SOTTO COPERTURA
Mia madre accosta davanti alla scuola e io scivolo fuori dall’auto. Sono quasi le otto di lunedì mattina e vedo Kat al suo solito posto: è seduta sul cofano di una macchina dall’altra parte del parcheggio, accanto a una ragazza con gli occhi da panda che si chiama Winnie. Intorno a loro, disposti in cerchio, ci sono quattro tizi: uno psicopatico, un drogato anoressico, un noto portatore di malattie veneree, e un tipo vestito di nero con cui non ho mai avuto il piacere di parlare. Ossia: Guerra, Carestia, Pestilenza e Morte, come mi piace chiamarli. La prima campanella suonerà tra cinque minuti e i quattro cavalieri dell’Apocalisse stanno sfumazzando. A quel che sembra, Kat e i suoi migliori amici fanno di tutto per sballarsi. Non sono in posizione di giudicare, credetemi. Uno fa quel che deve. Ma non riesco a capire perché Kat ci tenga a farlo con quei coglioni.
Quello vestito come l’Angelo della Morte continua ad accarezzarle i ricci. Una volta l’ho vista tirare un ceffone a uno perché le aveva infilato un dito tra i capelli, ma chissà com’è a questo qua gliela sta facendo passare. Lui si chiama Marlow Holm ed è nuovo a Brockenhurst. Si è presentato a scuola a gennaio, più o meno nello stesso periodo in cui sono tornato io. Non so molto di lui o del perché Kat lo assecondi, ma di sicuro intendo scoprirlo.
«Puttana.» La parola arriva dal nulla, come un fulmine a ciel sereno. Mi volto. Le due ragazze che mi passano accanto non devono avermi visto. Olivia ed Emily. Le conosco dalle elementari.
«Ho sentito dire che non dorme più a casa sua. Ruota tra le loro camere» dice Olivia, ed Emily scoppia a ridere.
Mi piacciono le battutacce come a chiunque, ma questa è andata un po’ troppo vicino al bersaglio. Alla fine, ieri sera ho attraversato il bosco per dare un’occhiata alla casa di Kat. Era domenica, per cui lei avrebbe dovuto esserci, ma la luce della sua camera non si è mai accesa. Ho pensato che sarei morto aspettando di vederla, e non di certo per il freddo.
«Scusate! Signore!» Corricchio per raggiungerle. L’espressione sulle loro facce quando mi vedono è impagabile… quel mix di paura e disgusto che mi fa sentire potente. Se allungassi il braccio e le toccassi, si ridurrebbero in cenere. «Non ho potuto fare a meno di sentire la vostra conversazione.»
Le loro bocche sono aperte, ma non ne esce parola. Per ragazze come loro un conto è insultare le mie chiappe dalla sicurezza di una macchina in movimento, tutt’altro è affrontarmi di persona. Sono più grosso visto da vicino. E molto, molto più pazzo.
Queste signore in particolare sono maldicenti recidive, e Kat sembra essere l’argomento preferito dei loro pettegolezzi. Le ho già avvisate in passato, ma credo sia arrivata l’ora di sfoderare l’artiglieria pesante.
Olivia incrocia le braccia e inclina la testa: la postura da battaglia delle adolescenti. Spero non pensi di intimidirmi. «Che cosa vuoi?» chiede.
«Non voglio parlare di me» le rispondo. «Mi piacerebbe discutere con voi dei diritti delle donne.»
«Diritti delle donne?» ridacchia Emily, buttandosi una ciocca di lucidi capelli castani sopra la spalla.
«Sparisci, Simon» dice Olivia. Pensa che sia tutto uno scherzo e sembra sollevata.
«Okay, certo, ma prima che me ne vada, voglio che tutte e due sappiate che sostengo pienamente il vostro diritto, come donne, di fare quello che volete con il vostro corpo, e sono pronto a battermi perché i vostri diritti siano protetti e salvaguardati.»
«Uhh, grazie, squilibrato.» Ridono e fanno per andarsene, ma io le seguo.
«È solo che mi mette tristezza che voi due non sosteniate le altre donne. Ho sentito come avete chiamato Kat. Non molto politicamente corretto da parte vostra.»
Olivia ruota su se stessa. «È la verità, Simon, facci l’abitudine. Mentre tu eri via, la ragazza dei tuoi sogni è diventata una zoccola.»
