– Accendi, dài, che qui è un freezer –. Schello si soffiava sulle mani sfregandole. Attraverso i finestrini appannati della passat teneva d’occhio il bar Centrale. L’amico girò la chiavetta piú volte perché il motore ripartisse.

– Dài, dài, dài… fatti vivo, pifferone. Vuoi dirmi che proprio stasera c’hai una data? Sarai mica da qualche parte a suonare zumpappa zumpappa? – poi si rivolse ancora a Corrado: – Tu cosa dici? Arriva?

L’altro teneva sempre la mano sul volante. Scosse le spalle.

– Non mi sembra vero, cazzo, non mi sembra vero, – Schello faceva saltellare freneticamente la gamba. – Eppure deve esserlo. Turci e il Manta sono entrati troppo nei dettagli. Ti sembra che quei due si possano inventare una roba cosí?

Corrado si limitava a fissare davanti a sé.

– Oh, cosa c’è? Non ti sto mica portando dal dentista. Non azzardarti a dirmi che ci hai ripensato, eh?, ci hai ripensato?, guarda che io ci vado comunque. Se non ci stai piú mi molli qui e ciao, però quando finisco mi vieni a riprendere, sia chiaro.

– Eccolo lí, – disse l’amico, segnalando controvoglia l’arrivo di una matra bagheera che veniva parcheggiata appena oltre l’ingresso del bar. Schello uscí in un lampo dalla passat e si diresse spedito verso quella macchina appena spenta. Incitò l’amico a darsi una mossa.

– E quello sarebbe il famoso Coppa? – gli chiese ridacchiando e parlando fra i denti.

– Forse non è lui. Torniamo indietro?

– Sicuro che è lui, quante matra bagheera vuoi che ci siano in un posto cosí? Dicevo per dire, guarda lí che affarino che è. D’altronde non deve mica piacere a noi.

Schello cominciò a trottare.

– Scusa! – urlò.

Il tipo si fermò. Magro, pieno di capelli, qualche anno piú di trenta, naso ingombrante, li guardava come se provasse a riconoscerli.

– Scusa, tu sei Coppa, no?

Fece cenno di sí con un sorriso malizioso.

– Possiamo parlarti un attimo?

Coppa fece un cenno d’invito; sembrava già sapere cosa volessero quelli lí.

– Saremmo interessati al tuo cinema, – Schello parlava a bassa voce guardandosi intorno.

– Trecento euro, – il tono di Coppa era deciso e profondo. Scrutava quello dei due che ancora non aveva aperto bocca.

– Abbiamo sentito parlare di centosettanta.

– Appunto. A testa. Vuol dire che vi faccio lo sconto. Se fate insieme.

– Come facciamo a essere sicuri che ne vale la pena? – lo smilzo non riusciva comunque a nascondere la propria eccitazione.

Coppa scrutò piú a fondo quei tipi: quello magro era invasato a sufficienza da potergli credere ma l’altro? perché aveva un’aria cosí dimessa? Naso a patata, occhi e bocca tondi persi dentro a quella faccia tonda pure lei. Il busto a forma di boiler. Un finto buono? C’era qualcosa di stonato in quello lí ma lui decise di rischiare e rispose all’altro:

– Se sei qui con centocinquanta euro in mano vuol dire che ti sei ampiamente informato.

Schello si girò infoiato verso l’amico. Corrado, a labbra strette, mosse la sua grossa testa in su e in giú.

Dieci minuti dopo erano davanti a una casa a schiera color ocra. Sembrava nuova e quelle attorno ancora non abitate. Parcheggiarono di fianco alla matra bagheera. Coppa faceva cenno d’entrare mentre teneva la porta aperta.

– Prego. Scusate il disordine.

Non capirono se quella voleva essere una battuta. L’interno aveva un’aria vagamente messicana con le pareti a piú colori pastello. Sull’attaccapanni un paio di giacche con paillettes. Il padrone di casa indicò loro il divano. Corrado si guardava nervosamente intorno, il suo amico spostò un basso elettrico per potersi sedere.

– Ho sentito dire che suoni il liscio.

– Esattamente –. Coppa non espresse nessuna valutazione nel dirlo. Piuttosto indicò loro la locandina dei Ripetenti dove, un po’ nascosto dagli altri componenti del gruppo, reggeva il suo strumento. Poi andò al frigo e tirò fuori un paio di birre, stappò e tornò dai due. Gliele passò.

– E quelli? – Schello indicava le altre stampe a parete. C’erano Frank Zappa, John Lee Hooker e Tim Buckley.

