Illustrazione decorativa

IL REGALO

Non riesco a immaginare un posto peggiore in cui trovarsi alle nove di un lunedì sera che rannicchiato dietro un cespuglio, in attesa che in una ex fabbrica cominci una festa clandestina. Ma ora che sono qui non ho intenzione di andare da nessuna parte. Mi ci sono volute due ore per arrivare alla Elmer’s. Non posso più guidare, anche se non è stato il giudice a infliggermi questa punizione. È stata una brillante idea di mio padre. Il buon vecchio Grant è pieno fino a scoppiare di idee brillanti. Ci sono in giro i coyote stasera, li sento abbaiare tutto intorno a me. Sono abbastanza sicuro che non mi attaccheranno: sono troppo grosso per loro ora, e sanno che è più probabile che sia io a mangiare uno di loro. Però qui fuori fa un freddo porco e sto seriamente cominciando a preoccuparmi di perdere qualche dito per congelamento.

Ma rimarrò qui ad aspettare, perché io riavrò Kat. Quel bacio ha scosso dentro di me tutte le convinzioni che stavano cominciando a sedimentare.

Una folata di vento mette in movimento il mondo. Le ombre dei pini lungo il perimetro del parcheggio danzano nella luce fioca dei lampioni lontani. Il profumo degli alberi riempie l’aria fredda e mi fa tornare in mente il Natale a casa mia. Il venerdì precedente, i miei genitori si versavano un bicchiere di Scotch e mi guardavano aprire una montagna di regali. Il sabato partivano. Mia madre è di famiglia ebrea. Non so bene quale fosse la scusa di mio padre. Passavano sempre il giorno di Natale insieme. Fino ai nove anni io l’ho trascorso con il personale di servizio. La tata assunta da mia madre dopo aver licenziato la signora Kozmatka fu quella a cui venne l’idea dell’albero. Non ricordo neanche come si chiamava. Restò con noi solo qualche mese, a causa di problemi psichici che divennero presto evidenti. Quell’anno, prima di partire per destinazioni ignote, i miei le avevano dato una busta piena di contanti per portarmi a fare spese. La mattina di Natale scesi le scale e scoprii che aveva appeso tutte le banconote all’albero.

Le staccai una per una, me le infilai in tasca e sparii nel bosco prima che uno dei miei guardiani si svegliasse. Non volevo imporre la mia presenza a Kat o a sua madre, ma non riuscivo a stare lontano da loro. Me ne stavo seminascosto davanti alla casa quando Kat uscì sul portico in pigiama.

«Perché ci hai messo tanto?» chiese sbadigliando. «Io sono in piedi dalle sei. Vieni dentro o cosa?»

Ricordo che c’era carta da regalo sparsa per tutto il pavimento. Linda era in camicia da notte. Lei e Kat stavano bevendo cioccolata fatta con un preparato che si vendeva in piccoli sacchetti di carta. La tazza di Linda odorava di cacao e bourbon.

«Ecco» disse Kat, mettendomi in mano qualcosa. Era un oggetto dalla forma strana e si capiva che si era impegnata per confezionarlo. Strappai via la carta e trovai una fionda fatta a mano. Alzai lo sguardo e Kat stava infilando i piedi scalzi negli stivali. «Andiamo, ti insegno a usarla.»

«Aspetta un secondo!» Tuffai le mani in tasca e tirai fuori il mazzo di banconote. «Queste sono per te. Scusa, non ho avuto tempo di incartarle.»

Da allora passai sempre tutte le feste con le Foley. Ogni Natale Kat mi dava qualcosa fatto da lei e io ricambiavo con tutti i soldi che i miei mi avevano lasciato. E sentivo sempre di essere io ad averci guadagnato. Poi, l’anno in cui compii tredici anni arrivai a casa di Kat e sotto l’albero non c’era nessun regalo per me.

«È fuori» disse Kat, piegando un dito mentre apriva la porta. «Vieni, seguimi.»

Non appena fummo fuori dalla vista della casa, lei si fermò. Io non vedevo niente che potesse essere un regalo. Poi lei mi mise le braccia intorno al collo e mi baciò. E io capii che ero stato pazzamente innamorato di lei per tutti quegli anni.

Per un periodo breve ma bellissimo immaginai che fosse tutto sistemato, ma poi non accadde niente. Nelle due settimane che seguirono rimasi in attesa di altri segnali, ma non ne vennero. Era come se il mondo fosse stato resettato e noi fossimo tornati al punto di partenza.

Non avevo mai più baciato Kat.

Ovviamente, tutti quelli che ci vedevano pensavano che stessimo insieme. O, grazie alla mia kishka, forse pensavano che non fosse così, ma che io avrei voluto di più. Quello che nessuno era in grado di capire era che non esisteva niente di più grande di quello che avevamo. Kat era la mia migliore amica e io ero il suo migliore amico, e questo era tutto.

Forse la amavo, ma avevo troppo da perdere.

Il bacio dietro il cassonetto mi ha fatto pensare che forse – forse – anche lei è stata innamorata di me per tutto questo tempo.