Capitolo 23

 

 

Io non cero. Non tra gli atleti, ma da solo, sugli spalti dello stadio. Linaugurazione dei Giochi Olimpici avvenne il 6 aprile, il 25 marzo secondo il calendario Giuliano. Oltre duecentoquaranta partecipanti da quattordici nazioni, quasi centosettanta gli atleti greci, per nove sport: atletica leggera, ciclismo, ginnastica, lotta grecoromana, scherma, nuoto, tiro, sollevamento pesi, tennis.

La cerimonia fu elegante e allo stesso tempo magnificente: tutta la Grecia era presente con oltre cinquantamila spettatori, un terzo degli abitanti di Atene nel 1896. Per entrare nello stadio bisognava passare di fronte alla statua dedicata al ricco benefattore che ne permise la costruzione: George Averoff.

Re Giorgio I, in uniforme da ammiraglio, accompagnato dalla moglie Olga, in abito bianco, e dai figli, dichiarò aperti i giochi e pronunciò quella breve formula destinata a rimanere inalterata nel tempo.

Proclamo aperti i Giochi della prima Olimpiade dellera moderna disse con fierezza.

Io ero seduto tra il pubblico. Nessun posto donore, nessun saluto. Soltanto uno spettatore. In silenzio, con di fianco lunico amico che mi era rimasto, Francesco Lovati. Avrebbe dovuto prendere appunti per il suo articolo, ma il taccuino tra le mani era intonso.

Subito dopo lesecuzione dellinno olimpico, composto appositamente per quella cerimonia, presero il via le gare. I Giochi Olimpici erano così ripartiti dove erano nati quasi tremila anni prima.

La prima gara fu una batteria dei cento metri piani. I corridori si misero in posizione e nello stadio calò il silenzio. Gli atleti erano in piedi, pronti a partire come un gruppo di ladri di campagna che stanno per scappare dopo aver rubato una pecora, con il contadino pronto a sparare alle loro spalle. E fu proprio un colpo di pistola che fece esplodere lo stadio in un vero boato. La corsa durò pochi secondi e vinse uno studente di Princeton, Francis Lane. Non ottenne alcuna medaglia, era solo una gara di qualificazione, ma ebbe lonore di vincere la prima competizione delle Olimpiadi Moderne.

La prima medaglia, rigorosamente dargento perché loro era troppo costoso, corredata da una corona di alloro, venne vinta nel salto triplo da uno statunitense che fece il viaggio fino ad Atene a proprie spese, James Brendan Connolly. Nel pubblico ci fu un momento di delusione quando capirono che non aveva vinto un greco, ma uno straniero. La delusione durò solo un secondo, tanto è bastato perché gli altri atleti andassero a complimentarsi con il vincitore e iniziassero a portarlo sulle spalle in giro per il campo. Tutti i presenti gioivano con quellamericano.

Nessuno lo conosceva e lui non sembrava nemmeno rendersi conto di quanto stesse accadendo, ma tutto il pubblico rideva, piangeva, applaudiva con lui. Mai vista una cosa del genere. Prima di lui, lultimo atleta campione olimpico fu larmeno Varasdates, che aveva trionfato nel pugilato nel 369 d.C. Poi il silenzio per oltre mille e cinquecento anni. Con quella prima vittoria era rinato il mito della Olimpiadi.

Intanto, il povero Lovati, mentre io non potevo ormai fare più nulla, aveva provato un ultimo tentativo ufficiale per far sì che io partecipassi alla Maratona. Mi faceva quasi pena per la tenacia con cui si stava muovendo. Quel ragazzo prese tanto a cuore la mia causa che dopo lincontro con il Re si era recato egli stesso dal Console italiano per chiedere che dallItalia si facesse giungere via telegrafo una dichiarazione dalla Pro Italia, la società sportiva con cui avevo gareggiato in passato. La sua idea era che venisse inviato un certificato che attestasse il mio stato di non professionista, ovvero che ero un dilettante. Dimostrazione di ciò ne era anche il mio stato di povertà: non possedevo niente, se non le mie gambe e la mia determinazione. Ma questo non bastava. Quel certificato era lultima speranza che avevo di prendere parte alla Maratona, in programma il 15 aprile, nove giorni dopo.

Fino al momento dellinaugurazione non era ancora arrivato nessun certificato.

In fondo, ci speravo anche io. Ma sapevo anche che il Comitato Olimpico aveva già deciso, qualsiasi cosa sarebbe successa.

Dopo linaugurazione sarei anche potuto tornare in Italia, ma ero senza soldi per il viaggio e stavo aspettando un sostentamento dallItalia. Il Biggini aveva fatto sapere a Lovati che avrebbe mandato qualche lira. Ero quindi costretto anche dalla sorte ad assistere alla festa delle Olimpiadi. Da esterno, uno spettatore come tanti. In fondo ero solo un operaio.

Andai tutti i giorni allo stadio, forse perché, in fondo al cuore, nutrivo ancora qualche speranza. Sia che arrivasse il certificato, sia che il Comitato Olimpico rivalutasse la mia posizione.

Tre giorni prima della Maratona, fu il barone De Coubertin in persona a darmi la risposta definitiva. Mi si avvicinò allingresso dello stadio, vicino alla grande statua del nobile greco. Con me cera Lovati, che mi teneva sempre sotto controllo. Incontrare quelluomo era uno dei desideri di quel viaggio: un desiderio esaudito, ma a condizioni molto care. 

È arrivata la conferma della società sportiva Pro Italia, disse semplicemente il barone. Si attesta che siete un dilettante e che in Italia non esiste professionismo.

Io non risposi. Lui mi tese la mano, io gliela porsi e la strinsi.

Sono fiero di avervi almeno stretto la mano, aggiunse, ma purtroppo non potrò vedervi correre. Il Comitato Olimpico ha comunque rigettato la vostra domanda. Per loro siete un professionista. Io

Non finì la frase. Rimase in silenzio. Non resse nemmeno il mio sguardo.

Avevo sognato il momento di incontrare quelluomo, per notti intere. Adesso che lo avevo di fronte non riuscivo a dire una parola. E lui non riusciva a guardarmi negli occhi. Capii che non era daccordo con quella decisione, ma non poteva esporsi troppo.

Forse comprese il mio imbarazzo, la mia frustrazione e non volle infierire oltre. Se ne andò come era venuto. Una meteora nella mia vita. Le sue idee mi avevano portato a compiere quellimpresa, le sue regole mi avevano escluso.

Ormai potevo solo aspettare di assistere come spettatore alla grande Maratona, la prima nella storia delle Olimpiadi. Ero ad Atene, senza un soldo, corridore non professionista e nemmeno pericoloso. Ero stato annullato.