Tony si aggrappò al bordo della cattedra e guardò i suoi studenti dell’ultima ora chiudere gli zaini, tirare fuori i cellulari e unirsi al fiume di ragazzi in corridoio. Avrebbe voluto sedersi, ma non era del tutto sicuro di potersi poi rialzare. Frugò nella borsa alla ricerca del Percocet e dell’acqua. Prese una compressa intera. Mac lo avrebbe portato a casa, non doveva guidare e si sentiva così dolorante che nemmeno il pensiero di rivedere il suo amante riusciva a eccitarlo. Beh, almeno non in quel modo.

Si appoggiò alla parete, in attesa che il farmaco iniziasse a fare effetto. Non era ancora del tutto sicuro che la relazione con Mac potesse funzionare. Aveva sempre frequentato uomini dichiarati. Gli piaceva fare le cose assieme: uscire per guardare un film o assistere a uno spettacolo era molto più piacevole se avevi di fianco il tuo ragazzo. Amava passeggiare nel parco o per le strade del quartiere e sfiorare il corpo del compagno con una spalla, godendosi quella vicinanza. Certo, in alcuni momenti e in determinati luoghi aveva dovuto mantenere una fredda distanza dal compagno, fingendosi etero, ma lo aveva detestato. Sarebbe riuscito a comportarsi sempre in quel modo, ricevendo in cambio un amante esclusivamente privato? Non ne era del tutto sicuro.

Si chiese che cosa gli avrebbe detto Marty. L’amico era un romanticone ed era bravo con le relazioni. Lo aveva spinto a trovarsi qualcun altro e ad andare avanti, dopo Luke. Ci aveva anche visto giusto su Mac, quella sera, notando qualcosa che era passata inosservata ai suoi occhi. Ma Marty detestava quando le persone si nascondevano. Diceva sempre che se tutti gli omosessuali che si nascondevano avessero fatto coming out simultaneamente, il mondo intero non avrebbe potuto fare altro che riconoscere la parità di diritti. La gente poteva discriminare una piccola minoranza di sconosciuti, ma sarebbe stata tutta un’altra cosa venire a sapere che il proprio meccanico di fiducia, l’operatore allo sportello della banca e la commessa del negozio all’angolo erano tutti gay. Perciò, che cosa gli avrebbe detto Marty? Di accettare quella relazione o rifiutare di vivere nell’ombra?

Ma quel dannato bastardo non è rimasto con me abbastanza a lungo per poterglielo chiedere.

Tony percepì le lacrime bagnargli le guance e alzò una mano per asciugarle. Doveva essere colpa dei farmaci se era diventato così emotivo. Si staccò dal muro. Mac aveva chiamato intorno alle tredici per informarlo che avevano una pista e che forse avrebbe mandato qualcuno al suo posto per accompagnarlo a casa. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era frignare come una reginetta del ballo davanti a un poliziotto in uniforme.

Il telefono sulla scrivania squillò proprio mentre stava meditando di gettare le armi e sedersi di nuovo sulla sedia. Rispose.

«Tony Hart.»

«Tony, sono Mary Pinski.» La voce della donna sembrava tesa. «Ho scoperto qualcosa di… strano. Dovresti venire a vedere.»

«Se ha a che fare con Brian Westin, dovresti chiamare la polizia,» disse Tony. L’ultima cosa che voleva in quel momento era un viaggetto avanti e indietro dall’aula della Pinski. «Se ti serve, posso darti il numero.»

«Potrei, sì,» disse, «ma avrei proprio bisogno di sentire prima un secondo parere. Nella mia classe. Puoi venire?»

Tony sospirò. «Va bene, dammi cinque minuti.»

«Ti aspetto qui. Grazie. Entra pure senza bussare.»

Tony valutò per un attimo di lasciare una nota per Mac, in caso fosse arrivato mentre lui era ancora da Mary. Ma poi si rese conto che avrebbe dovuto chiudere la porta a chiave, poiché non voleva portarsi dietro la borsa e il computer. Mac lo avrebbe senz’altro cercato al cellulare. Sempre che l’aula della Pinski fosse coperta dal segnale. Probabilmente lo era: anche le onde radio facevano del loro meglio per accontentare Mary Pinski.

Nessun altro stava usando l’ascensore e Tony si appoggiò alla parete di metallo durante la discesa. Aveva scordato il bastone in aula e la sua gamba faceva un male terribile. Quando arrivò al primo piano, i corridoi erano quasi deserti. Poteva sentire il rombo dei motori degli autobus provenire dal parcheggio mentre sfilavano in parata sulla strada, come ogni giorno. Un paio di studenti si stavano affrettando verso le loro attività extracurricolari o sportive. Altri erano davanti agli armadietti, chiacchieravano mentre raccoglievano il materiale per i compiti e le giacche. La porta di Mary Pinski era chiusa e a prima vista, guardando attraverso la finestrella, appariva vuota. Ma le luci erano accese e quando Tony abbassò la maniglia, come gli era stato indicato, la porta si aprì senza problemi. Entrò e la richiuse.

Mary era seduta a uno dei banchi degli studenti sul lato più vicino dell’aula, cosa che spiegava perché sarebbe stato difficile vederla da fuori. Alle sue spalle c’era uno studente del terzo anno che conosceva bene, Brad Parker; appariva rilassato e beffardo, il cappello da baseball abbassato sugli occhi. Tony si fermò a due passi dalla porta chiusa. Mary Pinski appariva strana, confinata nell’umiliazione imposta da una sedia per studenti.

«Ehm, cosa volevi farmi vedere?» chiese Tony.

«Questo,» rispose Brad. Spostò la mano per rivelare una piccola, ma decisamente funzionante rivoltella premuta contro il collo di Mary.

«Merda,» gemette Tony, la mente che iniziava a correre. Non sarebbe mai riuscito a lasciare la stanza senza beccarsi una pallottola.

«Ora,» esordì Brad strascicando le parole, «farai esattamente quel che ti dico, professor Hart, se non vuoi che questa scuola rimanga senza insegnanti. Una mossa sbagliata e ficco un bel proiettile nella testa di questa puttana. Sai che cosa può fare al cranio un proiettile calibro .22? Il suo cervello schizzerà fuori dalle orecchie.»

«Okay,» disse Tony, sforzandosi di usare un tono gentile. «Hai tu il controllo.»

«Già, ce l’ho io. Un gran peccato che questa puttana se lo sia dimenticato.» Mary roteò gli occhi verso Brad, ma per il resto non mosse un muscolo.

«Bene,» comandò Brad. «Hart, ora infila due dita in tasca e prendi il cellulare.»

«Non ce l’ho,» mentì Tony. Brad di certo non poteva vedere la sua tasca posteriore da lì.

«Stronzate,» disse Brad. «Prendi il telefono e tienilo con due dita, altrimenti il cervello della Pinski finisce dritto sulle tue scarpe.» Premette la pistola con più forza contro la base del cranio di Mary, che emise un piccolo suono simile a un gemito.

«Non ti azzarderai a sparare qui dentro,» disse Tony, prendendo tempo. Mac sarebbe arrivato presto. «Il rumore richiamerebbe fin troppe persone.»

