Chi ci salva dai giudici cileni?

 

L’indipendenza del potere giudiziario è ovvia in uno Stato di diritto, ma non per questo la società civile deve accettare che l’opinione di un giudice le sottragga la protezione garantita da trattati internazionali. È abbastanza curioso che in Cile, dove il ripristino delle istituzioni democratiche sta compiendo chiari progressi, un solo giudice, in questo caso il magistrato Víctor Montiglio, compia un mostruoso balzo all’indietro riportando il paese al fosco passato prossimo dell’impunità concessa ai peggiori criminali e ladri della nostra storia.

In una società civile dovrebbe essere la società stessa a dettare le leggi che i giudici faranno rispettare, e se le leggi non garantiscono la sicurezza dei cittadini devono essere cambiate, anche contro il parere dei giudici. Il nuovo governo di Michelle Bachelet, che suscita tante speranze, dovrebbe prendere a esempio l’Argentina, in cui un governo responsabile e sensibile alle necessità di una giustizia degna di fiducia, rispettando il desiderio sociale di punire i responsabili delle pagine più crudeli della propria storia, ha abrogato le leggi per l’impunità di cui beneficiavano centinaia di assassini. Vox populi. Quale cilena o cileno ha ancora dubbi sulle responsabilità criminali di Pinochet? Chi osa mettere in discussione il fatto che i generali Sergio Arellano Stark e Odalier Mena siano degli assassini? Chi muove un dito per difendere l’innocenza di due miserabili come Luis Carrera Bravo e René Bravo Llanos?

Secondo la peculiare sentenza del giudice Montiglio, nel caso denominato «Carovana della morte» non è possibile applicare la Convenzione di Ginevra contro i crimini di guerra, che fissa la non prescrittibilità dei crimini contro l’umanità ed è assolutamente valida in Cile in quanto firmata dallo Stato cileno nel 1950, perché i crimini commessi da canaglie come Arellano Stark e compagnia bella furono perpetrati senza alcuna previa dichiarazione di guerra e perché gli oppositori della dittatura non erano organizzati come forze armate.

Su quest’ultimo fatto hanno ragione: nessuna delle persone assassinate nel caso «Carovana della morte» apparteneva a un’organizzazione militare, né aveva occupato una qualche parte del territorio nazionale. Ma dov’era, dove viveva, quali giornali leggeva, quale televisione guardava il giudice Montiglio, per non aver mai saputo del «siamo in guerra, signori» ripetuto mille volte dal grande tiranno? Amnistiare i responsabili del caso «Carovana della morte», oltre a rappresentare un nuovo insulto alle vittime e ai loro familiari, è un vero abuso legale, un vile atto di compiacenza nei confronti di un gruppo di criminali. Chi ci difende da questi giudici?

In Cile, con il nuovo governo scelto in maniera meravigliosamente pulita dalla volontà dei cittadini, si sta aprendo una bella discussione per giungere a una visione unitaria del paese che vogliamo. Si possono suggerire migliaia di idee, ma ce n’è solo una davvero urgente e indispensabile: vogliamo un paese giusto e rispettoso di tutti gli accordi internazionali che garantiscono il diritto alla vita e il castigo esemplare per chi lo viola. Finché resteranno aperte le ferite inferte dalla dittatura e dai suoi assassini, non ci sarà riconciliazione possibile. Perché il paese si riprenda dal trauma di convivere con assassini, di incontrarli per strada, di vederli muoversi protetti da trucchi legali adottati da giudici venali, è assolutamente necessario abrogare le leggi di amnistia di cui si avvalgono e avere il coraggio civile di affrontare con energia il nostro recente passato.

Come scrittore, quando sono in un altro paese, di solito vengo invitato a pranzo o a cena nell’ambasciata del mio. Sono sempre grato per queste gentilezze e confido nel fatto che un giorno le forze armate cilene si spoglieranno della sciocca complicità di un corporativismo anacronistico e si costituiranno parte civile contro i criminali che hanno coperto e continuano a coprire di merda il loro prestigio. Quel giorno accetterò di sedermi accanto all’attaché militare, dell’esercito, della marina o dell’aeronautica, senza lo schifo che provo ogni volta che vedo un’uniforme.

Storie ribelli
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