25
Spettro di verità
Rowan si svegliò in un letto che non conosceva, in una stanza che non aveva mai visto. Si rese subito conto di non essere più in MidMerica. Cercò di muoversi, ma aveva le braccia legate ai montanti del letto. Non solo legate, ma bloccate con cinghie di cuoio. Avvertiva un vago dolore alla schiena e, sebbene non fosse più imbavagliato, si sentiva la bocca strana.
«Ehi, ben svegliato! Benvenuto a San Antonio!»
Si voltò e, con sua grande sorpresa, vide Tyger Salazar seduto accanto al letto.
«Tyger?»
«Ricordo che mi eri sempre accanto quando mi risvegliavo al centro di rianimazione dopo i lanci nel vuoto. Ho pensato di fare lo stesso per te.»
«Sono morto? Mi trovo in un centro di rianimazione?» Lo chiese anche se sapeva già che non era così.
«Naaah, non sei morto. Sei solo svenuto.»
Rowan aveva la mente offuscata, ma non aveva dimenticato le circostanze in cui aveva perso conoscenza nell’abitazione di Maestro Brahms. Si passò la lingua sui denti e percepì qualcosa di diverso. Erano irregolari e molto più corti del normale. Lisci, ma più corti.
Tyger se ne accorse. «Hai perso dei denti, ma ricresceranno. È probabile che tra un giorno o due saranno di nuovo come prima. Questo mi ricorda…» Si allungò verso il comodino e gli porse un bicchiere di latte. «Per il calcio. Altrimenti, i tuoi naniti curativi te lo prenderanno dalle ossa.» Poi, si ricordò che Rowan era legato ai montanti del letto. «Ah, giusto. Che stupido.» Gli piegò la cannuccia verso la bocca e, nonostante avesse mille domande da fare all’amico, Rowan bevve, perché aveva più che altro sete.
«Dovevi proprio reagire quando sono venuti a prenderti?» chiese Tyger. «Se ti fossi arreso, non ti avrebbero fatto nulla e non ti avrebbero nemmeno legato.»
«Di che diavolo stai parlando, Tyger?»
«Sei qui perché avevo bisogno di un compagno per allenarmi!» esclamò, con allegria. «Ho voluto te.»
Rowan non era sicuro di aver sentito bene. «Per allenarti?»
«I tipi che sono venuti a prenderti mi hanno detto che eri uno tosto. Tu li hai aggrediti, e loro hanno dovuto difendersi… puoi fargliene una colpa?»
Rowan scosse la testa, incredulo. Cosa stava accadendo?
Poi, la porta si aprì, e quel momento, già strano, divenne addirittura surreale, perché davanti ai suoi occhi apparve una morta.
«Ciao, Rowan» lo salutò Madame Rand. «Che bello vederti.»
Tyger corrugò la fronte. «Ehi, ma vi conoscete?» Rifletté un istante. «Ah, già, eravate tutti e due a quella festa, quando salvai la Suprema Roncola che stava annegando!»
Rowan sentì il latte risalirgli in gola, tossì e per poco non si strozzò. Dovette sforzarsi di non rigurgitarlo. Com’era possibile? L’aveva eliminata! Li aveva eliminati tutti: Goddard, Chomsky, Rand. Erano stati inceneriti. Ma lei era lì, una fenice verde brillante, che rinasceva dalle ceneri.
Rowan strattonò le corde che lo legavano, nella speranza che cedessero, ben sapendo che non sarebbe accaduto.
«Be’, beccati questo» disse Tyger, tutto allegro. «Sono un apprendista, come lo sei stato tu. L’unica differenza è che io diventerò una falce!»
«Ed è un allievo modello» aggiunse Madame Rand con un sorriso.
Rowan cercò di controllare il panico e si concentrò su Tyger, tentando di allontanare Madame Rand dalla sua mente: non poteva affrontare due problemi alla volta.
«Tyger» disse, guardando l’amico negli occhi, «qualsiasi cosa tu creda stia succedendo qui, ti sbagli. Ti sbagli di grosso! Devi andartene. Devi scappare!»
Tyger scoppiò a ridere. «Ehi, amico! Datti una calmata. Non ci sono complotti dappertutto!»