«Non è poi così forte, non più di un ritorno di fiamma. In ogni caso, non ho più molto da perdere. Quei poliziotti del cazzo stanno controllando la mia macchina. Perciò tira fuori quel telefono se non vuoi scoprire se quegli idioti là fuori conoscono la differenza tra una pistola e una marmitta. Subito!»

«Okay.» Tony portò la mano dietro la schiena, lentamente, e prese il cellulare con due dita. Non aveva modo di premere i tasti.

«Lancialo qui,» ordinò Brad.

Glielo scaravento addosso? Tony decise che non pesava così tanto da potergli fare del male, in più, se lo avesse colpito, Brad avrebbe potuto premere il grilletto come reazione. Cercò di aprire e premere un tasto mentre lanciava il telefono. Non riuscì a capire se ci fosse riuscito o meno. Brad non provò nemmeno a prenderlo. Lasciò che il cellulare finisse sul pavimento, accanto ai suoi piedi, poi alzò una scarpa e lo schiacciò. Quel costoso aggeggio elettronico andò in pezzi. Maledizione!

«E adesso cosa succede?» domandò Tony.

«Adesso usciamo da qui. Tutti e tre. Saliamo tutti sulla macchina della Pinsky e ce ne andiamo allegramente a fare un giretto.»

«Non veniamo da nessuna parte con te,» asserì Tony.

«Ah, no?» Brad inclinò la testa da un lato. «Preferisci rimanere qui mentre io mi diverto un po’?» Con la mano libera, tirò fuori dalla tasca un piccolo coltello d’argento e passò il lato piatto della lama sulla parte posteriore del collo di Mary, proprio sotto la pistola. «Potrei divertirmi parecchio prima che urli così forte da costringermi a ucciderla.»

«Ti scongiuro, Tony,» sussurrò Mary. «Fai ciò che dice, ti prego.»

«Ha ucciso Brian Westin. Se andiamo con lui, ucciderà anche noi.»

«Se non venite con me, vi ammazzo all’istante,» asserì Brad. «Non ho intenzione di lasciare in giro dei testimoni. Se invece mi aiutate a uscire da qui… beh, vivrete un po’ più a lungo. E poi chi lo sa. Magari quando sarò al sicuro, potrei anche decidere di lasciarvi andare. Questa puttana non mi preoccupa: tutto ciò che potrebbe dire contro di me infilerebbe anche lei direttamente nella merda fino al suo collo rugoso.» Fece scivolare il coltello un po’ più in giù e una piccola goccia di sangue colò dalla gola di Mary fin dentro il colletto. Un paio di gocce caddero dalla lama e finirono sul pavimento.

«Mi sono scopato questa vecchia ciabatta, sai,» disse Brad, ruotando lentamente il coltello. «Non è un’innocente spettatrice come si potrebbe pensare.»

«Allora lasciala qui,» suggerì Tony. Cosa aveva detto Mac? Niente cose stupide o da macho? Ma avrebbe avuto una migliore possibilità con Brad senza che ci fosse in ballo anche la vita di Mary. «Non dirà nulla alla polizia. Se vengo solo io con te, ci muoveremo anche più in fretta.»

«No,» disse Brad, di nuovo quasi allegramente. «Ho i miei piani.» Mise via il coltello. «Alzati, puttana.» Quando Mary si alzò, Brad la prese per un braccio e abbassò la pistola, in modo da nasconderla dietro la sua schiena. Tony valutò la situazione. Una ferita provocata da un’arma da fuoco di piccolo calibro non era mortale. Ma se il proiettile avesse colpito il cuore o la spina dorsale? Era comunque rischioso.

«Cammina davanti a noi, Hart,» ordinò Brad. «Di’ o fai qualcosa di sbagliato e porterò all’inferno con me tutte le persone che potrò prima di essere fermato. Intesi? Vuoi che tutte queste belle ragazzine nel corridoio sopravvivano? Continua a camminare, come se niente fosse, prendi l’ascensore e vai fino alla lucidissima Mercedes grigia della Pinski. Sei venuta con la Mercedes oggi, vero, puttana?»

«Sì,» squittì Mary quando il ragazzo le strinse il braccio con più forza.

«Bene. Mi piace quell’auto.»

«D’accordo,» disse Tony. «Okay.»

«Allora apri la porta ed esci. Ricorda: come se niente fosse.»

Tony aprì la porta e uscì in corridoio. Non aveva idea di quale espressione avessero in volto in quel momento, ma nessuno degli studenti sembrò degnare loro di una seconda occhiata mentre erano in attesa dell’ascensore. Quando uscirono al pianterreno, una delle sue studentesse dell’ultimo anno gli passò accanto e lo salutò con un gioviale “Arrivederci, professor Hart”.

«Buona serata Joanne,» offrì lui.

La ragazza, che si chiamava Janice, si voltò per un attimo nella loro direzione prima di continuare a camminare con un sorriso incerto. Tony rilasciò un sospiro. Se Mac fosse venuto a cercarlo, forse Janice si sarebbe ricordata di averlo visto.

L’ingresso principale non gli era mai apparso così lontano e al tempo stesso troppo vicino. Tony sperò che Mac si materializzasse da un momento all’altro o che qualcuno gli chiedesse che cosa stava succedendo, ma l’atrio si stava svuotando rapidamente. Gli si accese una piccola speranza quando Jack Ballard, l’insegnante di tecnica, chiamò: «Ehi, Brad, non dovresti essere agli allenamenti?»

«Mi sono slogato la caviglia,» disse Brad alle spalle di Tony, in tono rispettoso. «La professoressa Pinski mi dà uno strappo a casa, così non la sforzo guidando.»

«Accidenti,» commentò Ballard. «Se domani non dovesse migliorare, fatti visitare da un dottore. Abbiamo bisogno di te, venerdì sera.»

«Ci sarò senz’altro, prof.,» replicò Brad. Ballard se ne andò.

Il parcheggio era ancora caldo sotto il sole dell’Indian Summer{2}. Una Mercedes grigia dai vetri oscurati che apparteneva con ogni probabilità a Mary Pinski era ferma in un punto all’ombra sotto gli alberi. Tony fece strada camminando il più lentamente possibile. Brad teneva Mary Pinski vicino a sé, fingendo di aggrapparsi zoppicando al suo braccio. Lo scrollò lievemente quando furono davanti all’automobile.

«Tira fuori le chiavi e apri. Piano. Se suona l’allarme, ti ammazzo.» Mary rovistò nella borsetta alla ricerca delle chiavi e pigiò il pulsante con mani tremanti. Le serrature scattarono. «Ottimo,» commentò Brad. «Ora dammi le chiavi e mettiti al volante. Lentamente.» Si appoggiò alla portiera mentre la donna saliva a bordo, la pistola premuta contro di lei, nascosta dal suo corpo. «Hart, tu siediti dall’altra parte e allacciati la cintura.»

Tony fece il giro passando davanti all’auto, lottando contro l’urgenza di correre. Forse avrebbe potuto farcela, ma Mary avrebbe guadagnato una pallottola. E se Brad avesse mantenuto quanto promesso, anche altri studenti avrebbero rischiato di essere colpiti dalla sua arma. C’erano altre persone nel parcheggio, tutte dirette verso i propri mezzi, ma nessuno sembrava far caso a loro. Con ogni probabilità, loro tre davano l’impressione di condividere semplicemente un passaggio in auto. A meno di notare gli occhi di Brad o le sue dita tese sulla rivoltella quasi del tutto nascosta, lo studente sarebbe parso un giovane qualunque dall’aria simpatica e amichevole. Tony aprì la portiera del passeggero, salì e si allacciò la cintura, piegandosi un poco in avanti in modo da non gravare sulla schiena ferita.

