Erano le otto di sera di un venerdì qualunque e la Roosevelt High School era buia e deserta. Le attività sportive e ricreative del doposcuola erano terminate già da diverse ore. Con il primo semestre appena agli inizi, non erano previste riunioni urgenti né progetti dell’ultimo minuto. Gli studenti se n’erano già andati verso i loro appuntamenti o feste del venerdì sera e gli insegnanti, uscendo, avevano spento le luci e chiuso a chiave le porte. Si notavano solo i corridoi vuoti sotto il ronzio subliminale di alcune lampade fluorescenti. L’edificio era deserto.

Ad eccezione di una manciata di idioti stacanovisti che non hanno di meglio da fare il venerdì sera.

Tony Hart girò la chiave nella serratura dell’ascensore, sospirando. Quel dannato affare era fermo al secondo piano e ci sarebbe voluta una vita prima che scendesse.

Non che non potesse andare in un bar o club. Senz’altro avrebbe trovato un ragazzo decente con cui passare la serata. Gli amici gli dicevano che era abbastanza carino da potersi permettere di scegliere. Ma erano passati mesi dall’ultima volta in cui si era preoccupato di guardarsi attorno. Tutta quella scena, le finte risate, il ballare per attirare l’attenzione di qualcuno, quel “che-cosa-posso-mettermi-per-sembrare-figo-ma-non-una-puttanella”… stava iniziando a stancarlo. Ciò non significava che voleva smettere per sempre di frequentare altri uomini, anche se era quello che sosteneva il suo amico Marty. Si stava solo prendendo una pausa, concentrandosi su altri aspetti della sua vita.

Come quel dannato ascensore, che sembrava non si stesse muovendo per niente. In genere avrebbe preso le scale. In effetti, non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva usato l’ascensore per andare in classe, ma la sua caviglia slogata si stava facendo sentire e a un certo punto di quella lunga giornata doveva aver perso l’energia necessaria a salire quelle scale ancora una volta.

La scuola appariva silenziosa quasi in maniera innaturale, i corridoi formavano lunghi viali di spazio riecheggiante sui pavimenti di mattonelle grigie e graffiate. Tony fantasticò di vedere gli spettri degli studenti volteggiare tra gli armadietti in una muta vivacità.

Hart, hai fin troppa immaginazione, si disse. O forse la sera stai esagerando con le repliche di Buffy.

Finalmente l’ascensore si materializzò con un rimbombo cigolante. La porta si aprì, il suo debole ding quasi cancellato da un basso ronzio quando il bidello iniziò a lucidare i pavimenti da qualche parte in fondo al corridoio.

Vedi, non sei l’unico povero fesso rimasto in questo edificio.

Tony entrò e premette il pulsante del secondo piano e quello di chiusura delle porte, stanco e impaziente. Un altro carico di libri e poteva andarsene a casa. Il pensiero della prima birra della serata, ghiacciata e invitante, gli balenò nella mente. E quel ristorantino vietnamita in fondo alla strada faceva consegne a domicilio. Per essere una città del cavolo nel bel mezzo del Midwest, Minneapolis offriva cucina vietnamita niente male.

Mentre l’ascensore percorreva con riluttanza il suo tragitto verso l’alto, Tony si complimentò mentalmente con se stesso per il risultato della raccolta di libri portata avanti dai suoi studenti. I ragazzi all’inizio non avevano mostrato interesse, ma pian piano si erano lasciati coinvolgere dal suo entusiasmo. Erano riusciti a raccogliere più di duecento libri per il progetto della biblioteca infantile che stavano sponsorizzando. Buona parte dei libri era già stata messa nella sua auto dai collaborativi, o per meglio dire arruolati con la forza, studenti dell’ultima ora di inglese. Ad eccezione di quella prima scatola dimenticata che aveva riposto nello sgabuzzino quando era iniziato il progetto. Si era ricordato della sua esistenza solo nel parcheggio e aveva quasi deciso di lasciarla lì fino a lunedì, ma voleva finire il progetto.

L’indicatore del secondo piano emise un suono. Quando le porte iniziarono ad aprirsi, Tony fece un passo in avanti con impazienza. Perciò si trovò alquanto impreparato quando un uomo ben messo inciampò all’indietro nell’ascensore. Il gomito del tizio urtò il petto di Tony, spingendolo di nuovo contro la parete. Riconobbe tuttavia le ampie spalle e il tweed inconfondibile.

«Dannazione, Westin! Fai attenzione a dove vai!» lo aggredì, aggrappandosi al corrimano quando il movimento lo costrinse ad appoggiarsi con tutto il peso sulla caviglia dolorante. «Aspetta almeno che esca.»

L’altro grugnì e lo urtò di nuovo, la parte posteriore della spalla andò a sbattere contro il suo mento. Forse era ubriaco, ipotizzò Tony. Spinse stizzosamente l’uomo da parte e cercò di bloccare le porte mentre si stavano per chiudere, ma Westin per tutta risposta scivolò lentamente a terra. Mentre Tony lo guardava con sgomento, l’uomo grande e grosso ruotò la testa verso di lui, il viso bianco come un lenzuolo, e mormorò qualcosa. Tossì e una bolla di sangue, spaventosamente luminoso sotto la luce al neon dell’ascensore, scoppiò e gorgogliò lungo il suo mento. Westin tossì di nuovo, in modo più debole, e poi rimase sinistramente immobile.

Oh, Gesù! Che diamine

Tony gli si inginocchiò accanto, allungando un braccio per toccarlo, la mente che vagliava le varie ipotesi, dall’infarto alla polmonite e … poi occhi e cervello si sincronizzarono. Non c’era modo di sbagliarsi circa il manico di un coltello che spuntava dal petto di Westin.

Il cuore gli martellò con forza nelle orecchie. Merda, merda, merda! Westin non si muoveva, non respirava. Tony si rese conto che parte del suono martellante che sentiva era da ricondursi al rumore di passi veloci in fondo al corridoio. Per un lungo istante rimase inginocchiato, come congelato, poi le porte dell’ascensore si chiusero sui piedi di Westin, emisero un suono di malcontento e si riaprirono. Quando scattò in avanti e mise la testa fuori dall’ascensore, il corridoio era vuoto. La porta delle scale a nord si stava richiudendo.

Potresti inseguirlo, chiunque sia. Dovresti provare a prenderlo.

Invece Tony si sporse per toccare il polso di Westin, poi il collo, cercando un battito che sapeva non avrebbe trovato. Il davanti della camicia dell’uomo e la sua giacca erano zuppe di sangue, liquido e rosso, che ancora fuoriusciva e si accumulava attorno alle sue ginocchia, sul pavimento. L’odore dell’intestino che si liberava riempì l’ambiente. Tony deglutì a fatica e uscì dall’ascensore, per poi rimettervi una mano dentro per premere il pulsante di emergenza e bloccare quell’osceno chiudersi e riaprirsi delle porte contro i piedi di Westin.

Il telefono. Prova con il maledetto cellulare.

Cercò il cellulare senza troppe speranze. Sicuramente non c’era campo. L’intera scuola era costellata di zone morte e ciò era spesso un bene, perché teneva gli studenti lontani dai loro telefoni. A parte quando non era un bene per niente, cazzo. Le aule erano tutte chiuse a quell’ora. Non aveva un passe-partout, ma soltanto la sua chiave. Tony esitò ancora un attimo, indeciso tra il corpo di Westin, le scale e la sua aula.

Niente stupidaggini, idiota, si disse con impazienza, non puoi aiutare Brian Westin, né acciuffare il tizio sulle scale, quindi chiama aiuto.

La sua aula si trovava all’estremità opposta di un corridoio che non gli era mai sembrato così lungo. La serratura oppose resistenza alla chiave quando ve la infilò dentro. Poi raggiunse la cattedra, il telefono e infine riuscì a comporre il 911.

«Come posso aiutarla?»

Si stupì di quanto fosse bello sentire la voce di un’altra persona, in quel momento. «È morto!» disse. Idiota! «Intendo dire… uno degli insegnanti è stato pugnalato, qui alla Roosevelt.»

«Si trova alla Roosevelt High School?» domandò la voce con calma. «2008 West Oak Street, Minneapolis?»

«Sì.»

«Le sto inviando una pattuglia della polizia e l’ambulanza,» continuò la donna. «Rimanga in linea. È ferito?»

«No, no, sto bene.»

«È in pericolo?»

«Non credo.» Tony non poté fare a meno di guardare la porta. «Credo sia già scappato.»

«Sta andando bene,» disse la voce di quella donna con tono rassicurante. Si stava comportando come se avesse bisogno di rassicurazioni? «Le porte dell’edificio sono chiuse a chiave? Il personale di emergenza riuscirà a entrare appena sarà sul posto?»

Tony dovette guardare l’orologio. Aveva perso completamente la cognizione del tempo. Erano quasi le otto. «Le porte sono bloccate a quest’ora,» disse. «Il signor Ng, il bidello, si trovava al pian terreno prima, ma sta passando la lucidatrice. Potrebbe non sentirli.»

«Dove si trova adesso, signore?»

«Nella mia aula. Stanza 312, secondo piano.»

