XV

Domani e domani e domani. Questa è la via in cui il mondo cammina verso la fine.

Erano quieti, cordiali gli uomini all'università. I loro modi erano gravi, raffinati, ma erano poco formali e avevano molta considerazione per l'uomo che proveniva dal passato. Gli ricordavano i giorni lontani in cui era stato assistente all'università e aveva visto un pochino della vita universitaria. Là non vi era la chiacchiera, l'ipocrisia, i tè in cui si faceva tanta maldicenza, ma mancava anche lo spirito di avventura, la novità.

Tutto era possibile prevedere in anticipo, tutto era sicuro, regolato e non rimaneva altro che provvedere ai dettagli.

Tuttavia Langley trovò quegli uomini grigi, vestiti di bruno, compagni piacevoli. C'era in particolare un professore, uomo striminzito, con una gran testa calva, Jant Mardos, col quale era divenuto realmente amico.

Mardos aveva un'erudizione profonda e uno spirito sardonico che invitava all'allegria. Passavano ore a conversare, mentre un registratore riteneva quel che dicevano per ulteriori esami.

Ma la notte era il periodo peggiore per Langley.

– La situazione presente era inevitabile – diceva Mardos. – Se una società non vuol pietrificarsi, deve rinnovarsi come fece la vostra. Ma presto o tardi si raggiunge uno stadio in cui ogni rinnovamento diviene impossibile e allora segue un periodo di stasi.

– Mi sembra che la vostra società sia ancora capace di mutamenti – rispondeva Langley.

– Mutamenti politici, intendo.

– La società commerciale ha vagato nello spazio per centinaia di anni-luce e non ha trovato nulla di quello che lei sogna.

– Certo che no. Un gruppo che intendesse sottrarsi a quella che considera una civiltà pessima, andrebbe certo più lontano di cento anni-luce. E si ha ragione di credere che vi sia qualche cosa che si nasconde oltre i limiti...

– È prematuro.

– Certo. Ma non dimentichiamo che l'essere umano immaturo, o la società, è in procinto di venire alla luce. Ma ritornando alla società commerciale, mi piacerebbe saperne di più sul suo conto. Ho quasi il sospetto...

– Non si hanno molte informazioni. È un'associazione piuttosto restia a farsi conoscere dal pubblico. Pare che avesse origine proprio qui, sulla Terra, dieci secoli or sono, ma la sua storia è oscura.

– Ma non dovrebbe. Non si suppone che il Technon mantenga il ricordo di tutti gli avvenimenti importanti? E la società è importante. Tutti avrebbero potuto prevedere che sarebbe divenuta una grande potenza.

– Continui – rispose Mardos, stringendosi nelle spalle. – Può anche ricorrere alla biblioteca, se ciò la diverte.

Langley si trovò un tavolo libero e chiese una documentazione. Era piccola in modo sorprendente. Per fare un raffronto, ne chiese una riguardante Tau Ceti IV, un piccolo pianeta di nessuna importanza e osservò che era di gran lunga più estesa della precedente.

Rimase diversi minuti a meditare sugli effetti di una cultura statica. Per lui la scarsezza di informazioni sapeva di segreto, ma quei cosiddetti scienziati avvertivano appena la scarsità di libri, di informazioni e così dimenticavano tutto su soggetti importanti delle civiltà precedenti.

Caparbiamente continuò nel compito intrapreso leggendo statistiche economiche, casi in cui la società, per proteggersi, aveva interferito nella politica dell'uno o dell'altro pianeta, discorsi e resoconti di conferenze sugli effetti di una vita passata su una nave spaziale e uno di quei documenti datava di mille novantasette anni addietro riferendo che un certo Hardis Sanj aveva richiesto la gestione di trasporti speciali e gli era stata concessa, quale rappresentante di un gruppo di commercianti interstellari i cui nomi erano uniti alla domanda. Langley lesse il contratto; era un documento lunghissimo e sotto le sue frasi velate concedeva poteri e privilegi che un ministro avrebbe invidiati. Tre secoli dopo il Technon aveva ricevuto informazioni ed aveva riconosciuto la società come una potenza sovrana e indipendente. Altri pianeti l'avevano preceduto e anche gli altri lo seguirono. Da allora si erano susseguiti trattati, e...

