IL RAGAZZINO
Il visore di Kat è al suo posto e il disco le è stato applicato alla base della testa. Il monitor del battito cardiaco disegna ininterrottamente la stessa curva. Ogni volta che il cuore accelera, so che sta succedendo qualcosa nella Città Bianca. Spero che abbia trovato il campo che mi hanno mostrato gli ingegneri. L’unica cosa che mancava era un fortino. Vorrei essere lì per costruirne uno insieme, ma lei è andata nell’unico posto in cui non posso seguirla. Almeno, non senza uno di quei dischi.
Intorno alle undici di sera faccio un giro in mensa per il mio secondo panino al tonno della giornata. Una donna in divisa sta zigzagando tra i tavoli, passando uno straccio che sembra essere appena stato usato per pulire una latrina. Non dà segno di avermi visto, a parte lasciare un cerchio asciutto intorno al punto in cui sono seduto con il mio sandwich e una tazza di caffè che sa di pneumatico bruciato. Oltre a lei, c’è solo un tizio in un angolo che mi dà le spalle. A giudicare dalla postura rigida e attenta immagino ricopra qualche incarico ufficiale, anche se non riesco a trovare l’energia per interessarmene.
Su uno schermo appeso al muro di fronte a me stanno trasmettendo un talk show. Il volume è basso, ma io guardo il presentatore proporre meccanicamente la solita formula. Monologo, vai al tavolo, fai una battuta con il leader del gruppo musicale, presenta il primo ospite. Mi chiedo come ci si senta a ripetere le stesse cose ogni giorno, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Io sono all’ospedale da meno di ventiquattro ore e sono già caduto in una mia piccola routine. Sedia accanto al letto, bagno, mensa, e via da capo. Non ci metterò molto a perdere la testa.
In televisione sta per uscire il primo ospite, sento il tuono smorzato di un applauso scrosciante. Dalle tende di velluto sul lato destro del palco emerge un uomo dall’aspetto giovanile. È vestito come se stesse andando ad allenarsi con lo skateboard nel parcheggio di un centro commerciale. Io ho una felpa uguale alla sua. L’ho comprata in un grande magazzino per irritare mia mamma. Il tutto è sormontato da un sorriso goffo e una testa di angelici riccioli biondi. Probabilmente non esiste nessuno sulla faccia della Terra che non riconoscerebbe quel viso. Appartiene a Milo Yolkin. Lui saluta il pubblico con la mano e tutti saltano in piedi. Anche io sono in piedi, alla ricerca del pulsante del volume del televisore. Lo trovo e alzo finché l’applauso diventa un ruggito.
Il presentatore è un uomo azzimato che ha passato da un pezzo la quarantina, e indossa un elegante abito gessato di sartoria. Inarca un sopracciglio e si aggiusta gli occhiali, fingendo di esaminare il suo ospite mentre gli applausi e i fischi si placano. «Che cosa è successo?» chiede con la faccia tutta seria. «Tuo padre non è riuscito a venire in trasmissione stasera?»
La folla esplode in un ululato. Io accenno appena un sorriso.
La macchina da presa zooma su Milo Yolkin, che finge di ridacchiare. È evidente che preferirebbe essere in qualunque altro posto. Da vicino il suo volto famoso appare pallido e scarno, con cerchi scuri sotto gli occhi che i truccatori non sono riusciti a nascondere.
«A parte gli scherzi» continua il presentatore. «Quanti anni hai… dodici?»
«Ne ho appena compiuti ventinove» risponde Milo. Segue una pausa per l’immancabile applauso di buon compleanno.
«Sono abbastanza sicuro di avere dei boxer più vecchi di te» è la battuta del presentatore. «Quanti anni avevi quando hai fondato la Compagnia?»
«Diciannove.»
«E quanto vale ora?»
Milo arrossisce e per un istante il suo viso acquista il colorito di una persona sana. «È difficile dirlo. La valutazione cambia ogni giorno.»
«Okay, allora facciamo una stima approssimativa. Secondo te vale più del pil dell’Europa o dell’Asia?»