«È così, invece!» insistette Rowan. «È un complotto! Fuggi prima che sia troppo tardi!» Ma, più parlava, più si rendeva conto di sembrare pazzo.
«Tyger, perché non vai a preparare un panino al tuo amico? Sono sicura che muore di fame.»
«Giusto!» esclamò Tyger. Poi strizzò l’occhio a Rowan. «Non ci metterò l’insalata.»
Non appena Tyger fu uscito, Madame Rand chiuse la porta. A chiave.
«Avevo ustioni su più della metà del corpo e la colonna vertebrale spezzata. Hai creduto che fossi morta, ma ti ci vorrà molto di più per distruggermi.»
Non ebbe bisogno di spiegare: Rowan intuì cosa fosse successo. Si era trascinata fuori dalle fiamme, si era gettata in una publicar che l’aveva portata in Texas, una regione in cui aveva potuto ricevere assistenza medica senza che le venissero poste domande. Poi, era rimasta nascosta, dandosi per dispersa. E aveva aspettato. Aveva aspettato lui.
«Cosa stai facendo con Tyger?»
Madame Rand si mosse verso di lui con un sorriso sornione. «Non hai sentito cosa ha detto? Ne farò una falce.»
«Tu menti.»
«No.» Ancora quel sorriso subdolo. «Be’, forse solo un po’.»
«È una cosa o l’altra. O dici la verità o menti.»
«È questo il tuo problema, Rowan. Non riesci a cogliere le sfumature.»
Di colpo, ebbe l’illuminazione. «Maestro Brahms! Lavorava per te!»
«Lo hai capito solo adesso, vero?» Si sedette sul letto. «Sapevamo che se avesse spigolato tuo padre alla fine lo avresti cercato. È una falce disgustosa, ma è fedele a Goddard. Ha pianto autentiche lacrime di gioia quando ha scoperto che ero viva. E dopo che tu l’hai umiliato in quel modo, è stato più che disposto a fare da esca per catturarti.»
«Tyger crede che portarmi qui sia stata una sua idea.»
Madame Rand arricciò il naso quasi con civetteria. «Quella è stata la parte più facile. Gli ho fatto credere che aveva bisogno di un compagno per allenarsi, circa della sua stessa età e taglia. “Perché non Rowan Damisch?” mi ha detto. “Oh, che idea fantastica” gli ho subito risposto. Non è certo il più sveglio del mondo, ma è davvero sincero. Ispira quasi tenerezza.»
«Se gli fai del male, giuro che…»
«Giuri cosa? Considerando la tua situazione attuale, puoi soltanto giurare…» Estrasse una daga dalla veste. L’impugnatura era di marmo verde e la lama era di un nero lucente. «Sarebbe molto divertente strapparti il cuore, ora» disse. Gli sfiorò con la punta della lama l’arco del piede, senza farlo sanguinare, ma imprimendo la giusta pressione in modo che gli si arricciassero le dita. «Però per il momento si dovrà aspettare… perché abbiamo così tante cose in serbo per te!»
Per ore, Rowan non poté fare altro che rimuginare sulla sua difficile situazione, solo, costretto in un letto che doveva essere stato comodo, ma che non era molto diverso da un letto di chiodi, legato com’era.
Così si trovava in Texas. Che cosa sapeva di quella regione? Non molto che potesse essergli d’aiuto. Non aveva imparato nulla a riguardo durante il suo addestramento, e le regioni autonome non erano materia di studio a scuola, a meno che non si scegliessero. Tutto ciò che sapeva Rowan era quello che si sentiva in giro.
Le case in Texas non avevano telecamere del Thunderhead.
Le auto in Texas non si guidavano da sole, a meno che non fosse indispensabile.
E l’unica legge in Texas era quella della coscienza di ognuno.
Una volta aveva conosciuto un ragazzo che ci aveva vissuto. Portava grossi stivali, un grande cappello e una cintura con una fibbia che avrebbe potuto fermare un colpo di mortaio.
«In Texas non è così noioso» gli aveva raccontato. «Possiamo tenere animali esotici e cani di razze pericolose proibiti in altri posti. E armi! Pistole, coltelli e cose di solito riservate solo alle falci. Naturalmente, la gente non dovrebbe farne uso, ma a volte capita.» Questo spiegava perché la regione del Texas aveva la percentuale più alta del mondo di colpi partiti accidentalmente e di attacchi da parte di orsi domestici.
