A metà di domenica mattina, la sezione Omicidi del dipartimento di polizia era tranquilla, sebbene il caso di omicidio avvenuto a scuola avesse richiesto alcuni uomini in più. Il sole che filtrava dalle strette finestre rendeva il dedalo di scrivanie e stanze ancora più soffocante del solito. In sala conferenze regnava un odore stantio di caffè bruciato e pizza vecchia, per non parlare delle sedie economiche ormai deformate dall’uso eccessivo.

In quel briefing domenicale, MacLean se ne stava seduto con la mente alla deriva. Dai rapporti non era essenzialmente emerso nulla. Zero. Nada. Il medico di Westin non gli aveva prescritto alcun barbiturico e, sempre secondo lui, la vittima non aveva patologie che richiedessero il trattamento mediante barbiturici. La perquisizione della casa di Westin era ancora in corso, con la moglie a supervisionare il tutto, ma fino a quel momento non era emerso nulla, a parte la congettura che chiunque fosse stato sposato con Sarah Westin dovesse per forza nascondere un’amante da qualche parte – possibilmente muta –, ma nessuna prova in merito.

Mary Pinski aveva seguito le indicazioni del suo avvocato, rifiutandosi di sottoporsi ad altri interrogatori se non dietro un mandato. Al fianco del suo legale dal naso affilato, si era rifiutata di rilasciare dichiarazioni sul contenuto delle altre telefonate ricevute da Westin. Dopo che Mac le aveva ripetuto tutte le domande almeno un paio di volte, sperando di scorgere se non altro un’esitazione o un battito di ciglia che potesse aiutarlo, l’avvocato aveva insistito affinché se ne andasse e lo aveva minacciato di denunciarlo per intimidazione. Mac aveva accarezzato l’idea di insinuare una minaccia legale nelle sue domande, ma sarebbe stato del tutto ingiustificabile. La signora Pinski non li stava aiutando, ma ostacolare la giustizia era tutt’altra cosa. Alla fine Mac aveva lasciato l’immacolata reggia dei Pinski con il disgusto sulla lingua. Non era nemmeno riuscito a incontrare il marito, che ovviamente aveva avuto cose migliori da fare che offrire supporto a sua moglie mentre subiva un interrogatorio dalla polizia. Erano perfetti l’uno per l’altra, in definitiva.

Non riusciva ancora a credere di essere andato a cercare Tony Hart la sera prima. Hart meritava sicuramente di sapere che stavano indagando su altre piste, ma avrebbe anche potuto lasciargli un messaggio in segreteria. Aveva invece preferito trascorrere due ore del suo prezioso tempo libero andando all’appartamento di Hart, quindi vagando per i bar della zona nella speranza di trovare la Prius. E ci era riuscito.

Tuttavia, la conversazione che avevano avuto non era andata proprio come se l’era immaginata. Nessuno dei diversi scenari che aveva ipotizzato era finito per avverarsi. Nella maggior parte di essi, aveva dato a Tony la buona notizia, il ragazzo lo aveva ringraziato e poi si erano messi a chiacchierare amichevolmente. In alcune versioni, la chiacchierata era diventata più amichevole che nelle altre, ma nessuna di esse era iniziata con Tony che toccava un altro ragazzo. Soprattutto, nessuna era finita con fredde battute da parte di entrambi fino a quando Mac se ne era andato.

Quando era entrato nel bar e aveva notato che Tony era in compagnia, la testa che sfiorava quella di un biondino niente male, la mano sul braccio di quell’uomo, Mac si era sentito terribilmente… geloso. Non c’erano altre parole per descriverlo. In quel momento, aveva smesso di mentire a se stesso: non stava cercando Tony per un mero senso di correttezza. Voleva ciò che stava avendo quel tizio dai capelli biondi. Non soltanto Tony in sé, sebbene solo Dio sapesse quanto avrebbe voluto essere al posto dell’uomo seduto assieme a lui, ad ammirare come la luce cambiasse il blu dei suoi occhi mentre parlava. Mac era anche profondamente, furiosamente geloso della loro tranquillità, di ciò che permetteva loro di sedere in quel modo, vicini in pubblico in modo inequivocabile, senza preoccupazione alcuna. E, purtroppo, le prime parole che gli erano uscite erano state tutt’altro che amichevoli.

Mac sospirò. Diventare amico di un uomo gay sarebbe stato un vero rischio per la sua vita da non dichiarato. Diventare più che semplici amici sarebbe stato ancora peggio. Teneva la sua vita sotto stretto controllo. Ogni cosa funzionava perfettamente in quel modo. Non desiderava cambiarla. A parte quando pensava agli occhi blu di Tony e alle sue spalle tese. Allora sì che nascevano i dubbi.

«C’è qualcosa che dovremmo sapere, detective MacLean?» chiese Severs. Mac capì di aver emesso qualche suono indistinto e scosse la testa, riportando la sua attenzione sul briefing.

«Dunque,» stava dicendo Terrance, «i ragazzi della Narcotici non hanno trovato nulla di utile. La Roosevelt è sicuramente coinvolta in un giro di droga, ma nulla di eclatante. È da un po’ che non si occupano di quella scuola perché ce ne sono molte altre che nuotano in acque peggiori. L’ultima volta è stato un paio di anni fa e i sospettati di quell’indagine hanno ormai terminato le superiori. Mi sono fatto dare una lista e ho controllato, ovviamente, ma non c’è più nessuno. Se vogliamo seguire la pista di uno spacciatore, dobbiamo partire da zero.»

«Non abbiamo abbastanza uomini e nemmeno nessuno di così giovane da mettere sotto copertura a scuola,» disse Severs. «È compito della Narcotici. Forse potrebbero avere qualcuno loro.»

Terrance scosse la testa. «Ho già chiesto. Hanno risposto “certamente, non appena smaltiamo tutte le indagini urgenti”, che tradotto vuol dire quando si ghiaccerà l’inferno.»

«Hai specificato che si tratta di un caso di omicidio di rilievo?» chiese Severs.

«Sì, ma anche loro sono oberati di lavoro. Non lo faranno se non dietro esplicita richiesta del capo.»

«In ogni caso, per mettere qualcuno sotto copertura ci vuole tempo. Non si può fare senza preparazione,» intervenne Mac. «Lunedì dobbiamo iniziare a parlare agli studenti.»

«I genitori inizieranno a urlare se interroghiamo i loro figli,» protestò Severs.

«Ma urleranno di più se non risolviamo il caso,» puntualizzò Mac.

Severs si morse il labbro. «Va bene. Ma che sia fatto nell’edificio scolastico, alla presenza di un legale. E iniziate dagli studenti che hanno già compiuto diciotto anni.»

Mac lanciò un’occhiata a Oliver. Erano in autunno: persino gli studenti dell’ultimo anno potevano essere ancora minorenni.

«Procederemo in questo modo,» disse Oliver, «e continueremo con gli altri se necessario.»

«Non voglio lamentele,» precisò Severs. «E non mandateci MacLean. Mi hanno già fatto una lavata di capo per il suo modo di trattare i testimoni.»

«La scuola è tua, Hanson,» disse Oliver. «Contatta il preside Johnson, fatti dare un elenco di tutti gli studenti che seguivano le lezioni di Westin e prepara tutto per lunedì mattina. Io e Terrance ti aiuteremo con gli interrogatori.»

Mac ingoiò una protesta e una piccola punta di delusione. Non voleva avvicinarsi a quella scuola in ogni caso. Più lontano stava da Tony Hart, meglio sarebbe stato. E Hanson era un buon investigatore, anche se Mac riteneva di essere più in gamba.

«Ci hanno assegnato un altro caso ieri sera,» aggiunse Severs. «Un uomo è stato pugnalato dietro un bar di Hennepin. Sembrerebbe semplice, con molti testimoni. L’ho assegnato a Loes e Johansson. Ho detto loro che se hanno bisogno di altri uomini possono chiedere a voi, ma per il momento l’omicidio a scuola ha la massima priorità. I media spazzatura lo hanno già ribattezzato il caso dell’Accoltellatore della scuola. Voglio chiuderlo.»

