Il parco sulla Dodicesima non era molto grande, ma era dotato di un assortimento senza pari di giochi e palestrine per bambini. Il sole del tardo autunno si allungava sui prati, senza quel calore tipicamente estivo, ma con un bagliore dorato che infondeva tranquillità. Una dozzina di bambini assediavano le strutture, le voci squillanti e animate nell’aria fresca. Indossavano giacche e guanti per ripararsi dal freddo, le guance arrossate e gli occhi luminosi. I ragazzini del Minnesota sfruttavano quell’ultima occasione per arrampicarsi e scivolare prima dell’arrivo della neve, godendone appieno a ogni minuto che passava.

I bambini erano un toccasana per l’oscurità, pensò Tony. Il modo in cui correvano e ridevano ti spingeva a credere nel lieto fine. Sebbene, nel mondo degli adulti, c’era sempre una nuvola all’orizzonte. Mary Pinski era morta. All’inizio tutti avevano pensato che potesse farcela, ma era subentrata un’infezione seguita da un disturbo della coagulazione, e alla fine Mac gli aveva dato la cattiva notizia.

Tony si appoggiò allo schienale della panchina e ruotò una mano intorno alle cicatrici rossastre del polso opposto. La fasciatura non era più necessaria in quel punto e il dottore gli aveva assicurato che le cicatrici sarebbero scomparse. Tuttavia, aveva maturato una forma di intollerabilità a qualunque cosa entrasse a contatto con i suoi polsi, mani di Mac incluse. Oltre a un incubo ricorrente. Continuava a sognare di essere legato e di lottare per liberarsi, mentre davanti ai suoi occhi qualcuno veniva ucciso. In genere, non si trattava di Mary Pinski, nemmeno di Brad Parker. Ma di Ben, Anna, Sabrina o Mac; oppure, nei peggiori di casi, Marty, che lo fissava con disapprovazione mentre esalava l’ultimo respiro.

Sabrina gli aveva fatto avere un infuso di camomilla, una boccetta spray di fiori di Bach Rescue Remedy e il nome del suo terapista preferito. Sfortunatamente, se persino un avvocato fresco di laurea poteva pagarsi le sedute di terapia, così non era per un insegnante come lui. Trecento dollari all’ora, Gesù! Tony aveva quindi deciso che non poteva permettersi di essere così distrutto.

Rick lo aveva portato a comprare vestiti nuovi e birra importata. Gli aveva persino regalato un orologio da agganciare alla cintura, in modo da rimpiazzare quello rotto. E Mac… Mac lo svegliava quando gridava nel sonno e lo aiutava a coprire i cerotti sulla schiena per la terza doccia bollente della sera, senza lamentarsi.

Odiava essere sempre quello che aveva bisogno di aiuto. Chiedeva scusa decine di volte, fino a quando Mac scuoteva la testa e gli diceva di stare zitto. Un giorno Mac gli raccontò di un fatto avvenuto tanto tempo prima, quando ancora indossava l’uniforme. Aveva risposto a una chiamata per violenza domestica. Quando erano arrivati, lui e il suo partner avevano trovato un uomo con una pistola e la sua ragazza distesa sul pavimento della cucina, morta. Avevano fatto appena in tempo a muovere un passo oltre l’ingresso che l’uomo si era infilato la canna della pistola in bocca e aveva fatto fuoco.

«Mi lavai le mani e portai l’uniforme in lavanderia per centinaia di volte nelle settimane successive,» gli aveva detto Mac. «Ci vollero diversi mesi prima che smettessi di vedermi il sangue addosso nei momenti più impensabili o di sognare di arrivare lì anche solo un attimo prima. Supererai tutto questo, ma ci vorrà il suo tempo.»

Mac, inoltre, era riuscito a fottergli il cervello. In senso quasi letterale. Per la prima volta, Tony riusciva a lasciarsi andare completamente con un altro uomo e godersi ogni attimo e ogni emozione, senza pensare. Con Mac, poteva spegnere l’interruttore della mente. Non continuava a chiedersi se stava dando abbastanza al suo compagno, se gli stava rendendo le cose difficili o, ancora, se aveva detto la cosa sbagliata o se si stava comportando troppo da puttanella. Si fidava di Mac ed entrambi si incastravano alla perfezione l’uno con l’altro, in un modo che poteva essere definito dolce ed esplosivo al tempo stesso, che controllava tutti i sensi. Non c’era spazio per sentirsi preoccupati o colpevoli quando concedeva se stesso alle mani, alla bocca e al corpo del suo compagno. Dopo riusciva a dormire. Tutto quello era d’aiuto. Stare seduto accanto a Mac, guardare i bambini divertirsi al parco, anche quello era positivo.