«Può darmi il suo nome e indirizzo, per favore?»

«Mmm. Tony, Anthony Hart,» disse. «Vuole il mio indirizzo di casa?» Gesù, si stava comportando da imbecille.

«Sì, per favore.»

Tony glielo disse poi fece una pausa per respirare. «Vuole che vada giù ad aprire ai poliziotti o devo rimanere qui?»

«Ha detto che c’è un uomo morto?»

«Sì. Brian Westin. Un altro insegnante. Nell’ascensore.»

«Dove?»

«È nell’ascensore,» ripeté Tony. «Intendo dire che il suo corpo si trova sul pavimento dell’ascensore, che si è fermato al secondo piano. Ho premuto il pulsante stop, così non si muove.»

«Ed è sicuro che sia morto?»

«Oh, sì. È decisamente morto. Ho controllato il battito e tutto il resto, ma c’era così tanto sangue…» E lasciò affievolire quel ricordo.

«È in grado di scendere per far entrare gli agenti senza compromettere la zona in cui si trova il cadavere?»

«Certo, ci sono le scale a sud. Prenderò quelle.»

D’improvviso non vedeva l’ora di lasciare quella stanza, quel piano, e di vedere una faccia viva. Stava per riattaccare quando udì di nuovo la voce della donna pronunciare un lamentoso: “Non agganci, signore…”. Lasciò il ricevitore sulla cattedra poi si affrettò a uscire dalla porta, lungo il corridoio, lontano da Westin, grazie a Dio, e giù dalle scale sud. Aveva il respiro corto per tutta l’adrenalina, ma per lo meno in questo modo riusciva a correre nonostante la caviglia malandata. Ogni suono era amplificato, dalla galoppata del suo battito nelle orecchie a quello deciso dei suoi passi. Corse rapidamente, volando vicino ai corrimani, ignorando una vocina timida che continuava a gemere: Non fare così tanto baccano; e se quel tizio fosse ancora in giro, a dare la caccia alla gente?

Giunto alla fine della scala, aprì la porta con uno spintone e si affrettò a raggiungere l’atrio principale. Ogni cosa era immobile. Nessuno gli saltò addosso. Il rumore dei suoi passi che riecheggiava man mano che superava i bui uffici amministrativi e l’aula degli insegnanti di sostegno. Non sentiva più il ronzio della lucidatrice, sebbene le luci accese e il pavimento ancora strisciato nell’atrio suggerissero che Pete non aveva ancora terminato il suo lavoro.

Tony si fermò davanti alle porte principali chiuse e sbirciò fuori. Era già buio pesto in quel periodo dell’anno, con le giornate che si accorciavano in fretta. L’aria di quell’inizio di autunno portava con sé un pizzico di freddo, l’inverno del Minnesota era ormai prossimo. Il parcheggio era ben illuminato, ma al di là la città si ergeva in forme scure e lontani palazzi illuminati. Sembrava non esserci nessuno in giro a piedi. Il traffico cittadino ferveva di attività, ma non c’era anima viva lungo West Oak Street.

In lontananza, Tony udì una sirena. Un minuto dopo si trasformò in una reale auto della polizia, i lampeggianti accesi, che si fermò nell’area riservata agli autobus. Scesero due agenti in uniforme. Iniziarono a muoversi con cautela verso l’edificio, mentre un’altra autopattuglia svoltava nel viale.

Tony spinse la sbarra di chiusura e aprì la porta. Le parole grazie al cielo siete qui gli affiorarono alle labbra, ma se le rimangiò. Non poteva apparire così patetico.

I poliziotti si avvicinarono osservandolo con circospezione, le mani alle cinture. «È stato lei a chiamare il 911?» disse uno dei due.

«Sì.»

«Le dispiacerebbe spiegarci che cosa è successo?» chiese l’agente più anziano.

«Stavo salendo al secondo piano in ascensore e, quando sono arrivato, un mio collega, Brian Westin, è praticamente caduto dentro. È morto. Voglio dire, ha un coltello piantato nel petto e, beh, vi ho chiamati non appena mi sono accertato che fosso morto.»

«È caduto dentro?» chiese il poliziotto con sospetto. «Come se il corpo fosse stato appoggiato alle porte?»

«No. Cioè, sì,» balbettò Tony. «Voglio dire, non era proprio morto prima. Ma ora lo è. Cioè, è ovvio che fosse appena successo ed è caduto dentro attraverso le porte mentre stava morendo dissanguato.» Si rese conto solo in quel momento di essersi sporcato in qualche modo con il sangue di Westin. Sentì lo stomaco serrarsi, provocandogli un conato involontario, e si piegò in due.

Il poliziotto si avvicinò e gli strinse saldamente il braccio. «È tutto okay, signore?»

«Sì,» disse Tony con fermezza. «A parte il fatto di aver perso la mia padronanza della lingua inglese, sto bene.»

«Ha visto chi è stato?»

«No,» rispose lui. «Per un soffio. Avrei potuto scorgerlo, ma quando ho pensato di guardare fuori dall’ascensore, sono riuscito solo a vedere la porta delle scale che si chiudeva. Neanche di sfuggita da dietro.»

Un’ambulanza e un’altra autopattuglia entrarono nel parcheggio, le sirene che coprirono per un attimo le loro voci. Le orecchie di Tony fischiarono in modo bizzarro nel silenzio quando il rumore si quietò e fu felice della salda stretta attorno al suo braccio. Ma forse non era l’eco delle sirene il suono che sentiva nelle orecchie.

Se la morte avesse un suono, sarebbe quel tossire rosso e bagnato?

L’agente lo scosse con dolcezza e Tony riportò la sua attenzione su di lui. «C’è qualcun altro nell’edificio, signore?»

«Non lo so,» rispose Tony. Ci pensò su. «A quest’ora del venerdì… Non dovrebbe esserci molta gente. Pete Ng, il bidello, stava pulendo i pavimenti del pianterreno poco fa. Potrebbe esserci qualcuno degli insegnanti o del personale docente.» Guardò verso il parcheggio. C’erano ancora delle auto e le indicò. «Probabilmente i proprietari di quelle macchine sono ancora dentro, se non se ne sono andati in qualche altro modo. La Prius blu è mia.»

«Okay, signore,» disse il poliziotto. «Sono l’agente Larson e questo è il mio partner, l’agente Stone. Le devo chiedere di venire con noi per mostrarci dove si trova il corpo, poi dovrà aspettare che arrivino i detective per rilasciare la sua testimonianza.»

Il suo partner, che stava parlando alla radio con l’altro personale di emergenza, si avvicinò a loro con un paramedico al seguito. Altri agenti si stavano sparpagliando attorno all’edificio, presumibilmente per controllare tutti gli ingressi o qualcos’altro. Il poliziotto più anziano lo precedette di nuovo dentro la scuola seguito dal suo collega che si fermò per tenere aperta la porta. Chiudeva la fila il paramedico, che si muoveva con cautela.

Larson si fermò nel salone principale. «Dove si trova l’ascensore?»

«Laggiù.» Tony indicò a sinistra. «In quella nicchia dove vede il cartello, dopo l’ufficio del preside.»

«Ce n’è un altro?»

«No. È una scuola, usano quasi tutti le scale. Bisogna avere la chiave per usare l’ascensore.»

«Okay,» disse Larson lentamente. «Ha detto che la persona che ha pugnalato l’insegnante è scesa prendendo una delle scale.»

«Quelle.» Tony indicò l’estremità nord.

«C’è un altro modo per salire?»

«Altre due scale. Quelle a sud sono le più vicine. Ho usato quelle per scendere.»

«Va bene.» Larson chiamò qualcuno affinché mettesse il nastro alla scala nord, qualsiasi cosa volesse dire, poi iniziò a salire. Al secondo piano, sbirciò attentamente attraverso la finestrella della porta prima di dare il via libera. Il corridoio era deserto, tranne per le scarpe di Westin che sbucavano dall’ascensore. Tony non protestò quando gli venne detto di mettersi contro il muro accanto a un’aula e di rimanere lì. I suoi nervi erano più saldi ora che si trovava in compagnia di gente armata. Certo, nutriva un po’ di curiosità, ma non riteneva proprio necessario vedere di nuovo il corpo di Westin. Infatti, se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vederlo perfettamente, dal sangue che colava sul pavimento fino all’impugnatura scura del coltello, immobile nel suo fodero di morte.

Dalle scale spuntarono altri agenti. Uno di loro teneva in mano un rotolo di nastro giallo della scena del crimine e lo applicò da una parte all’altra del corridoio, a una certa distanza dalla folla che si era radunata attorno al cadavere. Ah, mettere il nastro alle scale. Ora capiva. Dopo alcuni minuti, il paramedico tornò indietro lungo il corridoio e scomparve giù dalle scale; evidentemente di poca utilità per un cuore che aveva smesso di battere e non avrebbe risposto al defibrillatore portatile.

Quando l’agente Stone gli passò di nuovo accanto, Tony allungò una mano per fermarlo, disgustato da quanto fosse appiccicosa la sua stessa pelle. «Posso andare in bagno a ripulirmi?» chiese.