«E in Texas non abbiamo loschi» si era vantato il ragazzo. «Se qualcuno sgarra, viene cacciato via con un calcio nel culo.»
Non c’erano nemmeno punizioni se si uccideva qualcuno, eccetto il rischio di incorrere nella vendetta della vittima dopo che era stata rianimata, il che era un bel deterrente.
Per Rowan, la regione del Texas aveva abbracciato le proprie radici e aveva scelto di riprodurre il vecchio West nello stesso modo in cui i tonisti rifacevano il verso alle religioni dell’era mortale. In breve, in Texas c’era il meglio dei due mondi, o il peggio, a seconda dei punti di vista. Le opportunità per i coraggiosi e gli ardimentosi erano molte, ma c’erano anche molte occasioni per rovinarsi la vita per sempre.
Come in ogni regione autonoma, nessuno era obbligato a restare. «Se non ti piace, vattene» era lo slogan non ufficiale di tutte le regioni autonome. Molta gente se n’era andata, ma ne era anche arrivata altrettanta, formando una popolazione a cui piaceva che le cose restassero così.
L’unica persona che non poteva fare quello che voleva pareva essere Rowan.
Più tardi, quel giorno, andarono a cercarlo due guardie. Non appartenevano alla Suprema Guardia, erano mercenari. Quando lo slegarono, Rowan pensò di neutralizzarli. Avrebbe potuto riuscirci in pochi secondi, lasciandoli a terra privi di sensi, ma decise di non farlo. Della sua prigionia conosceva solo i confini della sua stanza. Era meglio studiare l’ambiente prima di tentare la fuga.
«Dove mi portate?» chiese a uno di loro.
«Dove Madame Rand ci ha detto di portarti» fu la sola risposta che ottenne.
Rowan prese mentalmente nota di tutto ciò che vedeva: la lampada in ceramica accanto al letto avrebbe potuto trasformarsi in un attimo in un’arma. Le finestre non si aprivano e avevano probabilmente vetri infrangibili. Durante il tempo in cui era rimasto legato al letto, aveva visto solo il cielo… ma ora, mentre lo portavano via dalla stanza, si accorse che si trovavano in un grattacielo. Era un appartamento e, mentre percorrevano un lungo corridoio che si apriva su un grande salone, capì che si trattava di un attico.
Superato il salone, una veranda all’aperto era stata trasformata in una palestra di Bokator. Ad attenderlo c’erano Madame Rand e Tyger, che stava saltellando come un pugile professionista in attesa dell’inizio del match.
«Spero che tu sia pronto a prenderle» gli annunciò Tyger. «Mi alleno da quando sono arrivato qui!»
Rowan si voltò verso Madame Rand. «Sul serio? Vuoi davvero che combattiamo?»
«Tyger ti ha spiegato perché sei qui» disse lei, con un ammiccamento irritante.
«Ti metterò KO!» esclamò Tyger.
Rowan avrebbe riso, se la situazione non fosse stata così assurda.
Rand si sedette in una grande poltrona in pelle rossa che stonava con il colore della sua veste. «Che lo spettacolo cominci!»
Rowan e Tyger si misero a girare in cerchio tenendosi a distanza l’uno dall’altro, come era consuetudine al principio di un combattimento di Bokator. Tyger diede inizio alle tradizionali provocazioni fisiche, ma Rowan non rispose. Approfittò del momento per guardarsi intorno. In fondo all’attico, notò due porte che dovevano essere un bagno e un armadio a muro. C’erano una cucina a vista e una sala da pranzo rialzata con grandi vetrate dal pavimento al soffitto. Delle doppie porte indicavano chiaramente l’ingresso principale. Dall’altra parte, dovevano esserci gli ascensori e una scala di sicurezza. Provò a visualizzare una via di fuga, ma si rese conto che in quel modo avrebbe lasciato Tyger tra le grinfie di quell’arpia di Madame Rand. Non poteva farlo. In qualche modo, doveva convincere l’amico a seguirlo. Era sicuro che ci sarebbe riuscito, aveva solo bisogno di tempo. Ma non sapeva quanto gliene restava.