Ben e Anna stavano facendo a gara a chi arrivava per primo giù dal pendio erboso accanto ai giochi. Anna era piccola, ma veloce e Ben dovette faticare per superarla. Si fermarono ansimanti alla fine della panchina di legno.

«Hai visto, papy?» chiese Anna. «Ero la più veloce.»

«Però ho vinto io,» si affrettò a chiarire Ben.

«Direi che è stato un pareggio,» replicò Mac. «Siete entrambi dei buoni corridori.»

Anna si voltò verso Tony. «Sono brava anche ad arrampicarmi. Ora salgo fino in cima alle barre.»

Tony soppesò con lo sguardo l’altezza della struttura e guardò Mac con un sopracciglio inarcato, chiedendogli silenziosamente se non fosse il caso di darle una mano, ma Mac scosse la testa. «Può farcela da sola,» disse Mac. «Ultimamente mi limito a osservarla e ad applaudire.»

Un chiacchiericcio improvviso attirò la loro attenzione e Anna si fermò per guardare al di là della strada. Sui gradini della chiesa poco lontana, sposo e sposa sfidavano il freddo novembrino assieme ai loro invitati per le foto di rito.

«Che bel vestito,» commentò Anna.

«Già,» convenne Tony.

«Si sta sposando.»

«Sì.»

«Avanti,» la spronò Ben con impazienza, completamente disinteressato alla moda. «Andiamo ad arrampicarci sulle barre.»

Anna rimase ancora per un momento a guardare la sposa mentre dava istruzioni agli invitati su come posizionarsi e lottava contro la brezza per sistemarsi il velo. Tutti si allinearono perfettamente sui gradini e lo sposo la circondò con un braccio.

«Ti assomiglia, Tony,» constatò Anna. «Ha solo vestiti più belli.» Alzò la testa per guardarlo. «Un giorno ti sposerai anche tu così?»

«Credo proprio di no,» iniziò Tony, ma Ben lo interruppe con una risata.

«Tony non si sposerà,» disse Ben beffardamente. «Non gli piacciono le ragazze.»

«Non ti piacciono?» Anna appariva sconvolta. Tony stava già pensando a un modo per spiegarle la situazione superando il suo indottrinamento religioso quando la bambina aggiunse: «Ma io sono una ragazza!» e si rese conto dell’errore.

«No, tesoro,» si affrettò a spiegare. «Le ragazze mi piacciono molto e tu sei la ragazzina più simpatica che abbia mai conosciuto. Ciò che Ben intende dire è che non voglio sposare una ragazza.»

«Neanche se indossa un vestito così bello?»

«Neanche.»

«È gay, sciocca,» commentò Ben. «Avanti, andiamo.»

Anna continuava a fissare Tony, perciò disse semplicemente: «Mi piacciono le donne, ma se devo frequentare qualcuno preferisco che sia un ragazzo, non una ragazza. Ecco che cosa significa essere gay. Mi piacciono gli altri uomini, non le donne.»

Anna spostò lo sguardo su suo padre e Mac aggiunse: «A volte succede. Alcuni ragazzi desiderano frequentare altri ragazzi e alcune ragazze preferiscono stare con altre ragazze. Finché tutti sono felici, va bene così.»

«Ma se sposi un uomo, nessuno potrà vestirsi così bene,» disse Anna a Tony con dispiacere.

«Tesoro, puoi venire al mio matrimonio e indossare il tuo abito più bello, proprio come quelle damigelle laggiù,» suggerì Tony.

«Credo che è possibile,» disse Anna dubbiosa. Poi, scuotendo la testa, si mise a correre verso la palestrina. «Arrivo prima io in cima,» gridò.

«Ehi!» Ben si lanciò al suo inseguimento.

