Ha padroni il mare?
In un negozio di articoli sportivi, a Ibiza, fanno pubblicità alle moto d’acqua con uno slogan molto suggestivo: «Diventa il padrone del mare», e la frase è qualcosa di più di un trucco per vendere un gran numero di quegli arnesi velocissimi, che sono un segno di riconoscimento per gente tanto ricca quanto insensibile. In groppa alle scattanti moto acquatiche, quella gente spadroneggia davvero sul tratto di mare in cui si muove, bruciando benzina e mettendo in pericolo i bagnanti o le piccole imbarcazioni che incrocia nelle sue evoluzioni a velocità vertiginosa.
Da lussuosi porti turistici, da lussuose dimore costruite dalla longa manus della speculazione edilizia, gli odierni padroni del mare guardano i tramonti senza vederli, troppo presi dai metri di lunghezza del nuovo yacht di qualche conoscente o dalla potenza dei motori che li portano da un’isola all’altra nel giro di pochi minuti, e allora decidono di cambiare al più presto i loro navigli bianchi, grazie ai quali godono del discutibile status di capitani della domenica, o di sciocchi con il diritto di prendere in mano un timone.
Qualche anno fa mi trovavo a Formentera e all’improvviso, sorpreso dalla quantità di imbarcazioni da diporto, tutte dotate di potenti motori, che uscivano dalla baia in mare aperto, chiesi cosa stesse succedendo. Uno di quei marinai della domenica aveva visto dei «pesci strani» che saltavano sul pelo dell’acqua, e da bravo idiota facoltoso, invece di spegnere il motore, aveva deciso di seguirli mentre questo o quell’altro idiota abbronzato chiamava con il cellulare tutti i loro conoscenti. In pochi minuti si radunarono una cinquantina di barche che, solcando le onde con le loro prue alte, fecero rotta sull’avventura gratuita offerta dal mare, il vasto spazio blu di loro esclusiva proprietà.
La flotta di banchieri, produttori cinematografici, avvocati televisivi, industriali inquinatori e chirurghi estetici avvistò i «pesci strani» e prese a girare attorno a quelli che in realtà erano due delfini disorientati e atterriti dal rumore delle imbarcazioni.
Immaginiamo di camminare in campagna e di vederci piombare addosso all’improvviso cinquanta fuoristrada, dai motori rombanti, che ci circondano accecandoci con nuvole di polvere, e per di più rendono irrespirabile l’aria con i fumi dei loro tubi di scappamento. Si sentivano esattamente così quei delfini: non riuscivano più a captare i segnali del branco, se mai ne arrivavano, ed erano in preda al panico davanti alle barche sempre più vicine, perché i marinai della domenica dovevano a ogni costo fotografare o filmare quei «pesci strani».
L’epilogo non si fece attendere: un’elica toccò il dorso di un delfino, il sangue tinse l’acqua, ma il sacrificio del primo cetaceo permise all’altro di rompere il cerchio e fuggire in mare aperto, perché le cinquanta imbarcazioni fermarono i motori e tutti si diedero a controllare l’elica assassina. Una barca da 250.000 euro suscita grande solidarietà.
Questa storia non è l’invenzione di uno scrittore, l’ho vista accadere a Formentera, così come ho visto l’inutilità della Guardia Civil che non interrogò nemmeno uno di quegli sventati, responsabili della morte di un animale protetto e in via di estinzione. Si trattava di gente facoltosa, dei padroni del mare, e a loro non si possono addossare responsabilità ecologiche.
Una delle maggiori sciocchezze che si sente dire dai politici dei paesi affacciati sul mare è che il turismo è una delle attività economiche più importanti; ma non precisano quale turismo e non spiegano nemmeno se porti qualcos’altro oltre a camerieri e rifiuti. I proprietari delle strutture che accolgono il turismo di massa sono un’altra variante dei padroni del mare – e questa non è affatto un’affermazione azzardata – perché hanno ottenuto che governi e amministrazioni locali considerino una cosa logica e naturale la separazione del mare dal suo contesto costiero, istituendo una sorta di confine di convenienza che nega il rapporto di interdipendenza biologica fra la terra e il mare, da cui fra le altre cose deriva il microclima della costa.
Una semplice veduta aerea dei litorali mediterranei fa sì che qualunque persona mediamente informata si ponga alcune domande. Tutte le strutture del turismo di massa sono dotate di impianti di depurazione? O si è invece lasciato l’onere di depurare le acque reflue alle piccole città che fino a venticinque anni addietro non ospitavano questo tipo di strutture? La maggior parte delle bandiere blu conferite dall’Unione Europea è fraudolenta; vengono infatti concesse sulla base di rapporti in linea con gli interessi dell’industria turistica, grazie a mazzette, perché la corruzione è strettamente legata a questo tipo di sviluppo e in realtà milioni di turisti fanno il bagno in un miscuglio di merda, prodotti chimici industriali, residui tossici dell’agricoltura e, con un po’ di fortuna, acqua.
Chi controlla davvero il poco pesce che ancora si pesca nel Mediterraneo, di cui in estate la domanda si moltiplica per mille? Nei ristoranti delle coste spagnole, francesi, italiane e greche vengono servite specie quasi estinte con il beneplacito delle autorità incaricate di proteggere il mare.
Sarebbe lunga, ma anche facile da stendere, la lista di chi, grazie a leggi liberali legate al mercato, si crede padrone del mare. Al di là delle considerazioni biologiche, bioetiche, ecologiche e di semplice buon senso, è fondamentale riprendere possesso del mare in nome dell’umanità, individuare gli spazi recuperabili e metterli in salvo dall’avidità immobiliare e turistica.
Urge realizzare finalmente un censimento delle specie e concedere risorse per far rispettare i divieti di pesca. Urge adottare nuove misure a livello europeo – se davvero l’Unione Europea serve a qualcosa –, misure che limitino l’inquinamento primario del mare, per esempio l’inquinamento acustico, chimico ed estetico provocato dalle centinaia di migliaia di imbarcazioni la cui unica giustificazione è l’ozio irrazionale dei ricchi. E naturalmente urge limitare la produzione di rifiuti non riciclabili che concludono il loro viaggio in mare.
E se qualcuno ha dubbi al riguardo, che contempli gli scenari del Meridione italiano, spagnolo e greco, dove le coste sono coperte di plastica, biodegradabile, nel migliore dei casi, dopo novant’anni.
È molto lunga la lotta ai padroni del mare.