Illustrazione decorativa

OTHERWORLD

La Rete è piena di gente che lo considerava il Paradiso. Se ne stanno là come i vecchi a scambiarsi racconti di tempeste epiche, bestie mostruose e battaglie cruente. Parlate con qualunque giocatore sopra i vent’anni e potete scommettere che a un certo punto vi dirà: «Sei troppo giovane per capire, non hai mai visto Otherworld».

Ora, tenete presente che, nella maggior parte dei casi, neanche questi idioti hanno mai provato l’Otherworld originale. Quello non ha mai avuto più di una manciata di abbonati perfino nel suo momento di massima popolarità; e solo anni dopo essere stato ritirato dal mercato è entrato nella leggenda degli smanettoni come il più grande gioco di tutti i tempi.

Avevo sempre pensato che fossero stronzate… ora non lo penso più.

Ci è voluto un miliardario di venti e rotti anni di nome Milo Yolkin per andare a ripescare il gioco dal regno dei morti. Oggi, a mezzogiorno, la sua compagnia ha pubblicato la versione prototipo di Otherworld 2.0. Duemila fortunati sono stati selezionati per testarla e, non so come, tra loro ci sono anche io. I giocatori dell’Otherworld originale erano tutti disadattati come me, mentre, a quel che mi risulta, i nuovi non hanno niente in comune se non le tasche gonfie di soldi.

Il programma in sé è gratuito… Per giocare, però, è necessario comprare il visore apposito. Di questi visori ne sono stati prodotti solo duemila e costano quasi tremila dollari l’uno.

Non ho idea di come apparisse il vecchio Otherworld sul monitor di un PC quando è uscito, più di dieci anni fa, ma devo ammettere che quando ho scaricato l’APP e ho indossato il visore non mi aspettavo una grafica così buona. Lo so che sono tutte immagini generate al computer, ma i miei occhi sono straconvinti che è tutto reale. Al momento ho un pezzo di plastica sulla faccia, tenuto su da una cinghia; le mani che sudano dentro un paio di guanti aptici; e preferirei morire piuttosto che farmi vedere in giro con queste graziose babbucce ai piedi. Nel mondo reale, il mio corpo è cieco, sordo e impotente. Sono dentro Otherworld ormai da più di diciassette ore, e non ho nessuna intenzione di uscirne.

Naturalmente, questo universo ha cercato di farmi fuori dal primissimo secondo in cui ho cominciato a esplorarlo. Fin qui mi sono imbattuto in roba davvero pazzesca: valanghe, fulmini, sabbie mobili e una specie di orso polare mutante che sono riuscito a uccidere e a mangiare con il solo ausilio di un pugnale e delle mani nude. Ma questo è niente a paragone di quello che ho appena trovato.

Sono fermo su un sentiero lastricato che scompare dentro una caverna scavata in un ghiacciaio. Passo la mano su una parete: anche se ne sento la consistenza sotto le dita, i miei polpastrelli non sono in grado né di confermare, né di smentire se la superficie è davvero liscia e fredda come appare. Non sarei dovuto andare al risparmio quando ho comprato i guanti, ma quelli più belli erano così cari che avrebbero fatto partire la notifica di superamento della soglia di spesa. Sono sicuro che sarei riuscito a trovare un modo per aggirare l’ostacolo se avessi saputo che valeva la pena averli, ma nessuna delle voci che circolavano mi aveva preparato a Otherworld.

Quando alzo lo sguardo, vedo un sole identico a quello che ho sempre visto splendere nel cielo. La sua luce penetra ovunque intorno a me e l’intero ghiacciaio luccica come una gemma incantata. Sento dell’acqua scorrere da qualche parte in profondità. Un potente schianto risuona alle mie spalle e mi volto un po’ troppo rapidamente. Avverto un vuoto allo stomaco e un rigurgito caldo mi sale bruciandomi il fondo della gola. Non hanno ancora trovato un modo per eliminare del tutto la cinetosi. Chiudo gli occhi, deglutisco e aspetto che il capogiro passi.