«Sarebbe meglio che non lo facesse, signore,» rispose Stone con freddezza. «Se riesce a rimanere qui ad aspettare, i detective vorranno parlare con lei mentre tutto è ancora… intatto.»

«Ah,» comprese Tony. «Mi sta dicendo che vorranno vedere se il sangue che ho addosso è compatibile con il mio racconto?»

«Non posso risponderle, signore,» disse Stone. «Apprezzerei che non si muovesse da qui.» Si guardò intorno. «Possiamo portarle una sedia.»

«No, il pavimento andrà bene.» Tony scivolò fino a sedersi contro la parete. «Credo che rimarrò qui nei paraggi,» disse in tono debole.

L’agente si accigliò. Nessun senso dello humor, evidentemente, ma continuò a fare ciò che stava facendo senza replicare.

Tony appoggiò la testa al muro. Aveva la sensazione che ci sarebbe voluto del tempo. All’inizio osservò la scena, ma dalla sua posizione privilegiata riusciva a vedere un mucchio di gambe in uniforme che andavano e venivano e poco di più. Non che avesse qualcosa contro le gambe in uniforme, ciononostante… Chiuse gli occhi.

Brian Westin era morto. Era difficile farsene una ragione. Non avrebbe potuto capitare a nessuno di più simpatico… tranne forse a Osama bin Laden o Rush Limbaugh, oppure ancora al tizio che aveva inventato la pubblicità pop-up. Detto questo, era pur sempre il primo omicidio che lo toccava personalmente. Non era la prima morte, Dio lo sapeva, ma senza dubbio la prima volta in cui si era ritrovato con le mani sporche di sangue. E perché qualcuno avrebbe voluto uccidere Brian? Westin era un meschino figlio di puttana ma non in modo evidente. Si era trattato di uno studente arrabbiato? Di un incontro fortuito? Qualcuno che si era stancato di sentirsi punzecchiato al punto da perdere la testa? Era difficile immaginare qualcuno che usava il coltello e… no, lasciamo perdere.

Tony svuotò la mente, concentrandosi sul proprio respiro. La caviglia pulsò. Quella corsa giù dalle scale non era stata salutare. C’era ancora quella scatola di libri nella sua classe. Ora avrebbe dovuto portarsela giù a piedi. Forse poteva lasciarla dov’era e pensarci lunedì. Magari non gli avrebbero nemmeno permesso di mettere piede in aula… Lasciò la mente libera di vagare, niente pensieri, niente ricordi, fino a quando sentì qualcosa toccargli il piede, scuotendogli la caviglia malata. Sgranò gli occhi appena si rese conto che qualcuno stava chiamando il suo nome. Guardò verso l’alto e si trovò di fronte gli occhi castani più scuri che avesse mai visto.

«Il signor Hart?» domandò l’uomo mentre Tony cercava di far ripartire il cervello. Il viso sopra di lui appariva lievemente corrucciato. «Va tutto bene? Sono il detective MacLean e vorrei scambiare due parole con lei.»

 

***

 

Jared MacLean aveva accolto la chiamata dalla Roosevelt High School come un dono del cielo. Era rimasto intrappolato al telefono in una conversazione in apparenza senza fine con la signora Tremayne circa la morte di suo marito Hewitt. O meglio, era rimasto seduto alla sua scrivania ascoltando in silenzio la signora Tremayne, sforzandosi di non perdere le staffe, mentre la donna gli spiegava che il verdetto di morte accidentale non era per niente accettabile. Pretendeva, pretendeva, che il detective MacLean provasse che suo marito era stato assassinato.

La sua mano si strinse con forza sulla cornetta mentre quella voce seccante e fastidiosa continuava a ronzare. La quantità dei soldi in ballo giustificava una piccola indagine da parte del dipartimento, ma l’uomo era ubriaco fradicio e stava guidando a quasi centoquaranta chilometri all’ora sul bagnato. Neanche uno straccio di prova puntava in una direzione diversa dalla morte per eccesso di stupidità. MacLean sospirò, strofinandosi gli occhi, mentre quella donna infuriata minacciava di fare in modo che il suo vecchio amico, il Capo della polizia, gli levasse il distintivo per incompetenza.

Il cenno insistente del suo partner Mike Oliver verso la porta fu proprio la scusa di cui aveva bisogno per dire: “Lo faccia pure, signora” prima di riagganciare. Prese la giacca dallo schienale della sedia e uscì.

Fu Oliver a guidare l’auto civetta che stavano usando quella settimana. Stava cadendo a pezzi, ma il motore era ancora piuttosto buono e a Oliver piaceva guidarla a tavoletta. Mac si tenne stretto al finestrino e cercò di anticipare le mosse del suo partner nel traffico di quel venerdì sera. Omicidio in una scuola superiore… quella sì che era una notizia in una città in cui i delitti non erano ancora cose di tutti i giorni.

Mac ricordava ancora bene gli anni delle superiori. C’erano alcuni insegnanti a cui avrebbe volentieri fatto uno scherzetto, ma l’omicidio era tutta un’altra storia. E la Roosevelt non era nota per essere una scuola particolarmente difficile.

Alle otto di sera, il traffico si stava un po’ riducendo, sebbene la zona dei bar in centro fosse ancora in subbuglio. Fuori dal centro le cose cambiarono rapidamente e ci vollero meno di dieci minuti per arrivare sul posto. Si fermarono alla scuola giusto in tempo per vedere uscire un paramedico con disinvoltura, la borsa appesa a una spalla.

«È roba vostra, non mia,» disse l’uomo a Oliver mentre passava lungo il vialetto.

La risposta di Oliver fu il solito laconico cenno del capo. Entrarono nella scuola e riconobbero l’agente di guardia dalla sua postura e dallo sguardo sollevato che rivolse loro nel vederli.

«Che cosa abbiamo?» chiese Mac.

«La vittima è di sopra, al secondo piano dentro l’ascensore,» li informò l’uomo. «Bianco, pugnalato all’addome e al petto. L’arma è ancora lì. Nessuna traccia del killer, a meno che non pensiate sia stato il testimone.»

«Testimone?»

«Abbiamo due persone nell’edificio, finora. Un tale Peter Ng, il bidello, che sostiene di essere rimasto sempre qui al pianterreno e di non aver visto né sentito nulla. L’altro è un insegnante, Anthony Hart. È stato lui a chiamarci. Dichiara di aver trovato la vittima appena prima che morisse, ma non ha visto l’assassino. Ha sentito dei passi che correvano giù dalle scale a nord ed è per questo che le abbiamo chiuse con il nastro.» Indicò una striscia gialla alla fine dell’atrio. «Stiamo usando le scale a sud. Abbiamo degli uomini tutto intorno all’edificio, davanti a ciascuno dei sei ingressi, ma ci è voluto del tempo. Credo che il nostro uomo se la sia già squagliata da un po’.»

«Avete già perquisito l’edificio?»

L’agente scosse la testa. «Non ho abbastanza uomini per sorvegliare le porte e fare anche quello. C’è bisogno di altri rinforzi.»

Oliver si voltò verso MacLean. «Io prendo la scena.» Che in altre parole significava che a Mac sarebbero toccati i testimoni. Si erano divisi il lavoro in quel modo decine di volte in passato. Gli occhi meticolosi di Oliver scovavano sempre ogni dettaglio della scena del crimine, ma i suoi modi freddi intimidivano alcuni testimoni. Le persone parlavano con Mac molto più liberamente che con il suo partner.

«Prima il bidello,» disse Mac all’agente in uniforme. «Se davvero non ha visto niente, forse possiamo mandarlo a casa. Iniziate a controllare l’edificio il prima possibile e fate un elenco delle targhe di tutte le auto nel parcheggio. Scoprite chi potrebbe essere ancora in giro e fate in modo che possa parlarci.»

Venne fuori che il bidello era un trentacinquenne vietnamita alquanto tarchiato. Il suo inglese aveva l’accento piatto e colloquiale del Midwest, almeno della seconda generazione. Insistette di non aver visto nessuno e di non aver sentito nulla oltre al rumore della lucidatrice. Fornì i nomi delle ultime persone che aveva visto lasciare l’edificio, più di un’ora prima, e per quanto riguardava Hart disse: «Credevo che se ne fosse andato. L’avevo visto uscire nel parcheggio. Forse ha dimenticato qualcosa.»

«È insolito che si trattenga qui fino a tardi?» domandò Mac.

«No,» rispose Ng strascicando le parole. «Lavora spesso fino a tardi. È un bravo ragazzo, saluta sempre quando se ne va, sa. Non è come alcuni degli altri insegnanti che considerano chi fa le pulizie solo un oggetto d’arredo della scuola.»

«Che cosa può dirmi di Brian Westin? Lo ha visto andarsene oggi?»

«No. Non per forza. In genere va via presto e figuriamoci se si ferma a salutare me. Perché? Nessuno mi ha ancora detto che cosa sta succedendo.»

«Non posso rilasciare commenti prima di conoscere tutta la storia,» rispose Mac. «Ha notato qualcuno di insolito, qualcuno che non avrebbe mai pensato di vedere qui di venerdì sera?»

«No,» disse Ng. «Non ho notato niente. Ma non sono la sicurezza. Ero occupato con i pavimenti. Il venerdì pulisco i corridoi e la lucidatrice fa molto rumore.»