L’amministratore delegato dell’azienda di maggior successo del pianeta si limita a sorridere guardandosi le scarpe.
Io mi accosto allo schermo finché non mi sento scaldare dalla sua luce. Voglio essere il più vicino possibile all’uomo che forse ha appena regalato a Kat la libertà.
«D’accordo, d’accordo. Basta battute» dichiara il presentatore. «Questo è probabilmente il motivo per cui non partecipi mai a trasmissioni come questa, giusto?»
Milo alza lo sguardo e si stringe bonariamente nelle spalle, e io spero che lo scambio di spiritosaggini sia finito. Milo Yolkin non sarebbe intervenuto in un talk show senza un buon motivo. Non mi aspetto che parli della Città Bianca – i beta test della Compagnia vengono sempre condotti in segreto – ma scommetto che annuncerà la distribuzione del nuovo Otherworld su tutto il territorio nazionale.
«So che stasera hai fatto un’eccezione perché vuoi parlare al pubblico di un progetto su cui hai lavorato di recente» sta dicendo il presentatore «e a cui tieni molto. Credo si chiami Otherworld.» Si sente qualche grido e qualche fischio isolato tra il pubblico. Avevo ragione. «Vedo che ha già dei sostenitori. Che cos’è esattamente Otherworld? Un tempo era un videogioco, se non sbaglio?»
«Alcuni lo pensavano» dice Milo. «Tecnicamente era un mmo. Si chiamano così i giochi online multigiocatore di massa. Ma per quelli di noi che ci giocavano, il primo Otherworld era molto di più.»
«Eccome!» grida qualcuno.
«Un tuo amico?» chiede il presentatore.
Milo si scherma gli occhi dal bagliore delle luci dello studio e scruta tra il pubblico. «Può darsi.» Sorride, animandosi. «O un nemico. Dovrei vedere il suo avatar per saperlo. Conoscevo quasi tutti lì. Da adolescente ho passato quasi due anni della mia vita in Otherworld.»
Interessante. Chi l’avrebbe mai detto? È difficile immaginare come sarebbe stato il mondo se Milo Yolkin non fosse mai uscito da Otherworld.
«Dovevi avere molti amici alle superiori» scherza il presentatore.
Il sorriso di Milo sembra molto meno sincero stavolta. «Diciamo solo che all’epoca il mondo reale non era molto gentile con me» risponde.
Il presentatore si aggiusta gli occhiali. È evidentemente ora di cambiare argomento. «E qual era l’obiettivo nell’Otherworld originale?»
«L’obiettivo?» chiede Milo. «Non c’era nessun obiettivo.»
Il presentatore sorride nervoso. «Tutti i giochi non ne hanno uno? L’idea di fondo non è vincere? Altrimenti, che senso ha giocare?»
«Che senso ha vivere?» ribatte Milo e io scoppio letteralmente a ridere di gusto. Ma il presentatore rimane spiazzato. Immagino non conosca la risposta. Così Milo interviene a rompere il silenzio: «L’obiettivo in Otherworld era vivere il tipo di vita che non potevi avere nel mondo reale. Potevi combattere contro i mostri, esplorare nuove terre, ammassare tesori, fare sesso. Potevi perfino aprire un allevamento di cincillà se era quella la tua passione. Stava tutto a te. Otherworld divenne il mio rifugio. Lì dentro riuscivo a essere chi volevo. Quel posto mi rendeva libero».
Mi piacerebbe sapere che cosa faceva il giovane Milo Yolkin in Otherworld. Ora ha ventinove anni e sembra un cherubino troppo cresciuto. Gestiva un rifugio per animali virtuale? Passava il tempo a liberare cuccioli di foca digitali?
«Perché hai smesso di giocare?» chiede il presentatore, tentando di riportare la conversazione sui binari.