– Un conto il lavoro, un conto la passione, – bevve un sorso. – Di dove siete voi due?

– Di S.

Coppa sorrise fiero, la sua fama girava ormai in tutta la provincia. Armeggiò attorno a un videoregistratore. Accese la televisione. Prese in mano un grosso telecomando tenuto insieme con lo scotch. Si avvicinò a loro.

– No, no, no, aspetta, come sarebbe? Vuoi dire che la macchina è quella lí? Un videoregistratore? Esistono ancora i videoregistratori?

Coppa rispose con il solito sorrisetto. Poi disse:

– Come vi ho già detto si paga in anticipo.

– Prima però ci confermi che troviamo quello che ci hanno detto.

– Cosa vi hanno detto?

– Sono una trentina di filmati?

– Trentadue al momento.

– Tutti con donne di qui?

– Tutte della provincia.

– Tutte riprese a loro insaputa?

– Magari qualcuna faceva solo finta di non sapere.

I due ospiti si scambiarono un’occhiata. Corrado serrava le mandibole, il suo amico era girato verso di lui ma non lo guardava nemmeno.

– E poi…?

Il sorriso di Coppa si fece piú disteso.

– E poi sí. Tranquilli.

Fu Schello a tirare fuori per primo i soldi dalla tasca dei jeans.

– Però se le vediamo tutte e trentadue torniamo a casa dopodomani.

– Di ognuna vedrete soltanto il best of. In totale piú o meno la durata di un film. Dovete solo mettervi comodi.

Andò a spegnere la luce e premette il play del telecomando.

La prima era una bionda grassoccia sui trentacinque. Ovunque Coppa avesse nascosto la telecamera, il punto di vista era piú o meno ad altezza uomo di fronte al letto. Un montaggio rudimentale permetteva di vedere le diverse azioni. Come la tipa approcciava, le iniziative che prendeva. Poi era Coppa a guidare per un po’. Quindi ancora lei al timone. Ora era sopra; si dimenava con una velocità sorprendente per la sua corporatura. Solo gemiti, nessuna parola. Il suo primo orgasmo.

Si riprendeva in fretta. Poi, ancora nella stessa posizione, ricominciava a ondeggiare il bacino. Questa volta le flessioni erano lente e profonde. Non ci volle cosí tanto, sempre grazie al montaggio, per vederla raggiungere l’apice un’altra volta. A quel puntò Coppa la girò e finí lui. Le riprese includevano anche sprazzi dei riti del dopo. In questo caso la tipa si vestiva frettolosamente e salutava. In tutto meno di tre minuti.

Schello e Corrado erano visibilmente colpiti. Non si potevano vedere i dettagli come nei film professionisti – o anche in quelli casalinghi un minimo organizzati – ma qui non c’era nessunissima recitazione. Se non da parte di Coppa.

Il quale, comunque, avvertí che la sua presenza, lí di fianco, li metteva a disagio per cui, recuperando un’altra birra, raggiunse il giardinetto oltre la portafinestra della cucina.

Dopo la prima arrivò un’altra bionda e poi un’altra ancora. L’età continuava a oscillare fra i trentacinque e i quaranta. I due notarono che nelle riprese della terza fra un taglio e l’altro cambiavano gli oggetti sul comodino, quindi con quella c’erano stati piú incontri e il tipo ne aveva fatto l’antologia. I filmati a volte si facevano ancora piú brevi ma in ogni caso esaudienti. Schello aveva ripreso a fare ballare la gamba. Ogni tanto schiaffeggiava il braccio dell’amico indicandogli lo schermo. Corrado continuava a deglutire, teso.

– Oh, rilassati. Cosa c’è? Troppa roba? – gli disse l’amico. – Certo che lui ne esce sempre molto bene. Di sicuro questo è anche il suo best of.

– Come sarebbe che è saltata la data di domani sera? E ve lo dicono il giorno prima? E i soldi? – Coppa era al telefono, la sua voce arrivava fin lí dal giardino. – E non trovi nient’altro? Cosa vuol dire siamo troppo a ridosso? Oh… domani è sabato: un agente normale, se si dà una mossa, qualcosa lo trova senz’altro…

Accanimento, goffaggine, divertimento, abbandono, frustrazione. Dopo un po’ avevano visto il modo di essere di una decina di femmine. L’età qualche volta si abbassava vertiginosamente attorno ai diciotto.