Mac guardò Tony mestamente. «Ho sempre temuto che arrivasse questo momento e tutto ciò che la preoccupa sono i vestiti.»

«Già.» Tony sorrise. «Va bene, no? Forse Brenda è così rigida da non voler parlare di sesso nemmeno lontanamente. Credo che potrai stare tranquillo per un po’, almeno fino a quando Anna pensa che frequentare qualcuno sia solo una questione di vestiti.»

«Se solo potesse rimanere così semplice per sempre,» sospirò Mac. «Penso che farei meglio a convincerla che il fatto che tu sia gay sia un altro segreto da mantenere con Brenda, come quando la porto a cena da MacDonald’s.»

Tony rise. «Io e il fast food, i tuoi segreti più perversi.»

Mac lo guardò. «Ce la stiamo cavando bene, vero?»

Tony si accertò che nessuno stesse origliando. «Direi che la scorsa notte è andata più che bene.»

Mac fece un ampio sorriso.

Si stavano impegnando davvero nella loro relazione. La settimana che era seguita al rapimento, Tony aveva imparato ad abituarsi al suono delle chiavi nella serratura a tarda sera. Mac arrivava a quell’ora e passava la notte nel suo letto. A volte dormivano davvero. Mac stava imparando ad andare con calma e a essere più giocoso tra le lenzuola, il sesso non più una corsa in cui lui e l’uomo di turno dovevano arrivare al più presto al traguardo. Pian piano, Mac aveva iniziato a presentarsi prima del solito orario, quando poteva, per cenare assieme o guardare una partita in TV. Quando sapeva di fare tardi, Mac lo chiamava sempre, giusto per farsi sentire.

Una sera non si fece vivo e nemmeno chiamò. Tony si preparò da mangiare solo per sé e andò a letto, ma rimase sdraiato senza chiudere occhio. Si disse che Mac aveva tutto il diritto di passare una serata da solo. Probabilmente aveva lavorato fino a tardi e forse era troppo stanco persino per una telefonata. Oppure aveva solo bisogno di una pausa. Magari Anna era stata male. Tony non avrebbe iniziato a comportarsi in modo appiccicoso o esigente. Solo perché le altre volte Mac aveva sempre trovato il tempo per chiamarlo e dirgli semplicemente: “Devo lavorare fino a tardi”, non significava che avrebbe dovuto farlo sempre. Ciononostante, aveva il fastidioso presentimento che qualcosa non andasse.

Alla fine, erano circa le tre del mattino, cedette al richiamo della reginetta del dramma che viveva in lui e prese la macchina. Se per caso fosse finito davanti a casa di Mac e la sua auto non era nei paraggi, significava con ogni probabilità che si stava occupando di un caso. Se invece c’era…

Ma c’era, parcheggiata vicino all’edificio. Tony si fermò e litigò con se stesso per un attimo. Cosa stupida, perché altrimenti avrebbe proseguito se non avesse avuto intenzione di salire. Se Mac non avesse voluto vederlo, avrebbe potuto semplicemente dirlo. O non aprirgli. Quasi sicuramente lo avrebbe svegliato, ma era tutta colpa di Mac per non aver fatto una semplice telefonata. Sarebbe bastato chiamare e dirgli: “Voglio avere la serata libera” oppure: “Ci vediamo domani” o qualcosa del genere. Avrebbe capito. Completamente. E non si sarebbe preoccupato.

Tony suonò il campanello.

Per un lungo momento non ci fu risposta. Stava per andarsene, rifiutandosi di suonare una seconda volta, quando la porta si aprì. Mac indossava una vecchia t-shirt e pantaloni della tuta. Appariva stanco e trasandato, ma di certo non come qualcuno che si era appena svegliato nel cuore della notte. Il suo viso era duro e freddo.

«Che cosa vuoi?» chiese Mac. Tony poteva sentire l’odore del whiskey fin da dove si trovava.

«Ero preoccupato per te,» rispose. «Avresti potuto chiamare.»

«È stata una brutta giornata,» grugnì Mac. «Non ero dell’umore giusto per vedere nessuno, stasera. Ti chiamo domani.» E fece per chiudere la porta.