Poi faccio un respiro profondo e sollevo le palpebre. La landa deserta che ho appena attraversato si allunga verso l’orizzonte. Da qualche parte in lontananza c’è la città di Imra, dove ho cominciato il mio viaggio. A quanto pare è da lì che partono tutte le avventure di Otherworld. Dopo esserti creato il tuo avatar, attraversi una porta e ti ritrovi fuori dai cancelli di Imra. Nei pochi minuti che ci sono stato, ho visto uscire una processione di avatar.

Sono tutti ancora lì, suppongo. L’Otherworld originale poteva essere piuttosto sconcio, ma non credo esista niente di minimamente paragonabile a Imra: la città è una sorta di Sodoma in computer grafica 3d al cui confronto Grand Theft Auto è Dora l’esploratrice. Ho avuto la tentazione di darle una sbirciata, ma sembrava esattamente quello che i programmatori si aspettavano da noi. Così me ne sono andato nella direzione opposta, fuori dalla città, giù per una montagna, in terre selvagge, tra distese di ghiaccio. Per come la vedo io, quando ti viene offerta la possibilità di esplorare la più incredibile sandbox mai creata, non dovresti farti rallentare dalle curve ben piazzate di qualche Personaggio Non Giocante.

Ora mi trovo davanti a questa caverna di ghiaccio, con il vento che mi fischia tutto intorno. È un peccato non poter sentire niente, se non il freddo che esce dall’impianto di climatizzazione centralizzato. Se inspiro troppo profondamente, riconosco il profumo del deodorante per ambienti che usa la donna di servizio di mia mamma. Ma gli occhi mi bruciano per i riflessi della neve e le dita dei piedi sono intorpidite.

Prima di entrare nella grotta, mi giro un’ultima volta a osservare il bianco paesaggio alle mie spalle. Non c’è traccia di movimento, ma io so di non essere solo: qualcuno mi ha seguito fin qui. Kat è sempre stata imbattibile nel mimetizzarsi e non sono ancora riuscito a vederla, ma non ho bisogno degli occhi per sapere che c’è anche lei in Otherworld. Avverto la sua presenza, e non riesco a togliermi questo sorriso idiota dalla faccia.

Nel mondo reale, Kat non mi parla da mesi. Ho provato praticamente tutto, e Otherworld è la mia ultima speranza. Venerdì le ho lasciato i dispositivi per giocare nel suo armadietto a scuola, insieme a un biglietto in cui le dicevo che oggi a mezzogiorno mi sarei loggato. Ho pensato che non avrebbe resistito all’idea di essere tra i primi visitatori del nuovo paese delle meraviglie di Milo Yolkin. Per cui ci sono rimasto piuttosto male quando non l’ho vista fuori Imra. Ora invece comincio a credere che il mio investimento stia dando i suoi frutti. Per quanto mi riguarda, poche migliaia di dollari di mia madre sono un piccolo prezzo da pagare per il piacere della compagnia di Kat.

Entro nella grotta e mi fermo. Nascosta nell’ombra c’è una figura che non avevo notato prima: qualcuno o qualcosa sta di guardia all’ingresso. Estraggo il pugnale e mi preparo a colpire. Quello che mi circonda sarà anche tutto finto, ma il battito accelerato del mio cuore è vero. Non appena gli occhi si abituano al buio, vedo un uomo magro vestito in abiti moderni. È più alto di me di una trentina di centimetri e ha una sciarpa avvolta intorno alla testa, nello stile dei beduini. Lo spicchio di faccia che rimane scoperto è nero come l’ebano. In una mano stringe un bastone nodoso, e dal collo gli pende un amuleto con al centro una pietra chiara. Dal momento che non si muove, provo a rubargli il bastone, ma la sua presa rimane salda. È solo quando tento di afferrare l’amuleto che mi rendo conto che sto cercando di scippare una statua. Con le nocche busso sul suo petto cavo. Sembra fatto d’argilla.

