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Suono e silenzio
Mentre Endura si inabissava nell’Atlantico, quando il suo cuore duraturo che aveva battuto per duecento anni si arrese e le luci nella camera all’interno di una camera si spensero…
… il Thunderhead gridò.
Partirono tutti gli allarmi del mondo. All’inizio, furono pochi, poi altri si unirono alla cacofonia. Allarmi antincendio, sirene di allerta tornado, campanelli, fischietti e milioni e milioni di clacson, tutti emisero all’unisono un urlo straziante, ma non era ancora abbastanza. Tutti gli altoparlanti di tutti gli apparecchi elettronici del mondo si svegliarono, liberando nell’aria un grido stridulo, e ovunque nel mondo la gente cadde in ginocchio coprendosi le orecchie per proteggersi dal frastuono assordante. Nulla poteva alleviare la collera e la disperazione del Thunderhead.
Per dieci minuti, le urla laceranti del Thunderhead riempirono il mondo. Riecheggiarono nel Grand Canyon, risuonarono sulla banchisa dell’Antartide, spaccando i ghiacciai. Scesero ululando i pendii dell’Everest e sparpagliarono le greggi sulla pianura del Serengeti. Non ci fu un solo essere sulla Terra che non lo udì.
E quando gli alti lamenti cessarono e tornò il silenzio, tutti capirono che era cambiato qualcosa.
«Che cos’è stato?» chiedeva la gente. «Che cosa può aver provocato un tale disastro?»
Nessuno era sicuro di saperlo. Nessuno, eccetto i tonisti. Loro sapevano esattamente che cos’era. Lo sapevano, perché lo avevano aspettato per tutta la vita.
Era la Grande Risonanza.
Nel monastero di una piccola città della MidMerica, Greyson Tolliver si tolse la mani dalle orecchie. Delle urla salivano dal giardino sotto la sua finestra. Grida. Erano grida di dolore? Si precipitò fuori dalla sua cella spartana e trovò i tonisti. Non erano in preda a gemiti di agonia, ma gridavano di gioia.
«Hai sentito?» gli chiesero. «Non è stato meraviglioso? Non era esattamente come ci era stato detto?»
Greyson, ancora un po’ scosso dalla risonanza che gli vibrava nella testa, uscì in strada. Anche lì la gente era scossa, ma in modo diverso. Era nel panico, e non solo per il rumore che aveva perforato le loro vite, ma per qualcos’altro. Tutti fissavano i tablet e i telefoni con aria confusa.
«Non è possibile!» sentì esclamare qualcuno. «Ci dev’essere un errore!»
«Ma il Thunderhead non commette errori» ribatté un altro.
Greyson si avvicinò. «Che succede? Che è stato?»
L’uomo gli mostrò il telefono. Sullo schermo lampeggiava un’ignobile lettera L rossa.
«Mi dice che sono un losco!»
«Anche a me» s’indignò un altro. Greyson si guardò intorno e vide che tutti erano ugualmente stupefatti.
Ma non solo lì. In ogni città, in ogni paese, in ogni casa del mondo, la scena si ripeteva. Perché il Thunderhead aveva, nella sua infinita saggezza, deciso che tutta l’umanità era complice delle sue azioni, grandi e piccole, e che tutta l’umanità doveva subirne le conseguenze.
Ora tutti, in ogni parte del mondo, erano loschi.
Una popolazione in preda al panico cominciò a chiedere lumi al Thunderhead.
«Che devo fare?»
«Per favore, dimmi che devo fare!»
«Come posso rimediare?»
«Parlami! Per favore, parlami!»
Ma il Thunderhead taceva. Era tenuto a tacere. Il Thunderhead non parlava con i loschi.
Greyson Tolliver lasciò la folla confusa e disorientata e tornò all’interno della sicurezza relativa del monastero, dove i tonisti continuavano a gioire, nonostante ora fossero tutti loschi. Che importava? La risonanza si era rivolta alle loro anime. Greyson, invece, non gioiva, e nemmeno si disperava. Non capiva ancora come sentirsi per quella strana piega che avevano preso gli eventi. Né sapeva cosa significasse per lui.
Non aveva più il suo tablet. Come gli aveva detto il curato Mendoza, la loro setta non rifiutava la tecnologia, ma sceglieva di non farne uso.
In fondo a un lungo corridoio, c’era la stanza dei computer. La porta era sempre chiusa, ma mai a chiave. Greyson la aprì e si sedette davanti a un computer.
La telecamera acquisì la sua immagine e il suo profilo apparve automaticamente sullo schermo.
Diceva: “Greyson Tolliver”.
Non Slayd Bridger, ma Greyson Tolliver! E, a differenza degli altri, a differenza di ogni singola anima vivente sul pianeta Terra, era l’unico a non essere identificato come losco. Aveva scontato la pena. Aveva perso lo stato di losco. Lui, soltanto lui.
«Th… Th… Thunderhead?» chiamò, con voce tremula e incerta.
E una voce gli rispose con lo stesso tono amorevole di affetto e calore che ricordava. La voce della forza benevola che lo aveva cresciuto e aiutato a diventare tutto quello che era.
«Ciao, Greyson» lo salutò il Thunderhead. «Dobbiamo parlare.»