Tony l’avrebbe accettato, ma il modo in cui gli occhi gelidi di Mac lo tenevano a distanza lo fece arrabbiare.

«Quindi è questo che sono?» domandò. «Un divertente giocattolino da scopare e basta. Ottimo nei giorni buoni, ma che non merita neanche due parole quando le cose vanno male?»

Mac scosse la testa. «Non ho mai detto una cosa del genere.»

«A me è parso proprio così,» asserì Tony.

Mac lo fissò, aprì la bocca per dire qualcosa, poi si voltò e si incamminò su per le scale. Tony esitò, quindi attraversò la porta aperta e se la chiuse alle spalle. In cima alle scale, Mac aprì la seconda porta che dava nella sua stanza. Tony lo seguì, chiuse la porta e mise il chiavistello.

Sul tavolo c’era una bottiglia di Canadian Club piena a metà. Mac la prese, bevve un sorso e gliela porse. «Vuoi?»

Tony non avrebbe voluto, ma accettò la bottiglia, prese un goccio e la rimise dov’era. Avrebbe preferito metterla via e dire a Mac che aveva bevuto abbastanza, dal momento che tra sole tre ore avrebbe dovuto andare al lavoro. Ma non era sua madre.

«Vuoi parlarne?» chiese.

«No.»

«Posso prepararti qualcosa da mangiare?»

«Non ho fame.»

Tony inarcò un sopracciglio. «Una partita a strip poker?»

La proposta gli fece guadagnare un’occhiata poco amichevole. Mac prese un altro sorso.

«Ascoltami,» iniziò Tony. «Non sei obbligato a parlarmene, ma mi piacerebbe rimanere qui, nel caso fosse necessario. Nel caso in cui io avessi bisogno di te o tu di me. Posso dormire qui, così tu saprai dove trovarmi se ti servo. Che ne dici?»

Mac indicò il materasso con la mano aperta.

Tony si mosse. Avrebbe voluto baciare Mac nel mentre, ma l’uomo si scostò. Non insistette. Si tolse la camicia con prudenza e la mise sulla sedia libera. Mac osservò i suoi movimenti nella fioca luce, il viso attraversato da una serie diversa di emozioni. Tony si sfilò le scarpe da ginnastica, i jeans e si fermò.

«Cosa c’è, ragazzone?» chiese con dolcezza. Mac si limitò a scuotere il capo. Tony si piegò per sistemare le coperte sul materasso e risvoltò il lenzuolo. Con indosso soltanto gli slip, andò al lavello, riempì un bicchiere d’acqua e bevve. Mac continuava a guardarlo e a ingurgitare whiskey. I suoi occhi sprezzanti erano fuoco sulla sua pelle.

«Perché sei qui?» chiese Mac alla fine. «Volevi vedere che faccia ho quando sono sbronzo? Beh, mi sembra che tu abbia ottenuto un bel posto in prima fila.»

«Non è per…» iniziò Tony.

Mac gli mostrò la bottiglia di whiskey. «Perché ho tutto il diritto di bere, se ne ho voglia,» biascicò. «Non mi serve un bel faccino che mi dica che è una cattiva idea.»

Tony sgranò gli occhi. «Quindi avevo ragione. Sono davvero questo per te?» chiese con rabbia. «Solo un bel faccino che interferisce con la tua vita?»

«No,» rispose Mac, questa volta senza strascicare le parole. «No, ma… Voglio bere ancora un po’ e poi me ne andrò a dormire. Non ho bisogno di nessuno intorno.»

«Sono le tre del mattino,» puntualizzò Tony con sarcasmo. «Quanto vuoi aspettare ancora prima di andare a letto?»

«Non sono affari tuoi,» sbraitò Mac. «Perché sei qui? Non è un tuo problema.»

«Sono qui perché pensavo potessi avere bisogno di me. O che mi volessi vicino. Sono qui perché non hai chiamato per dirmi che preferivi restare da solo stasera. Quando ho avuto una serata storta, tu non mi hai mai lasciato da solo.»

«Non è la stessa cosa.»

«Perché no?» volle sapere Tony. «A volte mi chiami ragazzino, ma non lo sono. Ne ho vista di merda, ho perso persone a cui volevo bene. So come ci si sente. A volte vorrei essere io a prendermi cura di te, non che sia sempre il contrario. Ma questa cosa non può funzionare solo in un senso, se ti vado bene solo nei momenti buoni.»

