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Roma, Nomentana
All’altezza di Porta Pia, proprio di fronte al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, c’era una manifestazione dei lavoratori dell’Atac. Comello abbassò il parasole, afferrò la paletta, tirò giù il finestrino e la sventolò suonando il clacson per farsi largo.
«Perché fa così?» Alexandra teneva le gambe accavallate e lo sguardo fisso fuori dall’abitacolo da quando erano partiti.
«Così come?» rispose Comello.
«Si isola. Sembra che voglia evitarci. È per colpa mia?»
«Il commissario? Direi di no. È sempre stato uno che preferisce stare per conto proprio. Anche quando si lavora in squadra su un caso, lui ha sempre questi momenti in cui deve rimanere solo. Immagino sia una specie di metodo per concentrarsi», commentò Walter.
«Sono vere le voci che girano al corso dell’UACV?»
L’ispettore Comello scalò la marcia e rispose con un accento di curiosità nella voce: «Già, a proposito... cosa c’entri tu con quel corso? Non sei una studiosa o un’insegnante di roba classica, arte, mitologia?»
«Sto frequentando il corso per laurearmi e provare a fare questo lavoro, sì, insomma, andare avanti come consulente. Sono due mestieri, due passioni che secondo me si somigliano. E il dottor Gugliotti mi ha selezionata per questo, per... sì, per darvi una mano, insomma.»
Comello annuì con decisione valutando che, forse, il motivo per cui il questore l’aveva scelta non fosse esclusivamente di carattere professionale.
«E io che credevo venissi da una famiglia di cervelloni», provò a scherzare Walter. «Invece sei una che si vuole sporcare le mani.»
«In realtà ho deciso di studiare criminologia per dare un taglio netto al mio passato. Per ripartire, in un certo senso, e per trovare un po’ di pace dopo qualche... Qualche problema con la mia famiglia.»
Comello finse di aver capito e tornò sulla strada maestra. Quella che gli sembrava meno rischiosa: «E cosa si dice di Mancini al tuo corso, allora?»
Alexandra si voltò a fissare il lato destro del viso di Walter, la barba bionda lunga un dito, gli occhi chiari e schietti che rincorrevano il flusso del traffico. Poi inspirò, come se stesse prendendo le distanze da un pensiero doloroso: «Che non sta bene e non è proprio... a posto. Ma che è tra i migliori. O che lo era».
La Giulietta si arrestò al semaforo rosso e Walter si girò verso Alexandra che ancora lo stava osservando. Quello sguardo ocra era la cosa più incredibile che avesse mai visto. I suoi occhi erano due piccole calamite d’ambra, e lei doveva saperlo bene, a giudicare dal monile dello stesso colore che portava al collo.
«Era il più grande, sì.»
«Poi cos’è successo?»
«Ha smesso di credere.»
«Era molto religioso?»
Walter sorrise e scosse il capo. «No. Ha smesso di credere in se stesso e in quello che faceva. Si è lasciato andare. Si è messo in pausa dalla vita, ecco. C’è stato un periodo, mesi fa, che non stava bene. Dopo la morte di sua moglie, Marisa. Era una donna incredibile. Davvero.»
Alexandra lo guardava stupita, la bocca socchiusa, come se quella rivelazione in qualche modo la riguardasse.
«A un certo punto abbiamo temuto per lui: aveva preso a farneticare di teorie sulla sua filosofia della balistica. Poi indossava sempre i guanti della moglie. Sempre.»
Walter fissava un punto oltre il cruscotto e non si era accorto che il semaforo s’era fatto verde. Ripartì mentre Alexandra abbassava leggermente la testa.
«Come è morta?» domandò.
«Di un brutto male», disse tutto d’un fiato lui, come fosse una parola. «E quando è successo, lui non c’era, era via per lavoro. Ne è uscito distrutto dal senso di colpa. Ma ti assicuro che ora sta molto meglio. Direi, anzi, che sta tornando quello di prima.» Sorrise di nuovo con la luce benevola negli occhi e Alexandra colse il cuore del legame che univa quell’uomo al suo superiore.
Sulla Nomentana, quattro chilometri più avanti, il commissario Enrico Mancini inspirava l’aria melmosa nell’alloggio delle pompe di deflusso dell’Aniene. Qualche metro sotto la superfice erbosa del parco, le tubature erano bagnate dalla luce che veniva dalla botola spalancata. Appena era sceso là sotto aveva capito che quello era stato l’antro di Scilla, la sua prigione, prima che lo Scultore la appendesse come una tela alla cornice del Ponte Nomentano. E quando aveva afferrato la scala di ferro il gelo gli aveva preso le mani, risalendo fino ai gomiti in un lampo. Quella sensazione si era mescolata all’odore di muffa, fango e qualcos’altro, scatenando un malessere che si era trasformato in un fastidioso ticchettio alle tempie.
Sulla sinistra, un intrico di condutture e serpentine con rubinetti e termostati rugginosi partiva da terra e scompariva in alto, dentro il muro. Sulla destra, un ammasso di pelo bianco senza vita faceva la guardia a due pezzi di carne. Il corpo lanoso di Lola giaceva accanto a ciò che restava della sua padrona. Gli avanzi del sacrificio erano esposti: le arterie, le terminazioni nervose, le teste dei femori e i tendini biancheggiavano tra le carni rosate del sottile quadricipite della donna.
Dall’esterno giunsero le voci degli uomini della Scientifica che stavano chiudendo l’area, ma lì sotto Mancini continuava ad avvicinarsi alle gambe maciullate. Sollevò il corpicino del cane con la punta delle dita coperte dai guanti di lattice. Lo ripose di lato e osservò gli arti della donna spiccati dal corpo. Le lacerazioni sembravano prodotte da una lama piccola e irregolare, come quelle che Rocchi aveva riscontrato sulla Sirena.
Uno dei due agenti che avevano raggiunto Mancini si lasciò scappare un’imprecazione di raccapriccio, poi prese a scattare. Il flash illuminò l’ambiente come se vi fosse caduto un fulmine. Allora Mancini si accorse di un oggetto sulla destra che rifrangeva i flash. Si abbassò per vedere meglio. Per terra, nell’angolo, nascosto da una ragnatela di condutture, c’era un rettangolo rosso. Sembrava un volantino pubblicitario. Lo prese con la punta delle dita da un angolo e lo separò dall’abbraccio del pantano.
Era il volantino di un centro commerciale della zona, nemmeno troppo lontano da casa sua, pensò. Erano quattro pagine piene di réclame dei negozi: una breve descrizione delle attività commerciali e dei loro proprietari con le offerte del mese di febbraio. Lo stava per passare ai ragazzi della Scientifica perché lo imbustassero come reperto quando si fermò e tornò alla seconda pagina. In alto c’era una vistosa scritta dorata: COSE BELLE e, sotto, L’ANTIQUARIATO DI SCILLA GRIMALDI.
La tempesta di flash terminò con un ultimo clic e, nello stesso istante, qualcosa scattò anche nella testa del commissario. Forse, la prima vera intuizione da quando era cominciata quella storia. Un indizio decisivo? Sentiva che quel minuscolo tassello si era andato a posizionare da qualche parte nel mosaico, per ora invisibile, che il suo cervello stava ricostruendo e che da un momento all’altro sarebbe riemerso dalle nebbie che ancora lo avvolgevano.
Sì, ma quando?, si chiese sconsolato.