Quanto mi fai schifo, zecca umana.

– Come scusa? Da qui sono piú o meno tre ore. Certo che facciamo in tempo per il soundcheck.

Come se te ne fregasse qualcosa, non lo fai mai il soundcheck. Io comunque ti ci porto per tempo. Porto sempre per tempo chiunque, io. Tu farai un po’ il cazzo che ti pare. Finché te lo lasciano fare…

– Hai ragione, ieri sera ce li avevi proprio in mano. Sembravano impazziti.

Sono abituato a non stupirmi piú di niente ma tu sei proprio un caso oltre ogni limite. I tuoi pezzi fanno vomito, te anche peggio. Chissà cosa gli prende alla gente a un certo punto. Ma poi guardati. La star. In genere si mettono tutti qui davanti, sul sedile di fianco a me, ma tu no. Tu lí dietro. Come se io portassi una limousine. Sei solo una macchietta, la parodia dei tuoi – perché hai il coraggio di chiamarli cosí – colleghi americani. Non ti si può guardare vestito cosí, con quella faccia lí. Cos’hai, trentacinque anni? Sei incartapecorito per il rap.

Hai beccato un pezzo per culo e adesso non ti vedono come sei veramente perché il successo fa quell’effetto lí, ma io ti vedo bene e lasciatelo dire, moscone da merda, o meglio merda da moscone, sei patetico oltre ogni limite. Ma tu guarda quanto piove.

– Sí, ha chiamato me verso mezzanotte. Diceva che il tuo cellulare era spento. Le ho detto che eri stanchissimo e che eri già a letto.

Tua moglie, poveretta. «Non le hai mica detto una balla, Rancio. Ero davvero a letto». Ma vaffanculo, va’, tu e le tue battutone. Mi vorresti complice. Dovrei ridere. Che mestiere del cazzo.

– No, no, non c’era nessuna emergenza. Gliel’ho anche chiesto. Sembrava solo un po’ giú.

Ma sí, dài, fai finta di preoccupartene. Certo, certo, prima di sera riaccendi il cellulare e la chiami. Cosa te ne fai di una moglie? Ah già, tiene pulita casa. E io pulisco i tuoi schizzi di vomito in giro.

– Per quello che riguarda il portiere dell’hotel, te l’ho già detto, siamo a posto. Lo conosco bene. Come? Be’, certo, l’oliatina c’è voluta. E comunque in quell’albergo ci porto sempre altri artisti, lo sa che deve stare muto se non vuole perdere certi clienti.

C’ho messo quasi due ore per convincerlo, ebete. Non ne voleva sapere, continuava a dire che rischiava troppo. Stava per denunciarti, coglione.

– La ragazza, dici? Dovrebbe starsene zitta anche lei. Le ho parlato a lungo stamattina prima che uscisse dall’albergo. La sensazione è che taccia.

Magari parlasse. Magari facesse il casino che meriti.

– Certo era molto giovane. E quando sono cosí giovani fanno fatica a non dire niente alle amiche. Comunque ha giurato. Piú volte.

Echeccazzo ne so io di questa? Parla… non parla… E poi dipende a chi e con quali conseguenze, beota.

– In ogni caso, per tagliare la testa al toro, le ho promesso un pass per tutto il tour.

Cosí mi toccherà gestirla ogni volta che viene. Ti vorrà vedere e tu non ne vorrai sapere. Saranno ancora cazzi miei. Ma cos’altro le potevo offrire per tenerla buona?

– Come dici? Che comunque sarebbe pur sempre la sua parola contro la tua? Be’… sí…

Quattordici anni, brutto schifoso, cosa ti aspetti? Sei famoso, ciotola di diarrea, non so perché ma sei famoso con tutto quello che comporta. Non fosse cosí, tutte queste non ti toccherebbero neanche con la canna da pesca. Se lo vengono a sapere i suoi sei arrostito, imbecille.

– Non lo so se è una buona idea chiamarla per tenerla buona. Quando non le telefonerai piú potrebbe fare di peggio.