Credo di essere sulla pista giusta. Mondo aperto o meno, gli sviluppatori non avrebbero messo qui una statua senza motivo. Ci deve essere qualcosa di interessante alla fine del sentiero, e quando lo troverò, ho il sospetto che la statua prenderà vita e mi mostrerà che cosa sa fare con quel bastone. Ma perché preoccuparsene ora, quando posso ascoltare lo scricchiolio dei sassi sotto le babbucce che calzo ai piedi? O guardare i pezzi di ghiaccio galleggiare nel ruscello color Puffo che scorre accanto al lastricato? Il paesaggio da solo vale ogni singolo centesimo dei seimila dollari che ho addebitato sulla carta di credito di mia mamma.

Mi inoltro nella grotta, lanciandomi di tanto in tanto un’occhiata alle spalle, nella speranza di sorprendere Kat a seguirmi furtiva. È passato più di un anno dall’utima volta che siamo stati soli, così mi crogiolo al pensiero di noi due insieme in una caverna azzurro ghiaccio, con l’unica compagnia di un gigante di argilla di guardia alla soglia. Sono talmente preso dalla mia fantasia che, quando svolto l’angolo, quasi non mi accorgo di lui, scambiandolo per una roccia.

È seduto su un trono cesellato nel granito. Il corpo è fatto di un materiale grigio che ricorda la pietra, e dalla testa spunta una sfilza impressionante di corna. Ha forma umana, anche se su scala gigantesca. Chiunque sia, non sente il bisogno di indossare vestiti, e irradia così tanto calore da sciogliere le pareti di ghiaccio, che formano intorno a lui una cavità sferica. Ai suoi piedi si è creata una pozza d’acqua limpida, di cui non riesco a indovinare la profondità. Sul lato opposto dell’antro c’è un’alta porta di metallo che stona con il resto. Sono curioso di scoprire che cosa c’è dietro, ma è abbastanza evidente che prima dovrò oltrepassare questo bestione.

Mi avvicino e lui solleva la testa. Non riesco a capire se mi vede, perché non ha la faccia, ma ho la sensazione che non sia molto contento. Da quello che ho letto in Rete, le terre di Otherworld sono governate da semidei chiamati Elementali… lui potrebbe essere uno di loro. Alcuni Elementali aiutano i giocatori; molti invece sono ostili. Mi sa che la creatura che ho davanti non ha nessuna voglia di fare amicizia.

«Non aspettavo visite.» La sua voce mi rimbomba nelle cuffie del visore e mi costringe ad abbassare il volume.

Sono mesi che la casa di produzione si vanta dell’Intelligenza Artificiale di ultima generazione impiegata nel nuovo Otherworld, ma qualcosa mi fa pensare che questo tizio non faccia parte del gioco. E se non è né un Elementale né un PNG, significa che non sono l’unico esploratore nei paraggi. Chiunque sia, si è creato un avatar impressionante.

«Immagino» dico nel microfono. «Ti sei dimenticato di vestirti, eh? Sai, un maschione come te sarebbe molto apprezzato a Imra. Ho sentito dire che quel posto è un’orgia senza fine. Che cosa ci fai qua fuori quando la festa è laggiù?»

«Potrei farti la stessa domanda.»

«Già. Be’, sono allergico al divertimento. Al mango. E anche ai gatti a pelo lungo.»

«Molto divertente» ribatte, squadrando il mio avatar dall’alto in basso. «Avresti potuto essere chiunque ed è questo che hai scelto? Che cosa sei, un contadino?» Il suo tono è così… deluso. «La mancanza di immaginazione è un flagello terribile.»

Abbasso lo sguardo sulla mia tunica di un marrone spento, confezionata con la migliore iuta digitale disponibile. Scelgo qualcosa di simile ogni volta che ne ho la possibilità. «C’è di peggio» gli dico. «Non c’è niente di male nel tenersi sul semplice. Sai come si dice: quanto è più appariscente l’avatar, tanto più piccolo è il…» Mi fermo nell’istante in cui lui si alza in piedi. I suoi genitali non sono altro che una liscia protuberanza. Sembra uno di quei soldatini che mi divertivo a torturare da bambino. «Sai, ti sei dimenticato qualcosa lì sotto.» Indico le sue parti mancanti. «C’erano opzioni fantastiche in fase di configurazione. Potrebbe valere la pena fare un reset.»