«Chiudi.»

Tony si sforzò di allungare una mano per prendere la maniglia dello sportello e tirò per chiuderlo, senza alcun aiuto. Avvertì subito le vertigini e provò un senso di nausea. Quel dannato Percocet, pensò. Ecco che cos’era. Hai dovuto prendere una compressa intera. Ma d’altra parte, poteva muoversi e sedersi senza mettersi a urlare. La cosa poteva tornargli utile in un secondo momento.

«Bene,» disse Brad, passando qualcosa a Mary. «Avvolgilo attorno alle sue mani, ben stretto.» Nastro adesivo. Mary fissò Brad con aria assente. «Fa’ come ti ho detto, puttana. Non abbiamo tempo da perdere. Legagli le mani o gli sparo e ce lo portiamo in giro morto.»

Mary sbatté le palpebre e iniziò ad avvolgere il nastro attorno ai polsi di Tony con mani tremanti. Lui li tenne a debita distanza l’uno dall’altro. Mary riuscì a malapena a legarli con il nastro adesivo, ancor meno a stringerli. Brad ovviamente se ne accorse. «Ora passalo in mezzo alle sue mani,» la istruì, aumentando così la costrizione ai polsi. «Adesso giralo tutto attorno alla cintura di sicurezza.»

Quando Mary ebbe finito, Tony era perfettamente legato alla cintura. Saltare fuori da quell’auto gli sarebbe stato proprio impossibile. Brad tagliò il nastro con il coltello. Prese una delle mani di Mary, la mise sul volante e la bloccò lì con un paio di giri di nastro.

«Fatto.» Brad chiuse la portiera e saltò sui sedili posteriori, la pistola che tornava a far pressione contro il collo di Mary. «Vai,» le ordinò. Mary maneggiò le chiavi in modo maldestro, facendole finire a terra. «Prendile!» abbaiò Brad, la voce di nuovo tesa. Puntò l’arma alla testa di Tony. «Fai partire questa cazzo di macchina o qualcuno muore.»

Mary si piegò e cercò a tentoni sul tappetino. Trovò le chiavi e questa volta riuscì a infilarle. Con lentezza, uscì dal parcheggio e si immise sulla strada. «Svolta a destra,» disse Brad. «Dirigiti verso la 394 in direzione ovest.» Tony lanciò un’ultima occhiata allo specchietto laterale mentre svoltavano. La scuola aveva lo stesso aspetto di sempre. Nessuno li stava seguendo.

 

***

 

Il preside Johnson non fu per niente entusiasta di leggere il mandato di perquisizione per gli armadietti, l’auto e la casa di Parker che Oliver gli aveva messo sotto il naso. Protestò sostenendo che Parker non si era mai messo nei guai e che era uno dei migliori giocatori di football della scuola e uno studente nella norma. Ma alla fine si arrese, rintracciando il numero dell’armadietto e accompagnandoli.

Mac e Oliver lo seguirono negli spogliatoi delle squadre. «Armadietto numero 169,» disse Johnson. «È quello di Brad Parker. Siete proprio sicuri?»

«Oh, sì,» replicò Mac. Oliver prese le tenaglie e si mise al lavoro con il lucchetto. Fu sufficiente un movimento deciso per spezzarlo. Mac aprì l’armadietto con i guanti e iniziò a svuotarlo, tenendo in mano una busta per le prove in modo da infilarci dentro tutto ciò che conteneva. All’inizio trovò la divisa, le protezioni, i calzini e alcuni rifiuti. Ma poi, sotto una maglia sporca sulla mensola, Mac scoprì qualcosa.

«Guarda guarda,» commentò Oliver. «Il nostro amico Parker ha fatto il bambino cattivo.»

Buste piene di pillole, fiale e una mazzetta di banconote raccontavano una storia piuttosto chiara. Mac fece per prendere l’oggetto successivo, ma di colpo si paralizzò. «Cazzo!»

«Che c’è?» chiese Oliver.

«Parker dovrebbe essere agli allenamenti, giusto? Ma allora perché l’uniforme è qui?»

Lui e Oliver si scambiarono un’occhiata.

«Merda,» soffiò Oliver. «Se se lo sono lasciati scappare da sotto il naso, spellerò vivo qualcuno.» Prese il cellulare. «Lucas, la macchina del sospettato è sempre nel parcheggio?» La risposta fu evidentemente un sì perché Oliver fece un’altra chiamata. «Loes, avete visto Parker uscire? Beh, controlla con tutti i nostri uomini alle uscite. Di’ a tutti di tenere gli occhi bene aperti; potrebbe non essere andato agli allenamenti.»

«Vado a parlare con il suo coach,» decise Mac.

«Se è lì,» disse Oliver, «chiedi rinforzi e arrestalo. Abbiamo prove più che sufficienti per un’accusa.»

Mac si avviò verso il campo, cercando di essere il più disinvolto possibile. Hanson lo incrociò. «Non riesco a capire chi possa essere Parker,» disse il collega a bassa voce. «Sembrano tutti uguali con la divisa e non mi sembra di aver letto il suo nome su nessuna maglia.»

«La sua divisa è nell’armadietto,» ribatté Mac.

«Merda,» esclamò Hanson. Quella sembrava essere l’opinione generale.

«Già,» convenne Mac. «Rimani con me. Se è qui, lo arrestiamo.» Raggiunsero il campo e si avvicinarono al gruppo di ragazzi che si stavano allenando, sebbene il termine “ragazzo” poco si addicesse a quei giovani giganti. Di sicuro, i giocatori di football non avevano quella stazza ai tempi in cui Mac andava al college. Il coach parve notarli e andò loro incontro.

«Posso aiutarvi, signori?» chiese.

Mac estrasse il distintivo. «Stiamo cercando Brad Parker.»

«Brad?» Il coach si accigliò. «Non è venuto agli allenamenti oggi.»

«Se dovesse vederlo,» iniziò Mac, prendendo un biglietto da visita, «mi chiami subito e cerchi di stare alla larga da lui. Intesi?»

«Che cosa ha fatto?» domandò l’uomo, prendendo il biglietto con riluttanza.

«Tanto per cominciare, con il contenuto del suo armadietto si potrebbe aprire una piccola farmacia,» rispose Mac.

«Merda!» Il coach sembrava proprio condividere il pensiero di tutti. «È il mio miglior running back.»

«Sono desolato,» commentò Mac, voltandogli la schiena. «Le consiglio di iniziare a far riscaldare la riserva.»

Oliver non prese bene la notizia. «Okay, dobbiamo perquisire l’edificio. Chiedete a tutti gli insegnanti se lo hanno visto. Aumentate la sorveglianza alle uscite, ma continuate a mantenere un profilo basso. Potrebbe essere armato. Ecco perché sarebbe stato molto meglio arrestarlo sul campo da football, se non avesse saltato quel cazzo di allenamento.»

