IV
Era buio là dove Saris Hronna si era accucciato. Vento umido soffiava dal canale portando sino a lui mille odori strani. La notte era piena di paure. Egli giaceva sul ventre, l'orecchio teso ai rumori di coloro che gli davano la caccia.
La luna non era ancora sorta, ma le stelle brillavano nel cielo privo di nubi. Un bagliore tremolante al limitare dell'orizzonte rivelava l'esistenza di una città. Al suo sistema nervoso giungeva il fremito di tanti altri esseri umani mentre rimaneva immobile e all'orecchio giungevano mille rumori portati dal vento. Così, nelle foreste di Holat, al buio, era rimasto in attesa di una traccia, ma questa volta era lui ad essere cacciato e non poteva mescolarsi agli abitanti di quel pianeta. Nessuna bestia di quelle che avvertiva, nessun essere animale somigliava a lui e anche il vento pareva parlare un linguaggio sconosciuto.
E con la paura dell'attesa c'era amarezza. Non avrebbe saputo dire come, ma aveva viaggiato nel tempo oltre che nello spazio ed era capitato su un pianeta diverso da quello che gli avevano descritto. Il pianeta dei suoi amici era distante migliaia di anni nel passato.
I denti bianchii scintillarono in una contrazione dei lineamenti del volto.
Anche così c'era una ragione di vita, anche per uccidere. Se fosse potuto tornare al suo mondo... Ma il pensiero appariva come una debole fiammella esposta al vento di una notte tempestosa. Holat non avrebbe mutato gran che, nemmeno in due millenni, a meno che qualche nave di umani non fosse capitata ancora su quel mondo pacifico. Non che la sua razza fosse statica, ché il progresso esisteva e mai si era arrestato; ma era un progresso che seguiva l'evoluzione ambientale, della natura che li circondava e in armonia con essa. Lassù, avrebbe potuto ritrovare se stesso.
Qualcosa vibrava nel cielo. Saris si appiattì come se volesse penetrare nella melma. Guardò in alto, gli occhi ridotti a due fessure, sforzandosi di vedere, di sentire, di penetrare il cielo alla ricerca dell'essere o della cosa che avvertiva.
– Sì, correnti – decise. Non era un animale, ma il flusso di elettroni nel vuoto e nel gas, e pulsazioni diverse che agivano come una lima sul suo sistema nervoso. Un piccolo aereo, pensò; e ronzava in cerchi ristretti mentre funzionavano gli apparecchi di avvistamento. Lo stavano cercando.
Forse avrebbe dovuto sottomettersi docilmente. Gli umani dell' Explorer erano esseri buoni e a Langley in particolare egli si era affezionato. Forse quegli altri terrestri di un tempo tanto lontano erano come lui. No! Era troppo azzardato. Ne andava, della sicurezza di tutta la sua razza.
I terrestri erano ben lontani dalla tecnologia di Holat. Su Holat esistevano ancora strumenti di osso e di pietra, si viaggiava a piedi o in canotti scavati nei tronchi e muniti di vele e di remi, il cibo proveniva dalla caccia e dalla pesca e dai branchi enormi di animali semi-domestici custoditi mediante controllo teletimico. Un holatan, libero in una foresta, poteva rintracciare una dozzina di terrestri e ucciderli. Ma una nave spaziale degli umani poteva rimanere sospesa nel cielo e distruggere il pianeta intero.
L'aereo sopra di lui si allontanava. Saris respirò liberamente, riempiendo i polmoni di aria fresca. Cosa poteva fare? Dove poteva andare? Come fuggire?
L'aereo tornava. Certo scrutava il suolo in una spirale. Quanti altri ve n'erano? Saris tremò, meno di paura che di solitudine. La vita su Holat era ordinata: la cortesia grave nei rapporti fra giovani e vecchi, fra donne e uomini, la tranquilla religione panteistica, i riti nella famiglia al mattino e alla sera. Tutto al suo. posto, regolato armonicamente; la sicurezza del sapere che la vita è sempre un'entità unita. E lui era stato tanto pazzo da andare nello spazio ed ora lo cacciavano come una fiera.
Quella cosa lassù in alto si abbassava. Saris si irrigidì mentre il suo cuore batteva più forte. Se fosse venuto alla sua portata l'avrebbe fatta precipitare, distruggendola.
Si sentiva moralmente pronto per quell'omicidio. Nessun sintomo di dominazione esisteva in seno alla famiglia su Holat; non padri despoti, non fratelli maggiori, ma erano tutti uniti come un solo essere, tutti desiderosi di aiutare coloro che mostravano un vero talento, sia nell'arte, sia nella musica o nel lavoro. E Saris era stato uno di questi; tutti l'avevano aiutato, senza ombra di egoismo, e alla fine aveva potuto frequentare un'università.
Lì aveva pascolato il bestiame, aveva costruito arnesi, spazzato pavimenti per ricompensare del privilegio di essere ammesso nella capanna di qualche filosofo o artista o intagliatore, a discutere e ad apprendere. Astronomia, chimica, fisica, erano i fondamenti dell'insegnamento fra gli esseri umani. La tecnica biologica, l'allevamento degli animali avevano la stessa importanza là dove erano sufficienti una lente ed uno scalpello, forse avevano anche più importanza. E i matematici di Holat avevano un'abilità che troneggiava ben più alta di quella di tutti gli esseri umani.
L'aereo gironzolava in alto, come un uccello da preda pronto a tuffarsi, ma era ancora al di fuori della portata dei poteri telecinetici di Saris.
Dovevano essere muniti di rivelatori, forse a raggi infrarossi, ciò che faceva loro sospettare la sua presenza nei paraggi. Saris non osava muoversi.