Gli occhi di Mac lo percorsero da capo a piedi. Tony percepì il calore come se qualcuno gli stesse passando una fiaccola sulla pelle. Il suo intero corpo rispose a quel misto di rabbia e bisogno che stava crescendo nello sguardo di Mac. Vide l’esatto momento in cui l’uomo notò la sua eccitazione, il momento in cui il suo respiro si impennò.

Mac si mosse inquieto sulla sedia. «Non sono venuto da te perché non ero dell’umore giusto per essere gentile, stasera,» ringhiò.

«Allora non esserlo,» sussurrò Tony, rimettendo giù il bicchiere. «Sto guarendo. Non mi spezzerò.»

«Maledizione.» Mac si alzò piano. Tony non fece un passo mentre il poliziotto gli si avvicinava e gli sfilava gli slip, in un movimento brusco. Per un altro momento, si limitarono a fissarsi a vicenda. Ce l’avevano entrambi duro. Tony esitò, incerto se avvicinarsi. La versione di Mac che aveva di fronte non sembrava essere incline a baci o parole dolci. Ma i suoi occhi bruciavano. Tony si voltò e si piegò sul punto più vicino del bancone.

«Per favore,» disse. «Ora.»

Mac prese con rapidità il portafoglio dal bancone. Armeggiò con i pantaloni e si infilò il preservativo. Un attimo dopo le sue mani afferrarono con forza i fianchi di Tony. Una rapida passata di lubrificante e si spinse in avanti, con urgenza, senza preliminari. Per la prima volta, Tony non sentì gentilezza in quelle grandi mani e nel corpo tonico alle sue spalle.

Fu doloroso e intenso, al punto da costringerlo a sorreggersi con le mani. Ma Tony non era una verginella spaventata. Si spinse all’indietro con altrettanta forza, accogliendo quell’intrusione in profondità, tenendo il ritmo di Mac. Permise alla sua voce di sussurrare al suo amante che era bello, magnifico, così magnifico da volerne ancora. Il dolore si sciolse in empatia quando il suo corpo accettò la penetrazione.

A poco a poco, il desiderio feroce di Mac, il vigore del suo grosso uccello, trasformò la rabbia in bisogno. Le sue dita scivolarono su Tony, accarezzandolo senza far male, i palmi che si chiudevano a coppa attorno alle natiche. Il silenzio rigido di Mac lasciò spazio ad ansiti bassi e dolci man mano che spingeva in avanti, allargando Tony sempre di più. Si mossero freneticamente l’uno contro l’altro fino a quando Tony iniziò a sentirsi come se i loro corpi fossero sul punto di sciogliersi, fino a quando il mondo sembrò soccombere e non fu più certo di dove finisse lui e iniziasse Mac.

Il respiro gli venne meno quando disse: «Sì, oddio, sì! Voglio sentirti venire dentro di me, così. Così! Vieni per me, tesoro.»

Mac tremò contro di lui, le mani callose che gli serravano i fianchi per trascinarlo con forza contro di sé, un ringhio profondo che abbandonava la sua gola. Tony chiuse la mano attorno al proprio uccello; gli bastò pompare una sola volta per raggiungere il limite, schizzando sui mobiletti di Mac. Poi si lasciò cadere sul bancone, le ginocchia tremanti, il respiro affannato. Tutto il peso di Mac era contro di lui, i corpi incollati dal sudore.

Dopo un attimo, Mac sussurrò: «Ti ho fatto male?»

Tony sapeva che si sarebbe sentito piuttosto dolorante, ma rise. «Non potresti mai farmene.» Si raddrizzò, sentendo Mac che usciva da lui, e si voltò in fretta, avvolgendo le braccia attorno all’uomo in modo da non dargli il tempo di scappare. «Cazzo, è stato grandioso,» disse a Mac, baciandogli la mascella. «Non dico che dobbiamo farlo così ogni volta, ma ogni tanto potrei averne bisogno anch’io. Sono adulto e vaccinato, dolcezza. A volte piace anche a me il sesso duro.»

Mac si sporse verso di lui, il corpo pesante tra le sue braccia, e rimase in silenzio.

