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Sapere è po…
Mentre Madame Anastasia e Madame Curie passavano la giornata a visitare Endura, a tremila chilometri a nord-est, Munira e Maestro Faraday attraversavano una strada crivellata di buche e invasa dalle erbacce. Si dirigevano verso quella che un tempo era stata la più grande e la più fornita biblioteca del mondo. L’edificio stava crollando a poco a poco, e i volontari che se ne occupavano non riuscivano a tenere il passo con le riparazioni. I trentotto milioni di volumi erano stato digitalizzati nel Thunderhead oltre duecento anni prima, quando il Cloud e la sua coscienza stavano ancora crescendo. Quando era divenuto il Thunderhead, tutto ciò che conteneva la Biblioteca del Congresso era stato già integrato nella sua memoria. Ma poiché la digitalizzazione era stata effettuata da esseri umani, potevano essersi verificati degli errori… e anche qualche sabotaggio. Era su questo che contavano Munira e Maestro Faraday.
Come la Biblioteca di Alessandria, aveva un grande atrio in cui Parvin Marchenoir, l’attuale e probabilmente l’ultimo bibliotecario del Congresso, li accolse.
Faraday lasciò parlare Munira e si fece da parte, non voleva essere riconosciuto. Non che lì fosse molto famoso, ma forse Marchenoir era più mondano del tipico estmericano.
«Buongiorno» lo salutò Munira. «La ringraziamo per il tempo che ci dedica, signor Marchenoir. Sono Munira Atrushi e questo è il professor Herring, dell’Università di Israebia.»
«Benvenuti» rispose l’uomo, chiudendo a doppia mandata la grande porta di ingresso alle loro spalle. «Perdonate lo stato dell’edificio. Tra le perdite dal tetto e le scorribande dei loschi, non siamo più la biblioteca di un tempo. Vi hanno importunato per strada, per caso? Intendo dire i loschi.»
«Si sono mantenuti a distanza» rispose Munira.
«Bene. La città attrae i loschi, sapete. Vengono, perché pensano che qui non ci sia la legge. Be’, si sbagliano. La legge c’è, come in qualsiasi altro luogo, è solo che il Thunderhead non dedica molto tempo a farla rispettare. Non abbiamo nemmeno un ufficio dell’Interfaccia dell’Autorità, da non crederci… Oh, ma abbiamo tanti centri di rianimazione, perché la gente muore temporaneamente di continuo…»
Munira cercò di intervenire, ma Marchenoir la travolse con la sua parlantina.
«… Perché appena un mese fa, mi sono preso in testa una pietra caduta dall’antico castello della Smithsonian Institution, sono morto e ho perso quasi venti ore di ricordi, perché il Thunderhead non mi faceva la copia di sicurezza della memoria dal giorno prima… è negligente anche in questo! Me ne sono lamentato, mi dice che mi ascolta e che ho tutta la sua comprensione, ma cambia qualcosa, forse? No!»
Munira avrebbe voluto domandargli perché ci restava se non gli piaceva, ma sapeva già la risposta. Ci restava perché la più grande gioia della sua vita era lamentarsi. Non era poi così diverso dai loschi per strada. Le venne quasi da ridere perché, anche se lasciava la città sull’orlo della rovina, il Thunderhead garantiva comunque le condizioni di cui alcune persone avevano bisogno.
«E non fatemi parlare della qualità del cibo in questa città!» proseguì Marchenoir.
«Stiamo cercando delle mappe» s’intromise Munira, riuscendo a distrarlo dalla sua invettiva.
«Mappe? Il Thunderhead ne è pieno. Siete venuti fin qui per cercare una mappa?»
Alla fine, Faraday parlò, avendo capito che Marchenoir era così preso dalle sue vicissitudini che non avrebbe notato una falce morta nemmeno se fosse venuta a spigolarlo. «Riteniamo che ci siamo alcune… incongruenze tecniche. Cerchiamo i volumi originali e intendiamo redigere un articolo accademico al proposito.»
«Bene, se ci sono incongruenze, non è colpa nostra» dichiarò Marchenoir, mettendosi sulla difensiva. «Eventuali errori di digitalizzazione si saranno verificati oltre duecento anni fa, e temo che i volumi originali non siano più conservati nella biblioteca.»
«Un momento, ci sta dicendo che l’unico posto al mondo che dovrebbe conservare le copie cartacee dell’era mortale non lo fa?» chiese Munira.