Ebbene, pensava, mentre il vento noioso gli arruffava i peli ispidi dei baffi, era stata una bella vita e aveva ben poco rimpianto. Era stato uno dei sapienti che giravano su Holat, sempre ben accolti per le notizie che portavano, sempre in grado di vedere qualche cosa di nuovo nelle diverse culture che si erano venute formando. Erano i sapienti che mantenevano i vincoli fra tutte le popolazioni del pianeta. Più tardi si era sposato, si era formata una famiglia ed aveva insegnato all'università di Sun-dance-through-rain. Anche se la morte fosse giunta prematuramente, su un mondo sconosciuto, la vita era stata bella.
No! No! Saris si riprese di colpo. Non poteva morire; non ancora. Non prima di sapere che Holat era salvo da quella razza pallida di mostri dal corpo privo di pelo, prima di aver avvertito i suoi della minaccia, prima di sapere che erano in grado di difendersi. I muscoli scattarono e Saris fuggì di corsa.
L'aereo si abbassò con un risucchio d'aria che lo investì togliendogli il respiro. Subito Saris si accinse ad arrestare il flusso elettromagnetico che faceva vivere la macchina, poi si fermò. C'era un sistema migliore.
L'aereo atterrò in mezzo ai campi, a buoni cento metri lontano. Saris si preparò a balzare. Quanti potevano essere i suoi nemici?
Erano tre, e due stavano uscendo dalla macchina mentre il terzo rimaneva all'interno. Attraverso la spessa siepe di grano non poteva vedere, ma sentiva che uno dei due recava qualche cosa che non era un'arma; un rivelatore dunque. Ciechi nel buio, pure potevano scorgerlo.
Naturalmente, non potevano essere sicuri che fosse lui e il loro strumento poteva servire per segnalare la sua presenza ma non a decidere se si trattava di una fiera o dell'essere che cercavano. Poteva fiutare il lezzo dell'adrenalina, provocato dalla loro paura.
Rapido, correndo carponi, fuggì in mezzo al grano lungo l'argine.
Qualcuno urlò e una lingua di fuoco incendiò la vegetazione attorno a lui mentre l'odore dell'ozono si spargeva tutto intorno e gli bruciava le nari. La sua mente non poteva bloccare le armi, poiché si era già impadronita della macchina e della radio dell'aereo.
Avvertì appena il dolore della seconda scarica che lo colpì al torace, di striscio, lasciando un solco di carne bruciata. Con un balzo fu sull'uomo più vicino e lo atterrò, lacerandogli la gola con le mani per gettarsi immediatamente di lato mentre l'altro tirava.
Qualcuno gridò; un gemito di terror panico nella notte. Un fucile lanciò una scarica di proiettili di piombo dall'aereo. Saris scattò, cadendo sul tetto della macchina. L'uomo all'interno accendeva una torcia cercando di prenderlo nel suo raggio. Freddamente l'holatan stimò la distanza: troppo lontano.
Si volse allora, lasciandosi scivolare a terra. Un fascio luminoso e un raggio di fuoco da un disintegratore sibilarono colpendo nel punto in cui era stato. In tre balzi coperse la distanza che lo separava dal suo persecutore e si drizzò di colpo, colpendo con tutta la forza di cui era capace. Le vertebre cervicali dell'uomo cedettero con uno scricchiolio sinistro.
Ora l'aereo. Saris ne tentò la porticina, ma era chiusa dall'interno e la serratura era meccanica, quindi tale che lui non poteva comandarla servendosi dei suoi strani poteri. Poteva avvertire il terrore dell'uomo rannicchiato all'interno.
Raccolse uno dei disintegratori e rimase a studiarlo, sorretto dall'idea che l'uso determina la forma. Una mano si serrò sull'impugnatura, un dito premette il pulsante: una lingua di fuoco scaturì dall'arma. Quel regolatore verso la bocca della canna doveva servire per regolare il getto di energia.
Controllò ed ebbe la soddisfazione di vedere che non si era sbagliato.
Volgendosi alla serratura, la fuse con una scarica.
L'uomo nell'interno si era addossato contro la parete più lontana, un fucile stretto in pugno, urlando e aspettando che quell'essere infernale salisse. Saris lo bloccò telepaticamente: via dalla porta... Così. Apri un poco, tanto che possa infilare la mano... Sparò all'interno, e fiutò il lezzo della carne bruciata.
Ora doveva lavorare in fretta; altri aerei potevano trovarsi nei paraggi.
Raccolte tutte le armi, si sedette al posto di guida, ma il sedile era troppo piccolo per lui. Senza scomporsi, si mise a studiare il quadro dei comandi.
Il principio usato per comandare quella macchina non gli era familiare: era qualche cosa di più complesso della macchina di Langley. Nemmeno i segni sul quadro poteva leggere, ma seguendo il flusso giromagnetico con la mente, aiutato dalla logica, poté avere la visione di come andava manovrata.
Il decollo non fu senza scosse, ma ben presto s'impadronì della manovra.
Si trovò alto nel cielo, spinto velocemente nell'oscurità. Uno degli schermi rifletteva una mappa al cui centro era un punto rosso, mobile, che doveva rappresentare il suo aereo e dargli la posizione. Era davvero utile.
Non poteva rimanere a lungo, però, in quella macchina. Avrebbero finito per identificarlo ed abbatterlo. Doveva usarla per procurarsi provviste e poi trovare un posto in cui nascondersi prima dell'alba; dopo, avrebbe portato l'aereo a precipitare sull'oceano, ma per quello avrebbe usato il pilota automatico.
Ma dove doveva andare? Cosa doveva fare?