Tyger fece la prima mossa, scattando verso Rowan nello stile classico del Bokator della Vedova Nera. Rowan lo schivò, ma non fu abbastanza rapido, non solo perché aveva la testa da un’altra parte, ma anche perché aveva i muscoli contratti e i riflessi lenti, dopo essere stato legato al letto per chissà quanto. Dovette dimenarsi per non farsi bloccare a terra.
«Te l’avevo detto che ero in forma, amico!»
Rowan lanciò un’occhiata a Rand, cercando di decifrarne l’espressione. Non aveva la solita aria distaccata, li osservava attentamente, studiando ogni mossa del combattimento.
Rowan colpì Tyger allo sterno con il palmo della mano, per impedirgli di respirare, e anche per riacquistare l’equilibro. Poi, gli agganciò la gamba per gettarlo a terra. Tyger anticipò la mossa e contrattaccò con un calcio. Lo colpì, ma non abbastanza forte da farlo cadere.
Si separarono e ripresero il balletto circolare. Tyger si era irrobustito. Come Rowan, aveva più massa muscolare. Rand l’aveva allenato bene, ma il Bokator della Vedova Nera era più di un’abilità fisica. Implicava una componente mentale e, in questo, Rowan aveva un vantaggio.
Rowan cominciò a menare e parare colpi in modo molto prevedibile, utilizzando tutte le mosse standard alle quali immaginava che Tyger avrebbe potuto rispondere. Si lasciò atterrare, ma assumendo una posizione che gli consentisse di rialzarsi in fretta prima che l’amico lo inchiodasse sul pavimento. A mano a mano che lottavano Tyger acquistava sicurezza. Era già di suo così pieno di sé che non ci voleva molto a gonfiare il suo ego come un pallone sul punto di scoppiare. Al momento opportuno, Rowan attaccò l’amico con una serie di mosse del tutto imprevedibili, il contrario di ciò che avrebbe fatto Tyger, l’antitesi di ciò che si sarebbe aspettato. E poi, Rowan aveva delle sue tecniche personali oltre alle note 341 manovre del Bokator. Il suo attacco fu tanto sorprendente proprio perché Tyger ne ignorava l’esistenza.
Mise a terra l’avversario con violenza, bloccandolo con una presa che non gli lasciò alcuna possibilità di liberarsi. L’amico si rifiutò comunque di arrendersi. Lo fece Rand per lui, e Tyger gemette di dispiacere, in modo molto teatrale.
«Ha imbrogliato!» insistette Tyger.
Rand si alzò. «No, non è vero… lui è solo migliore di te.»
«Ma…»
«Tyger, sta’ zitto» gli intimò, e lui obbedì. Le obbedì come se fosse il suo animale domestico. E nemmeno un pericoloso animale esotico, ma un cagnolino che si fa sgridare. «Dovrai affinare ancora le tue capacità.»
«Bene» ammise Tyger prima di andarsene imbronciato, lanciando a Rowan un’ultima provocazione: «La prossima volta, ti frego io!».
Dopo che l’amico si fu allontanato, Rowan controllò uno strappo sulla maglietta e un livido che stava già guarendo. Si passò la lingua sui denti, perché aveva preso un colpo di striscio sulla bocca, ma niente danni. I denti anteriori erano quasi tutti ricresciuti.
«Bella dimostrazione» dichiarò Rand, tenendosi a qualche metro di distanza da Rowan.
«Potrei battermi con te» la sfidò lui.
«Ti romperei il collo in pochi secondi, con la stessa pietà che hai mostrato verso la tua amichetta l’anno scorso.»
Stava cercando di provocarlo, ma non sarebbe cascato nella sua trappola. «Non esserne così sicura» replicò.
«Oh, sì, ne sono sicura, ma non mi interessa dimostrarlo.»
Rowan pensò che avesse ragione. Sapeva quanto Rand fosse abile e, dopotutto, anche lei aveva preso parte al suo addestramento. Conosceva tutte le sue tecniche segrete, e ne aveva anche molte di personali.