Langley continuò a studiare intensamente. Quattro giorni dopo l'inizio delle sue ricerche aveva le prime sorprese:

Prima: il Technon aveva permesso che la società si staccasse dallo stato senza sollevare obiezioni benché la sua politica fosse indirizzata alla riunificazione dell'intera galassia accessibile.

Seconda: la società annoverava fra le sue file molti milioni di esseri umani, inclusi elementi di molte razze non umane. Nessuno dei suoi membri poteva conoscere più di una parte minima dei suoi camerati.

Terza: i membri della società, dai capi più importanti ai naviganti, ignoravano chi fossero i capi supremi della grande associazione cui appartenevano, ma erano stati condizionati all'obbedienza e ad una strana mancanza di curiosità a questo proposito.

Quarta: lo stesso Technon aveva ordinato a Chanthawar di rilasciare Valti senza condizioni o pregiudizi.

Quinta: i dati economici mostravano che a lungo andare, sempre nuovi pianeti finivano per dipendere dalla società per il rifornimento di questa o quella materia prima, di questo o quell'elemento vitale per le loro industrie.

Era più facile, alla fine, mercanteggiare con quei nomadi che andare in giro per la galassia e procurarsi automaticamente quel che occorreva, e la società era del tutto neutrale.

La pretesa neutralità della società era semplicemente ridicola.

Langley si chiese perché mai nessuno doveva sospettare la verità.

Chanthawar... forse. Ma anche Chanthawar era condizionato, per quanto intelligente. Il suo lavoro si riduceva ad eseguire gli ordini impartiti dalla macchina, non ad investigare in profondità. Era ovvio che nessun ministro doveva sapere e quelli che, di tanto in tanto, riuscivano a giungere a una conclusione vicina alla verità, sparivano senza lasciare traccia perché se qualche persona non autorizzata avesse potuto scoprire qualcosa, non sarebbe stato più possibile mantenere il segreto; la notizia sarebbe stata portata sin alle stelle più lontane e l'utilità della società sarebbe finita.

L'utilità per il Technon, s'intende.

Era naturale. La società era stata fondata immediatamente dopo che le colonie avevano conseguito l'indipendenza. Nessuna speranza esisteva di riprenderle sotto il controllo del sistema solare in un prossimo futuro. Ma una potenza che avesse libero accesso ovunque, in grado di inviare rapporti da qualunque parte dell'universo conosciuto verso una destinazione a tutti ignota, una potenza che tutti, inclusi i membri che ad essa appartenevano, ritenevano disinteressata e neutrale, era l'agente perfetto per sorvegliare e dominare gradualmente ogni altro pianeta.

Che macchina doveva essere il Technon. Un monumento scientifico, il raggiungimento del massimo progresso tecnico. I suoi creatori avevano lavorato meglio di quanto avessero creduto; i loro figli erano cresciuti, erano divenuti capaci di pensare al futuro lontano ancora millenni sino a che la macchina era diventata la civiltà. Langley ebbe il desiderio improvviso, irrazionale, di vedere la macchina meravigliosa. Ma non avrebbe mai potuto...

Che fosse, quella cosa di metallo e energia, un vero cervello? No... Valti aveva detto, e le notizie che aveva rintracciate lo confermavano, che la mente umana nelle sue capacità quasi infinite non era mai stata imitata.

Che il Technon ragionasse, pensasse nei limiti delle sue funzioni, non si poteva mettere in dubbio. Era necessario un qualche equivalente di un'immaginazione come la società. Ma era pur sempre un robot, un supercalcolatore; le sue decisioni erano ricavate sempre in base a dati che gli venivano forniti e sarebbero stati errati nella stessa maniera in cui i dati lo erano.