Come al solito, tutti si rilassarono non appena Severs lasciò la sala riunioni. Mac si tolse la giacca sportiva e slacciò un altro bottone del colletto.

«Hai molestato qualcun altro oltre alla regina di ghiaccio Mary Pinski, Mac?» si informò Oliver.

«Non credo,» rispose Mac. Tony potrebbe essersi lamentato delle accuse? Non credo proprio. «Probabilmente sembra così perché sia lei che il suo avvocato si sono lamentati.»

«In ogni caso, stalle alla larga,» suggerì Oliver. «Se non vuole parlare con noi, non lo farà. Ho bisogno di te in questa indagine. Non voglio vederti finire relegato a una scrivania perché Severs va nel panico quando si calca troppo la mano.»

Discussero del caso per un po’ senza venire a capo di nulla di nuovo. La perquisizione della casa era ancora da completare, sebbene dopo aver controllato la camera da letto, il bagno e lo studio di Westin, era improbabile che il resto dell’abitazione nascondesse qualche segreto. Erano stati interrogati gli altri insegnanti, la maggior parte dei quali aveva avuto ben poco a che fare con Westin. Erano ancora in attesa di ricevere l’esito dell’esame tossicologico che avrebbe detto se Westin assumeva quei farmaci. Per sperare di trovare qualcosa di nuovo, avrebbero dovuto aspettare di interrogare gli studenti. Mac conosceva bene lo schema e lo odiava. Di solito, se si avevano ottime piste nelle prime ventiquattro/quarantotto ore, le si seguiva e si chiudeva il caso. Quell’omicidio, invece, apparteneva a un altro tipo: dopo i primi due giorni si rimaneva impantanati in una ricerca ostinata e sterile. Alcuni di quei casi non venivano mai risolti.

«Portate a termine gli incarichi, prendetevi il resto della serata e fatevi una bella dormita,» ordinò Oliver.

Mac si rigirò la fede attorno al dito. A lui toccava la perquisizione della casa, ma un paio d’ore avrebbero dovuto essere sufficienti. Forse sarebbe riuscito a salvare una piccola parte della sua routine domenicale, dopotutto. E poi una bella dormita. Il Paradiso era fatto anche di piccole cose.

 

***

 

Tony osservò i rumorosi e agitati studenti presenti alla sua prima lezione di quel lunedì mattina. Rimanevano solo pochi minuti alla fine dell’ora, poiché gran parte della mattinata era stata occupata dall’assemblea straordinaria indetta da Johnson. Il preside aveva fatto un buon lavoro nello spiegare la situazione. Aveva rassicurato gli studenti e offerto assistenza psicologica a chiunque l’avesse richiesta. Ma erano stati forniti pochi dettagli e troppe allusioni, lasciando così spazio ai pettegolezzi. Tony ne aveva già sentiti diversi. Perciò si spostò davanti alla cattedra e la colpì rumorosamente per ottenere l’attenzione dei suoi ragazzi.

«Dunque,» esordì. «C’eravate tutti all’assemblea. Sì, è vero. Il professor Westin è stato assassinato nel corridoio venerdì sera. È stata una tragedia per lui e la sua famiglia. La scuola sentirà la sua mancanza. Tra un attimo vi darò l’opportunità di parlarne e di farmi domande. Ma domani la vita andrà avanti. Sì, il test di giovedì è confermato e sì, dovete anche terminare la lettura che vi ho assegnato e portarmi il compito venerdì prossimo.» Scandagliò l’aula con lo sguardo. «Bene, chi ha domande o commenti alzi la mano e aspetti che lo chiami. Ma vi avverto che se la conversazione degenera in una cacofonia, vi assegnerò un compito da svolgere in silenzio fino alla fine dell’ora.»

Si alzarono subito una decina di mani e Tony scelse a caso.

«Ho sentito che è stata una banda e che lo hanno pugnalato a morte,» disse Tim, tutto eccitato.

«È stato pugnalato,» confermò Tony con calma. «Per quanto ne so, non ci sono prove che sia stata una banda. La polizia sta ancora indagando.»

«Ma non ha paura, professor Hart?» domandò Lacey. «Voglio dire, se c’è uno psicopatico che se ne va in giro per la scuola a pugnalare gli insegnanti?»

«Ascoltatemi,» disse Tony. «Non c’è motivo di credere che sia stato uno psicopatico o che ci saranno altri omicidi. So che la TV, e tutti i libri che leggono molti di voi, sono pieni di storie che parlano di serial killer. Ma nella vita reale non è quasi mai così. Il professor Westin è stato probabilmente assassinato da una sola persona che era arrabbiata con lui o che aveva paura di lui. Non c’è motivo di pensare che l’assassino colpirà di nuovo. Io mi sento al sicuro e anche tutti voi siete al sicuro qui a scuola esattamente come prima dell’omicidio.»

«Come può esserne convinto?» chiese Sabrina. «I miei vogliono che lasci il gruppo di teatro perché non vogliono che rimanga qui a scuola fino a tardi.»

«Spetta ai tuoi genitori decidere,» rispose Tony. «Non posso essere sicuro al cento per cento di niente, nemmeno che l’edificio non crollerà nei prossimi trenta secondi, uccidendoci tutti. Ma conosco le probabilità. E la logica ci dice che quasi sicuramente saresti più al sicuro nel gruppo di teatro che camminando nel parcheggio dopo l’ultima ora, con tutti quei neopatentati che se ne vanno via sgommando.»

Alcuni studenti ridacchiarono, ma un ragazzo dai capelli scuri di nome Mark agitò la mano. «Ma quindi ha intenzione di rimanere fino a tardi come al solito, professor Hart? Continuerà a stare qui nel suo ufficio quando là fuori sarà buio pesto?»

Quell’immagine lo fece rabbrividire con sua sorpresa. «Spero che sia così,» disse obiettivamente. «Avete ragione, la logica a volte lascia spazio alle emozioni. Ma non c’è motivo per cui non debba rimanere qui.» Una pausa. La verità sarebbe venuta a galla comunque. Decise di comportarsi con onestà. «Per me sarà un po’ più difficile perché sono stato io a trovare il cadavere del professor Westin e sono ancora sconvolto. Ma se il mio lavoro lo richiede, continuerò a fermarmi fino a tardi.»

Gli studenti lo bersagliarono subito di domande, dimenticandosi della regola dell’alzata di mano. Tony diede un pugno alla cattedra.

«Okay, se vi calmate cercherò di rispondere a tutti. No, non ho visto l’assassino. Vorrei averlo visto, così questa storia sarebbe già finita. Ho trovato il professor Westin quand’era già stato ferito a morte e ho chiamato la polizia. Non mi ha sussurrato all’orecchio le fatidiche ultime parole. Questa è un’altra di quelle cose che succedono solo nei libri, credo. Se stai morendo, tutto ciò che cerchi di dire è molto probabilmente quanto fa male oppure chiedi aiuto. Non lasci un indizio per la polizia. E per quanto riguarda come è stato…» Fece una pausa, poi continuò con voce fredda e distante. «È stato spaventoso. C’era tutto quel sangue e… È stato frustrante, perché stava ancora sanguinando, ma era già morto e non ho potuto fare nulla. Non ho potuto salvarlo. E questo è tutto ciò che dirò sul mio coinvolgimento in questa faccenda. Domande di altro tipo?»

Gli studenti si mossero inquieti, ma non dissero niente fino a quando Monica alzò la mano. «E se non ci importasse della sua morte?» domandò. «Voglio dire, ci hanno offerto tutto questo supporto psicologico e cose così, ma io non mi sento triste. Okay, mi spiace che sia stato ammazzato, ma non mi piaceva e non sentirò la sua mancanza e il mio primo pensiero è stato “speriamo che il nuovo prof. sia migliore”.»

Tony non poté che ammirare l’onestà della sua alunna e non si stupì che quel commento fosse venuto proprio da lei. Se tra tutti i suoi ragazzi c’era qualcuno che diceva sempre ciò che pensava realmente, quella era Monica. «Va bene anche questo,» rispose. «Nemmeno a me piaceva molto il professor Westin, sebbene ritengo che fosse un insegnante competente e mi dispiace che sia morto. Non dovete fingere un dolore che non provate. Continuate con la vostra vita. Gli insegnanti di supporto sono a vostra disposizione anche nel caso in cui abbiate paura per la vostra incolumità o se avete altre preoccupazioni. Spero proprio che la maggior parte di voi non abbia questa necessità.»