«Ha già pulito il secondo piano?»

«Sì. Per primo. C’era ancora qualcuno nelle classi ma non mi chieda i nomi.»

Dalle domande successive non emersero nuove informazioni e alla fine Mac convinse l’uomo a lasciare i pavimenti così com’erano. Accompagnò Ng fuori dall’atrio per essere scortato fino alla sua auto. Poi si diresse alle scale sud. Quattro strette mezze rampe conducevano al secondo livello. In cima, trovò una porta antipanico aperta, con finestrella in vetro armato. Da lì partivano due corridoi, uno a destra e l’altro dritto davanti a lui. Il corridoio a destra era buio. L’altro era delimitato dal nastro e ben illuminato. I pavimenti lucidi reggevano l’alibi di Ng circa le sue attività di quella sera.

Il nastro della scena del crimine era fissato da un lato all’altro dell’estremità più vicina del corridoio e Mac non poté fare a meno di sorridere. In passato, Oliver aveva espresso il suo deciso disappunto riguardo al fatto che i nastri fissati incautamente troppo in prossimità della scena del crimine, potevano contaminare le prove. Le sue invettive dovevano evidentemente essersi diffuse attraverso i vari ranghi del dipartimento. Mac non era certo se quella misura fin troppo generosa fosse una beffa sottile o un riconoscimento contrariato della lingua tagliente del suo partner. In ogni caso, Oliver avrebbe avuto tutto lo spazio che voleva per lavorare.

Alcune porte più in giù, c’era un giovanotto seduto a terra e appoggiato alla parete con gli occhi chiusi. Doveva essere quell’insegnante, Anthony Hart. MacLean si fermò nel corridoio per raccogliere le prime impressioni.

Giovane, fu il primo pensiero che gli venne in mente. Il ragazzo non doveva avere molti anni in più dei suoi studenti. Era magro e non molto alto, sebbene fosse difficile giudicare il peso da quella posizione. Indossava pantaloni in cotone, una polo e mocassini. Con T-shirt e jeans, si sarebbe mimetizzato senza problemi tra gli studenti. I capelli erano neri, lievemente arruffati, le ciglia lunghe e scure sembravano una sbavatura in contrasto con quell’incarnato pallido. Aveva del sangue sulla guancia, sui pantaloni e persino sulle mani dalle dita sottili che penzolavano libere sulle ginocchia sollevate. Non si mosse quando Mac gli si avvicinò, chiedendosi se non stesse dormendo.

«Il signor Hart?» disse, fermandosi davanti ai piedi del ragazzo. Non ottenne risposta e perciò gli diede un lieve colpetto al piede con il proprio.

L’insegnante spalancò gli occhi ed emise un piccolo suono a metà strada tra il dolore e la sorpresa. Per un breve attimo, Mac si trovò di fronte a un intenso sguardo blu. Poi l’altro abbassò rapidamente gli occhi.

«Si sente bene?» chiese Mac. «Sono il detective MacLean e vorrei farle alcune domande. Il suo nome è Anthony Hart?»

«Sì,» rispose il ragazzo, alzandosi. «Sono desolato. Mi sono… appisolando, credo. Tutto sembra così surreale.» Fece per allungare la mano, ma poi cambiò idea e afferrò il muro quando sentì una gamba cedere.

Mac lo aiutò mettendogli una mano sotto l’altro gomito. Era magro, ma poteva sentire i muscoli sotto le sue dita. «Gamba addormentata?»

«No. O sì, in parte. Il fatto è che mi sono slogato la caviglia questo pomeriggio e poi ho fatto le scale di corsa.» Il professore offrì un sorriso dolorante mentre stava in equilibrio su una gamba e faceva roteare l’altra caviglia. «Ahi. Ma almeno non è rotta.»

«È sicuro?» domandò Mac, osservando di nascosto la reazione dell’altro. «Possiamo farle dare un’occhiata e rimandare questa conversazione a più tardi.»

«Assolutamente no,» disse Hart. «Voglio farla finita al più presto, così potrò lavarmi le mani e togliermi questi dannati vestiti.»

«Va bene.» Mac gli lasciò andare il braccio. «Troviamo un posto per sederci. Al di là del nastro, però.» Fece strada fino all’altro corridoio, con Hart che lo seguiva zoppicando. «Possiamo usare un’aula?»

«Quella,» indicò Hart. «Il laboratorio di informatica. Posso aprire con la mia chiave.»

«Prego.»

Mac lo seguì fino alla porta, ma lo fermò prima che potesse inserire la chiave. «Mi faccia controllare, prima.» Si accertò che la porta fosse ben chiusa. Non c’erano tracce di sangue o di altro tipo sulla maniglia. «Okay, apra pure.»

La stanza era immersa nella penombra, rischiarata da una sola piccola lampada fluorescente. Mac allungò una mano per accendere le luci principali e indicò le sedie più vicine. «Sediamoci qui. Le dispiace se prendo appunti? Mi piace avere sempre le cose ben chiare.»

Mac osservò attentamente il suo testimone man mano che raccontava i fatti: l’ascensore, il decesso, la telefonata al 911. Le reazioni e il tono del giovane suonavano sinceri, ma era innegabile che si fosse trovato nel posto giusto al momento del delitto, senza nessun altro che potesse confermare la sua storia. Il nome di Anthony Hart sarebbe finito in cima alla lista dei sospettati.

«Adesso,» disse Mac dopo aver ascoltato i dettagli di base, «mi parli di Brian Westin. Non ha dubbi sulla sua identità?»

«Nessuno,» rispose Hart rabbrividendo. «Dannazione. Scusi.»

«Nessun problema,» ribatté Mac con tranquillità. «Sarebbe strano se tutto questo non l’avesse scossa. Comunque, conosceva bene Westin?»

«Non molto. Voglio dire, lo vedevo spesso. Alle riunioni dei docenti, nella sala degli insegnanti e altre cose del genere. Era inevitabile. Ma lui… non gli piacevo molto e cercavo di non rompergli le scatole. Sono già abbastanza occupato così senza avere a che fare con Westin.»

«Avere a che fare con lui in che senso?»

«Niente di che,» si affrettò a rispondere Hart. «Voglio dire… era un maestro nelle osservazioni taglienti, sa, quelle che bruciano di più due ore dopo quando ti vengono in mente tutte le contro-risposte che avresti potuto dargli. Ma non valeva la pena sfidarlo a una gara di frecciatine. Gli piaceva troppo e io detesto litigare.»

«Per che cosa litigavate?»

«Nulla, gliel’ho detto.» Hart distolse lo sguardo. «Cercavo di evitarlo.»

Non sembrava per niente un rapporto amichevole, quello. Mac adottò un tono casuale mentre osservava da vicino le reazioni del giovane uomo. «Okay, per che cosa litigavate quando non riusciva a evitarlo?»

Hart sospirò. «Per tutto, ma per lo più cose insignificanti. Quali articoli approvo per il giornale scolastico, ad esempio. Sa, sono il supervisore. Quali libri ho scelto di assegnare e se queste letture hanno contribuito a una diminuzione generale del rispetto verso gli insegnanti da parte dei nostri studenti. Persino quanto sono generoso nel concedere il permesso di andare in bagno, per l’amor del cielo. Quell’uomo era un vero tiranno.» Hart fece una pausa, quindi guardò Mac dritto negli occhi, l’espressione quasi sprezzante, e aggiunse: «Se ero degno di insegnare ai nostri giovani ragazzi poiché ho deciso di “adottare uno stile di vita omosessuale”.»

Okay, non tocchiamo questo argomento per il momento. Andiamo avanti.

«Mi sembra di capire che non gradisse il suo punto di vista,» commentò Mac gentilmente. «Si sentiva minacciato da lui in qualche modo?»

«Minacciato?» ripeté Hart. «Da Westin? Non seriamente, no. Perché?»

Quel tizio era davvero così ingenuo?

«Perché quando una persona viene uccisa è naturale chiedere se rappresentasse una minaccia per qualcuno. La paura è uno dei moventi più forti. Mi chiedo se qualcuno temesse così tanto questa persona da arrivare a ucciderla.»

«Gli piaceva creare problemi, in un certo senso,» disse Hart piano. «Denunciava piccole violazioni, metteva in giro stupidi pettegolezzi. Io stesso sono stato richiamato un paio di volte per infrazione del regolamento scolastico e sono certo che sia stato lui a farmi rapporto, ma mai per qualcosa di serio. Il preside Johnson si è sempre limitato a dirmi di non farlo di nuovo. Johnson è un brav’uomo, non se la prende per le piccolezze.» Hart alzò le spalle. «Non posso immaginare che qualcuno abbia preso sul serio Westin. Ad esempio, la mia omosessualità non è un segreto. Sono consulente scolastico per l’Alleanza gay-etero. Westin e la sua cricca potevano anche non vedere la cosa di buon occhio, ma oggi giorno non c’era molto che potessero fare contro di me.»

«E che mi dice degli altri? Poteva aver scoperto segreti più grossi nella vita di qualcun altro qui a scuola? Minacciare di rivelarli?»

