Capitolo 24
La notte del 15 aprile, giorno in cui si sarebbe svolta la Maratona, non dormii, come ormai mi capitava spesso. Non riuscii a chiudere occhio. Mi giravo e rigiravo nel letto pensando a quello che sarebbe accaduto l’indomani alla corsa. Non avevo la forza per lottare ancora e così aspettai.
Una volta sorto il sole decisi di andare allo Stadio Olimpico. Lo vidi riempirsi di gente. La partenza da Maratona era già avvenuta e il pubblico aspettava solo l’arrivo dei corridori. Erano tutti agitati, per lo più i greci. Pochissimi gli stranieri presenti.
Erano in attesa di sapere chi sarebbe stato il vincitore della gara simbolo di quelle Olimpiadi. Erano partiti in sedici: dodici greci, un ungherese, un australiano, uno statunitense, un francese. Il bosniaco non vi prese parte, non si era più ripreso dalla prova di qualche giorno prima.
All’improvviso, nello stadio entrò un atleta, ma non si riusciva a distinguerne i lineamenti e nemmeno l’abbigliamento. Tra il pubblico calò il silenzio. Quell’uomo correva con un’andatura che sembrava una semplice passeggiata. Man mano che si avvicinava riuscimmo tutti a distinguerne i contorni. Non era il favorito, Belloca. Non si sapeva chi potesse essere. Uno strano brusio cominciò a salire dalle gradinate più vicine al corridore.
Gli spettatori si guardavano con aria interrogativa. Qualcuno si alzò in piedi per vedere meglio. Presto lo fecero tutti. L’uomo indossava dei grossi pantaloni, lunghi fino alle ginocchia, aveva capelli corti, baffi lunghi, e una camicia bianca sotto un gilè nero.
Qualcuno dalle prime file lo riconobbe. Il nome diventava sempre più insistente. E lui correva, correva, con il viso segnato dalla stanchezza. Era Spyridon Louis, un pastore greco. Seppi poi che era stato un militare: un ufficiale aveva notato le sue doti nella corsa e gli aveva proposto di gareggiare nella Maratona. Lui non sapeva nemmeno cosa fosse. Lo fece per diletto, per la patria.
Appena si comprese che un greco stava per vincere la Maratona, lo stadio esplose in un nuovo e potente boato. La voce dalle gradinate cominciava a essere distinguibile: tutti incitavano il corridore. I principi e il Re si alzarono in piedi. Il greco continuava a correre, non sorrideva, non guardava nessuno, pensava solo ad arrivare al traguardo. Soffriva. Forse aveva anche dei crampi.
Alle spalle dell’atleta non vi era ancora nessuno. Gli avversari erano stati distanziati di diverse centinaia di metri. Mancava poco all’arrivo e Louis sembrava accusare i primi segni di cedimento, il passo era piuttosto claudicante. O forse la stanchezza era presente anche prima, ma era ben nascosta dalla lontananza.
Il principe Costantino scese dalla tribuna d’onore e corse incontro all’atleta che sembrò non accorgersi di nulla. L’erede al trono si mise a correre di fianco al maratoneta, incitandolo e incoraggiandolo. Spyridon Louis sembrava non dargli retta, ma si accorse del tifo del pubblico e sorrise. Incredibile, accadde il miracolo.
Louis sembrava rinato. Con il principe Costantino al suo fianco, e il gran sostegno del pubblico, riprese a correre con decisione. Non venne sorretto o spinto. Almeno, non fisicamente. A pochi metri al traguardo, nello stadio entrarono anche altri atleti, ma nessuno dei cinquantamila presenti sembrò accorgersi di loro. Louis tagliò il traguardo per primo affiancato dal principe e al Panathinaiko si misero tutti a urlare dalla gioia.
All’arrivo, il pastore di ventitré anni, s’inchinò dinanzi al Re, che agitò il suo copricapo da marinaio in segno di assenso e ammirazione. Per festeggiare l’evento centinaia di colombi bianchi vennero liberati nel cielo.
Spyridon Louis, che per tutta la notte che precedette la gara pregò in ginocchio, entrò nella Storia vincendo quella gara a cui aveva aderito più per spirito di servizio che per vera passione. I Giochi Olimpici si stavano chiudendo con una grande vittoria della Grecia e del barone De Coubertin, l’uomo senza il quale tutta quella gloria non ci sarebbe stata.
Osservai tutto ciò in silenzio. Guardai nella direzione del Comitato Olimpico, poco distante da dove mi trovavo. Anche i membri del Comitato esultavano e il presidente Bikelas applaudiva con forza. Anche io applaudii.
Louis impiegò 2 ore 58 minuti e 50 secondi a compiere il tragitto. Tornato a Milano, mesi dopo, percorsi un uguale distanza in 2 ore e 40 minuti. Ma non voleva dire nulla quel risultato.
Il pastore divenne in Grecia un autentico eroe nazionale e come tale cercarono di ricoprirlo di doni di ogni tipo. Molte sono le leggende nate in seguito alla sua vittoria: si narra, infatti, che una colonia greca in Inghilterra si sia autotassata per regalare al campione un podere chiamato “Campo di Maratona”, oppure che un oste greco gli offrì pasti gratis per dieci anni, o che un barbiere propose di tagliargli i capelli a vita sempre senza volere niente in cambio. Qualcuno sembra che gli avesse offerto persino una casa nuova.
– Non sono anche questi dei soldi? – Pensai in tutti quegli anni che ho passato a rimuginare su quanto accaduto ad Atene.
Louis, però, da vero Signore e nonostante fosse diventato subito un eroe nazionale, rifiutò tutto quello che gli era stato offerto gratuitamente, chiedendo al Re soltanto un paio di cavalli e un calesse per proseguire umilmente il suo lavoro di contadino. Quella gara rimase l'unica competizione olimpica di Spyridon Louis.
Anni dopo la vittoria del 1896, Louis dichiarò: – Quell’ora fu qualcosa di incredibile e ancora oggi mi sembra un sogno: da tutte le parti mi lanciavano fiori e ramoscelli d'ulivo. Tutti urlavano il mio nome e lanciavano in aria i cappelli.
Quell’ora, per me, fu una sofferenza. Applaudii perché era giusto che fosse così. Lui non aveva nessuna colpa per quanto a me accaduto. Nella zona riservata al Comitato Olimpico vidi anche il barone De Coubertin, da lontano. Incrociò il mio sguardo, come se ci fossimo chiamati a vicenda.
Anche lui stava applaudendo.
Entrambi stavamo piangendo.