È un calcio nei coglioni, ma non mi piego in due. Stringo i denti e continuo a sorridere, nonostante tutto. «Quello che fa Kat con il suo corpo non è affar vostro.» Poi smetto di fare la persona per bene. «Proprio come quello che fate voi con il vostro non dovrebbe essere affar mio.»
«Dove vuoi arrivare?» chiede Olivia. «Se vuoi dire qualcosa, spicciati. Stiamo per fare tardi a scuola.»
«Ci vuole meno di un secondo. Avete mai sentito la frase “chi di spada ferisce, di spada perisce”?» Tiro fuori il mio cellulare a conchiglia vecchio di dieci anni e faccio scorrere le foto. «Perché, altrimenti, ho una foto esplicativa.» Giro il display e glielo mostro.
Emily si copre la bocca con la mano ma le scappa comunque una risatina.
Il sangue defluisce dal viso di Olivia. «Mi hai hackerato il telefono.»
«Non il tuo. Quello del tuo ragazzo. La sua password di Gmail era pompino. Non so se lo chiamerei hackerare» dico con modestia.
«Non puoi avvicinarti a un computer senza la presenza di un supervisore» sibila Olivia. «Non ti è permesso neanche avere uno smartphone.»
«Non ho toccato niente» le assicuro. Ed è vero. Non ho bisogno di fare io il lavoro sporco quando ho un hacker ucraino smisuratamente in debito con me.
«Andrai in galera se mandi quelle foto a qualcuno.»
«Sì, e ne sarà assolutamente valsa la pena» le garantisco. «Non ti preoccupare per Emily. Non la lascio fuori. Quando pubblicherò queste foto, ci butterò in mezzo anche qualcuna delle sue.»
«Cosa?» Emily sembra sentirsi male.
Alzo gli occhi al cielo e sospiro in modo teatrale. «Nessuna di voi due presta attenzione durante le riunioni scolastiche? Un paio di settimane fa, la preside Evans vi ha messo in guardia proprio su questo. Ha detto che non dovreste mai scattare una foto che non fareste vedere a tutto il mondo.» In silenzio ringrazio la preside Evans. Il suo incontro sulla sicurezza in Rete mi ha dato un milione di idee. «E ora, cosa dite signore? Rispetteremo tutti insieme i diritti delle donne in futuro?»
Annuiscono in silenzio, ma vedo che ribollono di odio e paura.
«Allora che ne dite se eliminiamo la parola “puttana” dal nostro vocabolario? D’accordo?» Faccio una pausa abbastanza lunga da lasciar scivolare via il sorriso dalla faccia. «E se fossi in voi, farei in modo di dimenticarmi dell’esistenza di Katherine Foley.»
Le lascio là, mentre suona la prima campanella. Un’ondata di studenti si muove verso l’ingresso principale e io mi lascio trascinare da loro. Nei corridoi, i ragazzi scappano alla mia vista. La lezione che ho appena dato a Olivia ed Emily non è la prima che impartisco da quando sono tornato. Si sta formando un campo di forza intorno a Kat. Non la renderà più benvoluta, ma quando avrò finito, le folle si divideranno al suo passaggio. Insomma, se proprio devi essere una paria, tanto vale esserne la regina.
Sono passate quattro ore e ancora non riesco a togliermi dalla mente la conversazione con Olivia. Non sono un bacchettone, ma l’idea di Kat che ruota tra le stanze dei quattro cavalieri dell’Apocalisse mi manda fuori di testa. All’ora di pranzo, salto la mensa e vado a cercarla. Giro tutta la scuola prima di trovarla con Marlow, dietro i cassonetti della spazzatura. Una nuvola di un azzurro chiarissimo vi indugia sopra. Da lontano, Kat sembra completamente sballata. Marlow le tiene un braccio intorno alle spalle e la sua mano cade un po’ troppo vicino al seno. Lui ridacchia quando mi vede arrivare. Kat si limita a fissarmi, i suoi occhi sono incredibilmente luminosi.
«Posso scambiare una parola con te?» chiedo a Marlow. Ha il cappuccio della felpa nera tirato sopra la testa e jeans neri con il cavallo all’altezza delle ginocchia. È l’immagine che troveresti se cercassi su Google “liceale tossico”. Ma c’è qualcosa nella sua faccia che stona con tutto il resto. È come se qualcuno gliela avesse ritoccata con Photoshop, facendolo assomigliare a un modello di J. Crew.