«Tipo il ricatto? Conoscendolo, penso che avrebbe preferito spargere la voce, sebbene amasse avere potere sulle persone. Non avrei proprio voluto essere nei panni di un povero studente che vedeva la sua promozione appesa al giudizio di Westin. Gli piaceva farsi leccale i piedi.»

«Quindi ritiene che sia possibile?»

«Credo di sì. Tutto è possibile. Ma non mi viene in mente nessuno e non desidero nemmeno pensarci. Non potrebbe semplicemente aver sorpreso qualcuno a spacciare droga, che poi lo ha ucciso?»

Mac scosse la testa. «A quell’ora in una scuola? Poco probabile, a meno che lo spacciatore o l’acquirente non fosse un membro del personale. Sospetta che Westin fosse coinvolto in un giro di stupefacenti?»

«No,» ammise Hart. «A essere onesto credo sia solo un moralista represso, come pretendeva che fossimo anche noi.»

«Potrebbero essere state due le persone che ha sentito correre per le scale?»

Hart spostò lo sguardo lontano, cercando di ricordare. «No. Può essere che una seconda persona, se c’era, se ne sia andata prima che l’ascensore si aprisse, ma dopo… ne ho sentita solo una.»

«Crede che fosse un uomo?»

«Sì. Ma è solo la mia impressione. Potrei anche non essere obiettivo perché mi sembra poco probabile che una donna infilzi qualcuno con un coltello.»

Mac annuì. «Può dirmi con chi usciva Westin, chi potrebbe avere un’idea migliore della sua vita?»

«Beh, era sposato.»

Dannazione, avvisare il parente più prossimo sarebbe sicuramente toccato a lui. «Conosce sua moglie? Crede che possa esserci di aiuto?»

«Non l’ho mai incontrata,» tagliò corto Hart. «Non socializzavamo.»

«Che mi dice della scuola? Si confidava con qualcuno, una persona che potrebbe sapere se aveva dei nemici?»

«Ha… aveva alcuni sostenitori, gente che lo trovava divertente o che pensava avesse ragione circa la depravazione morale della generazione più giovane. Ma non credo che fosse così intimo con quelle persone al punto di confidarsi.» Hart esitò. «Forse Mary Pinski. Insegna storia e tedesco. Suo marito è un importante uomo d’affari e Westin la trattava sempre con molto più rispetto di quello che riservava a tutti gli altri. Si sostenevano a vicenda durante le riunioni dei docenti.»

«Era qui oggi?»

«Non so… Sì, credo proprio di averla vista a pranzo. Ma non so quando se ne è andata.»

«Ha il suo numero di telefono, per caso?»

Hart rise. «Spiacente, non faccio parte di quel gruppo privilegiato.»

«Chi potrebbe averlo?» chiese Mac.

«Probabilmente Dean Johnson. Credo abbia accesso ai dati di tutto il personale.»

Mac si accigliò. «Il preside?»

«Sì. Dean è il suo nome di battesimo.» Hart scrollò le spalle. «Lo prendiamo sempre in giro dicendo che, se si facesse trasferire in una scuola di livello superiore, potrebbe farsi chiamare Decano Dean{1}. Fortunatamente sembra felice di rimanere qui in trincea assieme a noi.»

«Ha il suo numero di telefono?»

«Nel cellulare.» Hart allungò una mano verso la tasca, ma si bloccò, osservandosi le mani. «Posso pulirmi prima?»

«Solo un altro paio di domande. Il coltello che è stato usato per uccidere Westin… lo aveva mai visto prima?»

«Non mi sono preoccupato di guardarlo da vicino!» si lagnò Hart.

«È solo una domanda, signore.»

«No,» borbottò Hart. «Non che io sappia.»

«Sa se Westin doveva fermarsi fino a tardi, stasera?»

«Non mi ha messo a parte dei suoi programmi.»

Mac sbatté le palpebre. «È un no?»

«No,» disse Hart in modo chiaro. «Non sapevo che fosse ancora qui.»

«Che lei sappia, uno studente, o qualsiasi altra persona, ha accennato al fatto di essere stato minacciato o di sentirsi preoccupato per qualcuno che veniva a scuola armato?»

«Non con me.»

«Qualcuno si è lamentato di Westin o sembrava sentirsi a disagio quando Westin era nei paraggi?»

«A parte chiunque sia sano di mente in questo edificio? No.»

Mac sospirò. L’espressione cordiale di Hart si era trasformata in irritazione controllata. In qualche modo aveva perso la sua collaborazione. Non era il caso di calcare la mano. Meglio cambiare argomento.

«Cosa sa dirmi di Peter Ng, il bidello?»

«Perché me lo chiede?»

Mac scrollò le spalle con noncuranza. «Si trovava nell’edificio. Potrebbe aver visto qualcosa. Crede che ce lo direbbe in questo caso? Anche se fosse stato un altro vietnamita?»

«Mi ascolti,» disse Hart con fermezza, «Pete è un brav’uomo. Lavora sodo, ha una moglie e due figli. È americano, proprio come noi due. Non c’è ragione di pensare che abbia a che fare con tutto questo solo perché non è un dannato bianco.»

«Ehi.» Mac alzò le mani e ondeggiò l’anulare in modo che il suo anello risplendesse nella luce. «Mia moglie era del Vietnam. Non sto accusando Ng di nulla. Mi limito a esplorare le possibilità.»

Dopo un silenzio riluttante, Hart annuì. «Okay, mi dispiace. È il suo lavoro.» Poi aggiunse, quasi controvoglia: «Era del Vietnam?»

«È morta,» tagliò corto Mac. Non avrebbe parlato di Mai con il docente.

«Mi dispiace.»

«Già. Quindi, chi possiede le chiavi dell’edificio?»

«Deve chiedere anche questo a Dean,» rispose Hart, il tono più controllato. «Sicuramente tutti gli insegnanti; Pete Ng, l’impresa di pulizie che viene il fine settimana per pulire i bagni, lo staff amministrativo, i consulenti… Sono in tanti ad avere le chiavi. Ma le dirò,» aggiunse, «chiunque ha commesso l’omicidio non doveva per forza avere le chiavi della scuola. Sono necessarie per entrare dopo l’orario di chiusura, cioè le sei del venerdì pomeriggio, ma non per uscire. Il… tizio con il coltello… sarebbe potuto rimanere nascosto a scuola da qualche parte dopo le lezioni e attendere il momento buono.»

«Le abitudini di Westin erano prevedibili?»

«Non ci ho mai fatto molto caso, ma di rado si fermava così tardi. Io rimango molto più spesso e non credo di essermi mai imbattuto in lui dopo le sette prima di oggi. Imbattuto in lui.» Più che una risata Hart emise un suono strozzato mentre faceva scorrere le mani sopra le ginocchia dei pantaloni zuppe di sangue. «Mi sono decisamente imbattuto in lui questa volta. Sa, l’ultima cosa che probabilmente ha sentito prima di morire ero io che imprecavo per la sua goffaggine.»

«Non è colpa sua,» disse Mac. Qualcosa di simile alla colpevolezza animò gli occhi blu del giovane. Colpevolezza per che cosa? «Non poteva salvarlo. Dalla descrizione della ferita, niente avrebbe potuto fare la differenza.»

«Avrei dovuto capire che nemmeno Westin mi avrebbe schiacciato contro la parete solo per il gusto di farlo. Avrei potuto guardare prima fuori dall’ascensore. Forse avrei visto il colpevole.»

«E avrebbe potuto finire accoltellato anche lei,» osservò Mac. «Si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ha fatto ciò che poteva.»

«Suppongo sia così,» sospirò Hart. «Abbiamo finito?»

Mac annuì. «A meno che non abbia altro da dirmi che potrebbe esserci utile.»

«Nient’altro.» Hart aggrottò la fronte guardandosi le mani. «Posso andarmene ora?»

«Certamente. Ma apprezzerei se potesse mettere i suoi abiti in un sacchetto e portarceli alla centrale dopo che si è cambiato. La vittima le è caduta addosso, quindi è possibile che alcune prove siano state trasferite dai vestiti di Westin ai suoi.»

«Non perché sono sospettato e sta cercando delle prove per incastrarmi?» Hart inclinò la testa e lo fissò, gli occhi blu lievemente beffardi.

«Non faccia il saputello,» reagì bruscamente Mac, sorprendendosi della propria stizza. «Ovviamente lei è sospettato. Era lì, avrebbe potuto ucciderlo. Non penso sia stato lei e, se è davvero innocente, collaborare con noi è il modo più veloce per essere discolpato e aiutarci a prendere il vero omicida. Ma non ho un mandato e ancora non posso costringerla a collaborare se decide di complicarci le cose.»

Con sua grande sorpresa, Hart apparve in imbarazzo. «Certo,» disse, «posso farlo. Ho un cambio nel borsone della palestra, in auto. Posso cambiarmi ora e darle subito questi. Mi risparmierà un viaggio.» Si alzò, zoppicando vistosamente sulla caviglia.

«Aspetti,» disse Mac. «Glielo vado a prendere io, così non dovrà farsi due volte le scale per scendere e risalire. Non può usare l’ascensore.» In questo modo, avrebbe anche potuto dare un’occhiata all’auto del docente.

