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La Sala dei Fondatori
La Grande Biblioteca di Alessandria, considerata una delle meraviglie dell’antichità, fu il glorioso coronamento del regno di Tolomeo. Era il centro intellettuale del mondo, quando la Terra era ancora il centro dell’universo e tutto le girava intorno. Purtroppo, l’Impero romano considerava se stesso, nella sua interpretazione del mondo, il centro dell’universo; per questo, ridusse in cenere la biblioteca. Fu una delle più grandi perdite in termini di letteratura e saggezza mai subìte.
La sua ricostruzione fu un’idea del Thunderhead. Il gigantesco cantiere impiegò migliaia di operai, offrendo loro cinquant’anni di lavoro e stimolo. L’opera venne eretta nel luogo originario e, una volta completata, era una replica quasi perfetta dell’antica biblioteca. Doveva essere un monito per ciò che era accaduto in passato e una promessa che la conoscenza non sarebbe più andata persa, ora che era sotto la protezione del Thunderhead.
Poi, se ne impossessò la Compagnia per archiviarvi la raccolta dei diari delle falci, i volumi in pergamena rilegati in pelle che ogni falce doveva aggiornare quotidianamente.
La Compagnia era libera di farne ciò che voleva, e il Thunderhead non poté impedirlo. La biblioteca era di nuovo in piedi, si doveva accontentare di questo. Quanto al suo fine ultimo, avrebbe deciso l’umanità.
Come la maggior parte degli abitanti della Terra, Munira Atrushi aveva un lavoro perfetto, nel senso che era perfettamente normale. E, come quasi tutti nel mondo, non lo amava né lo detestava. Il sentimento che le suscitava era una via di mezzo.
Lavorava part-time alla Grande Biblioteca di Alessandria, per due notti alla settimana, da mezzanotte alle sei del mattino. Passava la maggior parte delle sue giornate a seguire dei corsi di informatica al campus del Cairo dell’università israeba. Naturalmente, dato che il Thunderhead aveva digitalizzato e catalogato tutte le informazioni del mondo, una laurea in quella materia, come in molte altre, non serviva poi molto. Sarebbe stato un pezzo di carta incorniciato da appendere al muro. Un invito a fare amicizia con altri fortunati titolari di altrettanti inutili riconoscimenti.
Sperava però che quel pezzo di carta le desse un’autorevolezza tale da indurre la biblioteca ad assumerla come curatrice a tempo pieno. A differenza delle informazioni del mondo, i diari delle falci non erano catalogati dal Thunderhead. Dovevano sempre passare per le maldestre mani umane.
Per effettuare delle ricerche sui tre milioni e mezzo di diari conservati fin dall’origine della Compagnia, bisognava recarsi in biblioteca, a qualsiasi ora, perché era sempre aperta a tutto il mondo, ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni dell’anno. Eppure, Munira aveva scoperto che poche persone usufruivano del libero accesso. Durante il giorno, c’erano solo pochi accademici che svolgevano delle ricerche. C’erano molti turisti, ma erano attirati soltanto dalla storia e dall’architettura dell’edificio. Non avevano interesse per i volumi, se non come sfondo per le loro foto.
In pochi andavano in biblioteca di notte. Di solito, Munira era sola con due membri della Suprema Guardia, la cui presenza era più decorativa che utile. Restavano in silenzio all’ingresso, come statue viventi. Durante il giorno, facevano anche loro da sfondo per le foto dei turisti.
Al turno di notte, era fortunata se entravano una o due persone che spesso sapevano già cosa cercare, per cui non si avvicinavano mai al banco delle informazioni. Così, Munira poteva dedicare il suo tempo a studiare o a leggere gli scritti delle falci, che trovava affascinanti. Penetrare nel cuore e nell’animo degli uomini e delle donne incaricati di mettere fine alla vita, conoscere ciò che provavano mentre spigolavano era come una droga, e leggerne le testimonianze era diventata la sua ossessione. Ogni anno, alla raccolta si aggiungevano parecchie migliaia di volumi, per cui non era mai a corto di materiale con cui dilettarsi, anche se i diari di alcune falci erano più interessanti di altri.
Aveva già letto tutto sui dubbi della Suprema Roncola Mondiale Copernico prima che si autospigolasse; sul profondo pentimento di Madame Curie per gli impulsivi atti di gioventù; e, naturalmente, sulle spudorate menzogne di Maestro Sherman. C’era molto per tenerla occupata nelle pagine manoscritte dei diari.