«Io inizio dal secondo piano,» si offrì Mac. D’improvviso, fu pervaso dal bisogno di vedere Tony e accertarsi che fosse al sicuro.

«Porta Hanson con te,» disse Oliver. «Prendete le scale nord.» Mac e Hanson iniziarono a salire, Oliver continuava a impartire altri ordini. Mac chiamò Tony al cellulare, ma fu subito indirizzato alla segreteria telefonica. Quell’idiota ha spento il cellulare. Oppure si trova in una zona morta. Cercò di mettere a tacere ogni brutto presentimento. Non c’era motivo di pensare che Parker avesse fatto qualcosa a Tony. A parte i precedenti, ovviamente.

Iniziarono la loro ricerca sistematica procedendo lungo il corridoio. Mac resistette all’impulso di precipitarsi immediatamente verso l’aula di Tony. Quasi tutte le porte erano chiuse a chiave. Alcuni insegnanti ancora nelle loro classi dissero di non aver visto Parker oppure addirittura di non conoscerlo. Mac procedette senza nemmeno fermarsi a mostrare la fotografia che aveva recuperato dai registri scolastici. Se Parker non si trovava lì in quel momento, poco importava se ci fosse stato prima. Se invece aveva già trovato il modo di andarsene, che Dio ce ne scampi, ci sarebbe sempre stato il tempo di tornare indietro e fare le giuste domande.

Un paio di studenti ancora nel corridoio li guardarono con curiosità, ma nessuno di loro aveva il fisico da giocatore di football, perciò Mac li ignorò. Anche la porta di Tony era chiusa a chiave, sebbene le luci fossero ancora accese. Mac dette uno scossone alla porta, frustrato. «Non ha senso.»

«Che cosa?» domandò Hanson.

«Questa è l’aula di Hart. Dovrebbe essere qui, in attesa che mandassi qualcuno per portarlo a casa. Stavo tenendo d’occhio Hart nel caso il nostro uomo ci riprovasse.» Mac sbirciò dalla finestrella. «Non è qui, ma il suo zaino è sulla cattedra. Deve trovarsi ancora nell’edificio.» Mac chiamò di nuovo il numero di Tony. Rispose ancora la segreteria.

«Signor Hart,» disse questa volta. «Sono il detective MacLean. Volevo avvisarla che abbiamo un sospettato per l’omicidio Westin. Si tratta di uno studente, un certo Brad Parker. Rimanga in un luogo sicuro assieme ad altre persone fino a quando non lo arrestiamo. Potrebbe essere alla sua ricerca. Mi richiami non appena sente questo messaggio.» Con Hanson in ascolto, Mac dovette tenere a bada ogni emozione nella voce. Avrebbe voluto dare a Tony una bella tirata d’orecchi per non essere rimasto dove avrebbe dovuto.

«Credi che Parker vada sul serio a cercare Hart?» chiese Hanson.

«Non lo so,» sbottò Mac. «Ma lo ha già fatto.» Continuarono a procedere lungo il corridoio. Aula vuota, aula chiusa a chiave, “No, non ho visto Brad Parker”, aula chiusa, cazzo!

Raggiunsero l’angolo e svoltarono nell’altra ala. In una classe trovarono un gruppo di studenti impegnati in una riunione. Nessuno di loro era Parker. Per il resto, fu tutto un ripetersi dell’ala precedente. Niente, nada.

Perquisirono rapidamente i bagni, ma nessuno si stava nascondendo lì dentro. Nemmeno in quelli delle ragazze. Però riuscirono a spaventare un paio di studentesse e Mac si scusò mentre correva fuori. Nulla.

Presero le scale a ovest e scesero nell’ingresso principale. Nessun altro era stato più fortunato di loro. La squadra addetta al seminterrato stava ancora cercando, sebbene l’accesso alle cantine richiedesse una chiave. Parker avrebbe potuto averla.

«Qualcuno ha visto Tony Hart?» si informò Mac. «Dovrebbe trovarsi ancora qui, ma non è nella sua aula.» Ricevette in risposta soltanto delle scrollate di testa.

«Ehi, Oliver,» chiamò Johansson, avvicinandosi in compagnia di un uomo minuto di mezza età. «Questo signore dice di aver visto Parker lasciare la scuola.»

Oliver si precipitò da loro. «Ha visto Brad Parker? Oggi pomeriggio?»

«Sì,» rispose l’uomo. «Ha detto di essersi slogato una caviglia e che non sarebbe andato agli allenamenti. Si sarebbe fatto portare a casa.»

«Da chi?» volle sapere Oliver.

«Mary Pinski. L’insegnante di storia. Sono usciti da qui e si sono diretti all’auto di Mary.»

«Maledizione!» sbraitò Oliver. «Hanson, prendi il telefono, scopri che auto ha la Pinski e fatti dare una descrizione. Subito.» Tornò a guardare l’uomo. «Quanto tempo fa è successo?»

«Non saprei. Non molto tempo dopo che è suonata la campanella. Le quattordici e quarantacinque, direi.»

Oliver fece scivolare lo sguardo sull’orologio. «Mezz’ora fa. Potrebbero essere ovunque.»

E poi l’uomo disse ciò che fece crollare tutto il mondo di Mac: «Oggi dev’essere proprio la giornata delle opere di bene per la Pinski. C’era anche Tony Hart con loro, l’insegnante di inglese. Ha avuto un incidente d’auto. Credo che stesse dando un passaggio anche a lui.»

Mac si voltò verso Oliver. «Sono ostaggi. Deve essere così. Hart, per lo meno.»

«Sicuro?» disse Oliver. «Abbiamo pensato che la Pinski si comportasse in modo strano sin dall’inizio. Forse lei è complice.»

«Forse. Ma Hart sicuramente no. Ho parlato con lui, lo conosco. Le ferite dell’incidente erano vere. Ho visto com’era ridotta la sua schiena. Parker potrebbe aver preso in ostaggio due insegnanti oppure la Pinski è sua complice e hanno preso Hart come assicurazione.»

Oliver annuì. «Hanson, trasmetti queste informazioni. Muoversi con cautela. Una o due persone in quella macchina potrebbero essere ostaggi.»

«Dobbiamo perquisire l’aula di Hart e della Pinski,» asserì Mac. Avrebbe preferito saltare sulla sua auto e mettersi all’inseguimento, se solo avesse avuto un dannato indizio su dove erano diretti. Avevano bisogno di saperne di più.

«Mi dispiace,» disse Loes. «Tenevo sotto controllo l’ingresso principale, ma giuro di non averli riconosciuti.»

«Ormai è fatta,» fu il commento di Oliver. «Ora dobbiamo trovarlo. Perquisiamo le classi dei due insegnanti. Loes, rintraccia il preside e fatti dare le chiavi. O il bidello, se il preside non è nei paraggi.»

«Ho i dati della motorizzazione,» avvisò Hanson. «La Pinski non ha veicoli intestati a suo nome. Suo marito invece quattro: una BMW, due Mercedes e una Lincoln Navigator.»

«Chiama il marito,» gli disse Oliver. «Fatti dire con quale è uscita di casa oggi. Intanto dirama un avviso per tutte e quattro.»