I suoi occhi azzurri iniettati di sangue scattano verso Kat.
«Non ora, Simon» dice lei. «Lasciaci in pace.»
«No, davvero, Kat. Voglio solo scambiare una parola con lui.» Sollevo il dito indice a confermarlo.
«Bene, qual è?» chiede Marlow, facendosi audace.
Quando fa un passo avanti, gli metto un braccio intorno al collo e gli sussurro nell’orecchio: «Smamma».
Lui mi guarda e io sorrido. Ho lavorato a lungo sul mio ghigno e penso di averlo perfezionato. Sguardo spento e tanti denti. Marlow schizza via più veloce della luce. È un vero supereroe, il ragazzo.
Kat lo guarda andarsene. È infastidita, ma non sorpresa. È evidente che lui non le piace e devo dire che questo mi procura un enorme sollievo. Ma allora perché ci passa tutto il tempo insieme?
Prendo il posto di Marlow al suo fianco, appoggiando la schiena al muro. Mi aspetto che scappi via, come ha fatto ogni volta che mi sono avvicinato a lei negli ultimi quattro mesi. Invece rimane. Per quasi un minuto nessuno dei due dice niente. Sono io quello che deve rompere il silenzio, ma non credo che la sua vita sessuale sia un buon punto di partenza.
«E così… come ti è parso Otherworld?» butto lì. «Non è la più grande figata che tu abbia mai visto?»
«Sì, grazie per avermi mandato l’equipaggiamento e le credenziali d’accesso. Wayne li ha trovati e mi ha confiscato tutto.»
«Mio padre ha distrutto il mio visore con un ferro nove.»
Lei fa una smorfia. «Mi dispiace, Simon. Tuo padre è sempre stato un coglione. Non saresti dovuto tornare a Brockenhurst in questo momento. Senti, devo proprio andare.»
«Kat.» Le prendo la mano quando fa per muoversi. Mi aspetto che la tiri via ma non lo fa. «Che cosa ti sta succedendo? Perché non mi vuoi parlare?» Ho fatto questa stessa domanda un centinaio di volte; di solito alla sua schiena mentre scappava da me. Finalmente sembra che forse riceverò una risposta.
Si guarda intorno come per controllare che non ci siano spie. Io non ne vedo, ma lei non sembra soddisfatta. «Non posso.»
Non posso non significa non voglio. È un piccolo passo, ma almeno per una volta ci stiamo muovendo nella direzione giusta. «Sei nei guai, vero? Ho capito che qualcosa non andava quando sei finita nel laghetto. È il tuo patrigno?»
I nostri sguardi si incontrano e vi leggo la verità. Ci ho preso in pieno.
«E anche se fosse?» chiede lei piano. Ed è allora che mi rendo conto che non è affatto sballata.
«Allora lo uccido.» Sappiamo tutti e due che lo farei. Lo farei in questo istante, se potessi.
«E che cosa ti succederebbe, se lo facessi?»
Mi stringo nelle spalle. «Non importa.»
Questo la fa incazzare sul serio: strappa via la mano dalla mia. «Vedi, ecco perché non volevo coinvolgerti! Questo non è un maledetto gioco, Simon. Che cosa ti succederebbe?»
«La prigione, immagino.» Poi mi accorgo di quel che ha detto. «Aspetta… tu non mi parli perché stai cercando di proteggermi? Perché se è questo che stai…»
Kat solleva una mano. Non intende ascoltarmi più. «Dacci un taglio, Simon. Torna in collegio.»
«Non mi hai sentito? Non posso.»
Lei incrocia le braccia. «Certo che puoi. Devi solo dire la verità, e cioè che non sei stato tu.»
Non rispondo niente.
«Tu non hai mai crackato niente in vita tua, Simon. Davvero ti aspetti che creda che eri tu la mente dietro quell’assurdo complotto per distruggere Toys ‘R’ Us?»
«Non era Toys ‘R’ Us.»
«Che differenza fa? Sappiamo entrambi che non sei stato tu.»
Per un momento mi sento un po’ svilito. È così difficile credere che sia un genio? «Forse non mi conosci bene quanto pensi.»
