Ombre su Isla Negra

 

La notizia della morte del Poeta Pablo Neruda giunse a noi cileni come un’ennesima ondata dello tsunami dell’orrore che si abbatteva sulle nostre vite. A partire dall’11 settembre 1973, l’orrore ci accompagnò come la più perversa delle ombre e quando venimmo a sapere che il nostro Pablo ci aveva lasciato, sentimmo che all’orrore si univa anche un’enorme solitudine, perché per noi cileni Neruda era sempre stato il fratello, il compagno che sapevamo vicino nella sua amorosa vedetta di Isla Negra.

Le ombre sulla morte del Poeta ha iniziato a dissiparle molto tempo fa Manuel Araya, l’uomo che era stato scelto dalle Juventudes Comunistas del Cile come autista e responsabile della sicurezza di Neruda. Manuel Araya fu testimone diretto dei fatti che avevano accelerato la morte del Poeta, ma la sua coraggiosa testimonianza fu occultata dalle ombre create dalla dittatura, dalle esitazioni della vedova e da una serie di discutibili «amici» del Poeta, che si sono eretti a biografi, ma solo di biografie autorizzate dal regime. Non vale nemmeno la pena nominare quelli che, per qualche prebenda in più o in meno, qualche ambasciata in più o in meno, si sono messi al servizio della storia ufficiale, della storia scritta dai vincitori.

Neruda è un grande protagonista dei movimenti sociali cileni, la sua poesia è impregnata dell’aria del Cile e dell’America Latina, dell’ansia di giustizia che nasce all’alba dell’invasione armata (altri la chiamano «conquista») del paese e raggiunge la sua massima espressione con la comparsa del proletariato più organizzato, colto e attivo di tutto il continente americano. Neruda è un erede diretto di importanti leader operai come Luis Emilio Recabarren ed Elías Laferte, e la sua grandissima amicizia con Salvador Allende ha creato un rapporto fra un leader e un intellettuale che è stato decisivo per il corso della Rivoluzione cilena.

Si può uccidere un Poeta della grandezza di Neruda?

Parodiando Thomas de Quincey, possiamo affermare che ci sono molti modi per uccidere un poeta, tuttavia la mentalità vile, profondamente ignobile dei militari cileni li ha indotti a evitare un assassinio alla luce del sole, una fucilazione alla Federico García Lorca, e a optare per la tattica sibillina dell’assassinio come segreto di Stato e a distogliere l’attenzione nel momento più critico, nel caso in cui la prima tattica non avesse funzionato.

E oltre a quello che abbiamo iniziato a scoprire, è bene aggiungere che cominciarono ad ammazzare Pablo Neruda fin dal primo momento in cui la destra cilena, il Partito democratico cristiano e l’imperialismo statunitense decisero di mettere fine a qualsiasi costo al governo popolare guidato da Salvador Allende.

La sensibilità di Neruda non rimase estranea agli sforzi del paese di superare i continui sabotaggi, le manifestazioni che invocavano un colpo di Stato, le continue provocazioni del fascismo cileno davanti a un popolo con una forte vocazione democratica che voleva assolutamente evitare una guerra civile.

Quando, a mezzogiorno dell’11 settembre 1973, gli aerei dell’aeronautica cilena bombardarono il palazzo della Moneda, quando «il metallo sereno» della voce di Allende fece entrare il Compagno Presidente nella galleria degli uomini più ammirevoli e l’orrore del fascismo si impadroniva del Cile, in quel preciso istante il nostro Pablo cominciava a morire.

Forse un’indagine rigorosa troverà nei suoi resti la traccia velenosa dei suoi assassini, ma nessuna autopsia darà un risultato più completo ed esatto dei versi di César Vallejo: «Il suo cadavere era pieno di mondo».

Storie ribelli
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