«Apprezzo la tua premura, ma ho tutto quello che mi serve» risponde, muovendosi verso di me. «I campi di ghiaccio non sono per gli ospiti. Temo che tu debba andartene e tornare a Imra.»

«Costringimi.» Mi esce di bocca da solo. Il che capita più spesso di quanto vorrei. La mia lingua forma le parole più rapidamente di quanto il cervello riesca ad approvarle.

«Costringerti?» ripete incredulo. «Forse non sai che Otherworld è vietato ai minorenni? Hai mentito sull’età quando ti sei iscritto?»

Non l’ho fatto, ma che cavolo gliene frega? «Risparmiami la predica e preparati a combattere» dico. «Sono diciassette ore di fila che gioco contro l’ambiente ed è proprio ora che vada a letto. Ho bisogno di un bello scontro per conciliare il sonno.»

L’avatar si avvicina e un istante dopo torreggia su di me. Ancora una volta rimango stupefatto dai dettagli. Riesco letteralmente a vedergli le vene pulsare nel petto e, pur essendo un diciottenne eterosessuale, mi rendo perfettamente conto che quei capezzoli sono un’opera d’arte.

«Tu dai per scontato che Otherworld sia come i giochi che già conosci, ma ti assicuro che non è così. Sei entrato nel mio santuario e non sei il benvenuto.» Sta cominciando a illuminarsi dall’interno come un tizzone. Quando anche la testa si accende, appaiono finalmente i lineamenti del suo viso, e mi viene la tentazione di battermela. Non ha un’aria amichevole.

Invece di scappare, però, estraggo il coltello. «Allora ti toccherà sbattermi fuori.»

Prima che possa fare una mossa, tre frecce infuocate mi passano sibilando sopra la spalla, mancano il mostruoso avatar e si conficcano nella volta di ghiaccio sopra la sua testa. Un secondo più tardi, un’esplosione scuote l’intera caverna: il ghiaccio cade, seppellendo la bestia. Quando mi giro, mi trovo di fronte una figura slanciata, vestita con una tuta attillata di materiale riflettente. È difficile distinguerla anche se ce l’ho davanti agli occhi, ma riconoscerei quel viso ovunque.

«Hai provocato quel tipo apposta, Simon» dice Kat, e il suono della sua voce mi manda a fuoco. «Pensavi di avere qualche possibilità di vincere un combattimento con quel minuscolo pugnale?»

«Certo che no… contavo sul fatto che saresti comparsa tu a salvarmi» rispondo. «Volevo vedere come ti eri vestita. Molto carina.»

«Andiamo, cretino» taglia corto lei. Non è mai stata capace di ricevere i complimenti. «Uscirà presto da lì sotto.»

Mi volto di nuovo. La porta misteriosa dietro l’avatar è bloccata ora, per cui non ho un motivo valido per restare. Kat sta già ripercorrendo il sentiero e io corro per raggiungerla, seguendola fino all’ingresso della grotta. È solo quando siamo di nuovo all’esterno che mi rendo conto che qualcosa è cambiato. «L’uomo di argilla non c’è più» dico.

«Quale uomo d’argilla?»

«Lascia stare.» Non è importante e ci sono molte altre cose che invece lo sono. «Ascolta…» Ma appena inizio a parlare, il terreno sotto i nostri piedi inizia a rimbombare e nel giro di pochi istanti tutto il mondo intorno a noi si mette a tremare.

«Non ora, Simon» mi blocca lei.

«Kat.» Le prendo la mano e la tiro a me. Non c’è nessun posto in cui scappare. Un getto di lava prorompe da sotto il ghiaccio e ci piove addosso. I miei guanti aptici e le babbucce da pochi soldi diventano improvvisamente così caldi che me li strappo via e li getto dall’altra parte della stanza. Tengo su il visore, sperando di vedere un’ultima volta Kat, ma ci sono solo scintille.