«Non ha importanza se l’hai fatto o ti sei solo addossato la colpa, in entrambi i casi è stata una mossa stupida. Ora come ora non posso farmi vedere in giro con un criminale informatico. È troppo pericoloso per entrambi.»
Se sta cercando una scusa per scaricarmi, potrebbe almeno propinarmene una che abbia un po’ di senso. «Non puoi farti vedere in giro con me perché sono stato arrestato per hackeraggio? E cosa mi dici di quegli imbecilli con cui passi il tempo? Vuoi dirmi che Brian e West non hanno mai commesso un reato, tra tutti e due?»
«Loro non sono miei amici, Simon» sussurra lei con rabbia. «Mi servono come copertura.»
«Come copertura?» Qualcosa di questa parola mi spaventa a morte. «Kat, che diavolo sta succedendo? Non ti lascio in pace finché non me lo dici.»
Lei si guarda intorno di nuovo a mi afferra per il braccio, poi mi tira dietro il cassonetto. Sento le sue mani sulla faccia e le sue labbra sulle mie, e per i successivi sessanta secondi è come se fossimo finiti in un universo parallelo. Poi lei si allontana e siamo di nuovo al punto di partenza… in un mondo che si è completamente incasinato per ragioni che non comprendo.
«Perché l’hai fatto?» mormoro. Non è la prima volta che Kat mi bacia, ma è successo molto tempo fa e avevo perso la speranza che capitasse di nuovo.
«Perché ero stanca di aspettare che lo facessi tu.»
Non riesco a parlare. La mia mente è troppo impegnata a contare tutte le occasioni che ho perso.
«Torna in collegio, Simon» dice piano. «Per favore. Quando tutto sarà finito, giuro che verrò a cercarti.»
«Quando sarà finito cosa?» grido mentre lei si incammina verso la scuola. «Kat! Eravamo una squadra!»
Non risponde e non si volta.
Ma ho avuto la conferma dei miei sospetti. Kat si trova nella merda fino al collo. Non vuole che io venga coinvolto. E mi ha baciato. So che uno di questi dati è più importante degli altri, ma in questo momento faccio davvero fatica a mettere in ordine le mie priorità.
Durante la lezione di montaggio cinematografico le tende sono chiuse e l’aula è illuminata solo da una decina di monitor accesi. Mentre passo in mezzo ai banchi, diretto verso la mia postazione, qualcosa cattura la mia attenzione e mi coglie un senso di déjà vu. C’è Kat sullo schermo di qualcuno. È come se ogni paranoia che mi è venuta nell’ora che è trascorsa da quando mi ha baciato avesse appena trovato giustificazione.
Mi fermo e inverto la direzione. «Cos’è quello?» Batto un dito sullo schermo della ragazza.
La mia voce è brusca, ma lei non sembra scomporsi. Solleva su di me due occhi così scuri che non le si vedono le pupille. L’ho adocchiata il primo giorno in cui sono tornato a scuola. Deve essersi trasferita a Brockenhurst mentre ero via. È alta e carina, con capelli tagliati molto corti e la pelle luminosa come mogano levigato. Mi sono presto accorto che non parlava molto in classe; poi ho notato che è spesso assente. Alla fine ho smesso di fare caso a lei, e non ci ho più pensato.
«Il mio film» dice. «È un documentario.»
«Perché stai riprendendo la mia amica? Dovresti pensare ai fatti tuoi. Chi sei tu, tra l’altro?»
«Mi chiamo Busara Ogubu» risponde, rimettendosi al lavoro. «Tu devi essere lo squilibrato.»
La maggior parte delle persone si offenderebbe, io, invece, non posso fare a meno di ridere. «Puoi chiamarmi Simon» dico, poi batto il dito sul suo schermo. «E così, la mia amica Kat ha firmato una liberatoria? Lo sa che compare nel tuo documentario?»
«Ci sei anche tu» mi informa, cliccando sul fast-forward. Si ferma a una scena familiare: io nel parcheggio con Olivia ed Emily, questa mattina. Non mi ero accorto che fosse là e non ho la più pallida idea di dove potesse essere nascosta.
«È illegale riprendere la gente in quel modo» la avverto. Per qualche motivo non sono incazzato quanto so che dovrei essere. «Starei più attenta, se fossi in te. Ogni studente di questa scuola ha almeno un avvocato in famiglia.»