Era come un bambino, un grande bambino privo di ogni allegria, destinato a decidere il destino di una razza che aveva rinunciato ad assumersi le proprie responsabilità. L'idea non era allegra.

Langley accese una sigaretta e si sdraiò sulla poltrona, spingendosi all'indietro. Aveva fatto una scoperta che avrebbe potuto scuotere l'impero dalle fondamenta. Era stato possibile perché proveniva da un'età completamente diversa, con una diversa regola di pensiero e di vita. Aveva l'intelletto irriducibile di coloro che nascono liberi, privi di inibizioni mentali.

Ma che avrebbe potuto farne di quella scoperta? Aveva il desiderio nichilista di chiamare Chanthawar e Valti e rivelare loro tutto quanto, veder il mondo distrutto. Ma no! Chi era mai lui per provocare un simile flagello? Come poteva pretendere di sostituirsi al padreterno segnando il destino di bilioni di esseri umani e con ogni probabilità finendo distrutto egli stesso nel tentativo? Non poteva giudicare; non era Dio. Il suo desiderio era semplicemente il riflesso di una rabbia impotente.

Meglio che tenga la bocca chiusa, rifletté. Se avessero solo il sospetto di quel che ho appreso, non vivrei un minuto di più. Fui importante per poco ed ecco cosa mi è capitato.

Solo nel suo appartamento, quella notte, si guardò a lungo in uno specchio. Il volto era smagrito ed aveva perso assai del suo colorito; il grigio fra i capelli era più esteso. Si sentì vecchio, stanco e rattristato.

Semplicemente, non apparteneva a quel mondo. Marin... Chissà cosa stava facendo? Chissà se era ancora viva? Ma si poteva chiamarla vita quella degli infimi livelli? Non credeva che si sarebbe venduta, prostituita.

Sarebbe prima morta di fame con l'orgoglio che lui le conosceva. Ma nella vecchia città tutto poteva accadere.

Il rimorso lo fece soffrire. Non avrebbe dovuto cacciarla; non avrebbe dovuto addossarle la colpa del proprio fallimento. Lei aveva solo desiderato dividere il suo fardello. Il salario che percepiva attualmente era poca cosa, appena sufficiente per sostentare due persone, ma avrebbero potuto escogitare un rimedio.

Quasi senza avvedersene formò un numero: la centrale di polizia. Il cortese poliziotto schiavo gli disse che la legge non permetteva la libera ricerca di un comune che non era ricercato per nessun crimine. Un servizio particolare avrebbe potuto ottenerlo per... più denaro di quanto ne avesse lui. Lo schiavo era molto dolente.

Prendi il denaro a prestito. Rubalo! Scendi nei livelli inferiori da solo, offri ricompense, tutto, ma trovala! E avrebbe Marin accettato di ritornare?

Langley si accorse di tremare. – Così non va, figliolo – esclamò ad alta voce nella stanza deserta. – Finirai per ammattire, e presto. Siedi, Siedi e pensa, tanto per cambiare.

Ma tutti i suoi pensieri si incanalavano per lo stesso sentiero. Era il derelitto, lo straniero che tenevano in vita per carità e per una specie di blando interesse che ancora destava fra gli intellettuali. Nulla c'era che potesse fare. Non aveva istruzione sufficiente, non aveva esperienza. Se non fosse stato per l'università, anche quello era un anacronismo, sarebbe stato nella città vecchia.

La sua ostinazione gli impediva di pensare al suicidio, ma gli altri pericoli non gli sfuggivano, e fra questi era la pazzia.

Quell'autocommiserazione era il primo passo in quel senso, il primo segno del disintegrarsi della sua personalità. Da quanto tempo era all'università?

Due settimane e già si sentiva stanco.

Ordinò alla finestra di aprirsi. Non c'era balcone, ma respirò profondamente l'aria della notte, calda e umida. Anche a quell'altezza, giungeva sino a lui l'odore della terra e il profumo delle piante. Le stelle remote sembravano ammiccare nel cielo nero.