Io ci ho provato a farti ragionare, animale, non ti ricordi? Guarda che è davvero molto piccola, ti dicevo: perché non una fra quelle, per esempio, sono gnocche e sembrano volerti mangiare. Prendine una da lí, no? Carne comunque giovane, saranno sui vent’anni. Mi permetto di insistere: hai cosí tanta scelta… quella è davvero piccolina.

Ma ci avevi già quegli occhi tossici per cui non ti si va alla testa. Complice. Sono sempre un complice. Mestiere di merda.

– Dici che tante sono già donne prestissimo? Boh, non sono un esperto.

Non ti spalleggerò, lo capisci? Non ti alleggerirò la gobba. Se ti azzardi ad avvicinarti a mia nipote ti strappo il filone dalla schiena. Sempre se ce l’hai un filone nella schiena. Ma perché non ti suona il telefono? O non suona il mio? Datemi una pausa da questa cloaca. Per favore. Comunque questo è un diluvio. Qui ci stanno prendendo a secchiate e sto volvo non è nemmeno anfibio.

– Da quanto tempo non scopo io? Dunque vediamo… oggi cos’è? Martedí... allora è... dal settantotto.

Ridi, ridi, deficiente. Hai il coraggio di essere di buon umore.

Adesso però sarà meglio cambiare argomento perché ti conosco e… Oh, no. Eccoti. Solo uno come te può vantarsi delle imprese su una bambina. Non li voglio sentire i dettagli, sottospecie di pedofilo. Dài Rancio, pensa a qualcos’altro. L’organizzazione di oggi, per esempio: arriviamo a Pescara... l’albergo è quello nuovo... lo lascio giú in camerino e… Taci, taci sacco di merda. Dopo Pescara abbiamo Ancona, Pesaro, le date sono messe giú abbastanza ben... oh no. Brutto bastardo. Come hai potuto? Ma certo, tutto torna, me la ricordo bene la faccia della ragazzina stamattina. E io a doverti fare da ruffiano. Non posso. Non posso piú.

«L’artista ha diritto a tutto». Ma andate a fare in culo, agenzia, capo… tutti ho detto. Intanto te come si fa a chiamarti artista? Come si può usare per un ignobile come te lo stesso appellativo usato per Beethoven? O Leonardo? O Chaplin? Come possono obbligarmi a definirti cosí? Mi decidessi a cambiare lavoro. Quarantadue anni e non saper fare altro.

Cosa cazzo vuoi ades…

Si fermò tutto.

Automobili, nuvole, figure umane, display, camion, radio, uccelli e il loro guano, moto, tachimetri, aerei, pistoni, tablet, frecce di segnalazione, pioggia, cani accucciati dietro, ventole, navigatori, bypass coronarici e non, cartacce, orologi, tergicristalli, pullman, gatti in gabbia, quadri strumenti, autovelox, rapper sul sedile posteriore, tutti fissati come in una fotografia scattata da qualche dio.

Rancio, dispensato, si guardava intorno. Sbuffò. Batté alcune volte la fronte sul volante mentre diceva ancora? ancora? Si calmò, soffiò fuori l’aria e si girò verso il suo assistito. L’espressione in cui era stato bloccato non era cosí distante dal suo solito ma Rancio rise sguaiatamente, quasi isterico. Poi dal cassetto nel cruscotto estrasse il sacchetto di filtrini e quello con l’erba, il pacchetto di rizla, una marlboro e se ne rollò una.

Uscí dalla macchina. Le gocce di pioggia erano sospese a mezz’aria ognuna ad altezza diversa. Guardò verso l’alto e notò che su buona parte di esse c’era il sottilissimo filamento della scia. Rimase incantato a fissare quella larga trama che rigava organicamente il cielo. Questa poi… disse. Notò che le gocce in cui incocciava emettevano debolissime note tutte diverse fra loro. Provò inutilmente a ricavarne una melodia.

Si spostò tenendo riparata la canna fra le mani. Fece scoppiare tutte le gocce nei due metri quadri in cui decise di fermarsi e poi si sedette lí, nel bel mezzo dell’autostrada. Si accese lo spinello e pensò: se riparte tutto adesso sono fottuto, mi travolgono… sarà quel che dev’essere.

In tutta quell’immobilità gli venne naturale rallentare ogni movimento quasi come pensasse di economizzarlo. Le boccate di fumo erano lente e profonde. Si sdraiò e rimirò la composizione della pioggia bloccata in verticale su di lui.