Si voltò verso la lavagna, iniziando a scrivere. «Un’ultima cosa. La polizia non ha ancora arrestato l’assassino. Sono sicuro che ci riuscirà, ma se siete a conoscenza di qualcosa che possa essere utile alle indagini, dovete dirlo. Come ha detto il preside Johnson, i poliziotti verranno a scuola per alcuni interrogatori. Potete rivolgervi al preside o a uno degli insegnanti di supporto se pensate di avere informazioni utili.»

Guardò la classe. «Potete anche rivolgervi a me in privato o chiedermi di accompagnarvi alla polizia. Ma ricordate che noi agiremo in loco parentis. E, no, loco non è spagnolo. Non significa che siamo più matti dei vostri genitori, ma che faremo le loro veci. Se invece preferite dire qualcosa alla polizia per conto vostro, alla lavagna ho scritto i numeri di telefono del detective MacLean del Dipartimento di polizia di Minneapolis. Potete rivolgervi direttamente a lui e sono certo che vi ascolterà senza farvi correre alcun rischio. Beh, ovviamente se non confessate un crimine importante, ma di sicuro non vi denuncerà per aver marinato la scuola, fumato, fatto sesso o altre infrazioni minori che non desiderate arrivino al nostro orecchio.»

«Non gli interessano le voci sulle bande o sugli alieni che avete sentito dai vostri amici, ma se avete informazioni di prima mano sul professor Westin e non volete parlarne con me, allora rivolgetevi a lui.»

Si alzò una mano. «Si fida di quell’uomo? Voglio dire, come possiamo essere certi che non chiami subito i nostri genitori se gli diciamo che… beh, che sappiamo qualcosa?»

«Alla squadra omicidi interessa risolvere un omicidio, non conoscere i vostri peccati,» rispose Tony. «Se volete delle garanzie, parlatene con MacLean.»

«Come si chiama?» chiese Amanda con tono civettuolo, passandosi una mano tra i capelli. «Voglio dire, cosa significa quella J?»

Tony rivolse lo sguardo alla lavagna dove aveva scritto “Detective J. MacLean”, copiando letteralmente ciò che aveva letto sul biglietto da visita. «Non lo so,» ammise. «Non lo conosco così bene.» Perché mi sembra così sbagliato? Si strinse nelle spalle, poi aggiunse seccamente: «Vi suggerisco di chiamarlo semplicemente detective MacLean.»

Il suono della campanella spinse gli studenti di quell’ora a lasciare la classe, chiacchierando ancora animatamente, e Tony rimase in allerta per l’ondata successiva.

 

***

 

Il telefono di Mac squillò non appena lasciata l’abitazione di Westin, quel pomeriggio. La sua perquisizione non aveva dato frutti e Sarah Westin si era rivelata sgradevole proprio come preannunciato dai colleghi durante la riunione della mattina. Da quanto era emerso, Westin non aveva grandi vizi. Non aveva prenotato camere d’albergo con la carta di credito, non aveva aggiunto video porno con minorenni ai siti preferiti sul computer e non nascondeva alcol nel cassetto della biancheria intima. Nascondeva però del cioccolato, ma difficilmente ciò poteva essere considerato un movente per un omicidio. Gli effetti personali di Westin erano banali, superficiali e intransigenti, proprio come l’uomo che sembrava essere stato.

Lui e sua moglie dormivano in camere separate. Sarah Westin non aveva nemmeno cercato di inventare giustificazioni. Mac si domandò se si evitassero anche dal punto di vista sessuale. In quel caso, forse c’era un’altra donna da qualche parte. Disgraziatamente, se ciò corrispondeva al vero, non aveva un solo indizio per identificarla. Niente acquisti, niente regali e nessun oggetto personale che la vedova non era stata in grado di riconoscere. Si augurò che i suoi colleghi a scuola avessero avuto più fortuna.

Mise in macchina l’ultima scatola di documenti della vittima e aprì il cellulare. «MacLean.»

«È lei il detective?» chiese una voce pacata.

«Sì.» Si mise all’erta. «Posso essere d’aiuto?»

«Mi hanno detto che se avevo informazioni sul professor Westin potevo parlare direttamente con lei, senza nessuno tra i piedi come il preside.»

«Sei uno studente della Roosevelt?» chiese Mac.

«Sì.»

«Se sai qualcosa che potrebbe aiutarci a risolvere l’omicidio, mi piacerebbe scambiare due chiacchiere,» riprese Mac cercando di non apparire troppo ansioso. «Puoi venire alla centrale. Oppure possiamo incontrarci da qualche parte.»

«Preferirei la seconda.»

«Va bene. Dove e quando?»

«Conosce il Caribou Coffee tra la Quinta e Washington?» propose il ragazzo. «Posso trovarmi lì tra mezz’ora. O quando preferisce.»

«In centro?» verificò Mac.

«Esatto. Mi è di strada… da qualche parte e non è molto vicino alla scuola.»

«Okay,» disse Mac guardando l’orologio. «Alle tre e mezzo? Mi dici il tuo nome o come posso riconoscerti?»

«Mi chiamo Matthew. Sono alto e magro. Ho una giacca marrone di pelle.»

«Tre e mezza al Caribou, allora,» approvò Mac. «Se vedi che non ti riconosco, chiamami di nuovo al cellulare.»

Mac valutò la distanza e fece un rapido calcolo. Poteva arrivare al bar per le tre e venti se non passava prima dalla centrale. Ma non voleva lasciare le prove in auto, anche se si trattava di prove inutili come i movimenti della carta di credito di Westin. Si mise a correre rapidamente verso l’autopattuglia che stava lasciando il marciapiede. Si accordò affinché gli agenti portassero le scatole alla centrale, firmò gli opportuni documenti per i resoconti delle prove e due minuti dopo partì in direzione del centro cittadino.

Come al solito, trovare parcheggio in centro fu un vero incubo. Alla fine lasciò l’auto in divieto di sosta e mise il contrassegno ufficiale della polizia in bella mostra sul cruscotto. Si fermò davanti alla vetrina di un negozio per non farsi notare. Da lì poteva tenere sott’occhio la porta del Caribou perché riflessa nel vetro. Prima dell’orario fissato per l’incontro, vide entrare un paio di ragazzi che indossavano una giacca marrone e che avrebbero potuto essere in età scolastica. Nessuno di loro era sceso da un veicolo nelle vicinanze, e questo significava nessuna targa dalla quale poter risalire a un nome. Mac attraversò la strada per incontrare il suo studente misterioso.

Era la tipica caffetteria della catena Caribou Coffee: bancone, tavoli, poltroncine accanto a un camino, luce soffusa proiettata dai lampadari. Mac si guardò attorno e individuò le sue due possibili opzioni. Un ragazzo si stava sedendo con una fetta di torta al limone e il suo computer portatile, l’altro era seduto a un tavolino e stava fissando la porta con una piccola tazza tra le mani. Scelta semplice.

Mac si avvicinò con la mano tesa. «Sono MacLean.»

Il ragazzo apparì sorpreso, ma strinse la mano spontaneamente. «Matthew,» disse, lasciando vagare lo sguardo con nervosismo. «C’è più gente di quanto mi aspettassi. Possiamo andare da qualche altra parte?»

«Possiamo trovare una panchina sulla Washington,» propose Mac, «o stare nella mia auto.»

«Vada per l’auto. C’è molto vento fuori. Ma prima posso vedere il suo distintivo?»

«Certamente.» Mac aprì lentamente il suo distintivo e lo mostrò al ragazzo. Dopo che quello ebbe annuito, se lo infilò di nuovo in tasca e indicò la porta. «Andiamo.»

Una volta in auto, Matthew prese a sorseggiare il suo caffè fissando fuori dal parabrezza. Mac attese pazientemente per un po’, quindi decise che era arrivato il momento di iniziare la conversazione senza apparire intimidatorio.