A quella domanda, l’espressione di Milo si raggela. Sono i momenti come questo che ti ricordano che in realtà non è un ragazzino, ma uno degli uomini più potenti del pianeta. «Un mattino di circa undici anni fa, ho acceso il computer e Otherworld non c’era più. I produttori del gioco avevano deciso che non aveva abbastanza abbonati e avevano chiuso tutto.»
«Così, di punto in bianco?»
«Già» risponde Milo, e si vede che ancora freme di rabbia per l’ingiustizia di quella decisione. «A quel punto mi ero costruito un mio regno. Avevo una fortezza spettacolare, un harem e servi che coltivavano le mie terre. Praticamente gestivo quel posto. E poi puf!, all’improvviso è sparito tutto. È stata la cosa peggiore che mi sia mai successa. Così, quando un ingegnere della Compagnia mi ha mostrato il nuovo progetto rivoluzionario che aveva appena messo a punto, ho capito che era arrivato il momento di riportare in vita Otherworld.»
«Progetto rivoluzionario?» chiede il presentatore. «Di che genere di roba stiamo parlando?»
«Non è qualcosa di cui si possa davvero parlare» risponde Milo. «Bisogna vederlo e sentirlo, per crederci.»
È ovviamente il segnale per far comparire in scena un assistente, che spinge un carrello coperto da un lenzuolo bianco. Sorridendo come un mago a una festa di compleanno, Milo si alza dalla sedia e strappa via il lenzuolo. Sotto ci sono i guanti aptici e il nuovo visore per la realtà virtuale di Otherworld.
«Questi sono per te» dice al presentatore, aiutandolo a infilarsi i guanti. «La tecnologia aptica è all’avanguardia, ma il visore offre un’esperienza che va oltre ogni immaginazione. Per il momento abbiamo prodotto e venduto solo poche migliaia di prototipi e non si può giocare al nuovo Otherworld senza questi.»
«Ammetto che si sta facendo tutto molto interessante» dice il presentatore, studiando il visore. «Ma come farà la gente là fuori a sapere che cosa vedo?»
«Dovremmo essere in grado di mostrarglielo.» Milo fa indossare il visore al presentatore e immediatamente un maxischermo si illumina alle loro spalle. Tra poco il pubblico sarà in grado di vedere tutto quello che vede il presentatore.
«Devo camminare verso la luce?» scherza lui, le mani stese davanti a sé come se stesse avanzando a tentoni.
«Non ancora» esclama Milo con una risata. «Sei mai salito in cima a un vulcano?»
«Nossignore. Ho una paura folle dei pericoli» scherza l’altro.
«Be’, ora puoi vedere com’è fatto. Tutto dalla sicurezza del tuo studio televisivo.»
Sullo schermo dietro di loro appaiono una nera terra bruciata e un fiume di lava. Il pubblico trattiene il fiato. Nessuno ha mai visto niente di simile. Si sente una forte esplosione e il presentatore ruota su se stesso. Fiamme di un arancione vivo schizzano dal cono del vulcano verso l’alto. Tre avvoltoi delle dimensioni di pterodattili volteggiano nel cielo, in attesa che cominci il barbecue.
«Ehi, i miei guanti cominciano a scottare!» esclama il presentatore. «Guarda! Mi vedo le mani!» Abbassa gli occhi sui propri genitali. «E anche tutto il resto!»
«Esatto. Ora rinfreschiamo un po’ quelle mani» risponde Milo.
Tutt’a un tratto la scena cambia e lo schermo mostra la distesa infinita di un oceano ghiacciato. Si sente un rimbombo e il presentatore stenta a mantenere l’equilibrio quando il ghiaccio davanti a lui si sfonda. Enormi squali bianchi si aggirano nelle acque di sotto.
«Che cosa ne pensi?» chiede Milo.
«Penso che io e te abbiamo un’idea diversa di divertimento» risponde il presentatore. «Che ne dici di una bella spiaggia sull’isola di Maui e un daiquiri alla banana?»
Milo ride. «Okay, allora ti porto in un posto un po’ più rilassante. Finora, la destinazione più popolare di Otherworld è la città di Imra.» Lo schermo mostra una strada curva fiancheggiata da edifici di marmo riccamente ornati che sembrano usciti dalla mitologia greca. Si vede passare una splendida rossa con un vestito nero attillato.