Qualcosa si mosse là fuori, un'ombra che volava nel cielo buio. Si avvicinava e vide confusamente un uomo in una tuta spaziale nera che volava servendosi di un antigravitatore personale del tipo di quelli usati dalla polizia. Chi stavano inseguendo?

L'armatura nera si avvicinò. Langley balzò indietro mentre quella entrava dalla finestra e atterrava con un tonfo che faceva vibrare il pavimento.

– Ma che diavolo?... – Langley si avvicinò. Una mano guantata saliva a slacciare l'elmetto e lo ricacciava indietro sulla nuca. Un naso enorme sporse da una selva di peli rossi.

– Valti!

– In carne ed ossa – ribatté il commerciante che si volse poi alla finestra, polarizzandone l'influsso e richiudendola. – Come sta, capitano? Mi sembra piuttosto giù, dall'aspetto.

– Lo... sono. – Lo spaziale sentiva aumentare il battito cardiaco mentre i nervi si irrigidivano. – Cosa vuole?

– Fare quattro chiacchiere, capitano. Una piccola discussione privata.

Fortunatamente, abbiamo qualche possibilità di liberarci dalle restrizioni delle leggi solari nella nostra torre. Gli uomini di Chanthawar sono divenuti maledettamente curiosi. È arduo eluderne la vigilanza. Pensa che potremo parlare senza essere disturbati?

– Sì. Penso di sì, ma...

– Non mi offra nulla, grazie. Devo andarmene al più presto possibile.

Tutto riprende nuovamente. – Valti ebbe un risolino chioccio mentre si soffregava le mani, soddisfatto. – Lo sapevo che la società ha i suoi tentacoli in alto loco, ma non avrei mai creduto che la nostra influenza giungesse a tanto.

– C... C... C. – Con uno sforzo Langley trattenne la domanda che stava per formulare e si calmò. – Venga al sodo – esclamò.

– Mi dica la verità, capitano: le piace qui? Ha rinunciato all'idea di rifarsi una vita altrove?

– Sicché lei mi offre tutto ciò ancora una volta?

– Ah... I miei capi hanno deciso che Saris Hronna e l'annientatore non devono essere messi da parte senza lottare. Mi hanno ordinato di liberarlo.

Lo creda o no, gli ordini che ho ricevuto erano accompagnati da autentiche credenziali. È ovvio che abbiamo qualche agente in gamba nelle più alte sfere del governo solare, forse fra i serventi del Technon stesso. Saranno stati in grado di fornire alla macchina dati falsi, tali da farla concludere che la cosa migliore da fare era quella di sottrarre Saris a Chanthawar.

Langley andò sino al robot di servizio e prese una bevanda molto forte.

Solo dopo averla bevuta ebbe il coraggio di parlare. – E lei ha bisogno di me – disse.

– Sì, capitano. L'operazione sarà pericolosa in ogni caso. Se Chanthawar ci scoprisse, s'incaricherebbe di fermarci sino a quando non avesse interrogato personalmente il Technon e questo, alla luce di nuovi dati, ordinerebbe un'indagine e scoprirebbe la verità. Dobbiamo agire in fretta.

Lei ci occorre perché è amico di Saris; di lei ha fiducia ed inoltre conosce il linguaggio che anche Saris parla. Forse a quest'ora avrà imparato la nostra lingua e sarà anche meglio disposto a collaborare.

Il Technon. Langley sentiva la testa girargli come una trottola. Quale altro schema fantastico aveva ideato la macchina questa volta?

– Suppongo che andremo prima di tutto su 61 Cigni, come lei aveva ideato – mormorò stancamente.

– No. – Il volto rubicondo s'irrigidì, nella sua voce qualche cosa tremava. – Io non comprendo più nulla. Ho ricevuto l'ordine di consegnarlo ai centauriani.