– Basta con Bellesia, va bene? Se non registriamo nel suo studio non ci fa suonare in giro, se non mettiamo i pezzi firmati da lui sul borderò altrettanto… Se non è mafia questa… Dobbiamo trovare il modo di uscirne.

Il bassista, in qualche caso, le prendeva da dietro girandole in favore di ripresa; le loro espressioni in primo piano non sembravano uno spettacolo di minor conto per i due.

La sequenza di quelle che vennero dopo, però, cominciava a non produrre piú gli stessi effetti dell’inizio. Ora Schello si era messo a fare il difficile su qualsiasi difetto fisico di ognuna di quelle attrici inconsapevoli. Coppa, esperto degli effetti del suo cinema, si ripresentò dai tipi. Vide quello grosso che si passava le dita sulle palpebre chiuse.

– A un certo punto sembra un po’ tutto uguale, eh?

Schello usò le sopracciglia per dire abbastanza.

– Io però non faccio stranezze, – disse con una certa naturalezza. – Quindi altre grosse novità non ce ne sono. Se volete facciamo un po’ di avanti veloce.

– No, aspetta: vuoi dirmi che si può?

– Sicuro che si può. È un videoregistratore questo.

– Ma noi davamo per scontato che non si potesse.

Coppa scosse la testa sorridendo e azionò il telecomando. I coiti, a quella velocità, riuscivano a diventare buffi.

Mentre le immagini scorrevano veloci, il protagonista – tanto per migliorare il servizio – si mise a dare un po’ d’informazioni sulle altre attrici. Quella era la piú vecchia di tutte. Forse la piú tecnica. Aveva dovuto stare molto attento: suo marito contava troppo in paese. Molti problemi a riuscire a scansarla in seguito. Ogni tanto, togliendo l’avanti veloce, si soffermava su qualche scena cercando di fare apprezzare alcuni virtuosismi. Quell’altra era vergine, ecco: questa la volevano vedere meglio? Era in regola, eh?, diciott’anni e mezzo. Non proprio precoce, forse, ma comunque portata. Corrado, secco, disse di procedere.

Poco oltre apparve una ragazza sui venticinque, capelli lunghi, lucidi e neri, magra, schiena un po’ ricurva, bocca piccola e quasi viola.

– Qui, qui. Ferma qui, – urlò Schello.

– Sicuro? – chiese Coppa malizioso.

– Sicurissimo.

– Vado?

– Vai, vai!

Il padrone di casa sembrò sollevato, schiacciò un pulsante del telecomando. Di colpo la scena nel televisore cambiò. La ragazza, sempre nuda, era seduta composta sul bordo del letto. Coppa apparve con gli stessi vestiti di quella sera. Si avvicinò alla ragazza e, delicatamente, cominciò ad accarezzarle la pelle lungo lo sterno, fino al mento.

– Ti chiedo perdono ma te lo devo dire: c’è un amico a cui tengo tantissimo qui fuori, – il suo tono era monocorde ma basso e suadente. – È come un fratello a cui devo davvero molto –. Ora le teneva il dorso della mano.

– Per lui la cosa piú importante al mondo, in questo momento, è poter stare un po’ con te. Sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di farlo. Guarda che non esagero. Mi credi? Non ho mai visto nessuno desiderare cosí tanto una donna.

La ragazza lo guardava incredula ma allo stesso tempo lusingata.

– Non sai quanto mi costi chiedertelo – e poi chissà cosa penserai di me – ma so che lui ti merita. Io potrei lasciarvi soli e, casomai, tornare da te piú tardi. O magari un’altra volta, come vuoi. Però, nel frattempo, ti dispiace se lo faccio entrare? Se non ti piace basta dire di no e finisce lí, ok? Lui capirà. Intanto, se vuoi, puoi coprirti un po’.

La ragazza fece un pudico cenno che si poteva fare. Schello, eccitatissimo, salutò l’amico mettendogli una mano sulla spalla.

– È proprio lei, – disse.

– Sono molto contento per te, – gli fece Corrado.

Dallo schermo Coppa disse:

– Puoi entrare –. Premette un paio di tasti sul telecomando che aveva con sé. Riprese il suo posto sul divano mentre Schello – gli occhi sgranati per l’esaltazione – entrò nella stanza e si sedette sul letto di fianco alla ragazza. Non si era nemmeno guardato attorno. Gli occhi sempre fissi sulla donna.

– Grazie. Grazie. Grazie, – le disse con la voce rotta dall’emozione.