Poi decise di avventurarsi a esplorare un paio di macchine poco piú avanti della loro. Durante il cammino le gocce, esplodendo, davano la sensazione di un carillon cacofonico che girava veloce. Sulla passat bianca c’era una coppia immobilizzata durante un evidente litigio; i due si stavano odiando. Sul sedile posteriore un ragazzino di dieci undici anni portava grosse cuffie che gli coprivano interamente le orecchie. Lo sguardo assente oltre il finestrino. Alla guida della mini minor amaranto una ragazza con i capelli a caschetto e gli occhi grandi stava sorridendo con una bocca larga e carnosa. Indossava gli auricolari, bloccata nel mezzo di una telefonata. Lui la trovò bellissima e non resistette, aprí la portiera e le annusò le spalle, il collo e la faccia. Poi le baciò molto delicatamente le labbra. Ebbe l’istinto di tastarle il seno ma si trattenne, ne sfiorò solo i contorni. Richiuse la portiera e salí sul guardrail.

Scrutò per un po’ quella natura morta. Era piena di altre storie, almeno una per macchina, pensò, ma pensò anche che comunque, bene o male, le conosceva già un po’ tutte. Decise di non voler piú rischiare di essere travolto e risalí sul volvo. Prese in considerazione di sputare in faccia al cantante, avrebbe potuto pulire prima che tutto ripartisse e se non avesse fatto in tempo voleva dire che era destino. Ma, si disse, quell’insulso non meritava nemmeno il suo sputo.

Non sapeva cosa fare, non sapeva quanto avrebbe dovuto aspettare ma aspettò. Aspettò. Aspettò fin quando tutto ripartí.

– Be’, grazie. Faccio solo il mio mestiere.

Certo che sono leale, putrido che non sei altro, è la prima regola del mio lavoro. Ecco, mancava solo quello adesso, la tiritera sul successo. Ma sí, poverino, quanto ci si sente soli e non ci si può fidare di nessuno, e ognuno che vuole qualcosa da te. Dài, dài, sfogati, di’ pure a mamma tua, fammi piangere. Tutta questa fragilità. Quello che hai fatto stanotte è per via della fragilità, eh? Che sfiga che avete con tutta quella sensibilità. Vaffanculo. Non ce la faccio piú, ho bisogno di dirtelo a voce alta il mio vaffanculo. E comunque tu non lo sai nemmeno che cosa sia il successo. Io li ho portati in giro quelli che ne hanno avuto uno vero. Ho visto com’è. E te che ne annusi appena appena l’odore sei già partito e chissà chi cazzo ti credi. Duri un anno, ecco quanto duri. Il Rancio queste cose le sa. Lascia pure che dicano che il successo è imprevedibile. L’unica cosa imprevedibile è che te ne sia capitato un po’. Ma che tu duri poco te lo mette per iscritto il nonno qui. Mi piacerebbe scommetterci su con te, ma non posso, capisci? Dobbiamo tutti farti vivere la tua illusione.

Sei un rapper. Sei duro e puro. Ne ho portati di altri che fanno il tuo genere e, certo, il successo non fa schifo a nessuno ma almeno loro gli mettono davanti le cose che vogliono dire. Si capisce da dove vengono le loro parole e si vede che si impegnano a starci attaccati. Tu per dieci passaggi del tuo pezzo in radio apriresti in due tua madre. Duro e puro. Stai dalla parte della gente, eh? Ripassa quando non ti cagano piú. Vieni allora. Vieni, vieni.

Vienimi a dire di tenerti la coca che se la trovano a te è un casino. E se la trovano a me, demente? Ci hai mai pensato? Certo che no. Oppure, ancora peggio: certo che sí. Saranno cazzi miei, eh?

Vieni a chiedermi di fermarci ogni tre autogrill che poi hai il coraggio di lamentarti in ogni caso: se ti chiedono la foto o se non ti riconoscono.

Vieni, quando sarà quel momento, a fare le pulci a ogni stanza d’albergo. Come se non ti portassi sempre nelle migliori, idiota. Già dimenticate le bettole che ti toccavano fino a sei mesi fa, eh?