«Quindi,» esordì con tranquillità. «Come sapevi dove trovarmi?»

Matthew sbatté le palpebre e si voltò. «È stato il professor Hart, il mio insegnante di inglese. Ha scritto il suo numero sulla lavagna, nel caso avessimo bisogno.»

«Bisogno di cosa?» chiese Mac.

«Beh, nel caso avessimo bisogno di parlare con uno sbirro senza il preside Johnson, gli psicologi o i nostri genitori tra i piedi.»

«Okay. Apprezzo qualsiasi aiuto potrai darci.»

«Ma non so se posso esserle d’aiuto,» replicò Matthew. «Voglio dire… credo di sì, ma non ne sono sicuro.»

«Puoi iniziare raccontandomi ciò che sai, poi sarò io a decidere se sia importante o meno. È meglio sprecare qualche minuto ad ascoltare qualcosa che poi si rivela irrilevante che perdersi un indizio fondamentale.»

«Non vorrei farle perdere tempo.»

«Hai idea,» ribatté Mac ironicamente, «quante siano le informazioni, tra tutte quelle che raccogliamo, che si rivelano poi effettivamente utili? Non è mai una perdita di tempo. È il mio lavoro. Dopo vorrei farti anche qualche domanda per avere il punto di vista di uno studente. Già solo quello potrebbe essermi di aiuto.»

«Okay,» acconsentì Matthew, per poi ammutolirsi di nuovo.

«Hai informazioni che riguardano il signor Westin?» chiese Mac.

«Penso di sì. Due. La prima è che credo che debba sapere che gli piaceva mettere il naso in cose che non lo riguardavano. Tipo, una volta ho dimenticato lo zaino sul banco nella sua aula. Stavo andando alla mensa e nello zaino avevo un progetto abbastanza fragile. Per questo l’ho lasciato lì. Quando sono tornato in classe, il professor Westin stava curiosando tra le mie cose. Quando mi ha visto, si è giustificato dicendo che credeva fosse uno zaino dimenticato da qualcuno e stava cercando qualcosa che lo aiutasse a risalire al proprietario. Ma erano tutte stronzate perché c’era scritto il mio nome sull’etichetta e lo avevo lasciato sul banco che uso tutti i giorni. In ogni caso, ha trovato un pacchetto di sigarette vuoto e me lo ha confiscato. Lo ha messo nel cassetto della sua cattedra che teneva sempre chiuso a chiave. Ha iniziato a farmi la predica dicendo che era contro il regolamento fumare a scuola, cosa che non ho fatto, e che era illegale per un ragazzo della mia età comprare le sigarette. Okay, sì, ma non le avevo comprate. Le avevo prese di nascosto a mio padre.»

«In ogni caso, avrebbe potuto fare rapporto al preside Johnson, ma non sarebbe stato un gran problema perché il pacchetto era vuoto e Johnson probabilmente mi avrebbe fatto solo una ramanzina. Quindi ha detto che avrebbe chiamato i miei genitori.»

«E lo ha fatto?» chiese Mac.

«Sì. Ma non hanno detto granché perché fumano entrambi come turchi. Si sono solo incavolati per avere ricevuto una chiamata da un insegnante, tutto qua. Ma quando Westin ha messo via il pacchetto nel cassetto ho dato una sbirciatina. C’era un mucchio di roba. Come se avesse confiscato cose da altre persone e non le avesse mai restituite. Perciò ho pensato che avesse preso qualcosa di importante o tipo di veramente privato.»

«Ad esempio?»

«Beh, se avesse preso il diario di qualcuno, lo avrebbe sicuramente letto, sa. Se ti beccava a passare bigliettini in classe, non si sarebbe limitato a confiscarli. Li avrebbe letti a voce alta davanti a tutti prima di buttarli via. Magari qualcuno si è incavolato per cose così. Spero che questo le possa essere utile.»

«Potrebbe,» disse Mac. «È probabile che Westin abbia fatto qualcosa che ha mandato in bestia il suo assassino o lo abbia spaventato. Forse qualcosa che gli aveva confiscato.» Una breve pausa poi aggiunse: «Avevi due cose da dirmi.»

«Mmm, sì. L’altra non so bene se c’entri, ma… l’altro giorno stavo passando davanti agli spogliatoi. Sa, è lì che ci sono gli armadietti delle squadre e degli atleti giovanili. Ci tengono le loro attrezzature. Comunque, ho sentito qualcuno urlare e dire qualcosa del tipo: “Quello stronzo di Westin non la passerà liscia. Non sa con chi ha a che fare”. E un altro paio di ragazzi aggiungere: “Sì, fagliela vedere”. In quel momento ho pensato che, chiunque fosse, dovesse avere davvero le palle per chiamare stronzo il professor Westin così ad alta voce a scuola, ma ora…»

«Ma ora pensi che fosse così arrabbiato da arrivare a ucciderlo.»

«Forse,» ammise Matthew mestamente. «Non lo so. Non so nemmeno chi fosse e poi, sa com’è, molti ragazzi la sparano grossa quando in realtà non hanno intenzione di fare un bel niente. Ma questo qui sembrava parlare sul serio. Aveva una voce profonda ed era davvero arrabbiato.»

«Sai quale squadra si stava allenando in quel momento?» chiese Mac.

«No. Cioè, sicuramente una di quelle che hanno il campionato in autunno. Football e calcio sono le principali, ma ci sono anche altri sport.»

«Ricordi il giorno o l’ora?»

«Dopo le lezioni. Perché faccio quella strada solo quando… ecco, quando non voglio che una certa persona mi veda. Direi circa le due e mezza o le due e quaranta del pomeriggio. Settimana scorsa a quell’ora circa.»

«Cerca di ricordare com’eri vestito,» suggerì Mac.

Matthew serrò le palpebre, ma poi scosse la testa. «Non ne ho idea. Mi è rimasto impresso solo perché ha dato dello stronzo al professor Westin, tutto qui.»

«Va bene,» disse Mac. «Se ti torna in mente, chiamami subito.»

«Le è stato utile?» chiese Matthew.

«È troppo presto per dirlo. Ma questa è sicuramente una di quelle informazioni che vale la pena ascoltare. Anche se non capisco perché non lo hai detto ai detective a scuola. Non hai fatto niente di male, a parte possedere un pacchetto di sigarette e prendere la strada sbagliata.»

«Ma ho detto cose che riguardano i ragazzi della squadra,» puntualizzò Matthew. «Potrebbero finire nei guai. Persino il preside Johnson ha sempre un occhio di riguardo per i membri delle squadre. Se non avessero niente a che fare con l’omicidio e venisse fuori che ho sparlato di loro, sarei spacciato. Soprattutto se sono giocatori di football.»

«Ah, ho capito. Non preoccuparti, non rivelo le mie fonti. Nemmeno se l’informazione si rivelasse importante.»

«Ma sarei chiamato a testimoniare,» disse Matthew con ansia, «se venisse fuori che è stato un giocatore di football?»

«Se non sei in grado di identificare la persona che ha detto quelle parole, non credo che dovrai ripetere ciò che mi hai appena detto,» lo rassicurò Mac. «Ora posso farti alcune domande sulla scuola? Vorrei sentire la sincera opinione di uno studente senza che ci sia il preside Johnson nei paraggi.»

«Penso di sì,» rispose Matthew. Poi aggiunse con un pizzico di umorismo: «Perciò mi definisce uno studente sincero?»

«Perché, non lo sei?» Mac osservò il ragazzo, che appariva finalmente rilassato.

«Credo di sì.»

«Bene.» Mac tirò fuori il taccuino, supponendo che a quel punto non avrebbe più spaventato il ragazzo se avesse preso degli appunti.

«Dunque, il professor Westin. Se nel tuo zaino avesse trovato qualcosa di veramente illegale, come un coltello o della droga, che cosa pensi che avrebbe fatto?»

«Mi avrebbe trascinato dal preside in meno di due secondi. E mezz’ora dopo mi avrebbero sospeso o fatto arrestare.»

«E non ti avrebbe confiscato l’oggetto?»

