Prologo

 

 

Un plico di fogli avvolto in un tubo di cuoio. Pagine scritte a mano, nascoste in un buco nel muro. Tutto ben conservato allinterno di una scatola di legno, al riparo dallumidità e dalle intemperie. Sul piccolo e lungo scrigno, intagliati rudemente a mano, cinque cerchi, tre sopra e due sotto. Il simbolo delle Olimpiadi.

Mi sono imbattuto in questo materiale durante le ricerche sulla vita di Carlo Airoldi, il ragazzo di ventisei anni che nel 1896, per partecipare alla prima Olimpiade moderna, fece un lungo viaggio da Milano ad Atene a piedi. Voleva vincere la prima edizione della Maratona. C’è molta confusione, leggenda, incertezza sulla sua storia. Io volevo trovare delle risposte.

Sono andato a vedere il posto dove era nato, nel varesotto, alla Cascina Broggio di Origgio, di cui non è rimasto quasi più nulla, solo qualche rovina in muratura. Come un richiamo senza alcun urlo, la mia attenzione viene attirata da un vecchio giogo per buoi. Lattrezzo da traino, fatto di legno ormai quasi tutto marcio, è appoggiato a un muro di pietra.

Lo osservo. Ha sempre avuto un fascino particolare questo strumento: ha il compito di distribuire la forza degli animali su un carico da trasportare. Tocco il giogo, si muove. È molto fragile, cade a terra e si rompe. Non faccio in tempo a dispiacermi perché dal muro spunta langolo di una scatola di legno. La prendo e sopra noto, intarsiato, il disegno dei cinque cerchi intrecciati. Il cuore mi batte sempre più forte.

Fuori piove, lumidità si sente nella gola. Qualcosa mi dice che non è uno scrigno qualunque. C’è un lucchetto arrugginito che chiude il coperchio. Si rompe con un semplice tondino di ferro che trovo poco distante.

Allinterno c’è un rotolo di paglia. Lo estraggo e con attenzione cerco di aprirlo. Ci sono dei fogli dalla carta quasi essiccata, ritagli di giornale e qualche fotografia di cui è rimasto ben poco. Tutto è molto delicato, ogni cosa si può rompere con un movimento troppo brusco.

Un plico di fogli a parte è avvolto in una copertina di pelle scura. Sopra vi sono incise, forse con un pennino caldo, poche parole che non lasciano dubbi: Il mio testamento. Di Carlo Airoldi.

Volto delicatamente la copertina e si scoprono altre fragili pagine di carta. È come trovare un tesoro nascosto. La mani mi tremano. Il freddo sparisce.

Quello che segue è quanto vi era scritto su quei fogli. Tra amore e follia.

Verità? Leggenda? Vittorie e delusioni di una vita sacrificata in nome di una passione.

La mia attenzione viene subito catturata da quella misteriosa prima riga: Smettere di sognare non vuol dire non credere più nei sogni.