Le allungò delicatamente una mano e aspettò fin quando lei gli diede la sua. La sfiorò con l’altra. La bruna lo guardò strizzando un po’ gli occhi.

– Ma… ci conosciamo? – chiese.

– Mi piacerebbe provare a farti ricordare.

Coppa a quel punto chiese a Corrado:

– Vuoi vedere anche il tuo amico o vuoi andare avanti?

– Andare avanti.

Le immagini sul televisore passarono a un’altra serie di imprese del bassista dei Ripetenti. Lo spettatore non riusciva a nascondere il proprio disagio quasi non bastasse l’avanti veloce e man mano che i filmati finivano mostrava un sollievo maggiore. Il padrone di casa faceva una cronaca sempre piú sintetica e tirata via; quel tipo lí di fianco continuava a inquietarlo.

– Non sono fatti miei ma… non ti vuoi divertire? Che gusto c’è a vederle a questa velocità? Sembra che questa roba ti dia fastidio. Non posso spegnere perché c’è dentro il tuo amico ma forse puoi aspettarlo in giardino.

– Procedi.

– Ok. Queste sono le ultime due. Aggiunte da poco. Quella che vedi adesso è un’infermiera. Le migliori tette dell’intero lotto. Se non ho capito male lavora in una clinica privata in città. Niente preliminari, dritta al sodo e appena finito ciao e tante cose. Non interessa, eh?

L’altro scosse la testa e abbozzò un sorriso.

– Va be’, questa è l’ultima in ordine di tempo e…

– Ferma qui.

Corrado l’aveva intimato deciso ma a bassa voce. Respirava di gola. Gli occhi rossi. Il sollievo sparito. Era come se, dopo aver azzeccato tutti i numeri della lotteria, fosse appena uscito l’ultimo, e il bastardo cresceva di una sola vigliacca unità.

Qualunque cosa avesse, ora quel tipo mostrava qualcosa di indifeso per cui Coppa cominciava a provare un po’ di tenerezza.

– Sicuro? Non è che devi farlo per forza controvoglia.

– Ti ho detto che va bene qui.

Il bassista pensò i gusti sono gusti visto che quella era la meno attraente fra tutte.

– Con questa com’è stato? – chiese Corrado con un filo di voce.

– Ti piacciono appassionate, eh? Comunque, se vuoi, lo vedi da solo… – schiacciò ancora il play.

– No! No! Ferma! – urlò l’altro girando lo sguardo a terra con le mani aperte di fianco agli occhi. Coppa schiacciò lo stop e quando il suo ospite rialzò la testa notò una sorta di smarrimento nel suo sguardo. Dopo un po’, comunque, visto che quello non parlava, gli mostrò il telecomando.

– Procedo?

L’altro fece cenno di sí. All’interno dello schermo ora, Coppa parlava con quella donna:

– Senti, non so come, ma te lo devo dire. Ho un amico, un carissimo amico che mi ha letteralmente salvato la vita – un giorno se vuoi ti racconto tutta la storia. Ebbene questo mio amico, credimi, è impazzito per te.

La donna non nascose il piacere che quella frase le aveva mosso. Sul divano Corrado teneva tappate le orecchie e guardava il pavimento.

– È la fuori, sa che sei qui. Non ho mai visto nessuno cosí ossessionato da qualcun altro come lui da te. Io, poi, ti rivedo piú tardi o quando preferisci ma, nel frattempo, ti va di dargli un’occhiata? Posso farlo entrare? Non è detto che debba succedere per forza qualcosa, eh? Però intanto conoscetevi, va bene?

Lei, senza nascondere la propria curiosità, rispose di sí. Coppa puntò il telecomando sull’ospite. Ancora una volta, premendo quel paio di pulsanti, sparí dallo schermo facendo apparire Corrado al posto suo. La donna appena lo vide emise un urlo. Poi si fermò un attimo, incredula, spalancando gli occhi. Tirò su il lenzuolo dal letto e cercò di coprirsi. Riprese a urlare ancora piú forte.

– Che cosa urli? – le chiese stancamente lui.

Il bassista cominciò ad allarmarsi. Gli strilli di là aumentavano di volume nonostante lei si tenesse una mano sulla bocca. Corrado teneva la testa piegata, lo sguardo fisso sul letto, sembrava non potersi piú permettere altre emozioni.