«No. Confiscava cose di poco significato. Credo che gli piacesse di più quando riusciva a coinvolgere il preside Johnson. Adorava minacciare i ragazzi di sospenderli o espellerli.»

«Avrebbe potuto tenere per sé la cosa fino alla fine delle lezioni e solo dopo chiamare la polizia?» azzardò Mac.

«Non credo,» rispose Matthew dubbioso. «Se era davvero così grave, credo che avrebbe chiamato subito il preside. Ma non posso giurarlo.»

«Okay,» disse Mac rapidamente. «Sto solo facendo delle ipotesi. Ora dimmi cosa ne pensate voi studenti degli insegnanti. Voglio solo conoscere le vostre impressioni e ti prometto che rimarranno riservate. Potrebbe essermi utile perché il modo in cui una persona si comporta in presenza di un poliziotto o di altri adulti potrebbe non essere lo stesso davanti agli studenti. Pete Ng, ad esempio. Il bidello. Lo conosci?»

«Non bene,» rispose Matthew. «Sembra un tipo a posto. Si incavola se i ragazzi sporcano di proposito, ma non se ti cade qualcosa accidentalmente e deve pulire.»

«Frequenta qualcuno degli studenti?»

«Non credo. Non mi risulta.»

«Voci secondo cui potrebbe avere a che fare con lo spaccio di droga?»

«Cielo, no. Voglio dire, sembra un tipo a posto. Ma i tossici non mi parlano.»

«Okay, passiamo alla signora Pinski. Che tipo di insegnante è?»

«Tosta,» rispose Matthew. «Non ci dà mai tregua e ci parla come se avessimo sei anni. Ma è intelligente e sa il fatto suo. Ed è imparziale. O almeno lo era.»

«Era?»

«Già. Si comporta in modo strano quest’anno. Cioè, alcune volte non dice niente se scrivi cavolate in un compito, mentre altri giorni ti strappa il foglio a metà davanti agli occhi e te lo fa riscrivere daccapo. E ti toglie dei punti per aver consegnato in ritardo. Forse è la menopausa.»

«L’hai mai vista parlare con Westin?»

«Sì, qualche volta. Sembravano amici, suppongo, ma non intimi. Il professor Westin dava l’impressione di volerle leccare i piedi. Credo che lei ci andasse abbastanza d’accordo.» Il ragazzo scosse la testa. «Non voglio parlare di cose che non so.»

«Non c’è problema,» lo tranquillizzò Mac. «Mi stai solo dicendo la tua opinione. Cosa puoi dirmi del preside Johnson?»

Matthew sembrava propenso a esprimere solo giudizi sommari sugli insegnanti che conosceva. Il preside era “abbastanza simpatico e un tipo giusto, a parte il fatto che con gli atleti era più indulgente di quanto avrebbe dovuto. Non che fossero i padroni della scuola, come succedeva da altre parti, ma poco ci mancava”. Il professor Thomas era “scialbo e noioso”; la professoressa Percival era “una discreta insegnante, ma non era in grado di controllare la sua classe. I ragazzi negli ultimi banchi facevano il cavolo che volevano”; la professoressa Jefferson “faceva diventare le scienze sociali alquanto interessanti, cosa che non era per niente facile”. Dopo aver esaurito le persone che aveva sulla lista, Mac non poté fare a meno di chiedere di Tony.

«Il professor Hart?» Matthew scrollò le spalle. «È in gamba. Voglio dire, ad alcuni non piace perché è gay. A volte fanno battute sul fatto che non bisogna mai voltargli le spalle altrimenti lui ti fissa il culo, o cose così. Ma sono tutte stronzate, perché il professor Hart non guarda mai nessuno in quel modo. Non è come il professor Vogel, sa. Hart sembra un tipo normale. Gli piace usare i paroloni. Credo che un giorno o l’altro si presenterà a scuola con tipo un vocabolario attaccato da qualche parte sul corpo. Ma mi piace il fatto che non ci guardi dall’alto in basso. È anche uno dei pochi insegnanti che si ricorda com’è avere sedici anni. Sa, quando la mia ragazza mi ha lasciato, si è comportato come se sapesse quanto fossi distrutto. Però è uno che non si lascia fregare.» Matthew sogghignò. «Un giorno che non avevo fatto i compiti mi sono inventato una storia strappalacrime sul mio pesce rosso, che era morto e su di me che stavo troppo male. Il prof. mi ha guardato e poi mi ha fatto scrivere una poesia sulla tragica morte del mio pesce, oltre ai compiti che non avevo fatto. Aveva capito che stavo solo dicendo stronzate.» Matthew sorrise di nuovo. «Mi è venuta anche piuttosto bene, quella poesia. L’ha messa nel giornale della scuola.»

«Che cosa intendevi dire prima del professor Vogel,» chiese Mac, cercando di apparire disinvolto. «È interessato al tuo fondoschiena?»

«Cosa? Dio no. Non al mio. Ma a quello delle ragazze.» Matthew si strinse nelle spalle. «Non lo prenda però troppo sul serio. Voglio dire, è un vecchio matusa e lo fa davanti a tutti. Dice alle ragazze che i maglioncini stretti gli rallegrano la giornata, ma non si sognerebbe mai di sfiorarle con un dito e nemmeno dare un voto più alto. Non credo che le ragazze se la prendano. Ma ovviamente non sono una ragazza. Deve chiederlo a loro.»

Mac prese nota di farlo al più presto. «Altre voci del genere?» domandò. «Intendo insegnanti che ci provano con gli studenti.»

«Ci sono sempre delle voci,» rispose Matthew. Appariva a disagio. «Quasi tutte sono solo stronzate. L’anno scorso ad esempio circolava questo pettegolezzo sul professor Hart e una ragazza di nome Ashley, una cosa decisamente stupida visto che a lui nemmeno piacciono le ragazze. Credo che sia stata lei stessa a mettere in giro quella voce. Quest’anno invece ho sentito che la Pinky, cioè la professoressa Pinski, si fa uno della squadra di football. Dio, non riesco nemmeno a immaginarmelo. Non si abbasserebbe mai a tanto e anche se qualcuno le si avvicinasse in quel modo, credo che gli congelerebbe le palle all’istante.» Matthew tacque di colpo, apparendo imbarazzato. «Pettegolezzi del genere, ma nulla di fondato.»

«Qualche insegnante che vi fa sentire particolarmente a disagio?»

Matthew scosse la testa, pur sembrando un filo in difficoltà. «Non eccessivamente.»

«Okay,» concluse Mac. «C’è qualcos’altro che dovrei sapere?»

«No.» Matthew allungò una mano verso la maniglia e si bloccò, portando lo sguardo di nuovo su Mac. «Spero che lo prendiate. Il professor Westin non mi piaceva ma sapere che c’è qualcuno che se ne va in giro per la scuola a uccidere gli insegnanti è davvero uno schifo. Non sembra più nemmeno la stessa scuola. Dovete trovarlo.»

Mac desiderò di poter fare quella promessa. «Faremo del nostro meglio,» disse. «Ti ringrazio davvero per il tuo aiuto. Ti garantisco che tutto ciò che mi hai detto rimarrà confidenziale. Vuoi che ti accompagni da qualche parte?»

«No, non è necessario.»

Mac osservò il ragazzo attraversare la strada. Gli sembrò che fosse passato un secolo da quando, a quell’età, anche le sue preoccupazioni erano i compiti e i giocatori di football. Aveva ovviamente fatto parte della squadra di football, ma questo non gli aveva impedito di preoccuparsene in segreto. Diavolo, per niente al mondo tornerei a quegli anni.

Avrebbe controllato il signor Vogel e suggerito a Oliver di esaminare da vicino i membri delle squadre. E ciò avrebbe definitivamente compromesso la sua popolarità a scuola. Forse era un bene che fosse Hanson a occuparsi degli interrogatori sotto lo sguardo attento degli ansiosi responsabili dell’istituto. Non era nemmeno lontanamente paragonabile alla sua personale idea di divertimento.

 

***

 

Quel martedì, Tony salì le scale verso il corso avanzato del terzo anno al massimo della velocità concessa dalla sua caviglia ancora dolorante. Alcuni studenti lo superarono di buon passo. Era di nuovo in ritardo. Arrivava spesso tardi a quella lezione, ma in genere prima che i ragazzi diventassero irrequieti.

