MARLOW
I finestrini dell’auto di Busara sono completamente abbassati e io tremo in preda ai brividi… ma il freddo è preferibile all’odore che emano. Avrei dovuto davvero usare i pannoloni.
«Ci siamo» annuncia Busara, indicando attraverso il parabrezza una villa sul fianco di una collina. È a tre piani e la facciata, che dà sulla foresta, è quasi interamente di vetro. Questa costruzione mi ha sempre affascinato. Da bambino mi sembrava una gigantesca casa per le bambole e non riuscivo a capire come mai i proprietari avessero deciso di mettere in mostra la loro vita.
«Andiamo lassù?» chiedo. Il vialetto che porta all’ingresso è esposto e non ci sono altre abitazioni intorno. «Saremo visibili da ogni punto della città. Hai dimenticato che sono in fuga in questi giorni? Sei sicura che sia necessario?»
«Sì, sono…» Busara viene interrotta da un assordante segnale di allarme del suo cellulare che sembra voler annunciare la fine del mondo. Mentre lei devia bruscamente, io prendo il telefono e abbasso il volume. Sul display appare un messaggio.
«Vi stavo aspettando. Non salite fino alla casa in auto. Fermatevi appena potete. Da lì vi guido io» leggo ad alta voce. Poi alzo lo sguardo, sorpreso. «Che diavolo sta succedendo?»
«È Marlow» mi informa Busara. «Deve aver installato il sistema di tracciamento dei movimenti dentro i confini della proprietà.»
«Stiamo andando da Marlow? Perché?»
«Perché forse ci siamo sbagliati sul suo conto.»
Busara si ferma sul ciglio della strada, e mentre spegne il motore, un piccolo drone nero si avvicina al suo finestrino e rimane fermo a mezz’aria finché non scendiamo. Poi si dirige verso il bosco, e Busara gli va dietro senza esitazione.
«Ci mettiamo a seguire un drone a caso?» le grido.
«Hai un’idea migliore?» urla lei di rimando.
La raggiungo e ci inoltriamo insieme nella foresta. Il piccolo drone nero vola qualche metro davanti a noi. Quando il pendio si fa più ripido, comincio a lanciare occhiate a Busara. Le si stanno formando piccole gocce di sudore lungo l’attaccatura dei capelli. Non ha un bell’aspetto. «Sicura di farcela?» le chiedo.
«Sì» risponde con una voce che suona determinata, ma non troppo convincente. Poi mi fa un mezzo sorriso. Credo sia il suo modo di dirmi che le dispiace di non aver corso alcun rischio in Otherworld.
«Possiamo tornare indietro.» Non so quanto possa resistere ancora. Ho l’impressione che finirò per portarla via di peso.
«Siamo quasi arrivati» ansima. «Guarda.»
Alzo la testa e mi accorgo che tra gli alberi spunta un pezzo di casa. Il mio sguardo si spinge senza incontrare ostacoli fino alla palestra al pian terreno, dove Marlow sta sollevando pesi in boxer. «Sapeva che stavi arrivando» dico con una risatina. «Come mai non si è vestito? C’è niente che tu voglia dirmi?»
«Sì, c’è. Non credo che quello sia Marlow.»
La fatica deve averle annebbiato il cervello, perché, a meno che Marlow non sia stato clonato, quello è decisamente il mio piccolo amico che si allena dentro casa.
«E ora chi è la spia?» dice qualcuno alle nostre spalle, e quasi mi prende un colpo.
«Marlow?» I miei occhi guizzano avanti e indietro tra il tizio nella villa e quello davanti a noi nel bosco. Questo ragazzo indossa jeans sporchi di fango e sembra sia qui fuori già da un po’.
«L’unico e solo» dice Marlow, con la voce che trema leggermente.
«Oh, mio Dio» esclama all’improvviso Busara, ignorando il Marlow davanti a noi e guardando quello in casa che solleva pesi. «È quello che penso che sia?»
