Capitolo 9

 

 

Trovare i soldi, tanti soldi, per poter andare in Grecia era diventato il mio obiettivo. Ma non ero lunico a cui servissero e trovarli non era semplice. Da un certo punto di vista mi consolavano le fatiche a cui stava andando incontro anche il barone De Coubertin. Ormai, per me, leggere i giornali e sapere come evolveva lorganizzazione delle Olimpiadi, era diventata unossessione. Pensavo solo a quello. Pregavo perché riuscisse nel suo intento. E lavoravo perché io vi potessi partecipare.

Tutti i giorni finito il lavoro, anche se facevo quattordici ore al giorno in fabbrica, andavo da Zanaboni e lui mi allenava. Al tramonto o allalba facevo tutto quello che lui mi diceva: miglioravo la mia resistenza, controllavo la rabbia. Avevo solo un obiettivo: vincere la Maratona. Anche se Adele non riuscivo a incontrarla personalmente, la vedevo passare dalla fabbrica le poche volte che andava a trovare suo padre. Il sorriso era sparito, era sempre più triste. Era un motivo per allenarmi con Zanaboni ancora di più.

Intanto le notizie dalla Francia e dalla Grecia non era buone. Alla fine del 1895 vi erano molte incertezze sul futuro delle Olimpiadi moderne. De Coubertin non era ancora convinto di riuscire a realizzare i nuovi Giochi. Troppi inconvenienti, pochi soldi, poca partecipazione. Rischiava che tutto andasse in malora, come avvenuto pochi decenni prima ad altri che ci avevano provato. Lui stava investendo tutto il suo patrimonio di famiglia. Dove cera bisogno di fondi, tra viaggi, comitati, iniziative, era sempre lui a sostenere economicamente tutto. La sua rovina economica sembrava essere molto vicina.

La situazione era drammatica. Andavano cercati nuovi compromessi politici ed economici. In quel periodo io non sapevo nemmeno cosa volessero dire queste parole. Con gli anni ho dovuto impararlo. Anche a mie spese. Ma questo non è il momento di parlarne. Non ancora.

Per De Coubertin, un primo grande scoglio fu la rinascita dello stadio olimpico, il Panathinaiko, lo stesso che ospitò gli antichi giochi e che venne riportato alla luce con un primo restauro nel 1870. Per sistemarlo definitivamente non sarebbe bastato nemmeno tutto il patrimonio del barone francese. La grande struttura, costruita interamente in marmo pantelico, era capace di accogliere oltre settantamila spettatori. doveva essere ricostruita su quella esistente, dove si svolgevano gli antichi giochi. Per fare ciò, ci volevano soldi, molti soldi.

E proprio su questo punto che De Coubertin fu un vero genio: riuscì a convincere George Avernoff, un ricco greco che viveva in Egitto da anni, a dare un sostanzioso contributo alla causa delle Olimpiadi. Le voci sul loro incontro arrivarono anche nella sede della Veloce e a raccontarlo fu ancora stesso Zanaboni, ormai abilissimo a catturare lattenzione di noi poveri appassionati di corsa.

Impossibile, non potrò mai dare tutti questi soldi al Comitato Olimpico pare abbia detto Avernoff a De Coubertin.

Ma non saranno per il Comitato. Saranno per la rinascita dello sport avrebbe risposto il barone francese che dellidealismo aveva fatto la sua bandiera a ogni incontro.

Che se lo paghi il Re allora questo stadio.

Sì certo, con una statua allingresso in cui si ringrazia Re Giorgio per la sua generosità.

Cosa vorreste dire?

Che se lei si occupasse della ricostruzione di questo simbolo di storia greca, atleti e autorità da tutto il mondo potrebbero vedere chi è stato il benefattore

Sembra che a questo punto Avernoff sia rimasto in silenzio. Accusato il colpo, De Coubertin non voleva mollare la presa.

E poi ci sarà il pubblico, migliaia di spettatori pronti a tifare per i propri beniamini. Le autorità nei loro posti donore. Sul palco centrale Re Giorgio di Grecia. E tutti che, per entrare nello stadio, devono passare davanti alla statua di George Avernoff, il salvatore dei moderni Giochi Olimpici, colui che, con la sua generosità, ne ha permesso la rinascita.

Ormai era fatta. Incastrato. Avernoff fu così convinto da Pierre a donare quasi un milione di dracme per finire lo stadio. Il resto, circa quattrocentomila dracme, furono messe a disposizione dal regno di Re Giorgio che, così facendo, metteva una grossa ipoteca sul potere decisionale del Comitato Olimpico. Il Re, nonostante le difficoltà economiche, non poteva accettare che un ricco potesse prendersi tutto il merito. Voleva fare parte dellimpresa.

Entrambi, Avernoff e Re Giorgio, cosa avrebbero potuto fare? Erano rimasti vittima di una promozione quasi occulta: grazie alle loro ricchezze e alle adulazioni di un uomo più astuto, erano caduti ai piedi di De Coubertin. Ma anche per il barone francese il prezzo da pagare era alto, tanto che le ingerenze nellorganizzazione da parte del Re e della Grecia, furono sempre più insistenti.

Lo stadio, però, sarebbe stato terminato nei tempi giusti, a poche settimane dallinizio delle Olimpiadi.

Sullesempio di De Coubertin, intanto, anche io a Milano cercavo di darmi da fare, nel mio piccolo mondo. Per sei mesi lavorai a più non posso. Feci di tutto, dalloperaio al portantino alla stazione. La sera e nel fine settimana correvo per tenermi allenato.

Ma tutto era inutile, i soldi non sarebbero mai bastati per un viaggio di quella portata. Chiesi alla società sportiva La veloce di aiutarmi economicamente in questa impresa, ma mi risero in faccia. Dovevo fare da solo. Ancora una volta.

Non puoi chiedere soldi a tutti mi disse lo Zanaboni una sera, quando mi vide preso dallo sconforto.

Io non risposi. Cosa avrei dovuto dire?

De Coubertin non ha rinunciato, aggiunse mostrandomi un giornale sul tavolo. Gli è venuta unidea. Una semplice idea. Si è fatto finanziare in cambio di visibilità.

Fui davvero sgarbato e non lo salutai nemmeno quando uscì dalla stanza. Guardai il giornale sul tavolo e capii in quel momento che Zanaboni aveva ragione.

Era il mese di febbraio e come De Coubertin riuscì a ottenere ciò che voleva con la semplice promessa di una statua a un ricco greco, io avrei potuto tentare di percorrere la stessa strada.

Non promisi nessuna statua a nessun nobile. Non mi impegnai in promesse che poi non avrei potuto mantenere. Feci semplicemente quello che meglio sapevo fare: dovevo cercare di vendere le mie gambe. La mia idea fu lo stesso geniale: dovevo cercare qualcuno che potesse finanziare il mio viaggio fino ad Atene. In cambio avrei dato me stesso, il mio talento e la mia storia.