Hart sembrò sorpreso, ma gli porse subito le chiavi. «Okay, bene. Ecco qui. La Prius blu. La borsa è sul sedile posteriore. Però potrebbe essere sepolta sotto una pila di libri.»

«La troverò.»

D’improvviso Hart gli sorrise. «Grazie. È davvero gentile da parte sua.»

Mac sbatté le palpebre. Quel sorriso poteva essere registrato tranquillamente come un’arma letale. Senza, Hart era un ragazzo di bell’aspetto. Ma con quel sorrisetto sghembo e quella solitaria fossetta riusciva a risucchiarti, come un bel fuocherello in una notte gelida. «Nessun problema,» riuscì a dire. «Riusciamo a simulare un po’ di gentilezza almeno una volta in ogni interrogatorio. Rimanga qui e non…» Afferrò la mano sporca di sangue di Hart due centimetri prima che strofinasse l’occhio. «Non tocchi nulla fino al mio ritorno.»

Stupido, si disse Mac mentre scendeva le scale. Non iniziare a fare lo stupido.

Quel tizio era un sospettato. Il fatto che avesse un sorriso dolce e un buon senso dell’umorismo non cambiava la situazione. Non la cambiavano nemmeno quegli arruffati capelli scuri e quegli occhi blu, anche se avevano fatto breccia nei punti giusti. Non c’entrava nulla neanche che Hart fosse gay.

È fuori discussione, idiota, disse Mac al proprio ottimismo che era riuscito in qualche modo a scappare dal suo nascondiglio. Probabilmente sta con qualcuno. E anche se non avesse nessuno e venisse scagionato completamente, non c’è ragione per cui accetterebbe di stare nell’ombra con te. Quindi, piantala!

Si toccò la fede. Aveva fatto le sue scelte già da tempo.

 

Individuare la Prius tra le poche auto rimaste nel parcheggio non fu un problema. I sedili posteriori erano pieni di scatole contenenti libri per bambini, avvalorando la dichiarazione di Hart. Avrebbero dovuto controllare anche l’ultima scatola rimasta nella classe dell’insegnante. Il borsone era intrappolato sotto tutte quelle scatole, ma Mac riuscì a liberarlo. Nessun odore di tabacco o marijuana. Aprì il vano portaoggetti e iniziò a rovistare. Dopotutto, aveva il permesso di Hart di trovarsi lì. Il libretto corrispondeva all’indirizzo del docente. Trovò diverse ricevute: rifornimento, cambio dell’olio, un fast food e persino lo scontrino di un paio di calze acquistate da Target. C’era anche una ricevuta del nightclub Dakota, cena per due risalente a nove mesi prima. Niente armi, niente droga, nessuna lettera di ricatto. Mac richiuse il portaoggetti e poi l’auto. Tornando indietro, prese una busta per le prove e un kit di rilevamento impronte dalla sua auto. Era ora di permettere al giovane professore di cambiarsi e lasciarlo andare a casa.

Trovò Hart in corridoio fuori dall’aula di informatica. Prese il borsone rivolgendogli un altro dei suoi sorrisi. «L’ha trovata, vedo.»

«Già.» Mac si schiarì la gola. «Io… ehm… controllerò se ci sono tracce in bagno prima che lo usi per lavarsi. Da questa parte?»

Hart assottigliò lo sguardo. «Certo. Crede che il vostro uomo sia passato di qui? È ben lontano dalle scale nord.»

Mac gli tenne aperta la porta con le sue mani decisamente più pulite. «No, non credo, altrimenti non le avrei dato il permesso di venire qui. Ma in ogni caso voglio dare un’occhiata veloce, così la difesa non potrà suggerire che c’erano tracce di sangue prima che lei le lavasse via. Farebbero di tutto per confondere le acque.»

Come no. È proprio per questo motivo che vuoi seguirlo, che vuoi seguire questo ragazzino, nel gabinetto.

Per non farla sembrare una menzogna, controllò rapidamente le maniglie, i lavandini e il pavimento; niente sangue, nulla era fuori posto.

«Okay. Si tolga quei vestiti di dosso.» Bravo, ti è uscita proprio bene. «Io… ehm… terrò aperta la busta così potrà metterli qui dentro senza che io li tocchi.» Mac agitò la busta e la aprì.

«Anche le scarpe?»

«Se ne ha un altro paio, sì.»

«Quelle da ginnastica nel borsone della palestra.» Hart si piegò per sfilarsi i mocassini e li mise nella busta. Appoggiò cellulare e portafoglio sul ripiano, quindi si voltò leggermente per abbassare la lampo dei pantaloni. Diede una rapida occhiata da sopra la spalla mentre si spogliava. «Sa, mi ricorda alcuni dei miei ex, anche se nessuno se ne è mai andato via dopo portandosi dietro i miei vestiti.»

Mac trasalì e distolse lo sguardo.

«Mi scusi,» disse Hart in segno di scusa. «Troppe informazioni.»

Mac voltò completamente le spalle.

Così hai un’ottima visuale sullo specchio, vero?

Osservò Hart alla ricerca di tracce di sangue che non corrispondessero a quelle sui vestiti, non trovandone. Il suo corpo era snello ma non ossuto, agile e lievemente muscoloso con solo un pizzico di quella morbidezza risalente all’adolescenza. Una lieve peluria scura gli attraversava il petto all’altezza dei capezzoli, scendendo fino agli slip.

Mac tossì e si impose di guardare altrove. «Gli slip non servono, a meno che non siano sporchi di sangue.»

«Non vuole il pacchetto completo?»

Mac si guardò alle spalle e incontrò gli occhi divertiti di Hart. Girò la testa rapidamente. «Grazie, no.»

Udì rumore di acqua corrente, seguito da uno spruzzo e uno sbuffo. Mac prese una manciata di salviette di carta e si voltò per passargliele. I capelli scuri del giovane gocciolavano intorno al suo viso. L’acqua riluceva sul labbro superiore e su una guancia, intrappolata da un velo di barba serale.

«Grazie.» Hart prese le salviette e si asciugò viso e mani. Un rivolo d’acqua corse giù dall’incavo nel collo fino al torace.

Mac sollevò lo sguardo per evitare di seguire quella scia.

È decisamente il momento di andarsene da qui.

«Si rivesta, ora,» disse. «Prima di lasciarla andare, dovrò prenderle alcune impronte.»

«Come mai?» chiese il professore, una chiara nota di sospetto nella voce, mentre infilava i pantaloni della tuta su per quelle lunghe gambe slanciate e quel culo sodo.

Basta così.

«Ha toccato Westin, dico bene? Gli ha preso il polso e tutto il resto. Potrebbe aver toccato il coltello.»

«Non credo,» disse l’altro con più calma. «Ma non posso esserne sicuro.»

«Abbiamo bisogno delle sue impronte per il confronto. Se troviamo impronte di qualcun altro, sappiamo quali appartengono a chi.»

«Sapremo,» lo corresse il giovane, pur annuendo. «Sì, va bene. Come procediamo?»

Mac tirò fuori la scheda. «Si metta la maglietta e glielo mostro.»

La voce di Hart tornò a essere canzonatoria. «In genere gli uomini mi chiedono di levarmela, la maglietta.»

Mac non stentava a crederlo. Il suo corpo era magro ma bello, muscoli in forma e… «Indossi la maglietta e la pianti,» disse, a se stesso e al professore.

Hart si infilò la T-shirt, se la sistemò per bene e si mise le scarpe da ginnastica. «Okay.»

Mac appoggiò il tampone senza inchiostro per impronte digitali sul ripiano e lo aprì, mostrando a Hart come muovere le dita in modo corretto. Ci si sporcava di meno rispetto al vecchio sistema a base di inchiostro, ma doveva comunque tenere ferme quelle dita sottili e guidarle. Mani da pianista; ne percepì il calore mentre le sistemava e le muoveva una a una. Si sentì sollevato quando fece un passo indietro per mettere via il cartoncino e il tampone.

«Bene. La ringrazio. Ora potrei avere il numero del preside Johnson?»

Hart prese il telefono. Rimase a fissarlo per un secondo e Mac notò che la superficie era macchiata. Il giovane si fermò per pulirlo prima di aprirlo. La sua mano tremò leggermente. Mac non commentò e prese nota del numero.

«Può andare a casa adesso,» gli disse quindi. «La farò accompagnare da qualcuno. Deve usare le scale sud e l’ingresso principale. Non sarà tentato di andarsene in giro, vero?»

«No.»

Davanti alla porta Mac si fermò per guardare Hart ancora una volta e non poté fare a meno di chiedergli: «Se la caverà?»

«Sto bene.» Il sorriso era stanco, ma ugualmente bello. «Ringrazio solo che questa giornata sia finita.»

Mac annuì e lasciò che la porta del bagno si chiudesse dietro di lui. La sua giornata, invece, era solo all’inizio.

 

***

 

Tony parcheggiò sotto il suo appartamento e rimase seduto lì, cercando di raccogliere le energie per uscire dall’auto. Non c’era motivo di sentirsi così distrutto. Non aveva nemmeno avuto la possibilità di portare giù l’ultima scatola di libri. Quel tipo grosso dai capelli castani, il detective MacLean, gli aveva permesso di lavarsi e cambiarsi, poi aveva mandato un agente in uniforme per accompagnarlo sino all’auto. Grazie mille e ora sparisca. Non che avesse voluto rimanere.