«L’ultima volta che ho controllato, era illegale minacciare le ragazze» ribatte Busara. «Anche quelle stronze.»
«Touché» le concedo. Mi piace. Ha grinta.
Lei si gira sulla sedia per guardarmi in faccia. «Perché proteggi Katherine Foley?» mi chiede.
Mi rendo conto ora che Busara non sa niente di Kat e me. Di come stavano le cose prima che partissi per il collegio. Eppure, non so cosa dirle, e rimango a fissarla a mia volta. Poi la mia bocca si apre: «Perché non esiste nessuno migliore di lei e sono certo che è nei guai» rispondo… per pentirmene subito dopo. Non so cosa mi abbia spinto a confidarmi con una perfetta sconosciuta.
«Potresti aver ragione» dice Busara.
«Cosa?» gracchio, come se avessi un paio di mani strette intorno alla gola. Non mi aspettavo che confermasse i miei sospetti.
Lei appoggia un dito sullo schermo del computer. «Conosci questo tipo?» chiede.
È Marlow. «So che è un imbecille, nient’altro» rispondo. «È nuovo.»
«Si è trasferito dalla California durante le vacanze. Abita con sua madre in una lussuosa villa fuori città. Lei lavora nel settore tecnologico.»
«E allora?»
«E allora… dall’aspetto può sembrare che viva sotto un ponte, ma in realtà è ricco sfondato. Ho fatto un po’ di indagini in Rete per il mio film e, a quel che mi risulta, non aveva neanche uno straccio di vestito nero prima di Natale. Quella del darkettone strafatto è solo una facciata. Sta fingendo di essere qualcuno che non è.»
Mi stringo nelle spalle. «Non lo facciamo tutti?» Mi viene in mente un milione di cose di cui accusare Marlow, ma non questa. «Nuova scuola, nuova identità. Eravamo tutti qualcun altro prima di trasferirci a Brockenhurst.»
«Parla per te. A proposito, potrebbe interessarti sapere che Marlow e i suoi nuovi amici daranno una festa stasera.»
«Il tuo è un invito?» Le faccio un finto occhiolino malizioso.
«Non mi interessano i ragazzi» risponde Busara senza espressione. «Né le ragazze, se è per quello.»
«Quindi sei un androide?»
Un lato della sua bocca ha un guizzo, ma non è una vera risata. «Mi sono fatta la stessa domanda, ma poi ho superato il test di Voight-Kampff per cui sono abbastanza sicura di essere umana. Ecco, guarda qui.»
Si volta di nuovo verso il computer e manda indietro il filmato di Kat e i suoi amici. Lo ferma, alza il volume degli altoparlanti e clicca su play. Marlow sta parlando di un posto chiamato Elmer’s, una ex fabbrica per lo smaltimento di prodotti equini e la produzione di colla, a pochi chilometri dalla scuola. È poco più che un rudere, ma una volta era il miglior posto della città in cui organizzare le feste. Ora è disseminata di cartelli di divieto d’accesso e nei week-end è presidiata dalla polizia. Durante la settimana non si preoccupano di sorvegliarla. Immagino siano convinti che i ragazzi non si scatenino di lunedì. Il mondo si regge su falsi presupposti.
Nel video sento Marlow dire che l’edificio sta per essere demolito. Una società ha appena comprato il terreno. La fabbrica merita almeno un’ultima festa prima di essere trasformata in una parete da arrampicata ecocompatibile per i dipendenti di qualche nuova azienda. Non ho idea se ci sia del vero, né di come Marlow possa averlo scoperto.
I miei occhi sono ancora fissi sullo schermo quando la videocamera ruota spostandosi per un istante dagli amici di Kat a un’automobile sul ciglio della strada. C’è un uomo dentro. Non vedo molto di lui, se non che ha gli occhiali ed è girato verso Kat e gli altri ragazzi che fumano nel parcheggio.
«Chi è quello?» chiedo. Ha un’aria da poliziotto. L’ultima cosa che serve a Kat è essere arrestata per consumo di droga all’interno della proprietà della scuola.
Busara guarda lo schermo. È impossibile leggere la sua espressione. «E io come faccio a saperlo?» chiede.