Una sera di inizio dicembre, Munira era assorta nelle prodezze erotiche della fu Madame Rand, che pareva aver dedicato gran parte del diario ai particolari delle sue varie conquiste amorose. Munira aveva appena girato una pagina quando alzò gli occhi e vide che si stava avvicinando un uomo; i suoi passi non producevano alcun rumore sul pavimento di marmo dell’atrio d’ingresso. Era vestito in toni grigi e spenti, ma dalla postura intuì che si trattava di una falce. Le falci non camminavano come la gente comune. Si muovevano con premeditata padronanza, come se pretendessero che l’aria stessa si aprisse al loro passaggio. Ma se era una falce, perché non indossava la sua veste?
«Buonasera» la salutò la falce. Il tono profondo della voce rivelò un accento mericano. I capelli erano grigi e anche la barba, ben curata, si stava ingrigendo, ma lo sguardo era giovane, vigile.
«In realtà, è mattino, non sera. Le due e un quarto, per la precisione.» Munira conosceva quel viso, ma non sapeva dove l’aveva visto. D’un tratto ebbe un flash. Una veste bianca immacolata. No, non bianca… avorio. Non conosceva tutte le falci, tantomeno tutte le falci mericane, ma conosceva quelle di una certa fama internazionale. Alla fine, si ricordò. «Benvenuto nella Grande Biblioteca di Alessandria» rispose. «Posso aiutarla?» Evitò di chiamarlo “eccellenza”, come era abitudine nel rivolgersi a una falce, perché era chiaro che voleva rimanere in incognito.
«Sto cercando i primi scritti.»
«Di quale falce?»
«Di tutte.»
«I primi scritti di tutte le falci?»
L’uomo sospirò, un po’ infastidito per non essere stato capito. Sì, era una falce, senza dubbio. Solo una falce poteva essere al tempo stesso esasperata e paziente. «Tutti i primi scritti di tutte le prime falci» spiegò. «Come Prometeo, Saffo, Lennon…»
«So chi sono, grazie» replicò lei, irritata dalla sua aria di sufficienza. Munira, di solito, non era così antipatica, ma era stata interrotta nel corso di una lettura particolarmente interessante. Tra l’altro, i corsi diurni le lasciavano poco tempo per dormire, per cui era stanca. Si sforzò di sorridere e si impose di essere più disponibile con quell’uomo misterioso, perché, dopotutto, se era una falce, avrebbe potuto decidere di spigolarla se l’avesse trovata troppo scontrosa.
«Tutti i primi diari sono nella Sala dei Fondatori» gli spiegò. «Devo aprirle la porta. Mi segua, per favore.» Mise il cartello TORNO SUBITO e guidò l’uomo nei più profondi recessi della biblioteca.
I passi di Munira echeggiavano nel corridoio di granito. Ogni suono si amplificava nel silenzio della notte. Un pipistrello che sbatteva le ali su un cornicione poteva evocare un drago che prendeva il volo… eppure, i piedi dell’uomo si muovevano in silenzio. Il suo passo furtivo la metteva a disagio. Come anche le lampade della biblioteca, che si accendevano al loro avvicinarsi e si spegnevano alle loro spalle, lampeggiando come torce. Era un sistema ingegnoso, ma le ombre si allungavano e si ritiravano come animate da una volontà propria, ed era inquietante.
«Lo sa che gli scritti famosi dei fondatori sono tutti disponibili sul server pubblico della Compagnia, no?» chiese Munira all’uomo. «Ci sono centinaia di letture selezionate.»
«Non voglio vedere le letture selezionate. Sono interessato a quelle che non sono state “selezionate”.»
Munira lo guardò ancora una volta, e alla fine capì chi era: la consapevolezza la colpì con una tale forza che per poco non perse l’equilibrio. Fu una breve incertezza, e si riprese subito, ma lui la notò. Dopotutto, era una falce, e le falci notavano tutto.
«C’è qualcosa che non va?» le chiese.
«Affatto. È il tremolio delle luci. Non riesco a vedere bene le pietre del pavimento» gli spiegò. Era vero, anche se non era quello il motivo per cui aveva vacillato. Ma, dato che c’era una parte di verità in quello che aveva detto, sperava che non si accorgesse della bugia.
Da quando era alla biblioteca, i colleghi le avevano affibbiato un nomignolo. Alle spalle, la chiamavano “becchina”. Un po’ per la personalità funerea, ma anche perché una delle sue mansioni consisteva nel chiudere le raccolte delle falci che si erano autospigolate o che erano morte in modi infausti, cosa sempre più frequente nelle regioni mericane.
