Appunti per vivere con l’assenza
a HIJOS2
Tutti quelli di cui sentiamo la mancanza ci hanno lasciato appena alcune foto, che sono come pezzi di vita congelata nel momento del clic, ecco fatto, che la vita continui, la stessa vita che li aveva riuniti nel giardino di casa, intorno alla grigliata, col portone spalancato, in un parco con, seduto sulle ginocchia, il bambino che oggi cerca, in una riunione urgente come l’allegria assieme ad altri di cui ugualmente sentiamo la mancanza. Sono fotografie pericolose, sovversive come tutto ciò che è inquietante, trasgressive come la sete di vita, irriverenti come il vero modo di credere in qualcosa e, soprattutto, sono foto di donne e di uomini decisamente padroni del loro destino, orgogliosamente colpevoli della loro gioventù e della loro sete di giustizia.
Quelli di cui sentiamo la mancanza si ritrovavano sempre per giocare qualche partita a carte e ridevano forte, senza assurdi pudori, mentre altri decantavano le virtù del silenzio. A volte, in qualche cortile, correvano dietro a un pallone, si proclamavano calciatori famosi e firmavano i gol gridando i loro nomi al vento, mentre altri decidevano che l’anonimato era l’unico modo di essere. Quelli di cui sentiamo la mancanza cucinavano nei fine settimana, guidavano autobus, studiavano sociologia, legge o agraria, erano attrici, scrittrici, poeti o pugili, erano medici negli ambulatori più poveri e nelle baraccopoli, alfabetizzavano i giardini della città, si scambiavano vestiti, dischi, libri e fiducia. Quelli di cui sentiamo la mancanza, la domenica all’ora del tramonto, proponevano: «Ehi, ci facciamo un mate?», e poi, con il calice familiare che emanava l’aroma dell’infuso migliore, «di erba intera» dicevano quelli di cui sentiamo la mancanza, si guardavano negli occhi con fiera tenerezza, con violento affetto, con passione armata di futuro, perché quelli di cui sentiamo la mancanza erano militanti.
E se noi ne sentiamo la mancanza, non è un caso o un imbroglio del fato, né si deve ai disegni di qualche dio offeso. Ne sentiamo la mancanza perché osavano proporre un’esistenza migliore di quella del gregge. Ne sentiamo la mancanza perché dicevano che il pane era di tutti oppure di nessuno. Ne sentiamo la mancanza perché accendevano luci nell’oscurità, forti o deboli, non importa, il loro bagliore continua a illuminarci. Ne sentiamo la mancanza perché nella penombra della camera si avvicinarono al letto dei figli, li accarezzarono, lasciarono sulle loro fronti la stella di un bel sogno e, quando uscirono per compiere un’azione, lo fecero sapendo quante cose avevano da perdere, eppure agirono con la risolutezza di chi ha la ragione dalla sua parte.
Quando li portarono via, quando iniziammo a sentirne la mancanza, i testimoni che non avevano visto nulla mormorarono: «Qualcosa avranno fatto, non per niente li portano via», e avevano ragione, perché avevano fatto molto più di qualcosa: avevano sognato che si poteva vivere in piedi. Avevano sognato che il destino dell’uomo non poteva essere sempre un castigo. Avevano sognato che la felicità di tutti era possibile. Avevano sognato di creare una legge giusta, davanti alla quale saremmo stati tutti uguali. E avevano osato far diventare realtà i sogni, perché quelli di cui sentiamo la mancanza, senza tante storie né pavoneggiamenti, avevano raggiunto la dimensione superiore dell’essere umano, per questo ne sentiamo la mancanza: perché erano rivoluzionari.
Erano cresciuti nel secolo peggiore e avevano tentato di renderlo il migliore. Avevano scoperto che la storia è una truffa e si erano fatti saggi per scriverla con la calligrafia della dignità. Erano chiamati a trionfare e avevano preferito essere solidali. Si erano spogliati della pelle della patria per abitare la grande famiglia umana.
Quelli di cui sentiamo la mancanza non hanno statue nei parchi, ma sono in salvo nella memoria. Portavano i capelli lunghi, i pantaloni a zampa di elefante, scarpe buone per lunghe marce, maglioni di lana per notti di agitazione e propaganda, fumavano sigarette di tabacco nero, bevevano vino rosso, cantavano canzoni di Leo Dan e degli Iracundos, gli uomini amavano Janis Joplin in comune segreto e le donne definivano Sandro il più macho dei macho. A tutti era capitato di fumare una canna, di bruciare la carne alla griglia. Parlavano di ogni cosa per reinventare il valore delle parole e, quando iniziammo a sentirne la mancanza, il silenzio davanti ai boia fu il discorso che ci lasciarono in eredità.
Di loro, uomini e donne, ci restano appena alcune foto che non vogliono essere oggetto di un pianto rituale. Vogliono essere portate nel cortile di casa e lì, mentre qualche HIJA o HIJO dice: «Ehi, ci facciamo un mate?» e gli occhi si cercano nella dolce complicità dei giusti, loro, uomini e donne, quelli di cui sentiamo tanto la mancanza, si uniranno dalle immagini alla migliore delle cospirazioni contro la menzogna che pretende di cancellare il passato a colpi di mazzette.
Abbiamo imparato a vivere con quelli di cui sentiamo la mancanza, perché sono parte di noi, perché sappiamo come mai ci mancano, e perché la loro assenza la colmiamo di orgoglio.