prossime ore. Mi scusi ora, la prego. Ho alcuni particolari da curare. – E Valti se ne andò.

Langley rimase solo con Marin che lo fissò per qualche minuto senza parlare.

– D'accordo, – esclamò Langley. – D'accordo. Ho fatto la mia scelta.

Penso che la società farà un uso migliore che non gli altri di questa nuova possibilità. Ma certo tu sei una solare e ti comprendo. Forse non mi approvi e hai ragione, a modo tuo.

Marin scosse il capo. – Non so. È una grande responsabilità che ti sei assunta. Comprendo cosa ti ha deciso in questo senso e forse hai ragione, forse no. Non lo so, ma sono con te, Edwy.

– Grazie, Marin – rispose Langley, chiedendosi poi se, a suo malgrado, non stesse innamorandosi di lei. E la visione di loro due, assieme, che incominciavano una nuova vita su un nuovo mondo gli apparve come naturale. Certo, sarebbero prima dovuti fuggire dal sistema solare.