Mac si stava già dirigendo alle scale, con Oliver dietro di lui. Attesero per diversi minuti in uno stato di totale frustrazione prima che Johnson arrivasse con il passe-partout. Alla fine, il preside li raggiunse, la chiave stretta tra le dita.

«Credete davvero che Tony Hart sia coinvolto?» si informò Johnson mentre apriva la porta. «Non posso credere che…»

«Riteniamo che la sua vita sia in pericolo,» lo interruppe Mac, passandogli accanto. L’aula di Tony appariva come al solito, ma in un angolo c’era il bastone, e lo zaino era riposto sulla cattedra. Mac lo aprì e guardò dentro. Computer, libri, compiti; era pieno di oggetti. Mac svuotò tutto sulla cattedra. «Non se ne sarebbe mai andato di sua spontanea volontà lasciando qui il computer,» disse Mac. «Non vedo il cellulare.»

«Hai il suo numero?» chiese Oliver.

Mac prese il telefono e premette il tasto di richiamata, ignorando il sopracciglio inarcato del collega. «Hart, sono ancora io, MacLean,» disse alla segreteria telefonica. «Mi chiami subito!»

«È partita subito la segreteria,» informò Oliver. «Se ha il cellulare con sé, dev’essere spento.»

«Controlliamo l’aula della Pinski,» asserì Oliver.

«Magari ha dato loro davvero solo un passaggio,» disse Mac mentre scendevano al piano di sotto. «Forse Parker la sta usando solo per scappare.» Oliver gli rivolse un’occhiata densa di significato. «Okay,» ammise Mac. «Non è molto probabile.» Non c’è un cazzo di probabilità che sia così.

La classe di Mary Pinski sembrava nella norma fino a quando Mac notò sul pavimento ciò che rimaneva di un cellulare fracassato. «Potrebbe essere quello di Hart?» chiese Oliver.

«Non saprei,» rispose Mac. «Non ho mai visto il suo telefono.»

«Guardate qui,» esclamò Loes, chinandosi a terra accanto a uno dei banchi nella prima fila. «Non vi sembra sangue, questo?» Mac osservò la macchia. Erano solo un paio di gocce, grandi quanto una fila di perline. Hanson strofinò con un fazzolettino il bordo di una di esse. Venne via come il sangue.

«Qui c’è anche il computer della Pinski,» avvisò Oliver. «Per il momento, direi di considerarla un ostaggio, ma non scagioniamola del tutto.»

«Ammesso che li troviamo,» ribatté Mac amaramente.

Hanson mise piede nell’aula in tutta fretta. «Abbiamo qualcosa. Il marito ha detto che la Pinski ha preso la Mercedes argentata. C’è il sistema OnStar a bordo.»

«Il GPS!» proruppe Mac. «Possono rintracciarla.»

«Chiamateli subito,» ordinò Oliver, uscendo dall’aula. «Loes, tu rimani qui e rivolta questa stanza come un calzino. Mac, tu invece chiama…no, è meglio che non sia tu. Hanson, telefona al marito della Pinski e digli di contattare quelli dell’OnStar. Deve autorizzare il tracciamento dell’auto. Così faremo prima che con un mandato.» Uscirono dall’ingresso principale correndo. «Mac, guida tu. Appena hanno un luogo, voglio essere immediatamente lì.»

Anche io. Mac mise in moto, aspettando a mala pena che Hanson saltasse sul sedile posteriore, il cellulare all’orecchio, prima di sgommare fuori dal parcheggio… e rimanere lì, inattivo. Andiamo, andiamo. Est, nord, sud; datemi una direzione!

 

***

 

Mary Pinski guidava a singhiozzo, lanciando occhiate distratte alla pistola premuta contro il suo collo. Tony ebbe il presentimento che avrebbero finito per schiantarsi sull’autostrada a sessantacinque miglia all’ora. Rischiavano di morire in molti modi diversi, quel giorno.

«Avanti, Mary,» le disse gentilmente. «Cerca di rilassarti e guarda dove stai andando. Se moriamo in un incidente, non avremo risolto poi molto.»

La donna rabbrividì violentemente, cosa che non ebbe un bell’effetto sulla sua guida. Tony avrebbe voluto afferrare il volante, ma il suo raggio d’azione era alquanto limitato. Rilasciò un sospiro di sollievo quando Mary sembrò calmarsi.

«Sai, Brad,» azzardò. «Forse potresti mettere via quell’arma. Stiamo seguendo gli ordini. Mary guiderebbe molto meglio se non avesse quella cosa contro il suo collo. Sono sicuro che vuoi che usciamo tutti indenni da questo viaggetto.»

«Come vuoi,» convenne Brad. «Questa donna è davvero una pappamolle.» Spostò la rivoltella e la puntò contro Tony. «Così va meglio?»

No! Così alla prima buca mi farai saltare in aria la testa. Grazie al cielo siamo giunti alla fine della stagione dei lavori stradali.

«Sì, se può aiutarla a tenere gli occhi sulla strada,» rispose Tony. «Dove siamo diretti?»

«Gira a destra sulla 101,» ordinò Brad a Mary. La donna ubbidì, guidando in modo più regolare. Dopo un po’ superarono l’incrocio con la Highway 55. Infine, Brad disse: «Qui a sinistra,» poi: «Sinistra,» e infine: «Prendi quello sterrato. Vai avanti fino alla fine della strada.»

Si trovavano a Maple Grove o Corcoran, da qualche parte nei quartieri periferici occidentali. Tony non conosceva quella zona, ma le costruzioni avevano lasciato spazio alle aziende agricole e ai boschi già da qualche chilometro. La strada sterrata in cui avevano svoltato era poco illuminata e a strapiombo. Ingoiò un grido quando, al primo affondamento nella ghiaia, la canna della pistola urtò contro la sua testa.

Non è successo niente. Non è successo niente.

«Guida più piano, puttana,» disse Brad. «Se non vuoi far saltare la testa di questo qui per errore e non per scelta.»

Mary procedette lentamente fino a quando la strada si aprì su uno spiazzo circolare di terra e pietrisco antistante a una piccola casa in legno. Il luogo appariva deserto, circondato da sparuti boschi di pioppi e da un prato alquanto trascurato.

«Fermati qui,» ordinò Brad. «Spegni il motore e getta le chiavi fuori dal finestrino.»

Mary ubbidì.

«Okay,» disse Brad. «Bene.»

Per un attimo rimasero fermi lì, ad ascoltare il borbottio del metallo bollente e lo stridio degli ultimi grilli nell’erba. L’aria odorava di polvere e piante schiacciate. Tony non aprì bocca. Qualunque piano avesse in mente Brad, non voleva mettergli fretta. Erano ancora tutti vivi per il momento.

Brad scese dall’auto e prese con sé il suo zaino, lasciandolo cadere sull’erba impolverata. Aprì la portiera di Mary e prese la sua borsetta da dove si trovava, accanto ai suoi piedi.

«Guarda guarda,» esclamò, frugando nel portafoglio. «American Express, Visa, MasterCard, bancomat. Ottimo, signora Mary. Il tuo maritino ti lascia mettere le mani su gran parte dei suoi soldi?»

Quando Mary lo guardò senza rispondere, Brad passò la canna della pistola sotto il suo mento. «Ti ho fatto una domanda, puttana.»

«Credo di sì,» rispose Mary a gran voce.