I banchi erano già tutti occupati quando entrò in aula. Sistemò il portatile sulla cattedra e tirò indietro la sedia per appoggiarvi la borsa con i libri. Per fortuna guardò in basso prima di farlo.

Merda. Voleva sperare che fosse uno scherzo. Si augurò con tutto se stesso che si trattasse di uno studente immaturo e stupido che voleva provocarlo. O di una studentessa. Non essere sessista. Ma stava evitando il problema.

Guardò di nuovo in basso. Sulla sedia, c’era un biglietto con scritto: “Tieni il tuo naso da frocio fuori dagli affari che non ti riguardano o la prossima volta non ti troverai solo delle puntine conficcate nel culo”. Sopra al foglietto erano sparpagliate diverse puntine da disegno, con la punta rivolta verso l’alto.

Non è l’assassino. Non è una vera minaccia. È solo uno scherzo. Nient’altro.

Riusciva quasi a convincersi. E probabilmente era davvero così. A parte il fatto che una vocina in un angolo della sua mente credeva a quella minaccia e ricordava il coltello e tutto quel sangue.

Dopo una breve pausa in cui sperò che la sua espressione rimanesse calma e immutata, posò i libri per terra accanto alla cattedra. Si tolse la giacca, la sistemò con noncuranza sopra la sedia e si appoggiò come sempre a un angolo della cattedra.

Un attimo prima di iniziare la lezione, lasciò vagare lo sguardo per la classe. La maggior parte dei ragazzi lo stava guardando, cosa insolita essendo la prima lezione dopo pranzo. Non sapeva dire se l’attenzione di qualcuno in particolare fosse più avida del solito. Era ancora una piccola celebrità per il suo ruolo nell’omicidio di Westin, anche se aveva trascorso gran parte del lunedì ripetendo in ogni classe che non era a conoscenza di dettagli eccezionali da rivelare e che non c’era nessuno squartatore che se ne andava in giro per i corridoi della scuola attendendo il momento buono per ucciderlo. Scoprire un cadavere era una pessima esperienza, ma disgraziatamente i ragazzi pensavano il contrario.

Trentadue paia di occhi lo stavano fissando in trepida attesa. Beh, forse trentuno.

«Steven,» disse con decisione. «Se mai l’argomento di questo corso diventassero i classici dei fumetti, come Il calabrone verde, ti avviserò immediatamente. Fino ad allora, metti via ciò che non c’entra.» Sospirò. «Okay. Chi vuole spiegare che cosa prova Holden nel capitolo sette…»

La lezione procedette come sempre, sebbene gli studenti sembrassero lievemente irrequieti e distratti. O forse era lui a sentirsi distratto. Li studiò ancora con lo sguardo prima che lasciassero l’aula, ma nessuno sembrò indugiare. Nessuno dei ragazzi che si erano alzati per fare delle domande sembrava alla ricerca di una scusa per ficcanasare nei pressi della cattedra e nessuno disse qualcosa di insolito. Due di loro avevano chiesto se c’erano delle novità sull’omicidio e Tony li aveva rimandati al loro posto senza commentare, ma gli erano parsi semplicemente due normali adolescenti curiosi.

Gli studenti dell’ultimo anno entrarono in classe per l’ultima lezione. Lui rimise a posto “Il giovane Holden” e prese i quiz.

L’ultima ora sembrò interminabile. Il suono sommesso delle punte delle penne che scrivevano sui fogli non gli aveva mai dato così sui nervi. In più, molti ragazzi avevano il raffreddore. L’ovattato tirare su con il naso fu a un passo dal farlo impazzire. Avrebbe voluto dispensare fazzoletti a tutti o via libera per l’infermeria. Oppure, meglio ancora, infilare tutte quelle teste dentro dei sacchetti. Forse era davvero pazzo. Il suo unico compito fu quello di tenere gli occhi aperti per eventuali sbirciatine sui quiz altrui e rispondere a domande occasionali. I rintocchi dell’orologio accompagnarono la sua indolenza per tutta l’ora.

Più volte allungò una mano verso la sedia, per poi cambiare sempre idea. Alla fine fu raccolto anche l’ultimo compito e gli studenti lasciarono tutti l’aula parlottando ad alta voce, liberi per il resto della giornata. Tony chiuse la porta a chiave e prese il cellulare. Stranamente, c’era segnale.

La voce all’altro capo della comunicazione risuonò distorta. «MacLean.»

«Ehi, salve, detective,» esordì lui. «Sono Tony Hart. Mi chiedevo se poteva fare un salto nella mia aula per esaminare… ecco, una prova che mi è capitata accidentalmente sotto il naso.»

«Che tipo di prova?»

«Ho ricevuto un biglietto. Da parte di qualcuno. Credo che riguardi il vostro caso.»

«Può portarlo al distretto?» chiese MacLean. «Senza toccarlo con le dita.»

«Credo,» ribatté Tony, «che sia meglio non spostarlo da qui.»

Si udì un crepitio. Forse era MacLean che sospirava. «Va bene,» disse alla fine. «Nella sua aula? Tra un’ora?»

«Va bene. Non mi muovo di qui.»

Quando MacLean arrivò, Tony era seduto a uno dei banchi, intento a lavorare al suo piano d’attacco di “Sogno di una notte di mezza estate” per gli studenti del secondo anno, un gruppo di quindicenni decisamente immaturi. Trasalì per un attimo quando udì il rumore di qualcuno che provava ad abbassare la maniglia seguito da un risoluto bussare, ma poi si ricordò di aver chiuso la porta a chiave. Si alzò in fretta per far entrare il detective.

Si rese conto di quanto fosse teso solo dopo che MacLean entrò nell’aula. La sola presenza di quell’uomo alla porta fu sufficiente a togliere un pesante fardello dalle sue spalle. «Grazie per essere venuto,» disse.

«Ehi,» rispose MacLean facendo un passo avanti mentre lui chiudeva di nuovo la porta. «Qualunque cosa possa dare una svolta a questo caso è più che bene accetta. Che cosa abbiamo?»

Tony gli fece strada fino alla cattedra e rimosse la sua giacca con delicatezza. MacLean sgranò gli occhi e si piegò per guardare meglio. «Già,» commentò. «Direi proprio che ha a che fare con il caso.»

«Ma non fa espressamente cenno all’omicidio di Westin,» si azzardò a puntualizzare.

MacLean lo guardò. «A meno che non sia immischiato in altre faccende che non conosco, direi che il tempismo non lascia spazio ad altre spiegazioni.»

«Già,» sospirò Tony. «Era quello che temevo.»

«Che cosa ha fatto per rendere qualcuno così nervoso?» domandò MacLean. «Sta per caso giocando a fare il detective?»

«No,» protestò lui, punto sul vivo dal tono accusatorio. «Non ho fatto un bel niente. Beh, a parte scrivere il suo numero sulla lavagna nel caso in cui i miei studenti avessero bisogno.»

«In effetti ho ricevuto una chiamata,» ammise MacLean.

«Utile?»

«È presto per dirlo. Ha parlato del caso con qualcuno?»

«Beh, ne ho parlato con tutte le mie classi ieri, dopo l’assemblea. I ragazzi erano scossi, sa. Ma principalmente ho cercato di calmarli e smentire tutte le voci che sono state messe in giro. Niente mutilazioni o simboli di culti strani, né il numero 666 scritto con il sangue sopra la sua testa. Ho cercato di chiarire che si tratta solo di un uomo che è stato pugnalato da qualcuno che lo voleva morto. Non del primo atto di un qualche film horror.»

«E li ha convinti?»

«La maggior parte di loro sì. Ad alcuni piace semplicemente fantasticare sull’immagine del sangue che gocciola giù dalla tromba dell’ascensore. Cose così. Ma sanno che ero lì, perciò si fidano delle mie parole.»

MacLean gli rivolse un’occhiata perplessa. «Come sapevano che si trovava sul luogo del delitto?»