Sei duro e puro.

Ripassa allora e chiedimi di portare tua madre al mare e di andarla a prendere a fine ferie. Io il postino e lei il tuo pacco postale. Che poi se fosse per tua madre lo farei anche, il problema è che ha la colpa di avere messo al mondo te. Vieni a indicarmi la tipa che vuoi che ti faccia trovare in camera. Sempre io il postino e lei, qualunque lei, un altro pacco postale. E poi chiedimi di coprirti con tua moglie. Vieni pure. Vieni che ti copro io dal mondo.

Vieni a farti consolare dalle brutte recensioni. A farti dire che certi giornalisti sono proprio stronzi. O incapaci. È vero: «incapaci» ti fa stare meglio. Io non ce l’ho mai avuta una recensione. Ti è mai passato per quella testa di cazzo? E poi fai il tuo capolavoro: vieni, quando sarà ora, a lamentarti dei tuoi guadagni. Con me, deficiente, che neanche in due vite intere a sgobbare e mangiare merda vedrò i soldi che farai tu in un anno di bisboccia.

E visto che ci sei, quando ci sarai, vienimi a dire che meno male che ci sono io. Che i tuoi amici se ne sono andati tutti. Di chi è la colpa, rimbambito? A proposito, io non ho moglie, non ho la ragazza e i miei amici li vedo pochissimo per stare dietro a merde come te. Cosí… era per presentarmi. Non sai un cazzo di me. E perché te ne dovrebbe fregare? Solo perché «sei con la gente»? Duro e puro.

Vienimi a chiedere di confermarti quanto sei buono ogni volta che fai beneficenza. Che passi piú tempo a twittarla e postarla e metterti d’accordo col giornale che non a farla. Vienimi a raccontare quanto sei diverso da tutti gli altri. Vieni a farmi morire dal ridere. Vieni pure quando sarà ora. Quando arriveremo «al dunque». Perché, scusa, non l’hai capito?, è lí e soltanto lí che saremo «al dunque».

Mi troverai educato con tutti i miei «non posso». E io lo so l’effetto che ti faranno quei semplici «non posso». L’effetto che faranno proprio a te, proprio in quell’istante.

La prima regola del mio mestiere è essere leale. E io lo sono fino in fondo. Ma con l’agenzia, cretino.

– Pronto. Salve, capo. Sí, tutto a posto. No, no, nessun problema. Arriveremo in tempo per il soundcheck ma non so se lo farà. No, mi sta dicendo adesso che non lo farà. Forse è meglio se te lo passo. Tieni, il boss ti vuole parlare.

Ma sí digli che ormai il soundcheck è inutile. Non sei mica un cantante, no? Però la gente che entra paga soldi buoni. E casomai non riuscirà nemmeno a sentire le tue rime – chiamiamole cosí – perché ti tirava il culo perdere cinque minuti a provare l’impianto. Vienimi a dire che alla gente devi tutto. Io, fino a «quel» momento me ne starò zitto. Sono un professionista. Conosci il significato del termine?

Ah, ma... senti senti… allora il boss ha saputo qualcosa di stanotte. Qualche voce è passata. Senti senti… senti un po’… Eh, le balle che provi a raccontare. E come ti trema la voce. Cosa fai, mi crolli? Mi sa che il capo ha già capito e sta già decidendo se difenderti o lasciarti al tuo destino.

Hai beccato una canzone per l’estate, cocco, niente di piú. Quella ragazzina è stata fuori tutta la notte. Potrà anche dire che è stata da un’amica ma da un controllo incrociato dei suoi verrà fuori che è una balla.

Riuscirà a reggere la pressione, o parlerà? Sei nella lotteria, mezza sega. Se tirano su il numero sbagliato non ti salva nessuno. Balbetti, eh?, ti caghi addosso. Be’, ora lo sai: non possiamo pulire proprio tutta la merda.

– Senti, pensavo: invece che Rancio, perché non mi chiami col mio vero nome, cioè Alberto?

Lo vedi che sei tonto?

E mi ringrazi pure, tutto commosso con quel beccuccio tremulo. Non è per aumentare la confidenza fra di noi, idiota. È che solo gli amici mi chiamano Rancio.