«Voglio il pin di tutte le carte. Almeno ne sarà valsa la pena.»

«Mmm, è lo stesso pin,» sussurrò Mary.

«Okay, ma qual è, puttana?»

«7531.»

«Per tutte?» Brad prese una penna dalla borsetta e si scrisse il numero su un braccio. «7531?»

«Sì… ti prego, prendi le carte e scappa. Puoi avere tutto il denaro. Basta che vai.»

«Me ne andrò quando sarò pronto,» disse Brad, infilandosi le carte di credito e i contanti in una tasca e gettando la borsetta tra la ghiaia. «Non ho ancora deciso.»

«Che cosa?» chiese Tony. Il bagliore di rabbia negli occhi di Brad mentre guardava Mary Pinski non prometteva nulla di buono.

«Non ho ancora deciso che cosa farne di voi due. Perché avevi ragione. Due ostaggi sono davvero una spina nel culo e nessuno di voi due mi piace. Perciò…» Brad arricciò le labbra in un piccolo sorriso. «Credo che porterò uno di voi due con me. Invece l’altro… beh, non ci verrà.»

Lo fissarono entrambi. Tony non disse nulla, poiché non era sicuro della scelta che il ragazzo stava ponderando in quel momento.

«Prendi lui,» disse Mary alla fine, le parole che uscivano piano all’inizio dalla sua bocca per poi diventare via via più stridule. «Prendi lui e lasciami qui. Non dirò niente, te lo prometto. Lo prometto. Hai ragione, finirei nei guai anch’io. Non dirò una parola a nessuno. Quando riuscirò a liberarmi, voi ve ne sarete andati da un pezzo. Hai già i miei soldi, posso dartene ancora. Questo anello… vale diecimila…»

«Taci, puttana!» proruppe Brad. «È tutta colpa tua. Sei stata tu a permettere a quel bastardo di Westin di entrare e uscire dal tuo ufficio come se fosse stato suo. Non avrebbe mai scoperto niente se tu fossi stata più attenta. Non sei nemmeno riuscita a nasconderlo. Oh no, invece sei andata da lui piagnucolando, implorandolo di darti del tempo per sistemare tutto. In questo modo ci hai compromessi. Hai rovinato la mia vita! Perciò ho dovuto tappargli la bocca.»

«Brad, non…» La voce di Mary si spense.

«Non cosa?» La fissò. «Potrei legarti anche l’altra mano, così non riuscirai a liberarti, e lasciarti qui. Siamo un bel po’ lontani dalla strada. Che ne dici, puttana? Pensi che riuscirebbero a trovarti prima di morire di fame?»

Tony vide gli occhi di Mary guizzare verso il cruscotto prima di rivolgersi nuovamente al viso di Brad. Tony si mosse appena e guardò nella stessa direzione. Il logo OnStar gli apparve come un salvagente durante una tempesta in alto mare. Quell’auto era dotata di GPS! Non solo l’avrebbero trovata prima che morisse di stenti, ma se fossero riusciti a far perdere a Brad abbastanza tempo, Mac avrebbe potuto rintracciarli. Forse sarebbero riusciti a sopravvivere.

«Non voglio venire con te, Brad,» implorò Mary. «Lasciami qui. Preferisco morire di fame.»

«E lui?» chiese Brad, indicando Tony con la canna della rivoltella. «Devo lasciare qui anche lui?»

«Lui non conta. Non sa nulla. Perché non scappi finché sei in tempo? Presto ti daranno la caccia.»

«Non facciamo niente di avventato,» si intromise Tony. «Valuta bene tutte le tue opzioni, Brad. Se scegli quelle giuste, puoi venirne fuori. Ma devi rifletterci bene.»

«Cazzo,» esclamò Brad. «Ho smesso di pensare. E sai una cosa, puttana? Sei morta.»

Il No! che esplose dalla bocca di Tony quasi sovrastò lo sparo dell’arma di piccolo calibro. Brad aveva ragione, non fu un rumore forte. Ma una macchia rossa sbocciò sulla parte anteriore della camicia di Mary, che si accasciò sul volante. Tony rimase a fissare Brad, la cui espressione era quasi esultante. «Questa puttana credeva sempre di sapere quale fosse la cosa migliore,» sussurrò Brad. «Credo che ora la pensi diversamente.»

Per un lungo momento rimasero in silenzio, gli occhi fissi su Mary. Poi Brad sventolò la pistola davanti a Tony.

«Tu non mi darai problemi, vero?» domandò Brad.

Tony ingoiò. «No.»

Brad chiuse la portiera di Mary e fece il giro per raggiungere Tony. «Sarebbe stato bello poter tenere questa macchina,» iniziò con tono meditativo, «si lascia guidare in modo fantastico. Ma sono certo che gli sbirri la stiano cercando.» Puntò l’arma alla testa di Tony. «Fai una sola mossa e sei morto.» Si piegò e usò il coltello per liberarlo dalla cintura di sicurezza. «Scendi.»

Tony uscì dall’auto e si mise in piedi con difficoltà, facendo una smorfia di dolore. Rimanendo fermo così a lungo, tutti i muscoli si erano irrigiditi. Non era sicuro di riuscire a correre, nemmeno con il Percocet. Fece un passo e subito la testa iniziò a girare. Soprattutto a causa del Percocet. Brad agitò la pistola e guidò i suoi passi incerti verso il lato della casa. Tony notò un’auto parcheggiata sotto un telone.

Brad si fermò di colpo. «Merda!» esplose. «Cazzo.»

«Cosa succede?» non poté fare a meno di chiedere Tony.

«Il furgone. Quel furgone del cazzo non c’è!» Spinse Tony verso l’auto coperta. «Tiralo via,» ordinò Brad.

Tony afferrò il telone con le mani legate e tirò. La copertura venne via lentamente, rivelando una vecchia Honda. «Questa ferraglia è una vera merda!» si lagnò Brad. «Doveva lasciare qui il Ram. Con questa merda si riesce a malapena a ingranare la terza. Tirerà le cuoia alla prima buca che prendiamo.» Brad si mise a camminare avanti e indietro, gli occhi che saltavano da quel rottame alla Mercedes, dove il corpo rigido di Mary Pinski era ancora accasciato dietro il volante. «Merda. Merda,» continuò a borbottare.

Tony lo guardava con la coda dell’occhio: la pistola era sempre lì e la distanza da percorrere era troppa per riuscire a correre abbastanza in fretta.

«Va bene,» disse Brad a se stesso, alla fine. «Okay. Accontentiamoci.» Aprì il baule della Honda e lo indicò agitando la pistola. «Entra.»

«Non credo di riuscirci,» disse Tony nel panico.

«Se non ci entri, puoi rimanere qui con la Pinski.»

Tony appoggiò le mani legate al bordo del baule e cercò di infilarsi in quello spazio ristretto. Urtò un lato con la schiena e l’impatto gli strappò un grido. Le labbra di Brad si arricciarono.

«Ehi, mi hai investito con un’auto,» scattò Tony. «Ho tutto il diritto di lamentarmi per il dolore.»

«Stupido pezzo di merda,» disse Brad. Tony non seppe dire se l’insulto fosse diretto a lui o all’auto. «Se metto le mani su un Hummer, ti schiaccio.»