Marchenoir indicò le pareti. «Si guardi intorno. Vede dei libri, per caso? Le copie cartacee di valore storico sono state trasferite e suddivise in diversi posti più sicuri. E le altre rappresentavano solo un rischio di incendio.»
Guardandosi intorno e lanciando occhiate anche nei corridoi adiacenti, Munira si accorse che in realtà gli scaffali erano tutti vuoti. «Se non conservate i libri originali, allora a che serve un posto come questo?» domandò.
L’uomo gonfiò il petto e assunse un’espressione indignata. «Conserviamo l’idea.»
Munira avrebbe continuato a dirgli come la pensava, ma Maestro Faraday la fermò. «Stiamo cercando dei libri che sono stati messi… fuori posto.»
Il bibliotecario fu preso alla sprovvista. «Non so di cosa stia parlando.»
«Io credo di sì» insistette Maestro Faraday.
L’altro lo guardò meglio. «Chi ha detto di essere?»
«Redmond Herring, dottore di ricerca, professore associato di cartografia archeologica presso l’Università di Israebia.»
«Ha un’aria familiare…»
«Avrà forse visto uno dei miei interventi sulle controversie territoriali in Medio Oriente dell’era mortale.»
«Sì, sì, dev’essere così.» Marchenoir gettò un’occhiata vagamente paranoica nell’atrio prima di riprendere a parlare. «Se esistono libri fuori posto, e non sto dicendo che sia così, nessuno deve sapere che si trovano qui. I collezionisti privati ci si fionderebbero o verrebbero bruciati dai loschi.»
«Comprendiamo alla perfezione la necessità di una discrezione assoluta» affermò Faraday con un tono talmente rassicurante che Marchenoir parve soddisfatto.
«Bene, allora. Seguitemi.» Li condusse attraverso un arco con le parole SAPERE È PO incise nel granito. La pietra su cui erano scolpite le lettere TERE doveva essersi ridotta in polvere da molto tempo.
Scesero una scala e, in fondo a un corridoio, ne scesero un’altra ancora più antica che li condusse davanti a una porta arrugginita. Marchenoir afferrò una delle due torce appoggiate su una mensola e spinse la porta, che fece resistenza alla forza del suo peso. Alla fine, cedette e si aprì su ciò che a prima vista pareva una specie di catacomba, ma senza ossa umane appese alle pareti. Era un tunnel buio di cemento che svaniva nell’oscurità più totale.
«Il tunnel Cannon» spiegò Marchenoir. «In questa parte della città, si diramano tunnel in ogni direzione. Suppongo che venissero usati dai legislatori e dai loro assistenti per spostarsi senza essere visti dalle orde sanguinarie dell’era mortale.»
Munira prese la seconda torcia e fece luce intorno. Le pareti del tunnel erano ricoperte da pile di libri.
«È solo una piccola parte della collezione originale, naturalmente» proseguì Marchenoir. «Non hanno più uno scopo pratico, dato che sono disponibili al pubblico in versione digitale. Ma c’è qualcosa di… terreno… quando si tiene un libro tra le mani che è stato toccato da umani mortali. Immagino che sia per questo che li conserviamo.» Consegnò la torcia a Maestro Faraday. «Spero che troviate ciò che state cercando.» Poi aggiunse: «Attenzione ai ratti» e li lasciò soli, tirandosi dietro la pesante porta.
Ben presto, scoprirono che i volumi erano impilati senza un ordine particolare. Era come se fosse una collezione di tutti i libri del mondo che non avevano un posto.
«Se non mi sbaglio» disse Maestro Faraday, «i padri fondatori hanno inserito un verme nel Cloud mentre si stava evolvendo nel Thunderhead. Un verme che avrebbe sistematicamente cancellato dalla memoria qualsiasi riferimento all’angolo morto del Pacifico, comprese le mappe.»
«Un tarlo» scherzò Munira.
«Sì» confermò Faraday, «ma non di quelli che mangiano la carta.»
Un centinaio di metri più avanti, arrivarono a una porta su cui era affisso un cartello che diceva: ARCHITETTO DEL CAMPIDOGLIO - CARPENTERIA. Aprirono la porta e scoprirono un enorme spazio pieno di scrivanie e antiche attrezzature per la lavorazione del legno, con centinaia di libri impilati.
Maestro Faraday sospirò. «Pare che ci resteremo un bel po’ di tempo, qui dentro.»