Un anno prima aveva catalogato la raccolta completa delle opere di quella falce, dal giorno della sua ordinazione alla morte. I suoi diari non erano più custoditi con quelli dei suoi pari ancora in vita. Ora si trovavano nell’ala nord, con gli scritti di tutte le altre falci midmericane che avevano abbandonato la Terra. Eppure, Maestro Michael Faraday era lì, proprio accanto a lei.
Aveva letto alcuni diari di Maestro Faraday. I suoi pensieri e le sue riflessioni l’avevano sempre colpita più di quelli delle altre falci. Era un uomo estremamente sensibile. La notizia della sua autospigolatura l’aveva rattristata, ma non sorpresa. Una coscienza pesante come la sua doveva essere un fardello difficile da portare.
Sebbene Munira si fosse già trovata in presenza di molte falci, non si era mai sentita così emozionata come in quel momento. Non poteva darlo a vedere, però. Non doveva fargli capire che lo aveva riconosciuto. Non prima di aver avuto il tempo di assimilare la cosa e di essersi fatta un’idea del come e perché fosse lì.
«Ti chiami Munira» disse, più un’affermazione che una domanda.
All’inizio, lei pensò che avesse letto il cartellino al banco informazioni, però qualcosa le suggeriva che lui conoscesse il suo nome da prima del loro incontro di quella sera. «Il tuo nome significa “luminosa”.»
«So cosa significa il mio nome» commentò Munira.
«Dunque, sei tu? Un astro luminoso tra stelle più pallide?»
«Sono solo una modesta impiegata della biblioteca.»
Percorsero il lungo corridoio centrale e raggiunsero il giardino interno. Dall’altro lato si trovavano le pesanti porte della Sala dei Fondatori. In alto, la luna tingeva di cupe sfumature color malva le piante ornamentali e le sculture che li circondavano, trasformando le loro ombre scure in spaventosi pozzi senza fondo su cui Munira evitava di camminare.
«Parlami di te» disse Faraday, in quel tono dolce che le falci usavano per trasformare una domanda cortese in un ordine al quale era impossibile sottrarsi.
In quel momento, Munira si rese conto non solo di aver indovinato chi era, ma anche che lui sapeva di essere stato riconosciuto. Correva forse il rischio di essere spigolata? Avrebbe dovuto eliminarla per proteggere il suo anonimato? Dai suoi scritti, non le sembrava il tipo di falce capace di una cosa simile, ma le falci erano indecifrabili. Sentì un freddo improvviso, nonostante il calore soffocante della notte israeba.
«Scommetto che saprà già tutto quello che c’è da sapere su di me, Maestro Faraday.»
Ecco, l’aveva detto. Fine della commedia.
La falce sorrise. «Mi scuso per non essermi presentato prima, ma la mia presenza qui è… poco ortodossa.»
«Quindi, mi trovo in presenza di un fantasma? Sparirà nel muro, per tornare ogni notte a ossessionarmi con la stessa richiesta?»
«Forse. Vedremo.»
Arrivarono alla Sala dei Fondatori. Munira aprì le porte chiuse a chiave ed entrarono in un grande ambiente che le era sempre sembrato una cripta. Tanti turisti le chiedevano se le prime falci non fossero state sepolte lì. Non era così, ma malgrado tutto lei avvertiva spesso la loro presenza.
I pesanti scaffali di calcare ospitavano centinaia di volumi. Ognuno di essi era racchiuso in una cassa in plexiglas climatizzata, stravaganza riservata ai libri più antichi della biblioteca.
Maestro Faraday iniziò a cercare. Munira pensò che volesse essere lasciato solo, ma invece le disse: «Resta qui, se vuoi. Questo posto è troppo grande e austero perché la solitudine possa essere di conforto».
Lei richiuse le porte dietro di sé, assicurandosi con una breve occhiata che nessuno li avesse visti, poi lo aiutò ad aprire la complicata cassa in plastica trasparente che conteneva il volume che aveva preso dallo scaffale. Infine, si sedette di fronte a lui al tavolo in pietra al centro della sala. Dal momento che non le era stata data alcuna spiegazione, si decise a fargli la domanda che le bruciava sulle labbra. «Com’è che è venuto qui, eccellenza?»
«In aereo e in traghetto» le rispose con un sorriso. «Dimmi, Munira, perché hai scelto di lavorare per la Compagnia dopo essere stata respinta alla prova di apprendistato?»
Munira si irrigidì. Era la punizione per avergli fatto una domanda a cui non voleva rispondere?
«Non sono stata respinta» replicò. «C’era solo un posto disponibile per una falce in Israebia ed eravamo cinque candidati. Ne è stato scelto uno e gli altri quattro non sono passati. Essere nel gruppo di quelli non scelti non è lo stesso che essere respinti.»