Alla macchina.

«Chiudo questo affare,» lo avvisò Brad, una mano sul bagagliaio e la pistola rivolta verso la faccia di Tony. «Tieni dentro le dita se non vuoi perderle.»

Tony si raggomitolò su se stesso mentre Brad chiudeva il baule. D’improvviso fu tutto buio pesto. Quell’auto era troppo vecchia per avere quella deliziosa leva interna per l’apertura del portabagagli di cui era invece dotata la sua Prius. Non appena la Honda si mise in moto e Brad iniziò la manovra per uscire dal cortile, Tony provò a tastare con le mani la parte superiore del bagagliaio, ma non riuscì ovviamente a trovare nessun meccanismo di sblocco dall’interno. Quell’auto era arrugginita, ma non si illuse di riuscire ad aprire quella lastra metallica a suon di calci. Sarebbe rimasto intrappolato lì dentro fino a quando qualcuno non lo avesse tirato fuori.

Cercò di non farsi prendere da un attacco di claustrofobia indotta dal panico e di tenere sotto controllo il respiro affannoso. Di sicuro quello spazio ristretto non era chiuso ermeticamente. Non sarebbe morto soffocato. Era scomodo come l’inferno e la nausea stava aumentando, ma avrebbe continuato a vivere. Almeno fino a quando Brad non avesse aperto di nuovo il portabagagli.

 

***

 

Mac usò le luci e la sirena per farsi strada nel traffico dell’ora di punta sulla 394 dopo che i dati dell’OnStar avevano permesso di individuare l’auto nella periferia occidentale. Oliver era alla radio per coordinare la polizia di Wayzata e di Corcoran nella ricerca della Mercedes color argento.

«È ferma da cinque minuti,» segnalò Hanson dal sedile posteriore. «Da qualche parte in aperta campagna, fuori Corcoran. Ci sono solo fattorie in quel posto.»

«Auguriamoci solo che si sia rintanato da qualche parte e che non abbia cambiato macchina,» grugnì Oliver, riportando l’esatta informazione alle altre forze dell’ordine davanti a loro. I veicoli con i contrassegni della polizia dovevano tenersi a distanza, come richiedeva la prassi per le situazioni in cui erano coinvolti ostaggi.

«Tra quindici minuti dovremmo esserci,» calcolò Hanson. «Sempre che Mac non faccia fuori le sospensioni.»

Mac imprecò quando fu costretto a rallentare dietro un paio di autisti ignari. Attivò di nuovo la sirena e finalmente i due si spostarono. Dannato traffico! Raggiungevano a malapena il limite di velocità anche con la sirena.

«Ehi, Mac,» disse Oliver con tono adatto a una normale conversazione.

«Cosa?» grugnì Mac, accostandosi a un grosso SUV.

«Ieri sera ero in un bar,» continuò Oliver. Mac gli rivolse un’occhiata perplessa. «Ho chiesto al barista qualcosa di freddo e pieno di rum. Mi ha suggerito sua moglie.»

Mac arricciò il naso. «Che cazzo…»

«Andiamo, rilassati,» lo esortò Oliver. «Se continui così, ridurrai i tuoi denti a mozziconi da tanto li stai stringendo. Prenderemo questo tizio. È giovane, stupido e spaventato. Sta reagendo quando invece non dovrebbe muovere un dito. Lascerà delle tracce. Non ha abbastanza sangue freddo da rimanere nascosto.»

«Già.» Mac serrò con forza le labbra per non aggiungere altro. Giovane, spaventato e impulsivo non era nulla di confortante se il killer teneva Tony in ostaggio.

Dio, non voglio doverlo arrestare per l’omicidio di Tony. Ti prego.

Le vie della città lasciarono il posto a campi inframmezzati da nuove abitazioni, il limitare della periferia che avanzava furtivo. Non aveva nulla di familiare per Mac, ad eccezione della sua monotonia generica. Aggregati di scatole beige e grigie costruite fianco a fianco su terreni parzialmente scoperti e che incorniciavano ciascuna collina. Nelle zone umide e pianeggianti in cui non era possibile costruire, le zanzare del Minnesota stavano molto probabilmente esultando per la nuova fornitura di cibo. Alcune grandi querce, sopravvissute agli interventi di depurazione e livellamento, sovrastavano gli esili tronchi degli alberi appena piantati. A Mac non piaceva quel genere di paesaggio. Era un uomo di città.

Nascondere un’auto in un posto del genere era un gioco da ragazzi. Piccoli aggregati di pioppi celavano parte delle strade e i nuovi garage multipli si alternavano a lunghe file di fattorie e vecchi fienili. Ma grazie al GPS avevano una possibilità.

La radio gracchiò il rapporto di un agente di Corcoran. Si era avviato a piedi verso il luogo in cui l’auto si era fermata. Riparato da alcuni alberi, aveva notato la Mercedes parcheggiata fuori da una vecchia casa di piccola grandezza. Sembrava esserci una persona al volante. Nessun altro era in vista e nulla si muoveva.

Oliver ordinò all’uomo di avvicinarsi al retro della casa e controllare se Parker fosse dentro, purché non corresse il rischio di essere visto. Mac abbassò lo sguardo sull’orologio mentre guidava lungo le strette strade di campagna. Erano a circa cinque minuti di distanza. Spense la sirena, ma lasciò accesi i lampeggianti.

L’agente chiamò di nuovo. La casa sembrava deserta da quanto riusciva a vedere, ma non poteva avvicinarsi alle finestre perché non c’erano ripari dietro cui nascondersi. Chi era alla guida della Mercedes non si era più mosso. La proprietà era stata circondata da altri agenti.

«Okay,» disse Oliver. «Saremo lì tra pochi minuti. Mantenete le posizioni. Appena arriviamo, circonderemo la macchina.»

Mac rallentò al massimo, svoltò piano in una strada sterrata subito dopo un’autopattuglia nascosta e si fermò. Uscirono tutti e tre. L’aria era immobile e densa di polvere. Il traffico in lontananza era un brusio incostante, ma non si udivano rumori nelle vicinanze.

«Nessuna novità da quando ci siamo sentiti l’ultima volta,» bisbigliò un’agente in uniforme avvicinandosi a Oliver. Il suo viso era lucido di sudore e la sua mano si avvicinava nervosamente alla fondina.

Una recluta, pensò Mac. Oliver fece un cenno oltre la schiena dell’agente e si incamminarono lungo la strada, spostandosi tra gli alberi non appena lo spiazzo entrò in vista. La Mercedes era ferma in un angolo. La figura accasciata sul sedile era rigida come la morte. Oh, pessimo pensiero! Mac si rimproverò. Aspetta, non saltare subito alle conclusioni. Un agente gli passò il binocolo. Era indubbiamente Mary Pinski, guardando da vicino, sebbene il suo viso fosse nascosto dalle ciocche bionde che cascavano in avanti.

«Okay,» disse Oliver. «Prima la macchina.» Lui e Mac scattarono verso l’auto, scivolando lungo il lato più lontano rispetto alla casa. Non accadde nulla. Mac si raddrizzò per guardare attraverso il finestrino. La camicia della Pinski era rossa di sangue sul davanti.

«Nessuno sul sedile posteriore,» segnalò Oliver.