«Avanti, ragazzone,» disse Tony dopo un attimo. Gli occhi di Mac non erano più distanti e duri; aveva un aspetto stanco. «Ti aiuto a ripulirti e poi a nanna.»

Sfilò la t-shirt sudata dalla testa di Mac e gli dette una mano a togliersi i pantaloni della tuta arrotolati all’altezza delle caviglie. Mac si mosse obbediente, lasciandosi ripulire e accompagnare fino al materasso. Tony lo fece adagiare sul letto, spense la luce e si arrampicò dietro di lui, accoccolandosi contro Mac sotto le coperte in quella calda oscurità. E, da qualche parte in quel buio, in quel bozzolo di sicurezza che si erano creati, Mac trovò il coraggio di raccontargli di quella bambina, di un anno più giovane di Anna, picchiata a morte dal ragazzo della madre soltanto perché non smetteva di piangere.

Le parole lasciarono la bocca di Mac come veleno che fuoriusciva da una ferita fresca. Quanto aveva desiderato poter picchiare l’assassino, mostrargli che cosa si provasse! Soprattutto quando aveva iniziato a piagnucolare dicendo che si sarebbe fermato se solo la bambina avesse chiuso la bocca. Rompergli il braccio, frantumargli le costole, per vedere se così si sarebbe zittito. Aveva odiato la mamma ancora di più. Che genere di madre riusciva ad assistere a tutto quello senza alzare un dito? Era spaventata, sicuramente, ma non era intervenuta, non c’era un segno che fosse uno su di lei… Alla fine, strascicando le parole per effetto del whiskey e della stanchezza, Mac si era domandato perché, pur facendo bene il loro mestiere, non erano riusciti a fermare quel bastardo in tempo. L’arresto era stato pulito, l’uomo avrebbe pagato, ma la bambina non sarebbe tornata in vita.

Tony non disse nulla. Si limitò ad ascoltare e a baciare la spalla di Mac, accarezzandogli la schiena. Riuscirono a dormire un pochino, nell’ora che precedette l’alba.

Quando la sveglia suonò, uno spicchio di luce stava iniziando a filtrare dalla finestra a oriente. Mac si agitò e mugolò.

«Vuoi un’aspirina?» chiese Tony.

Il gemito che ottenne in risposta gli parve affermativo. Sgusciò fuori dal letto e prese un bicchiere d’acqua e un paio di compresse. Mac si mise a sedere sul bordo del materasso, le prese e le inghiottì a occhi chiusi. Alla fine, guardò Tony con un’espressione afflitta. «Quanto sono stato stronzo ieri sera?» chiese.

«Non troppo. E comunque hai avuto una di quelle giornatacce che giustificano una serata da stronzo.»

Mac si alzò con lentezza, stiracchiando le braccia per sciogliere i nodi alla schiena, poi si protese a baciare Tony.

«Wow,» commentò lui con fare scherzoso. «Canadian Club di seconda scelta.»

«Scusa.»

«Tutto a posto,» sorrise Tony, allungando una mano per attirare a sé la testa di Mac, e baciandolo poi profondamente. «Ma se deve diventare un’abitudine, dovremo procurarci una marca migliore.»

«Non è un’abitudine,» disse Mac, «ma a volte…»

«È tutto a posto,» ripeté Tony. «Non vorrei fare il tuo lavoro nemmeno per tutto l’oro del mondo. Solo… permettimi di aiutarti, se posso.»

«Lo hai già fatto,» gli disse Mac. «E continui a farlo. Non volevo che mi vedessi… ma sono felice che tu sia venuto.»

«Riesci sempre a farmi venire! Ora, vai a farti una doccia, signor Puzzolo, mentre io preparo il caffè.»

Si prepararono in un silenzio che risuonò come una confortevole conversazione. Nel freezer, Tony trovò cialde da tostare e il succo d’arancia era ancora bevibile. Si mosse piano e con calma, ricevendo un sorriso sardonico di gratitudine dal suo uomo quando gli mise nel piatto la colazione. I sintomi del dopo-sbornia erano evidenti, ciononostante Mac riuscì a spiluccare qualcosa. Tony ottenne anche un bacio veloce e la promessa di una telefonata quando lasciò per primo l’appartamento, diretto a casa a cambiarsi per il lavoro.

