Sala d’attesa
Di tante altre entità si avvicinò proprio a quella.
– Aspetti da molto?
– Boh! – aveva risposto l’Altro senza nemmeno girarsi a guardarlo.
– E che numero hai?
– 387PT240JZ, – rispose meccanicamente mentre continuava a fissare davanti a sé.
– Be’, sembra un buon numero.
– Ah sí? E cosa te lo fa pensare? – chiese l’Altro. Ora lo scrutava fisso. L’Uno fece un passo indietro.
– Non so, una… sensazione, – pronunciò la parola sensazione dopo una pausa studiata, come sfoderandola da qualcosa. Come a dire: adesso ti faccio vedere io.
– Ohuoh... piano, piano… sottovoce… – sbottò l’Altro dando un occhio attorno. Continuò sussurrando:
– Sensazione? Fai il furbo? Cosa ne sai di sensazioni?
– Niente, però dicono che laggiú le sensazioni sono tutto. Provo ad allenarmi anche solo pronunciando la parola.
– Tu che numero hai? – domandò l’Altro riprendendo il tono normale.
– Un numero con troppi sei dentro.
– Perché, cos’hanno i sei che non va?
– Non lo so. So che nel mio numero ce ne sono troppi.
Tre altre entità si girarono contemporaneamente verso di loro facendo segno di tacere. L’Altro chiese scusa a nome di entrambi e poi fece un gesto a l’Uno come a dirgli: lo vedi? La voce attorno a loro dichiarava:
– 442FK079BB. Sesso: maschile. Colore: misto. Base di partenza: Germania, Europa. Condizioni familiari: agiate. Occupazione prevalente: manager alberghiero.
– Non suona male. Cosa sarà un manager alberghiero?
– Scommetto che sei uno di quelli che se lo chiedono per ogni assegnazione.
– In effetti.
– E te lo chiedi ogni volta anche se sai benissimo che qui nessuno può rispondere?
– Perché, scusa, tu no?
L’Altro scosse la testa.
– Come sei messo col karma?
– Seee, il karma. Già capito. Sei uno di quelli che ascolta qualsiasi chiacchiera qui dentro.
– E l’Assegnatore? Cosa sai dell’Assegnatore?
– Oh… ma vuoi parlare piano? – gli sembrava che altre entità li stessero guardando male. – L’Assegnatore è Tutto. Non è quello che ci hanno detto?
– Massí, chiedevo solo se sapevi qualcos’altro.
– Tu cosa fai tutto il tempo a parte chiedere?
– E tu invece? Aspetti e basta? Non vuoi sapere almeno un po’?
– Mi vuoi dire che ancora non hai capito che non c’è modo di farlo? Quelle che girano sono tutte ipotesi, invenzioni, pettegolezzi. Niente di provato. Ma se anche ci fosse dato di sapere, che cosa te ne faresti visto che una volta giú dimentichiamo tutto?
– Ecco, per esempio tu hai capito perché una volta che siamo laggiú dobbiamo dimenticare tutto? – chiese l’Uno.
– Ho sentito che lo fanno succedere perché quello è un mondo strano. Cosí strano che se ci portiamo dietro ciò che sappiamo rischiamo di non farcela.
– A me sembra impossibile. Come fa uno a dimenticare tutto quello che sa?
– Succedere sembra che succeda. Questo lo dicono proprio tutti. Però magari anche quella è una voce che ha solo preso piede piú di altre. Chi lo sa?
– Io ci ho pensato e ripensato. Non riesco proprio a trovarci un senso.
L’Altro non gli diede corda. Quello lí sembrava essersi arenato sull’argomento. E poi, comunque, quanto parlava.
– Come anche per la storia di tutti quei buchi... mah...
– Quali buchi?
– Ma sí, dài. Un buco per fare entrare il carburante. Che però deve essere sia solido che liquido. Due buchi per fare entrare e uscire aria. Due per fare entrare i suoni. Due buchi che non sono buchi ma che poi, in fondo in fondo lo sono, da cui entrano le immagini. E soprattutto un altro paio da cui escono gli scarichi e attraverso gli stessi, con una serie di sfregamenti, si dovrebbe provare piacere e riprodursi.
– Be’ sí, quella roba è davvero troppo strana per essere vera. Però è un’altra voce che gira tantissimo. Chissà… – concordò l’Altro.
… Base di partenza: Hong Kong, Asia...
– Sembra inutilmente complicato.
– A me sembra meravigliosamente semplice.
Rimasero per un po’ in silenzio a guardare il varco.
– E, a proposito di buchi, da qualche parte ce n’è uno qui, te lo dico io.
– Un buco?