«Apro la portiera,» avvisò Mac, rimanendo basso e procedendo con quanto aveva appena detto. Il corpo della Pinski gli cadde addosso, bloccato dalla cintura di sicurezza all’altezza della vita. Le avevano chiaramente sparato in pieno petto. Mac cercò il battito, senza troppe speranze, e poi balzò in piedi. «Ehi, è ancora viva!»

Afferrò la cintura e la tirò fuori dall’auto per adagiarla sull’erba. Il braccio destro era bloccato e notò che era fissato al volante con il nastro adesivo. Lo liberò usando il coltellino. Poi la sdraiò, facendo pressione sulla ferita. Riusciva a sentire un lieve rantolo sotto la mano mentre il suo respiro andava e veniva. Hanson e un altro agente si diressero verso la casa, tenendosi bassi e muovendosi con attenzione. Oliver chiamò i paramedici e chiese agli agenti del luogo, che sapevano dove si trovava il più vicino campo di atterraggio, di mandare un elicottero di emergenza. Le labbra della Pinski si mossero e Mac si chinò di più, ma da esse uscì solo il respiro, niente parole. Sarebbe stato un miracolo se fosse sopravvissuta al volo in elicottero.

Hanson uscì dalla casa, scuotendo la testa. Non c’era traccia degli altri due uomini. Con il sospettato non più sul posto, Oliver chiese alla radio altri rinforzi. Avevano bisogno della scientifica e di perlustrare la zona. Mac cercò di concentrarsi sulla Pinski, sforzandosi di continuare a esercitare pressione sulla ferita senza pensare a ciò che la perlustrazione avrebbe potuto rivelare.

Un’autopattuglia si fermò accanto a lui e i poliziotti di Corcoran trasferirono la Pinski sul sedile posteriore per trasportarla nel punto più vicino in cui l’elicottero di emergenza poteva atterrare. Mac si raddrizzò e guardò la macchina allontanarsi.

Oliver apparve al suo fianco. «Hanno trovato un telone cerato e delle tracce di pneumatici,» lo informò. «Sembra che Parker abbia preso un altro mezzo.» Guardò Mac. «Sei sicuro che Hart non sia suo complice?»

«Al cento per cento,» tagliò corto Mac.

«Allora, o lo ha portato con sé oppure se ne è sbarazzato qui da qualche parte.»

«La Pinski era legata al volante con il nastro adesivo,» disse Mac. «Ci sono tracce di nastro anche sulla cintura del passeggero. Scommetto che ha legato anche Hart. In questo modo sarebbe stato più semplice controllare i due ostaggi.»

Oliver chiamò Loes, chiedendogli di scoprire tutto su quella proprietà.

«Metto subito al lavoro qualcuno,» disse Loes. «Intanto che aspettate, ho i risultati su Brad Parker. A nome di suo padre sono registrati solo due veicoli, la Mustang e una Nissan Sentra. Ho mandato a controllare un agente e la Sentra è parcheggiata dove lavora. La stanno tenendo d’occhio, nel caso il ragazzo si faccia vivo per prenderla.»

«Credevo che i Parker fossero ricchi,» commentò Mac da sopra la spalla di Oliver.

«Da quanto mi risulta non credo proprio,» rispose la voce di Loes. «La madre è morta. Il padre lavora in una cooperativa di credito come direttore di basso livello. Non penso che guadagni molto, a meno che non stia architettando qualche truffa. Sulla casa grava una pesante ipoteca.»

«Forse è il ragazzo ad avere i soldi,» ipotizzò Oliver. «Il commercio di farmaci illegali rende bene, anche alle superiori.»

«Ha un fratello maggiore,» continuò Loes. «È infermiere alla casa di riposo Greenview. Possiede una Corolla e una Corvette. Sto mandando Johansson a controllare.»

«Parker sta andando a ovest,» disse Oliver. «Credi che sia abbastanza stupido da fare retromarcia e andare da suo fratello?»

«Di sicuro stupido lo è abbastanza,» rispose Mac. «Ha usato la macchina di un amico per un omicidio. Ma credo che al momento sia diretto dall’altra parte del paese.»

«Aspettate,» esclamò Loes. «Ho qui i dati del catasto per la proprietà su cui vi trovate. Sembra che il posto fosse di un certo William Parker, deceduto. L’immobile è ancora in attesa di successione, ma immagino che sia parente del nostro Brad. Controllo i registri della motorizzazione per vedere se sono intestati dei veicoli a nome di William… un attimo… ecco qui: sì, due. Un pick-up Ford Ram del ’93, rosso, targato KDF 364. E una Honda Accord del ’92, blu scuro, targata 593 THS.»

«Dirama un avviso per entrambi,» gli disse Oliver. «Il sospettato è armato e pericoloso, con un ostaggio. Dai la descrizione fisica di Hart. Potrebbe dirigersi a ovest di Corcoran. Chiama il Dipartimento. A ovest da qui, è più facile che lo trovino loro.»

«Sarà fatto,» disse Loes.

Mac tornò verso l’auto, alla ricerca di indizi. Quella che doveva essere la borsetta della Pinski era rovesciata sull’erba, il portafoglio e i cosmetici sparsi in giro. Mac indossò un guanto e raccolse il portafoglio. «Ehi!»

«Cos’hai trovato?»

«Sembra che Parker l’abbia ripulita. Niente contanti, né carte di credito.»

«Magari saremo fortunati e ne userà una,» commentò Oliver. Fece chiamare il marito di Mary affinché desse l’ordine di rintracciare i movimenti delle carte. Mac ispezionò il resto della borsetta senza trovare nulla di interessante, quindi passò alla Mercedes. C’era sangue un po’ dappertutto sul sedile del conducente, ma da quanto riusciva a vedere non c’era nulla su quello del passeggero. Se ha sparato a Tony, lo ha fatto fuori dalla macchina. Il dettaglio era di scarso conforto. Il bordo del nastro adesivo sulla cintura di sicurezza mostrava invece una linea rossa, a riprova del fatto che Tony avesse tentato di liberarsi. Il nastro era stato tagliato in modo netto. Non si è liberato da solo.

«Stanno portando un cane poliziotto per controllare la proprietà, nel caso avesse scaricato Hart qui in giro,» lo informò Oliver. «Trovato niente?»

Mac provò un senso di nausea al pensiero del corpo di Tony abbandonato in un campo. «Molte prove utili per un processo,» disse nel modo più distaccato possibile. «Ma niente che ci dica dove diavolo sono andati.»

«Allora ispezioniamo tutta la scena e aspettiamo che salti fuori qualcosa.»

«Voglio andare a parlare con il fratello,» annunciò Mac. Non sarebbe rimasto lì in piedi ad aspettare che un cane fiutasse una pista tra l’erba alta. Non poteva. «È un infermiere, giusto? Le compresse di ossicodone erano di marca e gli steroidi in fiale tracciabili. Un infermiere potrebbe aver accesso a quel tipo di farmaci.»

«Stiamo rintracciando i numeri di lotto sulle fiale,» disse Oliver. «Ma potrebbe volerci tempo. Va bene, vediamo dove ci porta la tua intuizione. Hanson può assumere il comando, qui. Pensi che il fratello sappia qualcosa che possa aiutarci?»

«Credo proprio che glielo chiederò.»