«Già» risponde lui. «Non sanno che ne ho uno. Lo accendo quando ho bisogno di fuggire. Sono abbastanza sicuro di essere sotto stretta sorveglianza.»
«È fantastico» dice Busara ammirata.
Io non ho ancora idea di cosa sia, né di come questi due siano finiti a condividere segreti. «Di cosa diavolo state parlando, tutti e due?» sbotto. «E se tu sei il vero Marlow, chi è il tipo lì dentro?»
«Non è un tipo, è un ologramma» mi spiega Busara.
«Quello non è un ologramma» ribatto. «E anche se lo fosse, come fai a saperlo?»
«È un prodotto della Compagnia, il primo proiettore di ologrammi tridimensionali che genera un’immagine opaca, realistica. L’ha inventato la mamma di Marlow. Lei e mio padre lavoravano insieme in California, nel laboratorio innovazioni della costa occidentale della Compagnia.»
Sono abbastanza sicuro che questa sia un’informazione che avrei dovuto ricevere eoni fa. Sono davvero irritato. «Cosa? E quindi voi vi conoscevate in California? Siete amici?»
«Non esattamente» risponde Marlow. «Ci siamo ignorati per anni, finché lei non mi ha accusato di essermi trasferito a Brockenhurst per spiarla.»
«Puoi biasimarmi?» interviene Busara. «Il figlio di un altro impiegato della Compagnia si presenta nella mia stessa scuola, dalla parte opposta del Paese, fingendo per di più di essere un darkettone sballato, e io dovrei credere che è tutta una coincidenza? Sapevo che sotto c’era qualcosa di strano, e avevo ragione, no? Perché sei a Brockenhurst, Marlow?»
«Come punizione.»
Per un attimo, la parola mi lascia di stucco. «Punizione? Per cosa?»
Marlow si volta verso la casa, dove il suo doppio olografico sta facendo una serie di affondi e piegamenti. «Mia mamma ha costruito il proiettore per aiutare la gente. Ci sono molte scuole nei Paesi poveri che non possono permettersi di pagare gli insegnanti. Lei pensava che il proiettore potesse essere una soluzione a questo problema, ma quando gli amministratori della Compagnia lo hanno visto, hanno fatto altri piani. Si è scoperto che l’apparecchio può avere importanti applicazioni in campo militare. Ti basta proiettare delle immagini tridimensionali di soldati in una zona di guerra per spiazzare il nemico.»
«Ma Milo non lavora con l’esercito» ribatte Busara. «È una delle sue regole.»
«Ho la sensazione che ora come ora Milo se ne freghi alla grande delle sue regole» risponde Marlow. «Mia madre ha cercato di dirgli che cosa stava succedendo, ma non è riuscita neanche a ottenere un appuntamento con lui. Per cui ha deciso di far trapelare la notizia dell’accordo militare alla stampa. La Compagnia l’ha scoperto prima che facesse danni. Mia mamma rischiava la prigione per la fuga di notizie, per cui mi sono preso io la colpa. Ho dichiarato di aver cercato di fare un po’ di soldi facili vendendo le informazioni. Pochi giorni dopo mia mamma è stata trasferita nella deliziosa Brockenhurst, in New Jersey, in modo da essere più vicina al quartier generale della Compagnia.»
«Questa è stata la tua punizione?» chiedo.
«Sì, avevamo pensato di essercela cavata con poco. Poi, quando siamo arrivati qui, mi hanno detto che dovevo frequentare un certo gruppo di ragazzi a scuola.»
«Chi te l’ha detto? Ricordi i nomi?» chiede Busara.
«I nomi? Credi che mi sia seduto a chiacchierare con questa gente davanti a un cappuccino? Un tizio mi ha chiamato al telefono e mi ha detto cosa fare. Per quel che ne so, era Dio in persona.»
«Che cosa ti ha detto di fare, esattamente?» domando.
«Mi ha ordinato di fare amicizia con Jackson, Brian, West e Kat.»
«Ha citato specificamente questi nomi?» lo presso di nuovo.