Oh cazzo, è proprio sua moglie, pensò Coppa assalito da una botta di ghiaccio nel sangue. Non sapeva cosa fare. Ripensò a tutte le reazioni di quel tipo, che cosa aveva programmato? Voleva farle del male? O addirittura peggio? Armi addosso non sembrava portarne. Aveva progettato qualcosa anche per lui? L’angoscia gli saliva a vedere uno psicopatico travestito da pacioccone starsene immobile là dentro mentre una donna urlava come se la sgozzassero. Cosa sarebbe successo se lo avesse tirato fuori di lí adesso? Cosa sarebbe successo se avesse fatto qualcosa a lei nel filmato? Cosa sarebbe successo con lui una volta uscito?

Recuperò una statuetta d’acciaio – premio per un secondo posto in un concorso di liscio – sufficientemente pesante e appuntita in cima da poterla usare come arma. Poi vide che Corrado si allungava lentamente fino a posare la testa, in giú, sulle gambe della donna la quale aumentò, se possibile, l’intensità delle urla. Dopo poco le spalle di lui cominciarono a rimbalzare e un po’ tutto il suo corpo sembrava scosso da colpi secchi. Lei cominciò a calmarsi. Coppa posò la statuetta sul tavolino.

Ora il marito stava singhiozzando sempre piú forte – le fasce di grasso sull’addome saltellavano gelatinose senza ritegno – e la donna cominciò, molto lentamente, ad abbassare le braccia. Ci vollero un paio di minuti perché le sue mani fossero all’altezza della testa di Corrado. Molto prudentemente prese a carezzargli i capelli. Lui continuava a singhiozzare ma in silenzio; lei teneva serrate le labbra.

Coppa credette di vedere nella faccia di quell’omone la presenza di un bambino. Ci volle ancora un po’ ma poi riuscí a tranquillizzarsi del tutto. Mosso forse da qualche forma di pudore, girò sul canale dove c’era lo smilzo. Soffiò fuori l’aria e poi, mentre guardava come quello se la cavava, prese in mano il basso e cominciò a suonare Wild Thing.

Mentre li salutava con il braccio, pensò che doveva stare piú attento. Il piú magro dei due aveva promesso che sarebbero tornati. Sperava proprio di no o, comunque, quella volta lí si sarebbe inventato una scusa.

– Dài, dimmi tutto, – disse pimpante Schello mentre Corrado guidava.

– Non ho fatto niente.

– Come niente? Vuoi dire che non te ne piaceva neanche una? – l’amico non rispose. – Mi dispiace ma mi sembrava che ci fosse una certa scelta. E pensa che io ne ho visto solo metà.

Era ancora troppo eccitato perché quel suo dispiacersi suonasse vero in qualche modo.

– Io l’ho ritrovata, capisci, vecchio? L’ho ritrovata. Hai visto, no? Turci e il Manta non raccontavano balle. Occazzo, adesso che ci penso, non è che se la sono fatta anche loro?

– Sono contento per te, – ripeté Corrado.

– E se voglio la trovo sempre lí. Ma senza complicazioni. Niente convivenze, niente compromessi. Pazzesco. E per lei sarebbe sempre la prima volta mentre io saprei sempre cosa le piace. Basta solo fare partire la registrazione da quel punto. A proposito non è che il nastro si consuma? Qualche riga la faceva già... Io ci faccio un contratto con quello. Magari di esclusiva. Cosa dici, sarà possibile?

Per il resto del ritorno ognuno dei due decise di lasciare l’altro ai propri pensieri.

Sulla provinciale Corrado notò un mazzo di fiori deposto su un guardrail che delimitava una curva. Lo osservò fin quando gli fu possibile.

Schello scese di fronte al portone di casa:

– Venerdí prossimo? – chiese.

– Sentiamoci, dài, – gli rispose l’amico ripartendo.

Percorse tutto il tragitto fra i venti e i trenta all’ora. Diverse macchine lo sorpassarono. Non badò ai colpi di lampeggiante né ai gesti di chi lo stava insultando. Fece quattro volte il giro del quartiere. Parcheggiò in garage; si sedette sul marciapiedi. Lasciò passare un’ora prima di rialzarsi ed estrarre le chiavi di tasca.

Le lasciò cadere sul tavolino dell’ingresso. La voce di sua moglie, di là, disse:

– Ehi, ciao.

– Ciao.

– Pensavo faceste piú tardi. Tutto bene? Mi sono appena messa a letto. Mi raggiungi?

Lui si girò verso lo specchio. I suoi occhi erano ancora arrossati. Fece qualche smorfia. Sembrava non riconoscersi in nessuna di loro.

– Dammi dieci minuti, – rispose.