«Tyger non mi batterà mai, lo sai, no? Potrà imparare le mosse, ma non ha l’attitudine mentale. Lo metterò al tappeto ogni volta.»
Rand non provò a negarlo. «Allora, fallo. Fallo ogni volta.»
«Che senso ha?»
Ma Madame Rand non rispose. Lo fece riportare in camera dalle guardie. Per fortuna, non lo legarono al letto, ma chiusero la porta dando tre mandate alla serratura.
Dopo circa un’ora, Tyger andò a trovarlo. Rowan pensò che ce l’avesse con lui, ma l’amico non era solito tenere il muso.
«La prossima volta, ti farò del male» lo avvertì, prima di scoppiare a ridere. «Tipo che i tuoi naniti impazziranno.»
«Ottimo» disse Rowan. «Alla fine, una prospettiva entusiasmante.»
Tyger gli si avvicinò e sussurrò: «Allora, ho visto il mio anello. Madame Rand me lo ha mostrato dopo che sei arrivato».
Poi, Rowan capì. «Quello è il mio anello.»
«Che stai dicendo? Tu non l’hai mai avuto un anello.»
Rowan si morse il labbro per impedirsi di parlare. Avrebbe voluto dire a Tyger la verità su Maestro Lucifero e su quello che aveva fatto nell’ultimo anno, ma a cosa sarebbe servito? Di certo, non a convincere Tyger, e Madame Rand avrebbe potuto ritorcere la storia contro di lui in chissà quanti modi.
«Volevo dire… l’anello che sarebbe stato mio se fossi diventato falce» dichiarò infine.
«Eh, lo so» rispose Tyger, comprensivo, «dev’essere stato terribile sopportare tutta quella trafila per poi prendersi un calcio nel culo… ma ti prometto che, non appena avrò l’anello, ti darò l’immunità!»
Non ricordava che Tyger fosse così ingenuo. Forse perché un tempo lo erano stati entrambi, nei giorni in cui le falci era figure mitiche e le spigolature erano storie che riguardavano persone sconosciute.
«Tyger, conosco Madame Rand. Ti sta usando…»
Le sue parole lo fecero sorridere. «Non ancora» disse Tyger, alzando le sopracciglia, «ma finirà così.»
Non era proprio quello che intendeva dire Rowan ma, prima che potesse replicare, l’amico aggiunse: «Ehi, penso di essermi innamorato. No… so di essermi innamorato. Insomma, combattere con lei è come fare sesso. Anzi, è meglio del sesso!».
Rowan chiuse gli occhi e scosse la testa, cercando di allontanare l’immagine dalla mente, ma era troppo tardi: aveva già messo radici e non se ne sarebbe andata mai più.
«Devi tornare in te! Non finirà come pensi!»
«Dammi un po’ di fiducia» replicò Tyger, offeso. «Va bene, ha qualche anno più di me. Quando sarò falce, non sarà più un problema.»
«Ti ha parlato delle regole? Dei comandamenti delle falci?»
«Ci sono delle regole?» chiese lui, sorpreso.
Rowan cercò di organizzare un discorso coerente, ma si rese conto che era impossibile. Cosa poteva dirgli? Che la falce smeraldo era un mostro sociopatico? Che aveva cercato di eliminarla, ma che nonostante tutto era sopravvissuta? Che si sarebbe mangiata Tyger e ne avrebbe sputato i resti senza un briciolo di rimorso? Tyger si sarebbe rifiutato di credergli. Il fatto era che l’amico si stava lanciando ancora nel vuoto, questa volta non fisicamente, ma mentalmente. Si era avvicinato troppo al bordo e la gravità lo aveva fregato.
«Promettimi che terrai sempre gli occhi aperti… e che, se dovessi notare qualcosa che non va, fuggirai lontano da lei.»
Tyger indietreggiò di un passo e gli rivolse uno sguardo accusatore. «Che ti è successo, amico? Insomma, sei sempre stato un po’ un guastafeste, ma ora pare proprio che tu voglia rovinarmi la cosa più bella che mi sia mai capitata!»
«Sta’ attento, solo questo.»
«Non solo la prossima volta ti metterò al tappeto, ma ti farò rimangiare queste tue parole.» Sorrise. «E ti piacerà il sapore… perché sono davvero bravo.»