«Gliel’ho detto io. Perché?» chiese lui subito dopo che l’altro uomo ebbe emesso un verso di disgusto. «Prima o poi sarebbe venuto fuori lo stesso. Anche altri lo sapevano e, come diceva Mark Twain, due persone sanno mantenere un segreto solo se una delle due è morta. Ho ritenuto che fosse più importante che i ragazzi si fidassero della mia versione e che rimanessero tranquilli il più possibile, date le circostanze.»

«Okay,» convenne MacLean con una smorfia. «Ormai è fatta. Quanto meno spiega perché qualcuno si sia sentito così nervoso da farle avere un regalino completo di biglietto. Ci si è seduto davvero sopra?»

«No, stavo per appoggiarci i libri quando l’ho visto.»

«Mi dica come è andata. Quando lo ha notato?»

«L’ho trovato dopo il corso di recupero e sono certo che non ci fosse dopo pranzo.»

«E questo cosa dovrebbe significare per dei poveretti come noi, completamente all’oscuro di ciò che riguarda gli orari scolastici?»

«Oh,» disse Tony. «Mmm. L’orario scolastico… Ogni giorno è strutturato in blocchi di quattro lezioni da un’ora, anche se ogni lezione dura effettivamente un po’ di più. Dopodiché, ognuno ha mezz’ora di pausa pranzo e mezz’ora nell’aula studio. La terza ora non è uguale per tutti. Alcuni gruppi hanno lezione, pranzo e studio mentre altri hanno invece pranzo, lezione, studio e così via. Ci sono quindi quattro turni in mensa. Mi segue?»

«A malapena. In definitiva, qual è il suo orario?»

«Quest’anno ho per prima la pausa pranzo. Ho mezz’ora di tempo per il pranzo. In genere mangio qui, alla mia cattedra.»

«Seduto su quella sedia?»

«Già. È per questo che so che non c’erano puntine all’ora di pranzo. Dopo aver pranzato, ho radunato le mie cose per lasciare il posto al secondo turno e mi sono spostato nell’aula del corso di recupero per la mezz’ora di studio. È sempre nella stessa aula, non ci spostiamo per l’edificio.»

«E questo a che ora è successo?»

«Il secondo turno va dalle undici e dieci alle undici e quarantacinque. Alle undici e cinquanta sono di nuovo qui per una lezione che dura fino alla fine del quarto turno. Ho trovato il biglietto quando sono entrato, precisamente alle undici e cinquantadue.»

«Ah,» commentò MacLean. «Noto che era in ritardo.»

«Solo di poco,» ammise Tony. «Alcuni degli studenti del corso di recupero hanno difficoltà con le locuzioni avverbiali, quindi a volte sono costretto a fermarmi di più con loro.»

«E la porta? È rimasta chiusa dalle undici e dieci fino ad allora?»

«No, era aperta.»

«Non la chiude mai a chiave?» chiese MacLean. «Chi ne è al corrente?»

«Tutti, praticamente. La lascio sempre aperta perché sono spesso in ritardo. In questo modo i ragazzi possono iniziare a entrare e prepararsi, così non perdono altro tempo. Sanno tutti che nel turno che precede la lezione non sono in aula. Non c’è niente da rubare. La mia scrivania e l’armadio con il materiale sono chiusi a chiave e mi porto dietro il portatile.»

«Ricapitolando, chiunque sarebbe potuto entrare in quei quaranta minuti e lasciare il biglietto.»

«Esatto,» concordò Tony. «Con il cambio dei turni c’è sempre una grande confusione in corridoio. Sarebbe stato ancora più semplice per chi aveva la pausa pranzo al secondo turno ma grosso modo credo che chiunque avrebbe potuto farlo.»

«Davvero di grande aiuto.»

«Sono desolato.» Tony indicò la sedia. «L’ho coperta tutta e non ho toccato nulla dopo aver visto il biglietto. Ho pensato che così avrebbe potuto prendere le impronte digitali.»

«Vale la pena fare un tentativo,» disse MacLean. «Vado a prendere il kit, lo farò io. Non lo mostri a nessuno fino a quando non sarò di ritorno.»

Il kit per le impronte si componeva di polvere nebulizzata e di una fotocamera. Dopo aver messo al sicuro il biglietto in una busta, MacLean si piegò sulla sedia per testarne la superficie. Dopo aver scattato un paio di foto, scosse la testa. «Questi braccioli in plastica ruvida non permettono di lasciare impronte e, ovviamente, non ce ne sono sull’imbottitura. Se le avessero dato robaccia più economica, forse saremmo stati più fortunati.» Si raddrizzò e mise via la fotocamera in tasca. «Forse troveremo qualcosa sul biglietto.»

Tony passò un dito sulla sedia e osservò il residuo di polvere. «Questa roba è davvero terribile. Dice che verrà via con l’acqua?»

«Prima è meglio spazzolarla via il più possibile quando è ancora asciutta,» rispose MacLean. «Ecco. L’aiuto.»

Tony gli rivolse uno sguardo sorpreso. «Non è necessario. Sicuramente avrà altre cose da fare.»

«Posso prendermi qualche minuto.» MacLean prese alcuni fazzolettini dalla scatola sulla cattedra e iniziò a pulire.

«Va bene, d’accordo.» Tony osservò furtivamente quell’uomo grande e grosso mettersi al lavoro. I suoi lisci capelli castani erano più ordinati, quel giorno, e lo facevano sembrare più giovane, complice anche l’assenza delle occhiaie. Ora che lo osservava bene, gli dava poco più di trent’anni. Le sue mani erano grandi, abbronzate e dalle nocche ampie. I suoi movimenti erano ordinati e sicuri mentre ripuliva l’imbottitura e raccoglieva la polvere residua in un altro fazzolettino. Poi l’uomo sollevò lo sguardo, agganciando il suo.

Tony si sentì arrossire, ma tutto ciò che MacLean disse fu: «Mi dà una mano o no?»

«Sì, certo. Ho delle salviette nell’armadietto.» Finirono assieme di pulire, poi Tony si passò una salvietta umida sulle dita e prese la borsa. «Tanto vale che anch’io chiuda,» disse. «Non ho scuse per rimanere stasera.»

«Si è fermato fino a tardi, ieri?» domandò MacLean mentre raggiungevano la porta.

«Già.» Tony si era imposto di rimanere fino alle cinque del pomeriggio. «Non tardissimo, ma… Sentivo che dovevo farlo, perché avevo paura. Sapevo che era una cosa stupida, ma il modo migliore per vincere la paura è proprio fare ciò che ti spaventa.»

«Non credo che sia stupido prendere alcune precauzioni in questo momento,» suggerì MacLean. «Considerando quel biglietto.»

«Sì, ma queste non erano precauzioni. Erano solo i miei nervi. Sa, non sono più riuscito a prendere l’ascensore del secondo piano. Mi sembra di essere più fifone di una ragazzina, ma non posso proprio farci niente. Uso le scale sud ogni volta.»

MacLean esitò, poi lo guardò con un sopracciglio inarcato. «Allora venga in ascensore con me.»

«Adesso?»

«Adesso.» MacLean gli offrì un piccolo sorriso. «Scorta armata personale. Non c’è niente di più sicuro.»

Tony sbatté le palpebre e cercò di sorridere in risposta. «Okay. Ottima idea.» Avvicinarsi all’ascensore con MacLean al suo fianco non produsse in lui quel panico feroce al centro del petto che lo aveva rispedito sui suoi passi nei tentativi precedenti. Tony inserì la chiave e premette il pulsante. Si stupì un poco quando MacLean tenne aperta la porta mentre ispezionava lo spazio vuoto tra la soglia e la cabina. Il detective esaminò attentamente il pavimento della cabina, quindi lasciò andare la porta.

«Hanno fatto davvero un buon lavoro con la pulizia,» disse mentre scendevano. «Ma dalle foto e per come è costruita la struttura, non credo proprio che sia gocciolato del sangue giù nel pozzo.»

Tony lo guardò mentre l’ascensore si arrestava e si apriva sul pianterreno. «Maledizione!» disse. «Come sapeva che era proprio questo che mi terrorizzava?»

«L’ho sentita quando lo ha detto,» rispose MacLean con disinvoltura facendo strada verso l’area del parcheggio riservata ai visitatori. «Ascoltare ciò che dice la gente è parte del mio lavoro.»