«Wow! Guarda che pixel!» esclama il presentatore. «Chi è quella?»
«Si chiama Catelyn. È una PNG. Falle l’occhiolino e vedi che succede.»
«È una cosa che nella vita reale non ha mai funzionato, ma proviamoci. Ehi, bambola, perché non vieni qui e mi racconti tutto del tuo acronimo?»
«PNG sta per “personaggio non giocante”» spiega Milo tutto serio. «Anche se Catelyn è diversa. È speciale. Fa parte del sistema, ma l’abbiamo progettata in modo che abbia una mente sua.»
Che cosa significa di preciso?, mi domando.
Il presentatore fischia. «Posso giocare con quel software?»
Io alzo gli occhi al cielo.
«Certo che sì» dice Milo. «E lei giocherà con te.»
Il PNG si avvicina e prende il presentatore per mano. Sembra reale quanto qualunque donna del pubblico. La qualità dell’immagine della pelle è notevole; morbida e idratata, le si vedono perfino i pori. E quando l’obiettivo si sposta sulla mano, riesco a vedere le cuticole e il riflesso del sole sullo smalto rosso sangue. I dettagli sono assolutamente fantastici.
«Oh, mio Dio, sento che mi stringe le dita!» esclama il presentatore con genuina sorpresa. «Sai per cosa sarebbe davvero utile?» Fa una pausa e il pubblico ridacchia. «Massaggi ai piedi. Credo si possa dire che i massaggi ai piedi sono la mia vera passione.»
Milo non sembra registrare la battuta. «Se è questo che ti piace, non sta a me giudicare.» È chiaro che prende tutto questo molto seriamente. «In Otherworld possiamo tutti vivere la vita che preferiamo. Qualunque sia. Non importa quanti soldi hai o come sei fatto fisicamente. La vita che hai sempre desiderato è a portata di mano. Alcuni scelgono di cacciare, combattere, esplorare. Altri scelgono… i massaggi ai piedi.»
Sullo schermo, Catelyn si avvicina al presentatore e gli scocca un bacio sulla guancia.
«Oh, mio Dio» mormora lui. Poi si tira via un guanto e comincia a frugarsi nelle tasche. «Quanto vuoi per questo affare? Un milione di dollari? La mia anima?»
Milo è raggiante. «Devi solo abbonarti a Otherworld e comprare un visore. La versione alfa dell’APP è uscita sabato scorso. Abbiamo fatto entrare duemila giocatori per aiutarci a eliminare tutti i bug. La distribuzione di Otherworld sul mercato dovrebbe cominciare tra pochi mesi. Si spera che per allora saremo riusciti a produrre qualche milione di visori.»
«Devo aspettare mesi?» geme il presentatore. «Ma io non voglio andarmene da qui!» Lancia un bacio a Catelyn e si toglie il visore. «Ora che l’ho provato in prima persona, ho una domanda. Come pensate che la gente possa nutrirsi e fare i propri bisogni? Perché nessuno vorrà abbandonare una come lei per buttare giù un burrito o fare pipì.»
«Questa è un’ottima osservazione» dice Milo, e ho il sospetto che non sia la prima volta che la sente. «Sono sicuro che la Compagnia si inventerà qualcosa.»
Il gruppo musicale comincia a suonare per introdurre la pubblicità e io penso a Kat al piano di sopra, al suo corpo attaccato a una serie di tubi che forniscono tutto il nutrimento di cui ha bisogno ed eliminano i prodotti di scarto. Il dispositivo che comunica direttamente con il suo cervello dovrebbe essere molto più avanzato del visore disponibile al pubblico. Se funziona come hanno detto Martin e Todd, nel mondo in cui si trova Kat sensazioni, odori e sapori sono reali quanto lo sono in questo. E se avesse incontrato una versione maschile di Catelyn? E se non volesse mai più andarsene?