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Le molte morti di Rowan Damisch
Rowan Damisch?… Rowan Damisch!
Dove sono? Chi sei?
Sono il Thunderhead, Rowan.
Mi stai parlando come hai fatto con Citra?
Sì.
Devo essere ancora morto.
Sei in una specie di limbo.
Farai qualcosa? Impedirai a Goddard di fare ciò che sta facendo alla Compagnia?
Non posso. Infrangerei la legge, e non ne sono capace.
Allora, dimmi cosa posso fare.
Anche questo sarebbe una violazione.
Allora, che senso ha questa conversazione? Lasciami in pace e vai a occuparti del mondo.
Volevo dirti di non perdere la speranza. Ho calcolato che esiste una probabilità che tu abbia un profondo effetto sul mondo, come Citra Terranova. Come Maestro Lucifero o con la tua precedente identità.
Davvero? Con quale percentuale?
39 per cento.
E il restante 61?
I miei algoritmi indicano che nel prossimo futuro hai una probabilità del 61 per cento di morire di morte permanente, senza imprimere alcun effetto degno di nota.
Non mi sento confortato.
Dovresti, invece. Una probabilità del 39 per cento di cambiare il mondo è esponenzialmente più di quanto la maggior parte della gente possa sperare di avere.
Ogni volta che moriva, Rowan faceva una tacca sul muro. Non contava i giorni, ma le morti. Ogni volta che combatteva con Goddard vinceva, e ogni volta Goddard, furioso per la sconfitta, lo uccideva sommariamente. La cosa stava diventando noiosa. «Come pensi di procedere oggi, eccellenza?» chiese, sottolineando con tono ironico la parola “eccellenza”. «E se ti venisse in mente una qualche idea intelligente?»
Erano già a quattordici. Lama, proiettile, mani nude: Goddard aveva usato tutti i metodi per ucciderlo. Tutti meno il veleno, che disprezzava. Gli aveva anche ridotto i naniti analgesici, affinché soffrisse il più possibile. Eppure, ogni volta che perdeva un incontro, Goddard andava così in collera che non riusciva più a controllarsi e lo uccideva all’istante, abbreviandone così le sofferenze. Rowan si preparava al dolore, contava fino a dieci, ma moriva sempre prima di finire.
Il Thunderhead gli aveva parlato prima che venisse rianimato per la quattordicesima volta. Il centro di rianimazione non era poi così tanto sconnesso dalla rete come pensavano. Rowan sapeva di non sognare, perché la voce era nitida e intensa, non come nei sogni. Era stato scortese con il Thunderhead. Se n’era dispiaciuto, ma non poteva farci nulla, adesso. Avrebbe capito. Il Thunderhead era comprensione ed empatia.
Ciò che aveva appreso da quella breve conversazione con il governatore della Terra non era il fatto che potesse cambiare il mondo, ma la consapevolezza di non averlo ancora fatto. Eliminare tutte quelle falci corrotte non era servito a nulla. Maestro Faraday aveva ragione. Non si può cambiare la marea sputando nel mare. Non si può diserbare un campo infestato di erbacce. Forse, la ricerca di Faraday del piano di sicurezza dei fondatori avrebbe portato il cambiamento che l’uccisione delle falci malvagie non era riuscita a innescare.
Quando aprì gli occhi dopo la quattordicesima rianimazione, Madame Rand era accanto a lui. Le altre volte, non c’era nessuno. Alla fine, arrivava un’infermiera, gli controllava i parametri vitali, fingeva cortesia, poi chiamava le guardie perché andassero a recuperarlo.
«Perché sei qui? È il mio compleanno?» Pensò che forse poteva esserlo. Aveva passato così tanti giorni tra una rianimazione e l’altra, che non aveva più cognizione del tempo.
«Come puoi continuare a farlo? Ogni volta ti rimetti in piedi, così pronto ad affrontare un altro incontro che mi fai schifo.» Si alzò. «Dovresti essere distrutto! Non sopporto che tu non lo sia!»
«È un piacere per me disgustarti.»
«Fallo vincere!» insistette. «Che ti costa?»
«E poi?» chiese Rowan, mettendosi seduto. «Se vince, non ha motivo di tenermi in vita.»
Rand si calmò. «Gli servi vivo. Per lasciarti alla mercé delle Grandi Falci, quando l’inchiesta sarà conclusa.»
Rand aveva mantenuto la sua promessa dopo la sua prima rianimazione di informarlo su come era andato il conclave. Del voto per l’elezione della Suprema Roncola, e di come Citra avesse sabotato l’assemblea.
«Lasciarmi alla mercé delle Grandi Falci… L’unica pietà sarà di spigolarmi in fretta.»
«Sì» confermò Rand. «E nel frattempo, in questi ultimi giorni che ti restano da vivere, faresti meglio a farlo vincere.»
“Ultimi giorni” pensò Rowan. La conta delle morti sul muro della sua stanza non doveva essere molto precisa se mancavano appena pochi giorni all’inchiesta. Era prevista per il primo aprile. Quella data era già prossima?