«Sì.»
«Perché la Compagnia si interessava a loro?» chiede Busara.
«Non ne ho idea. Ho solo fatto quello che mi hanno detto. Jackson, Brian e West non erano il tipo di persone con cui di solito passo il tempo, ma erano molto meglio di quelle che avrei incontrato in prigione.»
«E poi?» chiedo io. «Che cosa avresti dovuto fare una volta conosciuti Kat e i suoi amici?»
«Niente. Voglio dire, c’erano sempre strani tizi che ci osservavano, ma…»
«Strani tizi?»
«Sì. Li vedevamo nel parcheggio prima della scuola o fuori dalle nostre case la sera. Ma non ho mai parlato con nessuno di loro. E non ho più sentito il tipo al telefono fino al giorno prima della festa. Allora mi ha chiamato e mi ha detto di proporre una festa alla fabbrica, e così ho fatto. Non avevo idea…»
«Tutto qui?» dico d’impulso. «Non ti hanno chiesto di fare nient’altro?»
«No, lo giuro! Pensavo che volessero solo spiarci. Soltanto quando ho visto il proiettore cadere dal soffitto e finire a terra ho capito che stava per succedere qualcosa di grave. Per cui mi sono schiacciato con la schiena contro il muro. Ho cercato di impedire a Kat di avvicinarsi, ma lei è saltata in piedi ed è corsa come…»
«Come se sapesse che cosa sarebbe successo e volesse salvare tutti.» Finisco il pensiero per lui. So esattamente che cosa avrebbe fatto Kat. La sua reazione mi dice due cose: lei sapeva che erano in pericolo. E sapeva che la Compagnia la sorvegliava.
«Già» dice Marlow. «Ho pensato che potessero aver riempito il proiettore con qualche esplosivo… invece è crollato il pavimento. Se non mi fossi aggrappato a una tubatura quando ho sentito il primo brontolio, probabilmente sarei morto anch’io.»
«E quindi sei stato tu a chiamare i soccorsi?» chiedo.
Marlow solleva le mani. Le abrasioni sui suoi palmi sono ancora rosse e infiammate. «Non mi sarei neanche potuto pulire il culo dopo l’incidente. Come facevo a telefonare a qualcuno? Dev’essere stata la persona che ha lanciato il proiettore a chiamare le ambulanze.»
«Ma perché?» chiedo. «Perché organizzare una cosa come quella, e poi assicurarsi che arrivassero i soccorsi?»
«Forse non volevano che morissero tutti» ipotizza Busara. «Forse avevano dei progetti per i sopravvissuti.»
Ovviamente sì. Alla clinica.
«Devi venire con noi alla polizia» dico a Marlow. «Devi dire a loro tutto quello che hai appena detto a noi.»
«Non posso. Credo che non arriverei neanche al commissariato.»
«Cosa intendi?» chiede Busara.
«Nessuno mi ha avvisato di quello che sarebbe successo alla fabbrica quella notte. Volevano che morissi o che finissi in coma insieme agli altri. Ma mi sono salvato, e ora so troppe cose. E anche mia mamma.»
«Pensi davvero…» comincio a dire.
«Sì, ecco perché ti ho lasciato un regalo nel tuo armadietto. Quando non ci sarò più, dovresti usarlo.»
Guardo Busara, che si stringe nelle spalle. Neanche lei sa di cosa sta parlando.
«Che regalo?» chiedo.
«Ho trovato il proiettore, dopo il crollo. Ormai è solo un pezzo di metallo, ma può collegare la Compagnia a quello che è successo a Kat e ai suoi amici. Non potevo tenerlo qui, per cui l’ho portato all’ospedale per dartelo, e quando sei stato buttato fuori dalla sicurezza, l’ho messo nel tuo armadietto a scuola.»
«Era di quello che parlavi al country club? Quando mi hai chiesto se l’avevo ricevuto?»
«Sì. Kat diceva sempre che tu sei un genio. Ho pensato che avresti capito cosa farne.»