«E immagino che le riesca davvero bene,» borbottò Tony.

L’auto di MacLean era una vecchia Volvo. Tony si chiese se fosse davvero sua o se invece si trattasse di un’auto d’ordinanza senza contrassegni. C’era una radio alquanto visibile sotto il cruscotto, ma la ruggine e le ammaccature sembravano eccessive per un utilizzo ufficiale. Un criminale inseguito da un veicolo del genere si sarebbe fatto volentieri due risate invece di preoccuparsi. Tony si fermò accanto alla Volvo, riluttante ad andarsene. Mac si piegò e aprì le portiere manualmente con la chiave poi si bloccò, una mano sulla portiera aperta, e si voltò a guardarlo.

«Non credo,» esordì MacLean lentamente, «che le farebbe male fare un po’ più di attenzione alla sua sicurezza personale fino a quando non prendiamo questo tizio. Non lavori fino a rimanere l’ultimo qui dentro. Cancelli anche il mio nome dalla lavagna. Non faccia domande su Westin e non mostri troppo interesse verso il caso.»

«Come faccio a non mostrarmi interessato? Io c’ero! E poi non mi piace arrendermi alle minacce. Questo tizio non può farmi male seriamente con delle puntine da disegno.»

MacLean arricciò le labbra in una smorfia. «Non faccia lo stupido. Non ha usato le puntine su Westin. Non mi piace questa cosa.»

«Oh, e io che pensavo di farla felice regalandole nuovi indizi!»

«Sono felicissimo, infatti,» esclamò MacLean. «È solo che non voglio che la prossima chiamata che riceviamo sia per il suo cadavere. Le chiedo solo di usare il buon senso, d’accordo?»

«Certo,» disse lui. «Come desidera.» Fece un passo indietro e osservò MacLean mentre piegava le sue lunghe gambe sul sedile del guidatore. Tony intrecciò le mani dietro la schiena per impedirsi di allungarle verso l’uomo o la portiera, nella speranza di ritardare le cose. Non doveva diventare appiccicoso solo perché si sentiva al sicuro con MacLean nei paraggi, per l’amor del Cielo. Che gli importava se il tessuto si tendeva meravigliosamente fasciando quelle gambe muscolose? Piantala e lascia che questo bello sbirro etero e vedovo torni a fare il suo mestiere. Ciononostante, non poté impedirsi di chiedere: «Mi farà sapere se salterà fuori qualcosa da quel biglietto?»

«La chiamo,» rispose MacLean. Tony non si mosse di un passo e continuò a seguire l’auto con lo sguardo fino a quando non lasciò il parcheggio.

Quando si voltò per avviarsi verso la propria macchina, Mary Pinski stava scendendo gli scalini verso il parcheggio. Camminava spedita come al solito, ma sembrava preoccupata. Quando Tony la salutò chiamandola per nome, la donna si spaventò e per poco non inciampò su di lui.

Tony l’afferrò per un gomito impedendole così di cadere. Lei gli rivolse uno sguardo incerto. Sono lacrime, quelle? «Sono desolato,» esordì. «Non volevo spaventarti, ma… tutto okay?»

Il suo strano sguardo distante sembrò trapassarlo per un attimo prima che Mary tornasse vigile. «Tony.» Si liberò della sua mano con un gesto impaziente. «Certo che sto bene.»

«Mi dispiace per Brian,» riprese Tony con fare incerto. «So che eravate amici.»

Il suo viso assunse quell’espressione di gelido disprezzo che le riusciva così bene. «Conoscenti, Tony, non amici.»

«È lo stesso,» disse lui, senza allontanarsi. Forse quella era l’occasione giusta per scoprire qualcosa. «Sono certo che sia stato un vero shock per te, venire a sapere come è morto. Voglio dire, quando l’ho visto, non riuscivo a credere che fosse davvero Brian. Non rimane… non rimaneva mai fino a tardi, il venerdì. Tu non hai idea del perché fosse ancora qui a quell’ora?»

«Perché mai avrei dovuto conoscere l’orario di Brian Westin?» scattò la collega, rivolgendogli un’occhiataccia. «Lo conoscevo a malapena fuori dall’aula.»

«Credevo solo che… se avesse avuto un incontro con un genitore o uno studente problematico, tu saresti stata l’unica a cui lo avrebbe detto.»

«L’ho già detto alla polizia,» esclamò lei a voce alta, «e ora lo dirò anche a te. Non ho la più pallida idea del motivo per cui Brian si trovasse a scuola a quell’ora. E apprezzerei che non mi trascinassi nei tuoi casini.»

«Non è il mio casino, questo,» protestò Tony, ma ormai stava parlando alla rigida schiena di Mary mentre la donna si avviava con passo spedito verso la sua auto e saliva a bordo. Chiuse la portiera sbattendola con violenza e sgommò fuori dal parcheggio così rapidamente da costringerlo a fare un balzo indietro.

«Beh, desolato di averti importunata,» bofonchiò Tony tra sé e sé. Cercò di ritrovare l’equilibrio appoggiando una mano a un camioncino, gli occhi che seguivano i fanalini di coda dell’auto di Mary mentre sparivano velocemente. «Credevo ti importasse di ciò che è accaduto a Brian.»

Oppure no. Ma forse si stava comportando in modo ingiusto. Era anche possibile che Mary fosse troppo scossa per riuscire a parlarne e non desiderava ammetterlo con un essere inferiore come Tony. Oppure ciò che l’aveva scossa era la stessa cosa che l’aveva turbata nell’ultimo mese. Qualunque fosse quel problema. Di sicuro non glielo avrebbe mai detto. Aveva il presentimento che lui e Mary Pinski non si sarebbero mai scambiati confidenze da amici del cuore.

Si voltò per raggiungere la sua auto e vide un gruppo di studenti fermi sui gradini di ingresso che lo stavano fissando. Quando incontrò il loro sguardo, girarono sui tacchi e si allontanarono, parlottando in modo furtivo tra loro. Forse stava diventando paranoico, ma dall’occhiata che una ragazza gli aveva lanciato da sopra la spalla prima di aggrapparsi al braccio massiccio del suo ragazzo, Tony avrebbe giurato che stessero parlando di lui.

O magari di lui e Mary. Come può essere sembrata la nostra conversazione vista dall’altra parte del parcheggio? Già si immaginava i pettegolezzi. La Pinski e Hart hanno litigato martedì dopo la scuola e lei lo ha quasi investito con la sua Mercedes. Se non altro, sarebbe stato alquanto difficile far passare quella discussione come un litigio tra amanti.

Mary era arrabbiata in modo del tutto ingiustificato. Tony non poté fare a meno di chiedersi se fosse a conoscenza di qualcosa che riguardava Westin e che non era disposta ad ammettere. Aveva promesso a MacLean che avrebbe tenuto il naso fuori dalle indagini. E davvero non aveva alcuna intenzione di andarsene in giro a giocare al detective privato. Ma di sicuro non c’era niente di male a parlare di nuovo con Mary, magari tra un paio di giorni, dopo averle lasciato il tempo di calmarsi. Nel caso in cui ricordasse qualcosa di utile.

Del resto, aveva tutto il diritto di essere curioso. Avrebbe dato più nell’occhio se non lo fosse stato. Non era poi una questione di stato. Avrebbe parlato con Mary e magari con un altro paio di colleghi. Anne Percival era un’amica di Westin. Che cavolo… Un ragazzino armato di una manciata di puntine non aveva il diritto di dirgli come condurre la sua vita.

Montò nella sua Prius e fece marcia indietro con gli occhi incollati allo specchietto retrovisore. Ma non appena tolse la retromarcia, Tony si sorprese a infilare una mano nella tasca per assicurarsi che il biglietto da visita con il numero di MacLean fosse sempre lì. Anche se si trattava soltanto di una stupida minaccia da ragazzini, era una bella sensazione sapere che MacLean ci sarebbe stato. Perché quell’uomo era un professionista, solo per quello ovviamente.

Iniziò a guidare verso casa e si impose di non pensare a quando avrebbe sentito di nuovo MacLean.