«Mi avresti chiesto di far vincere Tyger?» le domandò e, per un attimo, credette di cogliere qualcosa nello sguardo di Madame Rand. Il guizzo di un rimorso, forse? Una scintilla di coscienza? Non sapeva se Ayn ne fosse capace, ma valeva la pena scavare un po’.
«Certo che no. Tyger non ti tagliava la gola né ti strappava il cuore quando perdeva.»
«Be’, almeno Goddard non mi ha fatto saltare le cervella.»
«Perché vuole che tu ricordi. Vuole che ti ricordi di tutto quello che ti è stato inflitto.»
In un certo senso, Rowan trovava la cosa divertente. Goddard non poteva infierire su di lui come avrebbe voluto, perché la costruzione mnemonica di Rowan, conservata nel cervello primordiale del Thunderhead, non era stata salvata da quando era sconnesso dalla rete. E quindi, se Goddard gli avesse danneggiato il cervello, l’ultima cosa che avrebbe ricordato una volta rianimato sarebbe stata la sua cattura da parte di Maestro Brahms. Tutte le sofferenze che gli aveva inflitto Goddard sarebbero andate perdute. E le sofferenze perdute non erano più sofferenze.
Guardando Rand, si chiese che tipo di sofferenze avrebbe potuto infliggerle Goddard. Di sicuro, non le stesse di Rowan, anche se percepiva una certa tristezza. Un dolore. Un desiderio. Tyger era morto da tempo ormai, ma era ancora molto presente.
«All’inizio, avevo accusato Goddard per ciò che era accaduto a Tyger» disse, con calma. «Ma non è stato lui a sceglierlo, sei stata tu.»
«Ci hai traditi. Mi hai spezzato la schiena. Mi sono dovuta trascinare con le braccia fuori dalla cappella in fiamme.»
«Vendetta» sussurrò Rowan, tentando di domare la rabbia che provava. «La capisco. Ma ti manca, non è vero? Tyger ti manca.» Non era una domanda, era un’osservazione.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Sì, lo sai bene.» Rowan rimase qualche secondo in silenzio, perché le sue parole avessero effetto. «Hai almeno concesso l’immunità alla famiglia?»
«Non serviva. I suoi genitori non si occupavano più di lui da quando aveva compiuto diciott’anni. Quando l’ho trovato, viveva da solo.»
«Li hai almeno informati della sua morte?»
«Perché avrei dovuto?» replicò Rand, sulla difensiva. «E perché avrei dovuto preoccuparmene?»
Rowan sapeva di averla messa alle strette. Avrebbe voluto gioirne, ma si trattenne. Come in un combattimento di Bokator, non si gioiva quando si bloccava un avversario. Gli si chiedeva solo di arrendersi.
«Dev’essere orribile guardare Goddard, ora» riprese. «E rendersi conto che non è più la persona che ami.»
Lo sguardo di Rand divenne di ghiaccio. «Le guardie ti verranno a prendere» gli disse, mentre se ne andava. «E se cerchi ancora di manipolarmi, sarò io che ti farò saltare le cervella.»
Rowan morì altre dieci volte prima che cessassero gli incontri. Non fece mai vincere Goddard. Eppure, Goddard ci era andato vicino più di una volta, ma la sua connessione tra mente e corpo non era ancora perfetta e Rowan aveva saputo approfittarne.
«Soffrirai le pene dell’inferno» gli assicurò Goddard dopo che fu rianimato per l’ultima volta. «Verrai spigolato al cospetto delle Grandi Falci, e sparirai dalla scena. Non lascerai traccia di te nella storia, sarai semplicemente cancellato. Sarà come se non fossi mai nato.»
«Capisco che per te sarebbe il destino peggiore» replicò Rowan. «Ma non muoio dalla voglia di mettere la mia esistenza al centro dell’universo. Sparire mi va bene.»
Goddard restò a guardarlo con disprezzo che, per un istante, si trasformò in rimpianto. «Saresti potuto diventare una delle più grandi falci. Saresti potuto restare al mio fianco, dando un nuovo senso alla nostra presenza nel mondo.» Scosse la testa. «È triste vedere tante potenzialità andare sprecate in questo modo.»
Rowan era sicuro di aver sprecato le sue potenzialità in molti modi, ma quel che era fatto era fatto. Aveva compiuto le sue scelte e ne aveva sopportato le conseguenze. Il Thunderhead gli aveva dato il 39 per cento di probabilità di cambiare il mondo; forse, le sue scelte non erano state del tutto sbagliate. Lo avrebbero portato a Endura e, se Goddard avesse ottenuto ciò che voleva, la sua vita sarebbe finita.
Ma sapeva che a Endura ci sarebbe stata anche Citra.
Se ormai era tutto finito, allora si sarebbe aggrappato con tutte le forze a quella sua ultima speranza: di rivederla ancora una volta, prima di chiudere gli occhi per sempre.