Era strano pensare a qualcuno che prendeva un coltello e faceva… quello. MacLean sembrava aver accettato tutto quel sangue e quella violenza senza fare una piega. Naturalmente non poteva essere altrimenti, considerando che era uno sbirro. Aveva accolto ogni cosa senza battere ciglio, compreso l’orientamento sessuale di Tony. Nemmeno la più piccola esitazione, anche quando lo aveva punzecchiato, un comportamento piacevolmente differente rispetto agli altri poliziotti che aveva incontrato nella sua vita. Soprattutto quelli grandi e grossi con tanti muscoli come MacLean. Era curioso come molti dei macho men là fuori fossero spesso proprio coloro che si sentivano più minacciati dalla semplice esistenza di persone come lui. E MacLean era sicuramente macho, nessun dubbio in proposito. Alto, massiccio e con un fisico solido…

Tony sospirò. Fantasie così inappropriate non lo avrebbero fatto salire fino al suo appartamento né avvicinare a quella bottiglia ghiacciata di Dos Equis. Ecco, quella sì che era una fantasia più appropriata: una buona birra, un programma divertente alla TV e cibo d’asporto. Decisamente più sicuro.

Si trascinò nell’ingresso e prese l’ascensore. La salita fu tranquilla e le porte si aprirono sul quarto piano. Per un secondo, quando l’indicatore suonò, Tony fece un passo indietro, il rapido ricordo di quel corpo robusto e del sangue fresco che lo coglievano di sorpresa. Ma durò solo un istante e il corridoio che conduceva al suo appartamento era silenzioso e vuoto.

Gesù, sei proprio uno smidollato. Un tizio morto che ti cade addosso non è una grande scusa per iniziare ad avere dei dannati flashback.

Il suo appartamento gli apparve come un porto sicuro. Le stanze erano illuminate appena da una sola lampada con timer. Andò al frigorifero, prese la birra e, nella luce interna, notò una lunetta rossastra di sangue sotto le unghie. Un attimo dopo era in bagno a strofinarsi con uno spazzolino al punto da far sanguinare le pellicine.

Non comportarti da nevrotico del cazzo. Ti sei sporcato le mani di sangue, è normale che sia finito anche sotto le unghie. Punto.

Ciononostante, non smise di strofinare fino a molto tempo dopo che anche l’ultima traccia di Westin era scomparsa dalla sua pelle. Per lo meno, non credo che possa trasmettermi l’HIV. Era già abbastanza difficile immaginarsi Westin che faceva sesso con sua moglie, figurarsi con qualcun altro.

Si domandò se fosse più facile assistere alla morte di un amico che a quella di qualcuno che disprezzava così profondamente. Di sicuro non avrebbe provato lo stesso ripugnante misto di colpevolezza e soddisfazione. L’acqua calda scorreva in rivoli tra le dita, donando alla sua pelle un colore rossiccio. Tony si sforzò di asciugarsi le mani, pettinarsi e uscire dal bagno.

In cucina, prese la birra tanto agognata e se la portò sul divano. Il telecomando era a portata di mano, la birra era fresca; avrebbe saltato il cibo e mandato all’aria il resto della serata. Gli sarebbe piaciuto chiamare qualcuno, magari Sabrina o Rick, e raccontare ogni cosa. Ma MacLean gli aveva chiesto di non parlare di Westin, se possibile, fino a quando non fossero riusciti a contattare la sua famiglia. Tuttavia, gli era parso che MacLean non avesse molta fiducia nelle sue capacità di tenere la bocca chiusa. Cosa che gli fece desiderare di seguire gli ordini, un po’ per dimostrare al detective che si sbagliava e un po’ perché… lo voleva, in un certo qual modo.

Vuoi la sua approvazione. Smettila di sbavare dietro a quel tizio etero. Si è già dimenticato di te nell’esatto momento in cui te ne sei andato.

Il telefono squillò sotto la sua mano non appena la allungò per prenderlo. Che tempismo. Premette il tasto della cornetta. «Pronto?»

All’altro capo della linea ci fu un attimo di vuoto silenzio, seguito dal segnale di libero. Dannato numero sbagliato. Giocherellò un momento con il cellulare, pensando a cosa fare, poi chiamò Marty. La voce frizzante che rispose lo fece sorridere. Martin aveva appena rimorchiato un tizio al Gay 90’s, perciò poteva contare su una buona mezz’ora di chiacchiere ottimistiche e pettegolezzi maligni su quell’uomo e i suoi amici. Tony avrebbe dovuto limitarsi a qualche occasionale grugnito di riscontro. L’ideale per il suo desiderio di compagnia e discrezione.

«Ehi, Marty,» disse Tony allegramente, «raccontami un po’ di questo gran figo.»

 

***

 

Il dipartimento di polizia di Minneapolis non amava viziare i suoi agenti. L’offerta per le sale riunioni, era tra “piccole e soffocanti” o “grandi e piene di spifferi”, ciascuna con la propria dotazione di sedie scomode. Oliver aveva ipotizzato una volta che quelle sedie fossero state scelte di proposito, in modo da velocizzare le riunioni. Secondo Mac, erano semplicemente quelle più economiche vendute da Target la settimana in cui era stato acquistato l’arredamento per il dipartimento.

Un delitto in una scuola superiore aveva il potenziale per diventare un caso di alto profilo, se non fossero riusciti a risolverlo in breve tempo. Il capitano aveva chiamato i detective Terrance e Hanson per dare una spinta alle indagini. Terrance aveva all’incirca la stessa età di Oliver, quasi quarant’anni, con capelli biondo scuro tagliati molto corti. A differenza di Oliver, corridore accanito, Terrance si stava appesantendo, la pancia in risalto sopra la cintura e sotto camicie troppo strette. Mac si chiedeva se fosse un modo di negare l’evidenza o se semplicemente non avesse ancora avuto modo di comprare nuovi vestiti da quando il girovita era aumentato. Era grato di non essere stato messo a far coppia con Terrance quando era entrato a far parte del dipartimento. Quell’uomo era un investigatore affidabile e risoluto, ma privo di stimoli e un po’ pigro, che tendeva sempre a scegliere la risposta più ovvia. Mac aveva imparato molto di più da Oliver.

Hanson, il partner di Terrance, era stato appena promosso ed era un tipo entusiasta, proprio il genere di sbirro che avrebbero potuto usare per un manifesto di reclutamento. Biondo, alto, in forma e follemente attraente. Mac si era chiesto più volte perché non sentisse la minima attrazione nei confronti di Hanson. Ma a parte la profondità sotto cui Mac aveva sepolto la sua reale inclinazione sessuale al lavoro, Hanson emanava una luce artificiosa che rendeva Mac sospettoso. Le sue reazioni apparivano lievemente calcolate, guidate da un’ambizione sostanziale. Quell’uomo era utile, in particolare con i computer, ma Mac aveva l’impressione che ogni favore venisse registrato in modo da essere riscosso a tempo debito. Doveva ringraziare Dio se era affiancato da Oliver, il cui dimesso silenzio nascondeva una mente arguta e una dedizione a trovare la verità. Mac aveva avuto fortuna nella lotteria dei partner.

Il detective Terrance aveva portato le ciambelle al briefing sul caso previsto per mezzanotte, guadagnandosi grugniti di riconoscenza da parte degli altri presenti. Il capitano Severs fece cenno di sedersi tutti attorno al tavolo e annuì all’indirizzo di Oliver, che aveva il comando delle indagini, affinché desse il via alla discussione. Come sua abitudine, Oliver indicò Mac con la mano per segnalare che sarebbe stato il suo partner a fornire il rapporto iniziale.

«Okay, allora, Mac,» disse Severs, «che cosa abbiamo?»

Mac fece scivolare lo sguardo sugli altri uomini che avrebbero lavorato assieme a loro e aprì il fascicolo.

«La vittima era un insegnante di quarantanove anni di nome Brian Westin. È stato pugnalato a morte al secondo piano della Roosevelt High School alle diciannove e cinquantasei circa. L’ora del decesso si basa sull’unico testimone, che ha chiamato il 911 poco dopo. Dagli esami preliminari svolti dal medico legale, risulta che il decesso è avvenuto dieci, quindici minuti prima al massimo, scegliendo di dubitare della dichiarazione del testimone. Il decesso non può essere avvenuto molto più tardi, in base all’orario in cui è giunta la prima squadra di intervento e alle loro osservazioni.»

«L’arma è un coltello da cucina con lama di diciotto centimetri; non sono state trovate impronte digitali. Non si tratta di un coltello nuovo, quindi una ricerca negli acquisti non produrrebbe risultati utili. Il coltello si trovava ancora nel corpo. L’autopsia è fissata per domani mattina sul tardi. Il medico legale ha dichiarato che la morte è stata rapida ma non istantanea, è stata applicata una discreta quantità di forza e sulle mani non erano presenti ferite da difesa.»