– Sí. C’è per forza. E ci passano attraverso le cose che si sanno. Conosci qualcuno in zona capace di inventarsi tutto quello di cui si dice?
– Se è per questo non conosco quasi nessuno.
– C’è un buco, fidati. Magari sanno che non possiamo andare laggiú senza nessunissima preparazione e ci fanno arrivare alcune informazioni ad arte. Oppure le fanno entrare di nascosto lasciandole in giro e chi ci arriva ci arriva perché ci deve arrivare.
L’Altro si guardò tutt’intorno come a controllare se quel foro gli potesse mai essere sfuggito.
– Ti dirò di piú, da quel buco passano anche le informazioni da qui a laggiú. Lo so.
– E perché dovresti saperlo?
– Perché sí.
– E perché dovrei crederti?
L’Uno guardò il suo nuovo amico. Ebbe la tentazione di rimanere in silenzio. Durò poco.
– Vorresti essere maschio o femmina?
– E che cosa ne so io? Basta che si sbrighino che ho voglia di un po’ d’azione.
– Io vorrei maschio. Mi sa che ci si diverte di piú.
– E chi te l’ha detto?
– Parliamo sempre di sensazioni.
– E piantala. Cosa ne puoi sapere di sensazioni?
– Chissà. Magari ho una sensazione sulle sensazioni.
Ci fu qualcosa che si formò dentro ognuno dei due. Se avessero saputo cosa fosse il calore l’avrebbero chiamato cosí. Se avessero saputo, l’avrebbero chiamata allegria. Ancora una volta la voce:
– 812QE119AL. Sesso: maschile. Colore: bianco. Base di partenza: Canada, America. Condizioni familiari: precarie. Occupazione prevalente: musicista.
– Bello, sai cos’è un musicista?
– Allora lo fai apposta.
– Questo vorrei saperlo piú di tutti. Musicista.
– Va be’, rassegnati. Lo scopri quando scendi.
– Ecco, a proposito: siamo sicuri di scendere?
– In che senso?
– Il posto in cui finiamo è sotto di noi?
– Certo.
– Perché sarebbe certo?
– Perché hanno sempre detto tutti cosí: si scende, si va laggiú.
– Avrà a che fare con le sensazioni?
– Scendere?
– Ma no, essere musicista.
– Ogni cosa ha a che fare con le sensazioni là sotto, lo dici anche tu, no? Quindi anche essere musi… cista. Si dice cosí?
Le tre entità vicine si voltarono ancora e uno di loro:
– Volete stare zitti?
L’Uno e l’Altro finsero di mettersi attenti. Ora parlavano quasi sibilando:
– Secondo te si possono fare baratti?
– Ah, perché tu saresti uno di quelli che farebbero cambio cosí, alla cieca?
– Non proprio alla cieca, seguendo un suono. Certe assegnazioni non ti suonano meglio?
– Metti che fosse possibile – e non lo è, non si è mai sentito niente del genere – secondo te qualcuno rinuncerebbe a un’assegnazione per la quale scenderebbe subito per fare cambio con un’altra – che tra l’altro non può sapere se è meglio o peggio – per cui deve aspettare chissà quanto?
– Be’, se la sua assegnazione non gli dovesse suonare bene…
Aspettò un po’ ma dall’Altro non arrivò nessun commento.
– Per esempio io sento suonare benissimo quell’assegnazione lí: musicista. Io sarò cosí.
– Tu sarai come ti dicono di essere.
– Appunto, mi diranno di essere cosí.
Il suo nuovo amico stava per chiedergli come facesse a saperlo ma poi immaginò che quello avrebbe tirato fuori ancora una volta la storia delle sensazioni. Scosse la testa e guardò di nuovo verso il varco.
– Mi hanno detto che c’è uno che è qui da tantissimo.
– Ah sí? E come mai? – si riprese l’Altro.
– Questo non me l’ha saputo dire nessuno. Tu non hai mai sentito niente?
– No. E chi l’ha detto a te come fa a saperlo?
– Mah… il solito si dice.
– Ah, si dice.
– Va be’ ma questo riguarda le cose qui e non quelle laggiú, non credo che sia nato dal niente, qualcosa ci sarà.
– Ma poi, scusa, anche se fosse?
– Come anche se fosse? Io ci voglio parlare.
– E dài, di nuovo. E poi?
– Oh, sta’ a vedere che son finito con l’entità sbagliata.
L’Altro non rispose nemmeno. Prestava attenzione, piuttosto, alla solita voce.