Mentre si avviava verso l’auto nella luce nascente, si sentì come se avesse varcato una soglia. Non si trattava di essere soltanto degli scopamici o di provare a tenere un basso profilo giusto per sperimentare. Avrebbe potuto essere di conforto a Mac anche fuori dal letto; una cassa di risonanza emotiva, una valvola di sfogo, qualcosa di meglio di una bottiglia di whiskey in una stanza vuota. Avrebbe dato tutto se stesso in quella storia per vedere dove sarebbero arrivati. C’erano buone probabilità che qualcuno rimanesse ferito. Era un rischio particolarmente grosso per Mac. Ma valeva la pena rischiare per qualcosa di concreto.

 

Nel parco giochi, Tony osservò il viso del suo amante mentre Mac fissava distrattamente il vuoto. Gli riusciva ancora difficile bilanciare l’affiatamento privato con la freddezza pubblica. In nessuna delle sue passate relazioni aveva mai dovuto stare così attento agli sguardi, alle parole o ai contatti fisici. Aiutava che in pubblico di solito erano accompagnati dai bambini, eppure… era una magra consolazione sorprendere lo stesso Mac a far morire sul nascere gli stessi gesti intimi. La freddezza dell’uomo era solo una facciata. Tony lo sapeva.

Gli amici di Tony lo spingevano a uscire più spesso. Sabrina in particolare gli stava dando il tormento, accusandolo di crogiolarsi nel passato e di non fare niente per dimenticare Luke. Si sentiva colpevole di non poter condividere con lei la parte più importante della sua vita, in particolare quando entrava in modalità “Facciamo di tutto per rallegrare Tony”. Mac non aveva mai incontrato Sabrina o Rick. E lui non aveva più visto il partner di Mac, Oliver, dal giorno successivo al rapimento, quando era dovuto tornare alla centrale per le sue dichiarazioni. Ciò che avevano doveva rimanere separato dal resto delle loro vite.

Ma ne valeva la pena. Stare seduti su una panchina accanto a quell’uomo e trascorrere con lui la giornata, per non parlare della notte. Ne valeva decisamente la pena.

Un vortice bianco catturò l’attenzione di Tony e si voltò a guardare la coppia sui gradini della chiesa. Lo sposo aveva sollevato la sposa e la faceva vorticare nell’aria, l’abito che si gonfiava e rifletteva la luce. Poi la strinse a sé e si baciarono, per la gioia del fotografo e degli invitati attorno a loro.

«Un giorno,» disse Mac con un filo di voce. Tony si voltò e vide gli occhi del suo uomo fissi sulla stessa coppia. Con sua grande sorpresa, Mac proseguì: «Un giorno due uomini saranno liberi di baciarsi in quel modo, davanti a tutto il mondo.»

«Ma non oggi,» bofonchiò lui.

«Non posso. Sai bene che non posso.»

So che non lo farai. Mac aveva le sue ragioni, Tony lo capiva. Ma non rendeva le cose più facili.

Un grido di Ben spostò la loro attenzione verso la palestrina. Anna lo aveva battuto raggiungendo il piolo più alto. Il ragazzino stava dimostrando tutte le sue abilità appendendosi a testa in giù per le ginocchia dalla barra subito sotto. Tony mostrò la sua approvazione con un gesto della mano e continuò a tenerlo sott’occhio fino a quando Ben si rimise dritto.

Il sole si nascose dietro una nuvola e la brezza novembrina si fece fredda tutto d’un tratto. I festeggiamenti improvvisi cessarono e tutti gli invitati si ritirarono in chiesa. Le dita di Tony erano gelide e vi soffiò sopra, pensando che fosse giunta l’ora di andare.

Un peso soffice gli atterrò in grembo. Abbassò lo sguardo e vide un paio di guanti in pelle, un po’ troppo grandi per lui. Mac non lo stava guardando, ma i guanti erano caldi all’interno per effetto di quelle grandi mani. Tony li infilò e quel caldo dono gli avvolse le dita. Offrì a Mac il suo sorriso migliore. «Un giorno,» ripeté.

Gli sarebbe bastato per il momento.