«Perdonami, non volevo offenderti o mancarti di rispetto. Sono solo incuriosito dal fatto che, nonostante la delusione, non hai serbato rancore nei confronti della Compagnia.»
«Incuriosito ma non sorpreso?»
Maestro Faraday sorrise. «Poche cose mi sorprendono.»
Munira alzò le spalle, come se la fine del suo apprendistato tre anni prima non le importasse. «Avevo stima per la Compagnia allora, e ne ho tuttora.»
«Capisco» disse Faraday, voltando con cura una pagina del vecchio diario. «E fino a che punto sei fedele al sistema che ti ha scartato?»
Munira strinse i denti, non sapendo quale risposta si aspettasse il suo interlocutore né, del resto, quale sarebbe stata la risposta che gli avrebbe dato.
«Ho un lavoro. Lo svolgo. Ne sono fiera.»
«E ne hai ben donde.» La guardò, frugandole nella mente e nell’animo. «Posso condividere con te la mia opinione su Munira Atrushi?» le chiese.
«Ho forse altra scelta?»
«Hai sempre una scelta.» Una mezza verità, a dirla tutta.
«Bene. Parli pure.»
Faraday chiuse con delicatezza il vecchio diario e si concentrò su di lei. «Detesti la Compagnia almeno quanto la ami. Per questo motivo, vorresti esserle indispensabile. Speri, con il tempo, di diventare la più grande autorità mondiale in relazione ai diari conservati in questa biblioteca. Questo ti darà un potere immenso su tutta la storia della Compagnia. Quel potere sarà la tua vittoria silenziosa, perché la Compagnia avrà più bisogno di te che non tu di lei.»
All’improvviso, Munira sentì il terreno cedere sotto i suoi piedi, come se le sabbie del deserto che avevano inghiottito le città dei faraoni si stessero muovendo, pronte a seppellire anche lei. Com’era riuscito a penetrare così in profondità nel suo animo? Com’era riuscito a tradurre in parole sentimenti che non aveva mai confessato nemmeno a se stessa? L’aveva decifrata in pieno e lei si sentiva al tempo stesso liberata e intrappolata.
«Noto che ho ragione» fu tutto quello che le disse. Le rivolse un sorriso caloroso e insieme malizioso.
«Che cosa vuole, Maestro Faraday?»
E finalmente glielo disse. «Voglio venire qui ogni sera finché non riuscirò a trovare quello che cerco in questi vecchi diari. E voglio che la mia identità resti segreta, che tu mi avverta se qualcuno si avvicina mentre svolgo le mie ricerche. Voglio che tu mi prometta di non rivelare mai alla Compagnia che sono ancora vivo. Puoi fare questo per me, Munira?»
«Mi dirà che cosa sta cercando?»
«Non posso. Se lo facessi, potresti sentirti in obbligo di riferirlo. E non voglio metterti in questa posizione.»
«Eppure, mi sta mettendo nella posizione poco invidiabile di mantenere il riserbo sulla sua presenza.»
«Non c’è nulla di poco invidiabile. Credo, infatti, che tu te ne senta profondamente onorata…»
Aveva ragione, di nuovo. «Non mi piace l’idea che lei sia convinto di conoscermi meglio di quanto mi conosca io stessa.»
«Ma è così. È così, perché conoscere le persone fa parte del mio lavoro di falce.»
«Non di tutte le falci» lo corresse Munira. «Ce ne sono alcune che sparano, mutilano, avvelenano senza il rispetto che lei ha sempre mostrato per i soggetti che spigola. Non sanno fare altro che porre fine alla vita, senza preoccuparsi delle vite di coloro che eliminano.»
Per un momento, una scintilla di rabbia incrinò l’apparente autocontrollo di Maestro Faraday; non era rabbia verso di lei, però.
«Sì, le falci del nuovo ordine ostentano un evidente disprezzo per la solennità della loro missione. Questo è, in parte, il motivo per cui sono qui.»
Poi non disse più nulla. Aspettò che lei gli rispondesse. Il silenzio si protrasse, ma senza imbarazzo. Al contrario, era ricco di significato. Un momento storico che aveva bisogno di tempo per esprimere tutto il suo senso profondo.
Munira non aveva dimenticato che c’erano altri quattro impiegati per il turno di notte, altri studenti che avevano ottenuto quel lavoro part-time… il che significava che, per quella volta, lei era stata scelta tra cinque candidati.
«Manterrò il suo segreto» promise. Lasciò Maestro Faraday alle sue ricerche, con la sensazione che la sua vita avesse finalmente uno scopo.