«Può essere stata una donna?» chiese Severs.

«Il coroner non si sbilancia, ovviamente,» rispose Mac, «tuttavia ha affermato che l’esame preliminare suggeriva che l’aggressore fosse discretamente forte. La lama è stata infilzata con decisione tra le costole della vittima. Non mi sentirei di escludere una donna, ma le probabilità sono molto scarse.»

«Parente più prossimo?»

«La vittima aveva una moglie, Sarah.» Mac scrollò le spalle. «Ho il suo numero di casa e del cellulare e il preside della scuola mi ha fornito anche il numero del lavoro dai suoi registri, ma non risponde a nessuno di essi. Ho lasciato dei messaggi. Non avevano figli e non abbiamo altri numeri di contatto di emergenza nel suo fascicolo personale.»

«Quindi,» interloquì Severs, «datemi la versione breve. Qualche sospettato al momento?»

«Nessuno di veramente probabile,» disse Mac. «La vittima era solita lamentarsi con il preside delle mancanze degli altri insegnanti ed era famosa per rendere difficili le cose agli studenti, ma il preside Johnson non ha saputo dirmi niente di così grave da giustificare un omicidio.»

«Perché non il nostro testimone?» suggerì Terrance, facendo ondeggiare la sua copia del fascicolo del caso. «Questo giovane professore, Tony Hart, ha avuto degli scontri con Westin in passato. Sembra che Westin lo avesse preso di mira. Forse la vittima ha scoperto qualcosa di più grave e Hart ha deciso di chiudergli la bocca.»

«Non credo sia stato lui,» disse Mac, con una vena leggermente più polemica di quanto avesse voluto. «Johnson mi ha detto che quando Westin si è lamentato di Hart, la prima volta è stato per aver lasciato la macchina negli spazi riservati ai visitatori invece che in quelli del personale e la seconda per aver permesso ad alcuni ragazzi di pranzare in classe invece che al refettorio, come richiede il regolamento. Johnson ha essenzialmente detto a Hart di non farlo più. Questione chiusa. Abbiamo inoltre prove che convalidano la versione di Hart sull’uomo che ha sentito correre via dalla scena. Sono state rinvenute tracce di sangue sulla porta delle scale nord e sugli scalini.»

«Avrebbe potuto lasciarle Hart quelle impronte,» suggerì Terrance. «Se avesse ucciso Westin, avrebbe potuto prendere le scale per nascondere le prove o pulire e poi tornare indietro per fingere di scoprire il cadavere. Aspettate, ho un’altra teoria. Hart se la fa con qualcuno della sua classe, con cui si imbosca dopo la fine delle lezioni. Una volta che la scuola si è svuotata, Hart torna in classe per farsi la sua scopatina, ma arriva Westin e li minaccia. Forse è stato lo studente a prendere il coltello e a pugnalare Westin. Dopodiché è scappato e Hart ha chiamato il 911. Avrebbe senso.»

«Sono pure congetture,» lo aggredì Mac. «Non c’è uno straccio di prova a sostegno di questa teoria.»

«Avevo capito che non stessimo cercando una donna,» disse Severs. Dopo un attimo in cui tutti lo fissarono confusi, aggiunse: «Se volete incolpare la ragazza di Hart.»

«Oh. No,» chiarì Terrance. «Hart è gay, lo studente sarebbe un ragazzo.»

«Prima di rovinare la reputazione di quell’insegnante,» disse Mac in tono asciutto, «dovremmo indagare di più. D’altro canto, se Hart fosse colpevole non avrebbe mai chiamato la polizia. Avrebbe potuto semplicemente andarsene e nessuno avrebbe trovato il corpo se non molte ore dopo.»

«Forse era preoccupato che il bidello notasse il sangue sui suoi vestiti,» suggerì Terrance.

«Ciononostante,» continuò Mac, «ho un elenco di altre persone che hanno avuto ufficialmente problemi con Westin a scuola. Di recente aveva denunciato altri quattro insegnanti per non aver rispettato il regolamento, per non parlare dei numerosi studenti che negli ultimi due anni aveva bocciato o fatto sospendere. Il caso che ha suscitato più scalpore è stato lo scorso autunno, quando ha bocciato uno dei migliori giocatori di football senza alcun precedente ammonimento, proprio nel bel mezzo della stagione. Il ragazzo rischiava di perdere il diritto alla borsa di studio per il college. Venne coinvolto anche il coach e la situazione sfuggì di mano. Alla fine, Westin ha concesso al ragazzo un test di recupero, giusto in tempo per il grande match, ma lo ha costretto a saltare gli allenamenti se voleva sostenere l’esame. Lo studente ha ricevuto un’offerta per una borsa di studio, ma non quella che aveva sperato. Tutto questo è accaduto parecchio tempo fa per costituire un movente, ma può essere che stesse minacciando allo stesso modo un altro atleta. Una borsa di studio per un college è una bella somma di denaro e a quell’età i ragazzi si arrabbiano facilmente.»

«Ma perché sarebbero rimasti ad aspettare nel corridoio della scuola alle otto di sera?» chiese Hanson.

«Forse l’assassino doveva incontrarsi con Westin nel suo ufficio,» suggerì Mac. «Forse dopo il lavoro doveva vedersi con un genitore e non uno studente. Non lo so. Sto solo dicendo che le possibilità sono molte e non abbiamo nessuna prova per sceglierne una e scartarne un’altra.»

«Okay,» convenne Severs. «Dobbiamo ancora lavorarci. Oliver, hai degli incarichi da dare a questi ragazzi?»

Oliver annuì. «Hanson, a te la vittima. Carriera lavorativa, situazione finanziaria, tabulati telefonici, tutto. Stai all’erta per introiti sospetti. Questa volta, anziché la denuncia, potrebbe aver preferito il ricatto.»

«Terrance, scopri chi altro lavora al secondo piano della scuola, a chi appartengono tutte le targhe nel parcheggio registrate dagli agenti e fatti dare dal preside Johnson una lista di tutte le lamentele che hanno coinvolto la vittima. Cerca eventuali precedenti, atti di violenza e chiedi i contatti telefonici di ciascuno. Domani mattina, appena è possibile, chiama tutte le persone coinvolte e procurati gli alibi, in modo da poterle depennare dalla lista. A quell’ora di venerdì sera, mi auguro che la maggior parte fosse in giro a divertirsi o a rimorchiare.»

«Mac, a te l’amica di Westin, Mary Pinski. Hai già provato a contattarla?»

«Ho provato a chiamarla un paio di ore fa. Ho lasciato dei messaggi, ma non si è ancora fatta viva.»

«Va bene. Ti occuperai di lei e poi della vedova, quando l’avrai rintracciata. Prova a casa. Forse sta dormendo o ha il telefono spento. Voglio anche che ti dedichi a Hart. Interrogalo di nuovo, potrebbe ricordare qualcos’altro, spremilo per farti dire che cosa stava facendo quella sera. Ha avuto dei problemi con Westin e si trovava proprio sulla scena del crimine, il che è sufficiente a controllarlo una seconda volta.»

«D’accordo,» disse Mac. «Quindi, mentre noi facciamo tutto questo, a te cosa è rimasto da fare?»

«Io mi farò un bel riposino,» disse Oliver. Hanson gli lanciò contro la sua ciambella e Oliver si abbassò per evitarla. «Voglio dare un’altra occhiata alla scena del delitto,» riprese. «Forse la scientifica ha trovato qualcosa di nuovo, prima di dare il via libera all’impresa di pulizie del weekend. Poi dovrò andare dal medico legale, a meno che non te ne voglia occupare tu?»

«Assolutamente no,» rispose Mac. Aveva già avuto la sua buona dose di osservazione in quelle fredde salette sterili, dove i corpi delle vittime venivano dissezionati alla ricerca di risposte. Quella non era mai stata la sua prima scelta. «È tutta tua.»

«Inoltre, ho in programma di stuzzicare ancora il preside Johnson. Voglio scoprire a chi Westin stava dando del filo da torcere entro domenica sera. Andare in giro lunedì a fare domande a scuola potrebbe davvero essere un problema, soprattutto perché quasi tutti gli studenti sono minorenni.»

«Quando ci aggiorniamo di nuovo?» chiese Severs.

«Stasera. Facciamo alle otto. Dopo ventiquattro ore dall’omicidio.»

Più volte Oliver aveva detto a Mac di essere sostenitore della teoria secondo la quale la maggior parte dei casi doveva essere risolta nelle prime ventiquattro ore, altrimenti non si sarebbe mai giunti a una soluzione. Mac non era totalmente certo di quella teoria, ma non poteva negare che avesse un certo fondamento. Domande come: “A che ora è andato a casa ieri sera?” avevano più probabilità di ricevere una risposta corretta di: “A che ora è andato a casa quattro giorni fa?”. Con l’andare del tempo, la memoria dei testimoni diventava confusa e le prove rischiavano di finire perdute o addirittura distrutte. Mac sospirò. Aveva la sensazione che quel caso non fosse esattamente una passeggiata al parco di sole ventiquattro ore. A meno che l’autopsia non rilevasse la presenza di una lettera minatoria stretta nella mano della vittima, li attendeva un percorso molto più lungo.