…sso: femminile. Colore: nero. Base di partenza…
L’Uno si guardò per un po’ attorno. In diversi continuavano a fissarlo. Tutti sembravano dire: cosa ti giri? guarda avanti, il varco è là. Arrivò un’altra entità che gli si avvicinò furtiva e, indicandogli un’altra figura, disse: è quello, è quello. L’Uno gli chiese: sei sicuro? E il nuovo arrivato rispose di sí. Allora lui si avvicinò all’Altro e gli disse:
– Scusami, torno subito.
– E se mi chiamano?
– E se ti chiamano vai di corsa, no?
Detto questo si avvicinò alla figura che gli era stata indicata dall’entità amica. La studiò minuziosamente man mano che si avvicinava. Non gli sembrava di notare differenze rispetto agli altri attorno.
– Scusa, è vero che sei qui da tanto? – gli chiese appena fu possibile.
– Chi te l’ha detto? – lo sguardo fisso sul varco.
– Si dice in giro.
– Si dice si dice… Non lo so se sono qui da tanto.
– Be’ forse l’avrai capito da quanti ne hai visti partire.
– Se è per quello allora sí, ne ho visti partire moltissimi.
– E secondo te come mai non ti hanno ancora chiamato?
– Mi chiamano. Adesso mi chiamano.
... Colore: misto. Base di partenza: Grecia, Europa. Condiz…
– C’è qualcosa che sai del mondo laggiú?
– Perché tu ne sai qualcosa?
– Ti dico tutto quello che so se mi dici quello che sai tu.
– No. Non hai niente da dirmi che io non sappia già.
– E come lo sai?
– Lo so.
– Va be’ allora dimmi quello che sai tu e basta.
– Non posso.
– Perché non puoi?
– Perché voglio sentire quando mi chiamano.
– Ma figurati se non lo senti mentre mi racconti. E poi dovrebbe succedere proprio adesso?
– Certo che sí. Potrebbe.
– Allora dimmi il tuo numero cosí sto attento anch’io e la chiamata non ci sfugge. Ho sentito parlare di mare e di acqua. Non c’ho capito niente. Cosa sono?
– Voglio sentire le assegnazioni a tutti gli altri. Ti dispiace?
– Il sangue. Cos’è il sangue? E la frutta?
– Ho detto: ti dispiace?
L’Uno se ne tornò da dove era venuto.
– C’ho parlato ma secondo me non è lui.
– Di chi stai parlando? – chiese l’Altro.
– Di quello che dovrebbe essere qui da tantissimo.
– Ah. Senti, ma il tuo numero per caso è 266FK696AV?
– Come fai a saperlo? Non te l’ho mai detto.
– L’hanno chiamato due volte.
L’Uno si precipitò verso il varco. Appena arrivato cominciò a urlare:
– Chiedo scusa, chiedo scusa, ho perso la chiamata.
La voce continuò imperterrita nel proprio compito.
– 266FK696AV. Sono 266FK696AV. Chiedo ancora scusa ma sono qui e sono pronto.
Vide altre due entità passargli di fianco e infilare il varco.
– Posso parlare con qualcuno? Basta che mi diate l’assegnazione e tutto riprende normalmente.
… Occupazione prevalente: fisioterapista…
– Per favore. L’assegnazione e mi sposto da qui.
Non riuscí ad aver alcun segno da nessuno e allora provò ad accodarsi alla prima entità che infilava il varco ma venne rimbalzato. Ci riprovò un altro paio di volte ma qualcosa nell’ingresso gli si chiudeva.
– È successo ancora? Una chiamata persa viene richiamata presto? Tardi? Mai piú? Devo cambiare numero? Chi me lo cambia?
Non ottenne alcuna risposta. Tornò dall’Altro.
– Almeno hai sentito che assegnazione era?
– Certo che sí.
– E allora? Dài dimmi…
– Ah, ma non la ricordo mica piú, con tutte quelle che dicono.
– Ma scusa questa l’hanno appena detta.
– Sono una dietro l’altra, impossibile ricordarle.
– Non ti credo, lo fai apposta.
– E perché dovrei farlo?
Si guardò intorno, avrebbe voluto chiedere ad altre entità ma sapeva che ogni assegnazione veniva immediatamente dimenticata. A proposito, com’era quella che gli piaceva tanto? Gli sembrava che cominciasse con la emme.
– Conosci qualcun altro qui?
– Di numero quasi tutti.
L’Uno diede ancora un’occhiata in giro. Poi, di colpo, chiese:
– Ti dispiace se ti vengo vicino vicino?
– Ma perché, scusa, adesso non siamo vicini?
– Intendo di piú.
– Va be’, se proprio ci tieni.
Il limite fra le due entità divenne difficile da distinguere.
– Non vedo l’ora di provare solletico, – disse l’Altro.